CINA (X, p. 257; App. I, p. 417; II, 1, p. 585; III, 1, p. 374)
Confini e ripartizioni del territorio. - L'attuale definizione della forma e dei confini del territorio statale è frutto di un processo di formazione secolare, ma i risultati della pressione esercitata dall'espansione russa e giapponese a nord e a nord-est e di quella inglese e francese a sud si riflettono sulle attuali rivendicazioni cinesi. Alcuni dei confini scaturiti dagli accordi imposti dalle potenze confinanti non sono mai stati accettati dai Cinesi; altri, pur essendo riconosciuti, sono ritenuti suscettibili di mutamenti.
In quest'ultima categoria di confini stanno quello con Hong Kong, con la Mongolia e lunghi tratti della frontiera con l'Unione Sovietica. Sono definiti da accordi stipulati dal governo attuale i confini montani con il Pakistan e il Nepal, i confini con la Corea del Nord e con il Vietnam. La contestazione territoriale più vivace coincide con le divergenze politiche che la C. ha con i suoi due maggiori vicini, l'Unione Sovietica e l'India. L'origine della disputa intorno al confine himalayano è basata sul trattato stipulato fra il governo inglese dell'India e alcuni delegati tibetani nel 1914; secondo tale trattato, circa 90.000 km2 di territorio e alcuni valichi di valore strategico dovevano essere inclusi nell'India, entro la linea che, dal nome del negoziatore britannico, venne chiamata linea McMahon. Oggi tale linea non è riconosciuta dal governo cinese, che afferma che i delegati tibetani suddetti non rappresentavano lo stato cinese, da sempre ritenuto formalmente sovrano in Tibet. Durante i primi anni della Repubblica Popolare, quando la politica di non allineamento avvicinava la C. all'India, non vennero esercitate rivendicazioni territoriali; è scaturito invece un vero conflitto armato dopo che la C. ha consolidato il suo possesso sul Tibet e si è andata staccando dalla politica internazionale sovietica, che appoggiava l'India. Il conflitto ideologico con l'Unione Sovietica si è trasposto in rivendicazioni territoriali fra i due stati. Le due aree principali in contestazione sono a ovest, nel Hsinchiang, la valle del fiume Ili, immissario del lago Balklash, e a nord-est la frontiera dell'Amur e del suo affluente Ussuri.
Il governo comunista ha ridotto di poco il numero delle province, ma ha creato contemporaneamente altre entità territoriali che hanno dato alla C. un sistema di ripartizione interna piuttosto complesso. Sono del tutto nuove le regioni autonome e le comuni popolari, e anche le municipalità hanno caratteristiche rinnovate. Benché esista un'azione per decentrare una parte dell'autorità statale, tuttavia l'attuale indirizzo, dichiarato formalmentè dal governo cinese, è di dare al paese una stretta unità. Le cinque regioni autonome hanno le stesse prerogative delle province e delle due municipalità, con qualche maggiore autonomia amministrativa; differiscono per la composizione etnica della popolazione, formata da popoli che in gran parte non sono cinesi (o han). La prima regione autonoma è stata la Mongolia Interna, già dotata della sua autonomia sin da prima della proclamazione dell'attuale repubblica. Sono state proclamate autonome una dopo l'altra le regioni Hsinchiang-Uighur (ottobre 1955), Kuanghsi-Chuang (maggio 1958) e Ninghsia-Hui (ottobre 1958). La più recente delle regioni autonome è quella tibetana, costituita nel settembre del 1965, dopo un'occupazione militare di 14 anni, che all'inizio aveva lasciato qualche autonomia al locale governo teocratico. L'immigrazione cinese è stata sensibile e ha creato alcuni cambiamenti. I Cinesi hanno eliminato le forme arcaiche di sfruttamento esercitate dai feudatari e dai monasteri nei confronti di una vasta categoria di veri e propri servi della gleba; d'altronde l'aumento della popolazione han affluita dopo il 1959, anno della fallita rivolta anticinese e della fuga del Dalai Lama, ha sovvertito i rapporti etnici e ha impedito la formazione di uno stato indipendente.
Popolazione e città. - Le valutazioni quantitative sulla popolazione cinese sono sempre state difficili, per l'insufficienza dei dati ufficiali di rilevazione statistica. Dopo il censimento del 1953 e la rilevazione parziale del 1957, non è stato reso noto alcun censimento, per quanto si abbia notizia di una probabile rilevazione nel 1964, e nel 1972 sia apparsa una pubblicazione ufficiale con statistiche relative a due anni prima. Sono state formulate diverse ipotesi di valutazione statistica per la misura della dinamica demografica cinese, fra cui alcune porterebbero a cifre assai elevate, in presenza di un tasso di crescita costante. Più accettabile è l'ipotesi di un tasso decrescente, che viene valutato intorno al 2% annuo per il 1958 e che scenderebbe fino a 1,25% nel 1973, inferiore a quello delle pubblicazioni delle Nazioni Unite ma più vicino alle parziali indicazioni di fonte cinese. In tal modo, in assenza di movimenti migratori apprezzabili, si avrebbe una popolazione di oltre 800 milioni nel 1974. Ma poiché le indicazioni ufficiali non hanno mai fatto finora riferimento a questa cifra, si può avvalorare l'ipotesi che la natalità sia diminuita in misura assai rapida e la mortalità viceversa non abbia subito un altrettanto rapido contenimento. In tal caso l'accrescimento naturale dovrebbe essere addirittura inleriore al tasso dell'1% annuo, con una popolazione totale che nel 1974 dovrebbe toccare i 750 milioni circa.
La distribuzione della popolazione nelle 28 ripartizioni territoriali di primo grado mostra una concentrazione maggiore nelle circoscrizioni pianeggianti e collinari dell'est e della Manciuria meridionale, come appare nella tab. 2.
La politica demografica del governo cinese è stata dapprima molto cauta, sia per le implicazioni dell'ideologia marxista sia per le prolifiche abitudini della popolazione. Una moderata campagna di controllo delle nascite è stata subito abbandonata nel 1958, quando l'entusiasmo per l'espansione creato dalla campagna produttiva del Grande Balzo in Avanti rendeva meno importante il contenimento della natalità. La politica di controllo delle nascite è ripresa tuttavia dopo i "tre anni difficili" (1959-61), in cui le risorse del paese si sono rivelate assai fragili. La pianificazione familiare è ormai affermata nelle aree urbanizzate, dove i matrimoni si celebrano dopo l'età consigliata dalle autorità (30 anni per l'uomo, 25 per la donna) e le figliolanze sono poco numerose; nelle campagne il comportamento è ancora vicino alla tradizione, anche se sono rari i matrimoni fra giovanissimi così diffusi in passato. Bisogna inoltre aggiungere che l'aborto e la sterilizzazione sono praticati liberamente. Il problema dell'eccessiva crescita demografica ha indirizzato anche verso soluzioni diverse da quella del controllo demografico. La prima di queste soluzioni è l'accrescimento della produzione, in modo da garantire non solo il mantenimento dell'attuale livello ma anche il miglioramento del regime alimentare e dei beni di consumo. La seconda soluzione è quella diffusa in tutti i paesi sovrapopolati e con un grado di sviluppo modesto, cioè l'emigrazione. Ma l'emigrazione verso l'estero, fenomeno di grandi proporzioni per circa un secolo, si è fermata completamente con la chiusura delle frontiere e per i riflessi dell'isolamento politico sulla circolazione delle persone. Non è interesse dell'economia cinese privarsi di forze di lavoro che sono stimolate a contribuire con lo sforzo personale al miglioramento collettivo del paese; si vuole anzi evitare che un tale tipo di alleviamento della pressione demografica porti, a lungo termine, quegli effetti negativi diffusi in tutti i paesi di emigrazione. La terza soluzione possibile e largamente applicata è il riequilibrio interno, con lo spostamento di popolazione dalle aree fortemente congestionate dell'est verso le nuove aree di sviluppo dell'ovest e del nord-est, finora scarsamente popolate.
