Cina
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Geografia Umana ed economica
di Pasquale Coppola
Stato dell'Asia centro-orientale. Le numerose vertenze che interessano l'esteso perimetro di frontiera della C. risentono favorevolmente della scelta dei governanti di Pechino di accreditare il loro Paese sul fronte delle relazioni politiche internazionali come una 'grande potenza tranquilla'. Così, anche se il bilancio del ministero della Difesa si espande velocemente in virtù dell'acquisto di materiale bellico sempre più sofisticato, i segnali lanciati ai Paesi della regione sono per lo più rassicuranti. In particolare, per gli arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale (Paracelso, Spratly, Macclesfield, Pratas), rivendicati anche da altri Stati che si affacciano su quel mare, la C. ha assunto nel 2002 l'iniziativa di proporre ai Paesi aderenti all'ASEAN (Association of Southeast Asian Nations) un comune codice di condotta, che neutralizzi le tensioni. Sul versante dei rapporti con la Russia, le controversie, legate per lo più alla sovranità dei territori lungo il fiume Amur, sono state regolate con gli accordi del 1997, in un nuovo clima di collaborazione con Mosca. Prodotto di questa ritrovata sintonia è anche la creazione della Shanghai Cooperation Organization (SCO), fondata nel 2001 con la Russia e con le quattro repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale per risolvere, tra l'altro, le questioni confinarie e per fare fronte comune contro le 'minacce del terrorismo e del separatismo islamici'. La collaborazione con il Cremlino in materia difensiva si è spinta poi fino a sperimentare manovre militari congiunte. Anche lungo la frontiera con la Corea del Nord, dove in territorio cinese si accalcano centinaia di migliaia di profughi sfuggiti alle difficoltà di quel Paese, le tensioni risultano allentate: allo scopo di alleviare la situazione, la C. ha interposto i suoi buoni uffici per favorire l'incontro tra i governanti di Pyeongyang e quelli di Washington e per stemperare le misure internazionali contro le iniziative nucleari nord-coreane. Più difficili si presentano le relazioni lungo le contestate frontiere con il Pakistan e l'India, nel distretto montuoso tra Kaśmīr e Tibet, e nella cuspide nord-orientale dello Stato indiano dell'Aruṇacal Pradeś: qui continuano a fronteggiarsi gli spiegamenti militari, con ricorrenti scontri a fuoco.
Il più consistente nodo territoriale resta, peraltro, la rivendicazione avanzata circa la sovranità dell'isola di Taiwan. Il potenziale esplosivo si è accresciuto quando gli esponenti delle forze indipendentiste taiwanesi, affermatisi nelle elezioni del 2000, si sono spinti a prospettare un referendum popolare che sancisse la definitiva proclamazione di uno Stato distinto dalla vecchia madrepatria. Successivamente i governanti di Taipei hanno mitigato questo indirizzo; ciò ha consentito di intensificare i rapporti di affari con la terraferma, spostando gradualmente il fulcro geoeconomico dell'isola verso la sfera d'influenza della C. continentale. Si va così delineando anche nei confronti di Taiwan la stessa propensione a un recupero 'morbido' e progressivo della sovranità che era già emersa alla fine del 20° sec. per Hong Kong e Macao.
Popolazione
La C. è sempre il Paese più popoloso del mondo: il censimento del 2000 ha fatto registrare 1,242 miliardi di ab., stimati 1.315.844.000 nel 2005. Le drastiche politiche demografiche, intraprese già a partire dagli anni Settanta, hanno conseguito un indubbio successo, abbassando notevolmente il tasso di crescita: il livello della fecondità è ormai assestato sotto 1,7 figli per donna, e l'incremento medio annuo della popolazione è inferiore all'1%. Si può dire che questa contrazione delle nascite, riducendo gli impegni per l'allevamento della prole, abbia liberato energie lavorative e risorse per risparmi e investimenti, costituendo un vero e proprio 'bonus demografico' per lo sviluppo. Ma, al di là dei costi psicologici e sociali di questa forzatura, non tutti i risvolti si annunciano positivi per il futuro: anche grazie al cospicuo miglioramento del sistema sanitario, la C. tende a ospitare un numero sempre più elevato di anziani. Ormai la speranza media di vita è già salita a 70 anni (73 per le donne), e 13 cinesi su 100 hanno un'età superiore ai 65 anni, ma si prevede che saranno 20 su 100 nel 2030 e 50 nel 2050: e intanto il sistema previdenziale muove appena i primi passi, mentre la tradizione di matrice rurale accolla il sostentamento dei genitori ai figli maschi. In un Paese dove lo spostamento delle giovani forze verso le città assume dimensioni impressionanti, lo scompenso generazionale che si annuncia potrebbe risultare un grave fattore di disagio sociale e territoriale.
Negli ultimi decenni la popolazione cinese ha compiuto notevoli progressi nel livello d'istruzione: sono scesi sotto il 10% gli analfabeti, anche se la differenza di genere resta molto marcata in questo campo (7,5% l'analfabetismo presso gli uomini, il doppio presso le donne). S'incrementa soprattutto la spesa per l'istruzione universitaria e per la ricerca, con positive ripercussioni sulle industrie e sul terziario di punta: la C., tra l'altro, è giunta a mettere in orbita nel 2003, con un proprio vettore, il suo primo astronauta. Le più incisive trasformazioni nella qualità della vita hanno connotato l'offerta di beni di consumo individuali, collegata con l'esplosione dell'iniziativa privata e con la penetrazione dei modelli e delle imprese occidentali. Le più grandi città cinesi, in particolare, sono divenute dinamici specchi dell'apertura verso l'economia di mercato, in cui i modi di vestire, abitare e divertirsi si sono posti in sintonia con quelli delle più moderne metropoli del mondo avanzato. Qui, se lo sterminato popolo delle biciclette resta la norma, si è conquistato uno spazio significativo anche l'universo dei proprietari di autovetture, divenuti in breve oltre 10 milioni. In ogni caso, permane un contrasto assai manifesto tra la fascia costiera, densamente popolata e sempre più solida in termini di produttività e consumi, e i vastissimi spazi interni, in prevalenza consacrati all'agricoltura e una volta tempio delle comuni rurali, dove i livelli di reddito sono depressi, l'innovazione penetra a fatica e i modelli tradizionali di vita, al pari delle gerarchie politiche e sociali, si sgretolano assai lentamente. Questo contrasto è alla base di intensi movimenti interni di popolazione, che vanno a incrementare ulteriormente il carico umano delle regioni della cimosa orientale, dal golfo del Tonchino fino al Mar Giallo e alla Manciuria. In un Paese che conta ancora meno del 40% di popolazione urbana, questa cimosa accoglie la maggior parte delle città milionarie, che sono ormai una cinquantina; ma la più popolosa regione metropolitana, quella di Chongqing, che annovera ben 30 milioni di ab., si colloca all'interno, nel medio bacino del Fiume Azzurro (lo Yang-tze Kiang).
È soprattutto dagli spazi costieri meridionali gravati da un enorme eccesso di mano d'opera (Guandong e Fujian in testa) che è partito un intenso flusso migratorio verso l'estero, agevolato dalla fine delle restrizioni alla libertà di movimento: così, si valuta che i cinesi d'oltremare abbiano superato la cifra di 50 milioni. L'ondata di emigranti tende a rivolgersi verso capisaldi già consolidati (nel resto del Sud-Est asiatico, nella costa occidentale degli Stati Uniti, in Australia, in alcune metropoli europee), ma anche verso nuovi Paesi d'immigrazione, tra cui l'Italia. Sul nostro territorio si stima che la comunità cinese abbia ormai una consistenza di quasi 100.000 individui, molti dei quali tendono a consolidare il loro progetto migratorio. Autentiche enclave cinesi si sono delineate, a partire dagli anni Ottanta, in alcuni distretti produttivi dediti soprattutto al tessile (come, per fare qualche esempio, a Prato e dintorni, oppure a Ottaviano e nei centri vesuviani contermini) oppure in alcune grandi città, dove questi immigrati lavorano in prevalenza nella ristorazione e nei commerci (Roma, Milano, Napoli); essi si sono talora assai ben organizzati, in forma ufficiale o meno, persino con propri elenchi telefonici, propri ambulatori e proprie rappresentanze industriali. Uno dei problemi che offuscano agli occhi della comunità internazionale i successi conseguiti dalla C. è il ritardo nel campo dei diritti umani: ne sono toccate in particolare le minoranze etniche, che formerebbero poco più dell'8% della popolazione, stanziate in prevalenza nelle cinque regioni autonome.
Tra le popolazioni di etnia non-Han, quelle che riescono a dare maggior risalto alla loro causa sono i Tibetani: benché siano (almeno ufficialmente) soltanto 6 milioni, la diffusione internazionale del buddhismo e l'azione del Dalai Lama in esilio pongono sotto gli occhi del mondo la loro aspirazione a una maggiore indipendenza da Pechino. Finita l'epoca della distruzione dei monasteri e della cacciata e persecuzione dei monaci, i pericoli per la cultura locale vengono dalla consistente immigrazione di elementi Han e dalle forti spinte verso l'integrazione economica. Così, nel 2005, è cessato l'isolamento ferroviario di Lhasa grazie a una linea di quasi 1500 km che si dirama da Golmud, nel Qinghai, spingendosi ad altitudini superiori ai 4000 metri. E i monumenti dell'antico buddhismo, compresa l'antica dimora restaurata del Dalai Lama (il Po-ta-la), stanno conoscendo una nuova vita, svuotati della loro essenza religiosa, come fondali di un sempre più redditizio circuito turistico. Problematica è anche la situazione delle genti turcofone, assai più prolifiche degli Han, stanziate ai margini occidentali della C., nella vasta e semidesertica regione dello Xinjiang Uyghur. Qui, regolate dalla prima metà degli anni Novanta le vertenze confinarie con le vicine repubbliche ex sovietiche, le attenzioni sono rivolte a due problemi che hanno accentuato la già notevole importanza strategica dell'area. Da un canto, è emerso il timore che i legami religiosi di queste popolazioni musulmane consentano la penetrazione di idee fondamentaliste in grado di destabilizzare l'ordine politico e sociale. Dall'altro canto, i crescenti fabbisogni energetici della C. hanno indotto a rivalutare l'antica 'via della seta' come possibile itinerario per i rifornimenti di petrolio e gas dall'area del Mar Caspio e dall'Asia centrale. Ambedue le prospettive, insieme con la presenza di basi militari statunitensi sul versante ex sovietico, hanno indotto Pechino ad accrescere la militarizzazione del territorio.
Condizioni economiche.