Il rapporto fra popolazione rurale e popolazione urbana ha visto sempre l'assoluto predominio della campagna, che assorbe circa l'85% del totale (circa 580-590 milioni di ab.). Nella popolazione urbana (circa 110-120 milioni), sono ufficialmente inclusi i residenti in centri superiori a 2000 abitanti, quindi anche centri di natura rurale, dove una buona parte degli abitanti è legata ad attività agricole. Lo sviluppo urbano recente non ha soltanto incrementato la popolazione delle grandi metropoli, ma ha promosso di rango molte città minori, creato centri urbani del tutto nuovi, trasformato villaggi in città. Le città di medie e grandi dimensioni si addensano in alcune aree particolarmente favorite. Nel nord e nel nord-est si ha oltre un terzo dei centri urbani suddetti, mentre un quarto circa si trovano nel basso e medio bacino dello Yangtze. I centri pionieri vengono fondati o rafforzati soprattutto nei distretti periferici, ma la rete urbana ha maglie più strette e nodi più ravvicinati nelle aree densamente popolate. Si tratta quindi delle regioni di pianura, in particolare lungo le direttrici percorse da alcuni fiumi principali, come il Liao nella Manciuria meridionale, il Fiume Giallo, lo Yangtze, il Sichiang nel sud. Qui all'agricoltura di tipo commerciale, che gravita sui mercati di sbocco urbani, si è aggiunta la propulsione del recente sviluppo industriale.
Pechino è fra le città più popolose: il suo incremento demografico è stato rapidissimo da quando è stata designata nuovamente capitale nel 1949 ed è diventata la seconda città dello stato dopo Shanghai. In dieci anni è raddoppiata la popolazione della sua circoscrizione, che è stata estesa a oltre 17.000 km2 e include circa 7,6 milioni di ab., una maggioranza dei quali risiede nel centro urbano e una minoranza nelle comuni rurali. L'aspetto esterno della città è mutato, modernizzandosi con la costruzione di grandi edifici moderni e di ampie strade, nonché con l'espansione verso una periferia operaia densa di caseggiati popolari. Anche il ritmo della vita pechinese è cambiato, per le funzioni industriali assunte accanto a quelle culturali e politiche. I cotonifici e le altre industrie tessili sono uno dei rami industriali più importanti; anche la siderurgia, con una grande acciaieria che di recente ha raggiunto la capacità di 1 milione di t all'anno, l'industria meccanica e quella di precisione, posseggono impianti di grandi proporzioni, e così pure le cartiere e la tipografia.
Shanghai deve la sua crescita al ruolo guida che ha assunto per l'economia cinese negli ultimi vent'anni. La popolazione (circa 11 milioni di ab.) è insediata per un terzo nell'area rurale della municipalità, dove sono sorti peraltro anche nuclei industriali decentrati. Le funzioni economiche della metropoli si sono oggi spostate da quelle prevalentemente commerciali a quelle di un centro soprattutto industriale, benché le due attività siano state (e siano tuttora) presenti contemporaneamente. Le industrie di Shanghai coprono un arco molto vasto che abbraccia quasi tutte le attività manifatturiere. Emergono l'industria tessile e specialmente quella cotoniera, l'industria metalmeccanica, specializzata in costruzioni navali e macchinari pesanti, le industrie chimiche e molte altre che producono beni di consumo vari (alimentari, sanitaria, abbigliamento, orologeria, ecc.).
La popolazione cinese è costituita per il 95% dagli han, ossia i cittadini dello stato che parlano cinese. Questa omogeneità è però inficiata dalla diversità delle lingue parlate, con un gruppo prevalente che parla la lingua di Pechino e un altro nel sud che parla il cantonese, oltre ad altri gruppi minori. Poiché la scrittura ideografica è identica per tutti, essa serve a mantenere l'unità linguistica e si comprende come la trascrizione fonetica (sistema pinyin), oggi adottata per speciali usi, trovi un forte ostacolo alla sua diffusione. La minoranze etniche che parlano lingue diverse dal cinese raccolgono circa 50 milioni di persone, appartenenti a 51 gruppi disseminati soprattutto nelle aree periferiche dello stato; i Chuang, gli Uigur, i Tibetani, i Lolo sono i gruppi più numerosi.
Situazione economica. - La valutazione dei progressi dell'economia cinese, che si giudicano rilevanti in base a osservazioni parziali, è resa difficoltosa dalla mancanza di sicure indicazioni statistiche posteriori a quelle pubblicate dal governo nel 1960. Esistono comunque fattori frenanti dello sviluppo economico, che sono sia interni che esterni allo stato. All'esterno è di ostacolo l'ostile posizione assunta fino ad alcuni anni fa dalla maggior parte degli stati stranieri (inclusa l'URSS), verso cui avrebbe potuto svolgersi un proficuo scambio di merci e di conoscenze tecniche; per es. l'improvviso ritiro di alcune migliaia di esperti sovietici nel 1960 provocò un vero e proprio vuoto tecnologico e scientifico. I fattori interni di ritardo sono dati di recente dalle incertezze generate dal movimento politico della rivoluzione culturale (1966-68) e più in generale dalla difficoltà di condurre un'azione economica centralizzata in un paese così grande. Le stime e le valutazioni statistiche sono spesso approssimate e forse proprio per evitare errori pubblici negli ultimi anni non sono stati forniti dati economici generali. La pianificazione comunque non ha la pretesa d'inquadrare lo sviluppo economico in un sistema rigido ed esistono larghi margini lasciati alla dinamica economica. Non deve sorprendere che i piani vengano sempre compiuti e superati: le norme di produzione sono quasi sempre molto basse e adatte alla modesta possibilità produttiva di partenza. I piani quinquennali quindi non sono seguiti punto per punto ma vengono adattati al mutare delle esigenze. Il secondo piano quinquennale (1958-62) non prevedeva le comuni, e tuttavia pare che nel periodo fra il 1958 e il 1959 non sia stata seguita nessuna norma e che la pianificazione sia stata messa da parte. Dopo la fine del secondo piano quinquennale, bloccato dalla crisi agricola, non si è iniziato subito il terzo, ma per i "tre anni di assestamento" c'è stato un periodo di sosta. Il terzo piano quinquennale copre il periodo 1966-70 ed è stato anch'esso sconvolto dagli avvenimenti della rivoluzione culturale, che ha bloccato dapprima la produzione per indirizzarla poi verso mete non previste dal piano. L'orientamento del quarto piano quinquennale (1971-75) è indirizzato soprattutto verso la riduzione dei costi, l'incremento della produttività industriale e la semplificazione dell'apparato amministrativo. Fa parte del piano anche una tendenza al decentramento, lo stimolo alle piccole unità industriali locali, la ripresa delle iniziative in gran parte abbandonate dopo l'ondata del Grande Balzo del 1958, concentrando tuttavia gli sforzi verso produzioni d'interesse locale per lo sviluppo delle campagne (fertilizzanti, piccoli impianti elettrici, materiali da costruzione, strumenti agricoli semplici, ecc.).
Agricoltura. - Questo settore dell'economia assorbe ancora i quattro quinti della manodopera, malgrado l'avanzata delle altre attività. Il suo sviluppo è stato guidato dal governo dapprima attraverso la riforma dell'organizzazione sociale, che ha portato alle comuni popolari, poi alla trasformazione tecnica. La base organizzativa delle campagne cinesi è la comune popolare, instaurata nel 1958 come evoluzione delle cooperative. Sperimentate dapprima nello Hunan, le comuni si estesero rapidamente in tutto il paese. A parte 2400 fattorie di stato, tutto il territorio agricolo e forestale è stato diviso fra le comuni. Esse erano inizialmente 26.000, e divennero poi 24.000 con alcune rettifiche territoriali. Dopo il 1961, durante gli anni della crisi agraria, ci si accorse che le dimensioni di molte comuni erano eccessive; fu effettuato un ridimensionamento e venne ridotta l'estensione media, permettendo una gestione più agevole ai tecnici e agli amministratori locali, spesso inesperti. Oggi esse sono circa 74.000 e ognuna comprende in media dieci delle vecchie cooperative; alla gestione dell'economia aziendale si è aggiunta la giurisdizione generale in vari settori (per es. milizia, istruzione), per cui le comuni sono anche circoscrizioni amministrative territoriali. Esse comprendono cento milioni di ettari di terra coltivabile con oltre 500 milioni di persone. Le dimensioni variano, dalle affollate unità suburbane (30-40.000 ab.) a quelle semideserte delle montagne e delle steppe; ognuna ha in media 1300 ettari di superficie e 7000 abitanti. Dopo il 1961 molti dei poteri e delle responsabilità amministrative sono state decentrate e affidate a unità inferiori, le brigate, che sono comunità più piccole: la brigata è titolare della proprietà terriera e si suddivide a sua volta in squadre di produzione. La squadra è l'unità minima, corrispondente al piccolo villaggio omogeneo costituito da poche decine di famiglie.
La proprietà privata è molto ridotta ed è costituita da beni di consumo e vestiario, le economie personali, gli alberi attorno alla casa, piccoli utensili, l'allevamento minuto. I contadini coltivano il piccolo pezzetto di terra personale nelle ore libere dal lavoro collettivo, ma l'estensione di questi campicelli è di pochi metri quadrati, assai meno di quanto abbiano a disposizione i contadini del kolchoz sovietico.
La promozione tecnica è stata inquadrata in una serie di otto diverse iniziative miranti allo sviluppo agricolo generale. Esse sono esposte in un documento, la "Carta degli otto punti", propagandato e spiegato praticamente nelle campagne in questi ultimi anni. Le otto diverse attività sono le seguenti: l'irrigazione e la conservazione delle acque, la produzione e l'uso dei fertilizzanti, l'aratura profonda, la selezione delle sementi, la semina fitta, la protezione delle piante, il miglioramento degli attrezzi, la tecnica amministrativa. La costruzione delle grandi opere d'irrigazione e di conservazione delle acque negli ultimi anni ha subito un rallentamento. Durante il periodo degli anni difficili, cioè della crisi agricola del 1960-62, e anche negli anni successivi, gli sforzi sono stati concentrati sui lavori ordinari. Le opere di correzione, di aggiustamento e di riparazione hanno avuto la prevalenza sulle nuove costruzioni e le realizzazioni di piccole proporzioni hanno subito un impulso. I grandi lavori statali procedono più lentamente, mentre quelli su base locale, nell'ambito delle comuni o dei distretti, si sono moltiplicati, avendo come investimento principale la sola forza lavoro. Sono numerosi i pozzi e le piccole dighe, il rimboschimento è intenso, e così pure il livellamento, il prosciugamento e la bonifica di acquitrini, sempre su piccola scala. Lo scopo di questa conversione di stile è quello di ottenere rapidi benefici senza dovere affrontare grandi spese, ciò che era impossibile almeno negli anni immediatamente successivi alla crisi. Non manca tuttavia la realizzazione di alcune grandi opere, come la diga di Liuchiahsia, sul Fiume Giallo presso Lanchou, realizzata nel 1968, e i nuovi argini sul basso corso dello stesso fiume, nello Shantung, a protezione del letto pensile. Dopo quello dell'irrigazione il problema più importante è il reperimento e l'uso corretto di un'adeguata quantità di fertilizzanti. Gran parte delle terre coltivate attualmente è sottoposta a un intenso sfruttamento e a una continua produzione da parecchi secoli. Lo sforzo effettuato per mantenere la produttività a livelli costanti è stato incessante, con la conseguenza di avere frapposto un forte ostacolo all'incremento delle rese, ostacolo reso insuperabile dall'impiego del fertilizzante naturale, usato da sempre. Esistono oggi una ventina di stabilimenti grandi e medi per la produzione di concimi chimici, dei quali oltre la metà sono stati aperti dopo il 1963; accanto a essi sono entrate in funzione moltissime piccole fabbriche, presso le comuni stesse, dove si producono soprattutto azotati; tuttavia la produzione è ancora lontana dal fabbisogno. Lo sforzo di meccanizzazione è rilevante e la consistenza del parco trattori è cresciuta costantemente: dalle 24.000 unità del 1957 si è saliti a 59.000 nel 1959, a 100.000 unità nel 1963 e a 135.000 nel 1965. Malgrado ciò, si è ancora ben lontani da un sufficiente grado di meccanizzazione e il lavoro manuale e i semplici attrezzi di sempre rimangono di basilare importanza.