L'eccezionale impennata del PIL cinese che aveva segnato gli ultimi due decenni del Novecento è continuata anche nei primi anni del nuovo secolo, toccando nel 2003 e 2004 il 9,5% annuo. Il balzo in avanti è apparso ancor più imponente dopo che una sistematica revisione statistica compiuta nel dicembre 2005 ha consentito di rivalutare il PIL del 2004 di quasi il 17%, portandolo a un livello superiore a quello italiano (dunque al sesto posto nel mondo) e ormai prossimo a quelli francese e britannico. Di conseguenza, il reddito pro capite supera i 1300 dollari, e risulta così più che sestuplicato in un quarto di secolo. Grazie anche a un severo contenimento dell'inflazione, questa ascesa si è ripercossa in modo notevole sul potere d'acquisto delle famiglie e sui loro risparmi, ma si vanno intanto accumulando sempre più forti sperequazioni nel censo e nelle possibilità di accesso a servizi cruciali come l'istruzione e la sanità, dai quali lo Stato è in rapido ritiro. Non va poi trascurato che ancora 150 milioni di cinesi dispongono di meno di un dollaro al giorno e che quasi altrettanti vivono - secondo la Banca mondiale (v.) - in 'acuta povertà', tanto che il governo si appresta a varare misure di sostegno per le fasce marginali. Notevoli sono inoltre gli scompensi di ricchezza tra le regioni dell'Est e quelle dell'Ovest, e più in particolare tra le aree più interne e quelle costiere: il reddito pro capite di un Tibetano, per es., è pari a solo un decimo di quello dei residenti nel distretto di Shanghai. Altrettanto si espandono le differenze nei potenziali di guadagno dei differenti comparti produttivi, soprattutto a danno della sterminata massa dei contadini, che rappresentano poco meno della metà degli occupati cinesi e sono gravati dell'immenso compito di sfamare un universo crescente di genti inurbate. Nel periodo 1990-2003 è leggermente cresciuta la quota dell'occupazione industriale (22%), che si concentra lungo i territori della fascia marittima e in alcuni distretti minerari delle aree interne. Anche se un consistente slancio in avanti investe pressoché tutti i rami industriali, il maggiore dinamismo riguarda i comparti a forte intensità di mano d'opera, in cui prevalgono piccoli impianti legati a una capillare voglia d'impresa, ma sono anche diffuse aziende medie e grandi che operano con marchi propri sul mercato interno o su commessa dei grandi marchi internazionali. Per valersi dei bassissimi costi del lavoro locale, sono state inoltre decentrate sul territorio cinese sempre più numerose filiali di aziende multinazionali: gli investimenti provenienti dall'estero hanno superato i 500 miliardi di dollari; ma comincia a registrarsi anche un flusso inverso di capitali, dato che alcune imprese cinesi hanno rapidamente raggiunto dimensioni e possibilità finanziarie di grande respiro, che hanno loro consentito l'acquisto anche di grosse compagnie straniere. Ad accompagnare e sostenere lo slancio economico è stata un'ampia crescita del settore dei servizi, che fornisce ormai oltre un terzo dei posti di lavoro; nel loro ambito si segnala per il particolare dinamismo il ramo dei trasporti marittimi, vero cardine dell'espansione delle merci cinesi sui mercati internazionali. Un comparto dischiusosi quasi dal nulla è quello del turismo internazionale di massa: dacché la C. ha deciso di aprire molti dei suoi tesori ai visitatori stranieri, i flussi in entrata si sono espansi fino a far segnare circa 41,8 milioni di ingressi nel 2004 (collocando la C. al quarto posto tra i Paesi più visitati del mondo), con interessanti riflessi sull'economia locale, specie su quella di regioni in precedenza alquanto isolate (come l'area di Xi'an, resa in breve assai prospera dalle visite agli scavi dell'affascinante 'esercito di terracotta'); i visitatori provengono in gran parte da Hong Kong e dal Giappone. Cresce, a ritmi elevatissimi, anche il settore delle telecomunicazioni, ma solo il 10% del territorio è coperto da servizi telefonici. In crescita gli utenti di Internet, anche se la rete è soggetta a uno stretto controllo governativo.