Nel 1970 la superficie coltivata ha raggiunto i 120 milioni di ettari, in grande maggioranza (oltre il 75%) dedicata ai cereali. Fra questi il riso, il componente più importante dell'alimentazione della maggior parte dei Cinesi, occupa il 22% dell'area seminata; ma anche il frumento, il sorgo e il miglio acquistano grande importanza nel nord e nel nord-est, regioni sfavorite dal lungo inverno. Proprio per aumentare le scarse risorse alimentari settentrionali, il frumento va estendendo la propria area (24,2 milioni di ha) e i suoi derivati (pasta, pane a vapore) entrano in misura crescente nella dieta dei Cinesi del nord.
Risorse minerarie e industrie. - Le risorse naturali che sostengono lo sviluppo industriale sono ampie, specialmente per l'industria pesante: le riserve di carbone si sono confermate praticamente inesauribili e anche il ferro è presente in quantità notevole, come pure l'antimonio e il tungsteno necessari per gli acciai speciali. La produzione di carbone è la maggiore dell'Asia, fra i 250 e i 280 milioni di t (1970) e con la lignite oltre 350 milioni di t; le riserve sono molto ampie e diffuse in quasi tutto il territorio. La produzione petrolifera è aumentata negli ultimi anni: nel 1963 veniva dichiarata l'autosufficienza per il petrolio grezzo e nel 1971 la quantità estratta era di circa 25 milioni di t, proveniente in maggioranza dal grande giacimento di Taching, nello Heilungchiang, in funzione dal 1961. La produzione di energia elettrica è ancora a livelli molto bassi (10 miliardi di kWh nel 1970) e gran parte di essa è devoluta al consumo industriale o ai consumi pubblici urbani.
L'industria moderna, escludendo l'artigianato, occupa circa il 10% della popolazione attiva, cifra significativa se paragonata a quella dei paesi occidentali o dell'Unione Sovietica. Le industrie pesanti hanno avuto la prevalenza nei primi piani quinquennali e ad esse sono andati i maggiori finanziamenti. Fino all'epoca della rivoluzione culturale la gestione è stata centralizzata e controllata dal comitato centrale del partito comunista e dal ministero dell'Industria. Dal 1967 si è attuata la decentralizzazione e la pratica sempre più diffusa della gestione collettiva dei lavoratori dell'impresa. Il vasto settore dell'artigianato, rimasto su basi individuali o comunque con strutture antiquate, è stato stimolato ed è passato sotto il controllo dei distretti o dei dipartimenti.
La produzione industriale ha avuto una crescita assai più rapida di quella agricola, specialmente nel settore dell'acciaio e degli altri metalli, dove la produzione è salita di 20 volte fra il 1949 e il 1971. In quest'ultimo anno la produzione di acciaio è stata di 27 milioni di t, pur essendo di soli 7 milioni di t nel 1962. Fra gli altri prodotti industriali, il cemento e i concimi chimici sono cresciuti lentamente nei primi anni del regime socialista e hanno avuto un impulso accelerato negli ultimi anni (cemento, 12 milioni di t nel 1970, e concimi chimici, 18 milioni di t nel 1971).
Vie di comunicazione e commercio. - Le vie di comunicazione sono state ulteriormente migliorate e la C. ha oggi oltre 35.000 km di ferrovie. Sulle grandi direttrici ferroviarie lungo i meridiani è stata compiuta un'altra grande opera, il ponte di Nanchino, sulla linea Pechino-Shanghai, terminato nel gennaio 1969: è a due piani, uno per la ferrovia e uno per il traffico automobilistico, ed è lungo 7772 m, di cui 1577 sul fiume Yangtze. Anche nella navigazione interna vi sono stati utili progressi e le merci dispongono di 147.000 km di vie d'acqua, di cui 40.000 percorribili con imbarcazioni a motore e 18.000 km dotati di servizi regolari con battelli di tonnellaggio apprezzabile. Anche il Gran Canale è stato in parte riattivato e dal 1963 è aperto un tratto di 404 km da Yangchou (sullo Yangtze) fino a Suchou a nord; ciò serve a inviare il carbone del Kiangsu settentrionale verso i centri industriali dello Yangtze.
Il commercio estero cinese, pur dovendo fare i conti con l'isolamento politico e con il blocco commerciale americano (fino al 1973), ha fatto buoni progressi. L'esportazione, indirizzata fino al 1960 in prevalenza verso l'Unione Sovietica e l'Europa orientale, si dirige ora soprattutto verso il Giappone e verso altri paesi asiatici (Vietnam, Cambogia); di recente si sono sviluppati i rapporti con l'Europa occidentale.
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Storia. - Il periodo che inizia nel 1960, è stato definito uno fra i più difficili attraversati dalla Repubblica popolare cinese. È proprio in quell'anno, infatti, che l'Unione Sovietica, sino ad allora alleata della C., ritira improvvisamente, dopo un duro attacco verbale di Chruščëv, tutti i tecnici sovietici che collaboravano nella realizzazione dei piani industriali in C.; il ritiro dei tecnici è accompagnato dal blocco dell'invio di qualsiasi tipo di fornitura. La C. si trova da un giorno all'altro abbandonata dal suo alleato e isolata politicamente ed economicamente nel mondo. Potrebbe capitolare di fronte all'inaspettato voltafaccia dell'Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti europei e mutare completamente la sua politica secondo le direttive del paese-guida del socialismo internazionale. Avviene, invece, contrariamente a quanto si poteva immaginare, una svolta della politica cinese nel senso di contare sulle proprie forze; senza che ciò volesse significare l'inizio di una politica autarchica.
Alla mancanza di tecnici e di forniture da parte degli altri paesi socialisti europei, si aggiunge una serie di calamità naturali che, per pura coincidenza, avvengono nello stesso periodo e sembrano minacciare l'esistenza del sistema politico cinese o determinare, almeno, un radicale mutamento politico.
Il mutamento avviene, causato principalmente dalle motivazioni esterne, ma secondo quella che è stata definita la via nazionale cinese. Innanzi tutto si assiste a un rafforzamento del potere centrale, che dirige e controlla ogni organizzazione locale e periferica; ciò è indispensabile per evitare sbandamenti o iniziative locali centrifughe che potrebbero minare l'unità politica del paese. All'accentramento del potere politico si accompagnano iniziative, in campo economico, tendenti a superare la grave crisi; s'incoraggiano le piccole imprese, si concedono incentivi ai singoli lavoratori estendendo il cottimo, si permette il libero mercato nelle campagne, conseguenza quest'ultima della concessione ai contadini di piccoli appezzamenti di terreno da poter sfruttare individualmente. Sono minime concessioni alla proprietà e all'iniziativa privata che, però, avranno ripercussioni positive sulla larga scala dell'economia nazionale.
Nell'aprile del 1959, Mao Tse-tung non si era presentato come candidato alle elezioni per la presidenza della repubblica, carica che venne, nello stesso anno, ricoperta da Liu Shao-ch'i; è un periodo non di assoluto ritiro per il leader cinese, ma di continuo lavoro come teorico del pensiero marxista. Nel pieno della crisi economico-politica, Mao Tse-tung ritorna ad avere un ruolo determinante, lanciando, nel 1962, una campagna politica che ha inizio con lo slogan "Non dimenticare mai la lotta di classe". È tipico della storia politica cinese degli ultimi venticinque anni l'inizio di svolte politiche o di campagne ideologiche di vario genere, caratterizzato da un semplice slogan, apparentemente chiaro e lineare, ma che vedrà, per periodi di tempo più o meno brevi, impegnati in discussioni e polemiche i quadri dirigenti del partito comunista cinese e la partecipazione attiva delle masse popolari.
Il concetto di lotta di classe era stato completamente eliminato dal presidente Liu Shao-ch'i, com'era evidente da un suo libro uscito durante la crisi, e pareva delinearsi, quindi, un conflitto basilare nell'ambito del partito comunista cinese. Da un lato si assiste al tentativo di Liu Shao-ch'i di controllare, in ogni modo, i quadri del partito; dall'altro Mao Tse-tung si rivolgerà alle grandi masse contadine, che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione, e ai giovani. Mao Tse-tung riuscirà a dare inizio a una vera e propria rivoluzione nella rivoluzione. Si delinea, così, quella che è stata successivamente definita come la "lotta fra le due linee".
Tale conflitto ideologico, iniziato ad alto livello nell'ambito del comitato centrale del partito comunista cinese, fra la linea del presidente della Repubblica e quella di Mao Tse-tung, non poteva limitarsi all'interno del partito e del paese, ma necessariamente avrebbe avuto notevoli ripercussioni nel quadro della politica estera della C. popolare. Nell'autunno del 1964 Chruščëv veniva defenestrato a Mosca, e il gruppo filosovietico all'interno del partito comunista cinese sembrò mirare a una riconciliazione con l'Unione Sovietica, dopo l'eliminazione dell'esponente della politica russa anticinese. Contemporaneamente, l'intervento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam poneva la C. di fronte al dilemma se continuare o meno la polemica contro il "revisionismo" dell'Unione Sovietica, o se realizzare o meno un fronte comune socialista contro l'azione statunitense nello scacchiere del sud-est asiatico.
La concessione di basi militari e aeree in territorio cinese all'Unione Sovietica avrebbe finito col condizionare pesantemente il dibattito politico interno. Finì col prevalere la tesi di Mao Tse-tung, secondo cui la C. doveva fornire aiuti militari ed economici al governo del Vietnam del Nord e al Fronte di liberazione nazionale del Vietnam del Sud, senza, però, concedere alcuna base ai sovietici. La C. non interveniva direttamente con le sue truppe o i suoi volontari, com'era avvenuto in precedenza durante la guerra in Corea, ma si limitava a fornire materiali, confidando sulla vittoria finale del popolo vietnamita che, come affermava Mao Tse-tung, non necessitava della partecipazione diretta al conflitto di altri paesi socialisti. Veniva, in tal modo, a evitarsi l'allargamento del conflitto su vasta scala internazionale, con conseguenze imprevedibili per chiunque vi partecipasse.
Nel 1965 un articolo di critica a un dramma storico contemporaneo portato sulle scene teatrali dava l'avvio a un grande movimento che avrebbe coinvolto in violenti scontri tutta la C. per alcuni anni. Aveva inizio quella che prese il nome di "grande rivoluzione culturale proletaria".
Sui muri degli edifici appaiono i primi ta-tzu-pao (o "giornali murali a grandi caratteri"), scritti a mano, che riportano critiche di singoli cittadini o di gruppi in favore o contro l'una o l'altra linea in cui si stava da tempo spaccando il partito comunista cinese. Nella rivoluzione culturale ebbero una parte predominante i giovani, e in particolar modo gli studenti, il cui attivismo dinamico provocò da un lato alcuni tentativi repressivi da parte del gruppo diretto da Liu Shao-ch'i e dall'altro una radicalizzazione esasperata del dibattito politico. Mao Tse-tung non poteva assistere soltanto, estraniandosi da quanto stava avvenendo, ma fece affiggere un proprio ta-tzu-pao, dal titolo polemico "Bombardare il quartiere generale"; era un formale atto di accusa contro coloro che si servivano della rivoluzione per attuare una politica reazionaria; era la direttiva contro le forze definite revisioniste, che operavano all'interno del partito comunista cinese e potevano, con l'abolizione della lotta di classe e il riavvicinamento a posizioni filosovietiche, snaturarne gli scopi.
Il comitato centrale del partito comunista cinese pubblicò i "Sedici punti sulla rivoluzione culturale proletaria", incoraggiando la libertà di espressione attraverso i ta-tzu-pao, invitando le masse a prendere la parola e a esercitare un'azione di critica, creando numerosissimi comitati e congressi della rivoluzione culturale a ogni livello, indicando come guida per ogni azione "il pensiero di Mao Tse-tung". È in questo periodo che viene scartata l'espressione "maoismo" e viene adottata quella di "pensiero di Mao Tse-tung" (Mao Tse-tung ssu-hsiang), e si parlerà ormai di "marxismo-leninismo-pensiero di Mao Tse-tung" come dell'ideologia ufficiale.
Nasce, durante la rivoluzione culturale proletaria in C., il movimento delle "guardie rosse"; migliaia e migliaia di studenti, con il bracciale delle guardie rosse, che lo stesso Mao talvolta porterà, e con in mano il libretto delle "Citazioni del Presidente Mao Tse-tung", più noto in Occidente come "libretto rosso", viaggeranno per tutto il paese per discutere, criticare, contestare. Non è un movimento unitario quello delle guardie rosse, perché spesso si affrontano fra loro. Né la rivoluzione culturale proletaria vede attivi soltanto i giovani e gli studenti; nel 1966 ad essi si affiancano gli operai dei grandi centri urbani e si discute, ormai, e ci si scontra per la lotta per il potere.
La C. pare attraversare un momento di autentico caos, per l'indebolimento del partito comunista, il rallentamento della produzione, la sospensione dell'attività didattica con la chiusura delle università, e il pericolo di un'imminente guerra civile. Sorgono numerosi comitati rivoluzionari con lo scopo di unire le masse, i quadri del partito e l'esercito, le tre forze su cui si basa la Cina. Dopo alterne vicende, polemiche e scontri, nel 1968, il presidente della Repubblica Liu Shao-ch'i viene destituito da ogni carica politica ed espulso anche dal partito. Non è Liu Shao-ch'i l'unica vittima della rivoluzione culturale proletaria, ma migliaia di dirigenti, a ogni livello, vengono rimossi e sostituiti nelle loro cariche.