Benché la sfida prioritaria e più impegnativa per i responsabili dell'economia cinese sia rappresentata dall'unificazione di un gigantesco mercato interno ancora diffusamente frammentato dalla difficoltà delle comunicazioni e dalla molteplicità degli assetti locali e dei modelli di vita, il crescente protagonismo del Paese sulla scena mondiale ha il suo motore nel commercio estero. La C. ha decuplicato tra il 1980 e il 2000 il volume dei suoi scambi, convogliando in apertura del Duemila il 4% del commercio internazionale: a sancire con chiarezza questa apertura è venuta la sua adesione alla World Trade Organization (WTO), decisa alla fine del 2001 dopo circa quindici anni di negoziati. I prodotti in uscita dal Paese sono per la maggior parte beni di largo consumo nel campo dell'elettronica civile, del tessile e dell'abbigliamento, dei giocattoli, ma non mancano articoli ad alto contenuto tecnologico, che costituiscono quasi un quarto del totale. E da qualche tempo, smentendo un'antica tradizione di deficit nelle produzioni alimentari, anche l'agricoltura cinese ha preso a sostenere i traffici in uscita, soprattutto grazie ai prodotti ortofrutticoli, forniti a prezzi imbattibili dai milioni di microscopici appezzamenti estesi dalle rive del Mar Giallo alle colline del Gansu. Il connotato principale del commercio estero cinese è un saldo positivo di proporzioni crescenti, stimato per il solo 2005 a 70 miliardi di dollari: sono gli Stati Uniti (seguiti da Giappone e Corea del Sud) a dominare il novero degli acquirenti e ad accusare il deficit più pesante. Per questa via la C. ha accumulato varie centinaia di milioni di dollari di riserve valutarie statunitensi, divenendo per alcuni versi uno dei principali finanziatori del Tesoro di quel Paese. Il dilagare delle esportazioni cinesi, principalmente nel campo del tessile e dell'abbigliamento a buon mercato, ha creato in vari Paesi industrializzati serie apprensioni per le sorti dell'occupazione e delle quote di mercato, suscitando le accuse di mancato rispetto delle normative sul lavoro, di dumping e di contraffazioni, e provocando da parte dell'Unione Europea e degli Stati Uniti l'irrigidimento dei controlli sulle merci cinesi e la minaccia di restrizioni e dazi. Una delle concessioni cinesi di fronte a questa vera e propria sindrome della 'invasione commerciale' è consistita, nel luglio 2005, nella rivalutazione dello yuan in misura del 2%. In effetti, uno degli scopi di tale misura è anche quello di contenere i costi per l'importazione di prodotti energetici: nel breve volgere di qualche anno le fonti energetiche interne non sono state più sufficienti ad alimentare l'intenso sviluppo di produzione e consumi, e la crescente domanda cinese ha dato un contributo notevole alla risalita dei prezzi sul mercato petrolifero mondiale. In attesa che il piano in atto per il 2010 accresca (fino al 10%) il peso delle fonti rinnovabili, nel Paese continua a dominare, per tre quarti, l'energia attinta alle vaste risorse carbonifere, che resta peraltro una delle fondamentali matrici del diffuso inquinamento.
Uno dei risvolti preoccupanti della crescita dell'economia cinese è appunto il pesante sacrificio imposto all'ambiente, in termini di aree deforestate, di sfruttamento eccessivo dei suoli, di inquinamenti di acque e aria. Secondo un'indagine svolta dall'Agenzia per la protezione ambientale della C., tutti i maggiori fiumi e i grandi laghi si presentano contaminati da scarichi urbani e industriali. L'accento posto spontaneamente sulla redditizia produzione ortofrutticola senza la necessaria istruzione dei contadini fa sì, tra l'altro, che metà di tale produzione rechi tracce eccessive di pesticidi. Del resto, moltissimi suoli stanno ancora smaltendo i massicci trattamenti di DDT praticati durante il collettivismo maoista. Frequente è la presenza in aree a forte intensità abitativa di impianti a rischio (fabbriche siderurgiche, chimiche o del comparto militare) e di colture intensive: ne deriva su alcune megalopoli, come Shanghai e Pechino, lo stazionamento frequente di una spessa cappa di smog. Del resto, è proprio l'inquinamento a rappresentare la principale nota di preoccupazione per il significativo appuntamento delle Olimpiadi 2008 nella capitale cinese.
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Politica economica e finanziaria
di Giulia Nunziante
A partire dagli anni Ottanta del 20° sec., la C. intraprese un lento e complesso processo, che contribuì all'affermazione del Paese tra i principali agenti sul mercato mondiale. Il governo avviò pertanto la necessaria riconversione e apertura dell'economia, con l'obiettivo di ridurre la povertà, promuovere la crescita, assicurare lo sviluppo delle risorse umane. Con un emendamento alla Costituzione, nel 1999 venne riconosciuto formalmente il ruolo chiave ricoperto dal settore privato nella crescita, anche se nel concreto il tessuto imprenditoriale privato si trovava di fronte a scarsità di infrastrutture, difficoltà di accesso al credito e carenza di formazione manageriale e tecnica. La dichiarata volontà di ridurre gradualmente il ruolo dello Stato nell'economia si espresse con interventi di ridimensionamento del settore pubblico. In particolare, nel tentativo di migliorare e rendere più corretta la gestione delle imprese pubbliche, in quegli anni si operarono riduzioni di organico, si facilitarono ristrutturazioni aziendali, si diffuse la vigilanza e il ricorso alle procedure di bancarotta, si moltiplicarono gli incentivi gestionali per garantire l'efficienza. Lo Stato adottò misure volte a favorire la trasformazione della struttura proprietaria delle piccole e medie aziende, favorendone il progressivo passaggio all'azionariato diffuso, e promosse l'introduzione di sistemi imprenditoriali moderni. Contestualmente, il governo proseguiva nel lento processo di liberalizzazione dei prezzi, mantenendo tuttavia il controllo diretto su quelli di beni strategici (per es. il petrolio) e di prodotti a larga diffusione (per es. il grano). Le difficoltà nell'imboccare decisamente un percorso di sviluppo si legavano inoltre alla delicata struttura dell'economia reale, caratterizzata da forti squilibri - sia sociali sia territoriali - consolidatisi nel corso degli anni. In particolare, il problema delle forti disparità di reddito tra le diverse regioni del Paese venne affrontato con uno sforzo di razionalizzazione e sofisticazione degli strumenti fiscali di sostegno all'economia. Al fine di assicurare lo sviluppo delle regioni rurali, il reddito dei lavoratori agricoli venne aumentato grazie alla riduzione della pressione fiscale, e furono incentivate le opportunità occupazionali nel settore. Per far fronte alle tensioni nel mercato del lavoro, venne riformato il sistema di sicurezza sociale, assicurando l'incremento delle pensioni, la maggiorazione dei contributi erogati ai disoccupati e il rafforzamento dei programmi di assistenza ai lavoratori in cerca di nuova occupazione. Il governo promosse anche la creazione di posti di lavoro presso le piccole e medie imprese e rimosse alcuni vincoli normativi alla mobilità.