Conseguentemente, nell'aprile del 1969, si riunisce il IX congresso del partito comunista cinese, a sanzionare il grande rinnovamento dei quadri dirigenti e a prendere atto della nuova situazione; non è ancora la vittoria finale della linea di Mao Tse-tung, ma un grande passo in avanti. Un ruolo importante nella rivoluzione culturale proletaria lo ha avuto l'esercito, guidato da un vecchio compagno d'armi di Mao, Lin Piao; se si esamina la lista dei membri eletti nel comitato centrale del partito comunista durante il IX congresso, si vede come siano numerosi i militari. Lin Piao viene ufficialmente designato quale successore di Mao Tse-tung, e il cosiddetto "libretto rosso" ha una sua prefazione, destinata a scomparire qualche anno dopo (1972). Apparentemente la lotta interna è finita e la C. ha l'immagine ufficiale di masse o di dirigenti, che sollevano il "libretto rosso" di Mao Tse-tung, con la prefazione del successore designato, in modo di saluto e di vittoria.
Nel 1969 la politica estera cinese è, però, complicata dall'aggravamento delle relazioni con l'Unione Sovietica. Si riaccende fra i due paesi socialisti la disputa sulle questioni di frontiera; i cinesi rivendicano larghe zone ai confini settentrionali e in Asia Centrale, che un tempo appartenevano alla C., e che furono ad essa tolte all'epoca dell'espansione in Estremo Oriente della Russia zarista. La disputa non si limita a riempire la stampa dei due paesi, ma avvengono alcuni scontri armati fra cinesi e sovietici sulle rive del fiume Ussuri e in altre località di frontiera. La tensione tende ad aumentare; in tutta la C. si parla dell'eventualità di un'aggressione armata sovietica, si costruiscono ovunque rifugi antinucleari, si mobilitano ideologicamente le masse. La tensione durerà aspra sino al 1973, per riassopirsi ogni tanto, ma senza scomparire definitivamente.
Sempre nel 1969, la C. popolare fa esplodere la sua prima bomba atomica, pur affermando che non sarà mai la prima ad adoperare tale arma. È una grande conquista della scienza e dell'industria cinese, che, l'anno successivo, riusciranno a mettere in orbita il primo satellite artificiale cinese.
La politica estera cinese ha alcuni interessanti sviluppi, grazie, soprattutto, all'opera di Chou En-lai, il principale artefice della politica internazionale della nuova Cina. La C., dopo la rottura con l'Unione Sovietica e con i paesi socialisti, ha un solo paese socialista a lei fedele, l'Albania; in Europa orientale solo la Romania, nella sua politica che non riconosce la cosiddetta "teoria di Brežnev", ha una maggiore autonomia rispetto agli altri paesi socialisti nelle relazioni con il governo di Pechino.
Nell'ottobre 1971, dopo lunghi anni in cui era stata negata dalla maggioranza dei paesi aderenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite la partecipazione e il seggio spettante alla C. in tale consesso internazionale, un voto dell'assemblea decide di ammettere la C. con il conseguente ritiro del rappresentante della C. nazionalista di Formosa. Quasi tutti gli stati aderenti alle Nazioni Unite, compresa l'Italia, rompono le loro relazioni con Formosa e le allacciano con il governo della C. popolare.
Gli stati Uniti non riconoscono la C., ma s'inizia un cauto riavvicinamento fra C. e USA; da anni, periodicamente, i rappresentanti diplomatici dei due paesi s'incontravano ufficialmente a Varsavia, senza apparenti progressi. Nel 1971 il segretario di stato Kissinger visita la C. e, nel febbraio 1972, Nixon sarà il primo presidente degli Stati Uniti che visiterà il grande paese estremorientale. Si attenua in C. la campagna antistatunitense, mentre continuavano gli attacchi al bipolarismo delle due superpotenze, che la C. vuol superare pur rifiutando per sé stessa l'appellativo di superpotenza. Il cosiddetto "terzo mondo", in particolare i paesi afro-asiatici, sono quelli che sembrano maggiormente interessare la C. che concede loro aiuti economici e tecnici.
In politica interna continua la lotta fra le "due linee"; eliminato dalla scena politica Liu Shao-chi' e il suo gruppo con la rivoluzione culturale proletaria, la sua linea sembra catalizzarsi attorno alla figura di Lin Piao, che scompare improvvisamente dalla vita ufficiale, così come scompare, nel 1972, la sua prefazione al famoso libretto rosso. Si attenua notevolissimamente il culto della personalità del leader Mao Tse-tung, che in certi momenti della rivoluzione culturale proletaria era sembrato ricevere un autentico culto laico. Soltanto in occasione del X congresso del partito comunista cinese (1973) si darà notizia ufficiale di un tentativo di colpo di stato tentato dalla "cricca anti-partito di Lin Piao", della vittoria su tale gruppo e della morte dello stesso Lin Piao, perito in un incidente aereo nel 1971, durante un misterioso tentativo di fuga dalla Cina.
Nel 1973 ha inizio in C. una delle ricorrenti campagne di critica e di revisione; anche tale campagna prende nome da uno slogan: "Criticare Lin Piao e criticare Confucio" (p'i Lin p'i K'ung). Questo movimento, che durerà per tutto l'anno successivo, vedrà impegnate le masse e i dirigenti cinesi nella lotta a una delle componenti fondamentali della tradizione cinese, quale il confucianesimo, accomunata alla critica postuma a quello che viene definito come l'ultimo epigono di Confucio, Lin Piao. Apparentemente fra Confucio e Lin Piao non c'è nulla in comune; la lotta all'ideologia confuciana va intesa come l'opposizione a un sistema politico plurimillenario, che ha visto in C. il predominio di una classe politica, quale quella dei funzionari di formazione confuciana, ai danni delle masse incolte; Lin Piao "restauratore" di Confucio significa, per i Cinesi, un tentativo "revisionista" di riproporre una struttura statale antisocialista, il pericolo sempre latente di un ritorno a un sistema di tipo borghese e capitalista.
Nel gennaio 1975 si è riunita a Pechino la IV Assemblea nazionale del popolo, che ha portato all'approvazione di una nuova costituzione, in sostituzione di quella del 1954. La nuova costituzione dà una maggiore rilevanza costituzionale al partito comunista cinese; abolisce definitivamente la carica di presidente della Repubblica, rimasta vacante fin dal 1968, dopo la destituzione di Liu Shao-ch'i; dà atto del trasferimento allo stato e alle comuni popolari di tutti i mezzi di produzione; definisce la C. non più uno stato "democratico popolare" ma uno stato "a dittatura del proletariato".
Nel settembre 1976 muore a Pechino, a quasi 83 anni di età, Mao Tse-tung. Un mese dopo la sua scomparsa tutte le sue cariche vengono affidate a Hua Kuo-feng. Ha inizio una nuova campagna, durante la quale si ripropone la lotta fra le "due linee", quella considerata dagli osservatori stranieri "moderata" e quella cosiddetta "radicale". Viene posto sotto accusa e imprigionato il gruppo radicale dei "Quattro di Shanghai", fra cui la stessa vedova di Mao Tse-tung. Il nuovo gruppo dirigente, guidato da Hua Kuo-feng e da Teng Hsiao-P'ing afferma di voler continuare l'opera intrapresa da Mao Tse-tung.
Bibl.: F. Schurmann-O. Schell, Communist China. Revolutionary, reconstruction and international confrontation. 1949 to present, Harmondsworth 1968; T. Robinson, The cultural revolution in China, Berkeley e Los Angeles 1971; M. Sabattini, I movimenti politici della Cina, Roma 1972; Essential works of Chinese Communism, a cura di W. Chai, New York 1972; D. Milton-N. Milton-F. Schurmann, People's China. Social experimentation, politics, entry into the world scene, 1966 through 1972, ivi 1974; S. Schram, Mao Tse-tung unrehearsed. Talks and Letters: 1956-71, Harmondsworth 1974.
Letteratura. - Gli anni 1960-1975 vedono la C. impegnata in una grande lotta politico-ideologica; ciò determina, a differenza del periodo precedente, una minore attività creativa da un punto di vista strettamente quantitativo. Durante il movimento cosiddetto del "Grande balzo in avanti", per es., si era parlato di produzione letteraria di massa e Mao Tun, uno dei massimi scrittori viventi, affermava, nel 1960, che il numero degli scrittori era incalcolabile e che essi costituivano "una potente riserva di forze letterarie".
La letteratura cinese contemporanea si rifà alle direttive esteticopolitiche stabilite da Mao Tse-tung nelle famose Conversazioni di Yenan del 1942; ciò non significa che la letteratura non si sia diversificata o abbia pedissequamente seguito tali direttive. Da una lettura attenta della produzione letteraria cinese dell'ultimo periodo e dalle critiche fatte ai nuovi scrittori, appare evidente il riflesso di varie tendenze, e anche lo scontro fra posizioni ideologiche, così com'è avvenuto in campo politico. Ma un fenomeno va sottolineato: va scomparendo in C. la figura dello scrittore professionista, dell'artista a tempo pieno. Quando Mao Tun parlava di "un numero incalcolabile" di autori, aggiungeva che "negli uffici, nelle scuole, nell'esercito, nelle fabbriche, nelle miniere, nei villaggi, nelle strade, ovunque sono le masse, lì si trovano gli scrittori del tempo libero". La nuova letteratura cinese si presenta, pertanto, come il prodotto non di una élite, ma come l'espressione, a volte individuale a volte corale, di larghi strati della popolazione.
La forma grafica della lingua cinese e l'uso di una lingua aulica sino al primo ventennio del secolo attuale avevano, necessariamente, riservato a una minoranza la conoscenza della scrittura. La lotta contro l'analfabetismo e la sostituzione di ideogrammi complessi con alcune centinaia di altri ideogrammi semplificati, hanno contribuito, negli scorsi decenni, alla diffusione di una lingua scritta che fa ricorso a espressioni colloquiali; ciò ha permesso a un numero stragrande di persone di potersi esprimere e creare, ovviamente a diversi livelli, una nuova letteratura.
Esaminando dapprima la poesia bisognerà ricordare che il fenomeno di una poesia di massa è comune all'Estremo Oriente e che, per es., il Giappone, paese che non conosce l'analfabetismo, lo ha sperimentato in più di un'occasione. Inoltre, in paesi a economia agraria come la C., è sempre stata vivissima una tradizione orale di canti popolari, di poesie, di ritornelli, che venivano tramandati a memoria di generazione in generazione, con varianti locali. La C., infine, non è abitata esclusivamente da cinesi, o Han, come essi si definiscono: decine e decine di milioni, appartenenti a minoranze etniche non cinesi, ognuna con un proprio patrimonio folcloristico, abitano nei confini della Repubblica popolare cinese e hanno conservato un abbondante materiale che, non raramente, trova oggi per la prima volta la sua redazione scritta.
È evidente che, nella maggior parte delle più recenti composizioni poetiche, affiori spesso quella che può sembrare, e talvolta lo è, propaganda politica di un contingente movimento di critica ideologica; ma ciò che sorprende positivamente è la continuità di certi temi, la fresca semplicità di alcune espressioni idiomatiche, la ricchezza d'immagini che ci ricordano la prima antologia di poesie cinesi: lo Shih-ching ("Libro classico delle poesie"), redatta nel 6° secolo a. C., la cui prima parte, secondo la tradizione, non è altro che la rielaborazione di canti popolari di varie parti della C. feudale.
Se la poesia è il genere letterario per cui la C. è sempre stata celebrata, un altro genere, fin dal suo sorgere durante la dinastia mongola degli Yüan, è stato estremamente popolare, il teatro. Il teatro classico, talora impropriamente definitito come "Opera di Pechino", ha avuto nei secoli largo ascolto e diffusione anche fra masse illetterate e i tentativi, fra il 1920 e il 1949, di sostituirlo con un teatro di prosa d'ispirazione occidentale sono rimasti quasi sempre al livello di esperimento. Con l'avvento della cosiddetta "Grande rivoluzione culturale proletaria" si abbandona, però, il teatro classico e lo si sostituisce con alcune opere che vengono definite "rivoluzionarie". Le più note fra di esse sono Il distaccamento rosso femminile, Il porto, Occupare strategicamente la montagna della Tigre, La lanterna rossa, Sha-chia-peng. Al posto dei personaggi tipici dell'opera classica (sovrani, generali, ministri, letterati, spiriti e mostri) ci sono nelle opere "rivoluzionarie" contadini, operai, soldati, borghesi, collaborazionisti dei Giapponesi, persone del mondo di ieri o di oggi; il tema è sempre didatticamente politicizzato. Il teatro cinese ha sempre avuto un accompagnamento musicale e si è avvalso di parti mimate, danzate e anche di parti acrobatiche. Ciò è rimasto dell'antico teatro, anche se la parte musicale unisce al suono degli strumenti tradizionali quello degli strumenti occidentali moderni. La critica ufficiale ripete, a proposito del teatro, una frase di Mao: "fare che il passato serva al presente e che le cose straniere servano alla Cina".
Il teatro in prosa non è scomparso del tutto; anch'esso affronta temi di attualità, ma non raggiunge la popolarità dell'opera. Il più delle volte sia le opere "rivoluzionarie" sia il teatro in prosa non sono opera di un solo autore, ma scritte da un collettivo e, molto spesso, appaiono in edizioni rivedute e corrette dai suggerimenti del pubblico.
La narrativa segue anch'essa i dettami estetici e la tematica del momento attuale. Ma, oltre alla nuova produzione letteraria, è importante nella C. contemporanea il riesame della letteratura tradizionale; se, sino al 1960, ogni opera del passato era valutata o meno a seconda che essa poteva inquadrarsi genericamente o da un punto di vista materialista o idealista, oggi tale riesame avviene considerando se l'opera può essere definita "confuciana" o "legalista". La polemica anti-confuciana iniziata nel 1973 e la rivalutazione della scuola filosofica legalista (fa-chia) hanno fatto sì che si estendesse, spesso, l'etichetta di "legalista" a opere che semplicemente si opponevano al sistema confuciano. Qualunque conclusione si voglia trarre, è interessante notare come non ragionare più in termini di materialismo o idealismo, ma di confucianesimo o legalismo, sia in fondo una soluzione più autenticamente cinese; un rigetto di una terminologia occidentale e una predilezione per una di tipo nazionale.