Le criticità sul mercato del lavoro rappresentavano tuttavia un problema destinato a persistere, per il protrarsi del processo di ristrutturazione del settore pubblico, per l'eccesso di lavoratori rurali e per il forte incremento annuale della forza lavoro (che si prevedeva di circa 10 milioni di persone fino al 2010). I settori monetario e creditizio furono oggetto di un'articolata riforma, che rivedeva la struttura della banca centrale, ammetteva il fallimento delle istituzioni insolventi e la costituzione di imprese di gestione a cui affidare le sofferenze bancarie. Lo Stato inoltre promosse la riorganizzazione e ricapitalizzazione di due delle quattro maggiori banche pubbliche, mentre venne accelerato il processo di aggregazione di numerosi istituti di credito urbani minori. Fu varata una nuova regolamentazione in tema di vigilanza prudenziale, e si tentò di ridurre l'incidenza delle sofferenze sull'attivo delle banche. Nel corso della seconda metà degli anni Novanta e fino a ben oltre l'ingresso della C. nella World Trade Organization (WTO), avvenuto nel dicembre 2001, l'attività del governo fu diretta ad assicurare il raggiungimento di adeguati standard di regolamentazione e vigilanza sul mercato dei capitali. Pertanto fu avviata la graduale rimozione delle barriere doganali, mentre le autorità competenti recepivano gli orientamenti della WTO in ordine all'aggiornamento del quadro normativo in materia di commercio internazionale. Oltre a varare questi interventi di carattere più strutturale, lo Stato si adoperò per far fronte alla situazione contingente; nel corso del 1999, si aggiunsero manovre volte a rispondere al lieve rallentamento della crescita della produzione e al conseguente insorgere di pressioni deflazionistiche riconducibili alla crisi finanziaria dei mercati asiatici. Il governo varò misure di politica fiscale e monetaria volte a promuovere lo sviluppo dell'attività produttiva e le esportazioni. In particolare, furono aumentate le spese in infrastrutture e accresciuti i salari dei dipendenti pubblici, ridotti gli interessi e resi meno gravosi gli oneri di riserva obbligatoria per le banche. Nel 2000, grazie ad appropriate politiche economiche e a un ambiente esterno favorevole, la crescita riprese con vigore. Sia l'aumento della domanda interna, sollecitata da un orientamento espansivo della politica fiscale, sia l'incremento delle esportazioni contribuirono a una crescita del PIL dell'8%. Nel corso del 2001 il rallentamento della domanda estera di prodotti e servizi cinesi e del consumo interno, nonostante la continua espansione degli investimenti dello Stato, fecero registrare un lieve arresto nella crescita. Pressioni deflazionistiche si riaffacciarono verso la fine dell'anno.
Il Piano quinquennale varato nel 2001 si caratterizzava per l'importanza attribuita alle istanze di qualità nella crescita e di sviluppo sostenibile. I principali indirizzi di politica economica riguardavano la volontà di proseguire sulla via delle riforme market-oriented, l'enfasi sulla necessità di innovazione tecnologica, la promozione dello sviluppo del settore non pubblico, l'intensificazione delle misure di protezione dell'ambiente e di miglioramento della qualità della vita in termini di riduzione della povertà e rafforzamento del sistema di sicurezza sociale. Nel corso del 2002, il governo spinse sulle riforme economiche volte a stimolare la competitività dell'economia cinese sui mercati internazionali. Furono realizzati numerosi interventi legislativi e regolamentari, con l'intento di facilitare l'afflusso di capitali stranieri nel Paese, di favorire il settore privato e di promuovere l'efficienza delle imprese pubbliche. Gli investimenti dall'estero in alcuni settori (quali telecomunicazioni, assicurazioni ecc.) vennero favoriti, l'accesso al mercato mobiliare nazionale fu consentito a qualificati investitori istituzionali internazionali, furono rimosse alcune restrizioni all'operatività delle banche estere. Nel 2003 il governo si propose ambiziosi obiettivi di politica economica: promuovere una rapida crescita del PIL, ridurre la disoccupazione, assicurare la stabilità dei prezzi, consolidare l'avanzo della bilancia dei pagamenti. Maggiore vigore venne di conseguenza dato alle riforme di natura strutturale. Nei primi mesi del 2004, il governo realizzò una politica economica attenta a controllare che la forte crescita del Paese fosse indirizzata alla risoluzione dei forti squilibri che ancora caratterizzavano il mercato interno. Pertanto adottò una politica monetaria restrittiva: il finanziamento in alcuni settori industriali fu razionato, furono posti in essere stringenti obblighi di riserva obbligatoria per le banche, il tasso di sconto venne mantenuto elevato. Allo stesso tempo furono varate misure protezionistiche di natura amministrativa per proteggere i settori finanziario, siderurgico, dell'alluminio e del cemento, mentre furono incentivati gli investimenti nei settori dell'energia e delle comunicazioni.
Storia
di Guido Samarani
La fine del Novecento e i primi anni del nuovo secolo videro la Repubblica popolare cinese (RPC) riaffermare e consolidare la crescita economica, l'apertura al mondo esterno e l'ascesa in campo regionale e internazionale. Nel contempo si manifestarono in vari settori segni evidenti di vecchi e nuovi problemi, provocati sia dall'ampiezza e profondità del processo di riforma, sia dai ritardi e dalle carenze da questo evidenziate, in particolare nel campo politico e in quello dei rapporti Stato-società e Stato-individuo. Allo stesso tempo, l'ascesa cinese provocò nel mondo reazioni diverse e talora contrapposte: soddisfazione per l'integrazione di Pechino nelle istituzioni internazionali, ma anche diffidenza e persino forme di protezionismo nei confronti della 'sfida cinese'. In tal senso, il biennio 1999-2000 può considerarsi decisamente emblematico. A distanza di 10 anni dalla grave crisi politica e sociale culminata nella repressione della 'primavera di Pechino' (1989), la C. si presentava come un Paese che aveva recuperato una sostanziale stabilità all'interno ed era stato in grado di riacquistare una presenza significativa in ambito internazionale. Sul fronte interno, la nuova leadership, imperniata sul binomio Jiang Zemin (al vertice del sistema politico-militare) e Zhu Rongji (a capo del governo), sembrava avere consolidato le proprie posizioni e assicurato al Paese una direzione stabile e autoritaria, ritenuta indispensabile soprattutto dopo la scomparsa di Deng Xiaoping. In tale direzione andavano tra l'altro le aspre misure repressive adottate nella primavera e nell'autunno del 1999 nei confronti della setta Falun Gong, parte di una più ampia azione di prevenzione nei confronti di quelli che le autorità cinesi consideravano come 'culti pericolosi' o comunque potenziali minacce per l'ordine costituito.
Sul piano delle relazioni internazionali, dominavano lo scenario due grandi temi: gli accordi commerciali con gli Stati Uniti e l'Unione Europea (firmati rispettivamente nel novembre 1999 e nell'ottobre 2000), i quali aprirono di fatto la porta all'ingresso della RPC nella World Trade Organization (WTO), e la svolta politica a Taiwan. Gli accordi prevedevano una serie di misure miranti alla graduale liberalizzazione di alcuni importanti settori dell'economia cinese, e l'impegno di Pechino a ridurre gradualmente i dazi doganali e a eliminare quote, licenze e sussidi a settori dell'export. Si trattava di decisioni che offrivano rilevanti vantaggi all'economia della C., nel senso di una sua maggiore integrazione nell'economia mondiale. I significativi mutamenti intervenuti a Taiwan ebbero evidenti implicazioni nella RPC, che da sempre considerava l'isola una 'provincia ribelle', parte integrante del territorio cinese. Nel marzo del 2000, dopo oltre 50 anni, il partito al potere (il Guomintang) fu sconfitto nelle elezioni presidenziali dall'opposizione (il Partito democratico progressista), guidata da Chen Shui-bian (poi confermato al potere nel 2004). La vittoria di Chen venne vista con grande preoccupazione da Pechino, in quanto questi era leader di un partito nel cui seno erano tradizionalmente forti le spinte verso la proclamazione dell'indipendenza dalla C., evento che Pechino considerava inaccettabile. L'anno 1999, cinquantenario della fondazione della RPC, aveva visto altresì concretizzarsi, nel mese di dicembre, un altro sogno a lungo cullato dalla dirigenza cinese: la riunificazione alla C. di Macao, da secoli colonia portoghese, la quale faceva seguito a quella di Hong Kong di due anni prima. Nel maggio dello stesso anno il bombardamento da parte statunitense dell'ambasciata cinese di Belgrado aveva sollevato forti proteste ufficiali ma anche violente manifestazioni popolari contro sedi diplomatiche e interessi commerciali statunitensi e occidentali, aprendo di fatto uno squarcio nuovo - e preoccupante - sul ruolo che il nazionalismo avrebbe potuto giocare nella nuova strategia internazionale di Pechino. Le manifestazioni antinipponiche del 2005 avrebbero in seguito dimostrato che i fatti del 1999 non erano stati episodici ma che, al contrario, essi erano parte integrante delle profonde trasformazioni che la società cinese stava conoscendo.
La tortuosa marcia di avvicinamento della RPC alla WTO si concluse infine l'11 dicembre 2001, quando divenne operativo l'accordo firmato un mese prima a Doha, nel Qaṭar. Il cammino tuttavia era risultato assai meno facile di quanto si fosse ritenuto nel 1999-2000, e aveva dovuto superare contrasti e incertezze di varia natura, tra cui l'impatto molto negativo che aveva avuto sulle relazioni sino-statunitensi lo scontro tra due aerei cinesi, addetti all'intercettazione, e un aereo da ricognizione statunitense. Nella collisione, avvenuta il 1° aprile 2001, uno dei due apparecchi cinesi era precipitato in mare, mentre l'aereo statunitense aveva dovuto compiere un atterraggio d'emergenza nell'aeroporto di Hainan. Il vero e proprio braccio di ferro che si era sviluppato tra Pechino e Washington successivamente al grave incidente aveva visto alla fine l'amministrazione di G.W. Bush costretta ad avanzare formali scuse alla C., aprendo così la via alla positiva risoluzione di un caso che si profilava come estremamente complesso e delicato. A differenza di quanto successo nel caso del bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado, Pechino aveva scelto in questa occasione una strada prudente, evitando forti toni antistatunitensi, anche al fine di non favorire una nuova ondata nazionalistica. Tuttavia, a pochi mesi di distanza dal passaggio di consegne alla Casa Bianca tra B. Clinton e Bush (gennaio 2001), l'approccio cinese alla nuova strategia degli Stati Uniti, che individuava nella RPC non più un 'partner strategico' quanto semmai un 'competitore strategico', il cui ruolo doveva essere confinato a quello di un mero partner bilaterale nell'ambito dei rapporti commerciali, divenne sempre più critico, anche in seguito a scelte statunitensi quali quelle di vendere nuove armi sofisticate a Taiwan e di rilanciare i programmi per la costruzione dello scudo spaziale.
Le crescenti difficoltà delle relazioni sino-statunitensi si collocavano all'interno di una visione, da parte della dirigenza cinese, del processo di globalizzazione in quanto fonte di grande opportunità ma anche portatore di non pochi rischi e di una crescente preoccupazione per 'l'unilateralismo' statunitense, al quale si cercava di far fronte con il dispiegamento di una strategia imperniata sul 'multilateralismo' e, in quest'ambito, di una solida collaborazione con la Russia. In tal senso, sul fronte internazionale l'impegno di Pechino, sia prima sia dopo l'ingresso nella WTO, tese a dispiegare un'offensiva diplomatica diretta a rassicurare il mondo esterno circa la natura pacifica e cooperativa dell'impegno cinese. Il primo ministro Zhu Rongji cercò di portare avanti tale offensiva anche sul fronte delle relazioni economiche e commerciali, tentando per es. di rassicurare i Paesi del Sud-Est asiatico circa il loro timore di non poter a lungo reggere alla competizione con la C.; oppure sforzandosi di allargare la cooperazione con l'Europa attraverso lo strumento dell'Asia-Europe Meeting (ASEM, creato nel 1996) e una maggiore concertazione in sede ONU.
Tali scenari, e in particolare le crescenti tensioni nell'ambito delle relazioni sino-statunitensi, furono tuttavia spazzati via, quanto meno temporaneamente, dall'attacco terroristico alle Twin Towers di New York, l'11 settembre 2001. La C. fu uno dei primi Paesi a esprimere al presidente statunitense la propria solidarietà, e mise gradualmente da parte, a partire dalla fine di quell'anno, gli aspetti più propagandistici della retorica antistatunitense. Il tempo avrebbe dimostrato che tale sintonia era destinata a stemperarsi abbastanza presto, anche in seguito alla crescente competizione tra Pechino e Washington per l'approvvigionamento delle risorse energetiche in Asia centrale, Medio Oriente e Africa. Nel senso di una maggiore concertazione regionale nell'ambito della lotta al terrorismo (ma con un occhio particolare verso i problemi interni, come quello del Xinjiang) andava anche l'attivismo di Pechino nella Shanghai Cooperation Organization (SCO), creata nel giugno 2001 insieme alla Russia e alle quattro repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale, e il cui scopo era appunto di coordinare l'impegno comune contro il terrorismo islamico.
Sul fronte economico, Pechino riteneva che il processo di globalizzazione richiedesse una C. prospera ma anche una crescita più equilibrata. In tale ottica, il progetto per il decimo Piano quinquennale, presentato nel marzo del 2001 all'Assemblea nazionale popolare, poneva grande attenzione, oltre che ai successi economici, a quelle aree del Paese (l'Ovest in particolare) che di tali successi avevano beneficiato poco o nulla.
Se il 2001 va considerato come l'anno dell'ingresso della RPC nella WTO, il biennio 2002-03 va ricordato soprattutto per il ricambio politico al centro e nelle province, con l'ascesa della 'quarta generazione' della leadership. La sanzione del ricambio politico e generazionale venne formalizzata dal xvi Congresso nazionale del Partito comunista cinese, svoltosi nel novembre 2002, e completata tra la primavera del 2003 e l'anno successivo con l'elezione delle più alte cariche dello Stato. In tal modo, gran parte del gruppo dirigente che aveva guidato il Paese dopo la scomparsa di Deng Xiaoping lasciò i propri incarichi. La nuova generazione al potere - che ha guidato a partire da quel momento la C. lungo le tortuose vie del 'socialismo di mercato' e che è chiamata a portare avanti con successo il processo di riforma negli anni che condurranno alla importante sfida delle Olimpiadi (2008) - è imperniata sul binomio Hu Jintao (a capo del partito) e Wen Jiabao (alla guida del governo). In seno al gruppo dirigente che affianca Hu Jintao appare evidente il crescente peso dei governatori delle province e delle municipalità più importanti.
La nuova dirigenza affrontò negli anni 2003-2005 grandi problemi, la cui soluzione appariva sempre più urgente: una crescita economica straordinaria, percorsa tuttavia da contraddizioni significative (distribuzione territoriale, diversità settoriali, squilibri ecologici); una società nuova e in rapida trasformazione, segnata da fenomeni quali il consumismo, la comparsa dell'imprenditoria privata, il disincanto ideologico, la rivoluzione informatica e della comunicazione; l'approfondimento della politica di cooperazione internazionale, la quale tuttavia comportava l'introduzione nel Paese di valori occidentali 'corrosivi'. In realtà, il primo banco di prova per la nuova dirigenza fu lo scoppio della crisi della SARS (Severe Acute Respiratory Sindrome) nel marzo 2003, che mise in evidenza gli scarsi progressi avvenuti nel campo della trasparenza amministrativa e dell'informazione. Infatti solo in giugno, ben tre mesi dopo i primi segnali, le autorità si decisero a intervenire, con la creazione tra l'altro di una task force con l'obiettivo di attuare un piano di prevenzione e controllo dell'epidemia. Testimonianze diverse coincisero nel sottolineare che l'epidemia, al di là della grave perdita di vite umane (oltre 600 i deceduti in C. e a Hong Kong) e dei seri danni economici (vari milioni di dollari), aveva evidenziato in particolare le impressionanti carenze e distorsioni del sistema sanitario cinese.
Superata la crisi della SARS, la C. conobbe nel 2004 e nel 2005 una fase complessivamente positiva. La nuova dirigenza iniziò a mettere in atto la nuova strategia di sviluppo, finalizzata a trovare un più proficuo equilibrio fra crescita economica e compatibilità sociali e ambientali. Le priorità dell'azione di governo furono individuate nella riaffermazione della centralità dell'agricoltura, nello sviluppo di un sistema di sicurezza sociale, nell'attenuazione delle disparità interprovinciali e tra città e campagna, nella risoluzione delle gravi inadeguatezze nei servizi educativi e sanitari, nella lotta più decisa alla corruzione. Nella primavera del 2004 l'Assemblea nazionale popolare approvò tra l'altro alcune significative modifiche alla Costituzione, in particolare prevedendo, da una parte, nuove norme a tutela giuridica della proprietà privata, e dall'altra più precisi e puntuali riferimenti al dovere dello Stato di garantire un sistema di sicurezza sociale adeguato e di salvaguardare i diritti umani. Tuttavia, mentre sul primo tema i progressi fatti registrare nel corso del 2004-05 furono assai evidenti, al contrario la nuova normativa sui diritti umani non impedì l'adozione di nuove misure restrittive e di censura nei confronti dei media e del mondo del giornalismo.
Sul piano internazionale, venne riaffermata la politica di pragmatismo avviata negli anni precedenti, cercando di potenziare l'azione diplomatica in aree geografiche considerate chiave soprattutto ai fini degli interessi strategici e di sicurezza nazionali (Asia centrale, Europa, Africa, America Latina). A tale scopo fu coniata la teoria della 'ascesa pacifica', proprio con l'obiettivo di evidenziare come la crescita e il rafforzamento della C. non mirassero in alcun modo a produrre effetti destabilizzanti sul quadro regionale e internazionale. Lo sforzo cinese di offrire al mondo intero un'immagine tranquillizzante si intrecciò peraltro, nel 2005, con le celebrazioni del cinquantenario della Conferenza di Bandung, simbolo storico della lotta per creare un nuovo e migliore 'ordine mondiale'. Nonostante ciò, nel 2004 e nei primi mesi del 2005 la dirigenza cinese dovette far fronte a seri problemi di diversa natura. Le relazioni con gli Stati Uniti subirono un deciso raffreddamento, alimentato dalle crescenti tensioni con Taiwan, dalle frizioni sul problema delle elezioni democratiche a Hong Kong e dal contenzioso sulle quote d'importazione dei prodotti cinesi, il quale coinvolse anche - come è già stato sottolineato - l'Unione Europea, e in particolare l'Italia e altri Paesi dell'area mediterranea. Il rinnovo del mandato a Bush nel novembre 2004 venne accolto con preoccupazione, ma anche con la fiduciosa speranza che il successivo quadriennio potesse portare a un maggiore impegno di Washington nel contrastare le tendenze indipendentiste di Taiwan e a un graduale abbandono dell'unilateralismo politico e militare. L'altro 'fronte caldo' era rappresentato dalle relazioni con il Giappone, il cui deciso peggioramento iniziò sin dal gennaio del 2004, con una nuova visita del premier giapponese J. Koizumi (la quarta dal 2001) al tempio Yasukuni (luogo di sepoltura di ufficiali condannati per crimini contro l'umanità commessi durante la Seconda guerra mondiale, in particolare in C.), e si accentuò nel corso della prima parte del 2005, anche in seguito a una nuova ondata di pubblicazioni di testi scolastici giapponesi contenenti gravi distorsioni della storia del conflitto sino-giapponese del 1937-1945; in aprile vi furono manifestazioni e violenze contro persone e interessi giapponesi. Al di là della questione della memoria storica, la crisi delle relazioni sino-giapponesi era andata aggravandosi negli anni precedenti in seguito ad altri eventi, in particolare l'inasprimento della contesa sulle isole Tiaoyu (in giapponese, Senkaku) e sulle prospezioni petrolifere nel Mar Cinese Meridionale, l'invio di contingenti militari nipponici in ̔Irāq (segno, secondo la C., di velleità di riarmo), il problema dell'entrata del Giappone nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, osteggiata con grande determinazione da Pechino. Il forte peggioramento dei rapporti politici tra i due Paesi non intaccò peraltro il buon andamento delle relazioni economiche e commerciali bilaterali, che crebbero in modo significativo.
Bibliografia
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Yang Zhong, Local government and politics in China, New York-London 2003.
G. Samarani, La Cina del Novecento. Dalla fine dell'Impero ad oggi, Torino 2004.