Recente la polemica sorta nel 1975 contro un famoso romanzo, lo Shui-hu-chuan ("Storia sul bordo dell'acqua"), i cui personaggi, un tempo popolarissimi in C., sono criticati polemicamente per il loro comportamento di pseudo-rivoluzionari e capitolazionisti. La letteratura è esclusivamente didattica.
Non va dimenticato, parlando di letteratura in un paese socialista come la C., l'importanza di un genere che le nostre storie letterarie ignorano: il fumetto. Il fumetto cinese è diverso da quello occidentale; innanzi tutto si rivolge a tutti e non solo ai ragazzi, ed è considerato, per una certa maggior facilità del mezzo espressivo, uno strumento di diffusione didattica eccezionale. Esso non serve a diffondere soltanto temi di attualità, ma altresì brani di famosi romanzi del passato, scelti secondo un determinato criterio socio-politico.
Bibl.: Ting Yi, A short history of modern Chinese literature, Pechino 1953; C. T. Hsia, A history of modern Chinese fiction, Yale 1961; I fumetti di Mao, a cura di J. Chesneaux, U. Eco, G. Nebiolo, Bari 1971; Hsu Kay-yu, The Chinese literary scene, Harmondsworth 1976.
Archeologia. - Grande impulso è stato dato in C., negli ultimi anni, alle ricerche archeologiche. Dopo la fine della rivoluzione culturale, che aveva segnato una pausa non nelle campagne di scavo ma nella pubblicazione di studi e rapporti scientifici, nel 1972 sono riapparse riviste interamente dedicate all'archeologia, come Kao-ku ("Archeologia"), Wen-wu ("Materiali culturali") e Kao-ku hsüeh-pao ("Acta Archaeologica Sinica"). Recentemente grandi esposizioni sui risultati degli scavi in C. sono state organizzate a Parigi (1973), Londra (1973-74), Vienna (1974) e Tokyo (1973).
Fra il 1963 e il 1964 a Lan-t'ien (prov. dello Shensi) sono stati trovati frammenti di cranio e di mascellare inferiore del sinanthropus, assieme a oggetti di pietra lavorati in modo molto rudimentale; secondo gli archeologi cinesi "l'uomo di Lan-t'ien" precederebbe l'apparizione del sinanthropus pekinensis, risalendo a circa 600.000 anni fa.
Per il periodo neolitico, lungo il corso inferiore del fiume Yangtse e quello del fiume Huai è stata scoperta la cultura di Ch'ing-lien-kang, caratterizzata da ceramiche dipinte e strumenti di pietra levigata. Nuovi reperti sono stati esumati, relativi alle culture neolitiche di Yang-shao e di Lung-shan. Sono proseguiti gli scavi e lo studio dei materiali scoperti a Erh-li-kang (prov. dello Honan), databili alla seconda dinastia (Shang, 1600-1027 a.C.) che vide in C. l'inizio dell'età del Bronzo. Altri scavi condotti nelle province dello Shanhsi, dello Anhuei e dello Hunan, hanno dimostrato l'estensione del dominio politico-culturale degli Shang.
L'età del Bronzo continua con la terza dinastia (Chou, 1027-221 a.C.) e numerosi sono i vasi rituali scoperti, alcuni dei quali presentano lunghe iscrizioni; durante la parte centrale della dinastia, nel periodo che prende il nome di "Primavere ed autunni" (770-475 a.C.) appare un gran numero di bronzi, quasi tutti datati, e nascono nuove forme di vasi che continueranno nelle epoche successive.
L'impiego del ferro risale in C. alla fine del periodo Chou, all'età dei cosiddetti Regni Combattenti (475-221 a.C.); esso era usato prevalentemente per l'agricoltura. Nel 1960 a Hou-ma (prov. dello Shansi) sono stati trovati stampi di terracotta nei resti di una fonderia di bronzo dell'epoca. Contemporanea è la tecnica delle incrostazioni d'oro e d'argento, testimoniate da alcuni reperti sempre dell'età dei Regni Combattenti. Fra il 1965 e il 1966 scavi condotti in alcune tombe a Chiang-ling (prov. dello Hupei) hanno portato alla luce più di 900 bronzi, lacche e giade.
Una sensazionale scoperta è avvenuta nel 1974 nei pressi del grande tumulo sepolcrale dell'imperatore Shih Huang-ti della dinastia Ch'in (259-210 a.C.); è stato trovato un deposito sotterraneo stipato di figure di terracotta di uomini e cavalli, molte delle quali a grandezza naturale. L'area del deposito è di 12.600 m2 e sinora soltanto circa 1000 m2 sono stati scavati, portando alla luce 314 figure di guerrieri e 24 cavalli.
Un'altra scoperta, che ha destato molto interesse, è stata quella avvenuta nella provincia dello Hopei a Man-ch'eng (v. man-ch'eng, in questa App.), che ha portato alla luce i due famosi abiti di giada cuciti con fili d'oro, un fatto assolutamente nuovo nei costumi funerari cinesi. Sempre per il periodo della dinastia Han (221 a. C.- 220 d. C.) è stata scoperta a Wu-wei (prov. del Kansu), nel 1969, una grande tomba, ricca di un gran numero di figurine di bronzo raffiguranti carri da guerra, cavalli, guerrieri e servitori, disposte come in un corteo. Gli stessi cortei figurano in rappresentazioni pittoriche murali o in pietre scolpite coeve. Bronzi dorati o con incrostazioni d'oro o d'argento, ugualmente del periodo Han, sono stati trovati in varie località, a testimoniare l'alto livello di un artigianato nobile.
Il periodo delle Sei dinastie (220-580 d.C.) è caratterizzato dallo sviluppo della tecnica del céladon, di cui molti esemplari sono stati ritrovati negli ultimi anni. Ma altrettanto importanti sono state le scoperte lungo la cosiddetta via della seta: frammenti di tessuti di lana e di seta, databili fra gli Han e i T'ang (3° secolo a.C.-9° secolo d.C.), testimonianza visibile dei traffici che si svolgevano continui fra la C. e l'Asia Occidentale. A Turfan sono state ritrovate monete, manoscritti in cinese e in lingue centroasiatiche.
Con la dinastia T'ang (618-907 d.C.) la C. attraversa un'età di splendore politico-culturale. Scavi condotti nel 1970 in un quartiere dell'antica capitale Ch'ang-an, nei pressi dell'attuale città di Si-an, hanno scoperto un tesoro racchiuso in due grosse giare di terracotta. Tra i più di mille oggetti ivi contenuti, figurano 216 pezzi di oreficeria, oltre a giade, pietre preziose e gioielleria varia. È probabile che tale tesoro sia stato nascosto durante la famosa rivolta di An Lu-shan (756 d.C.).
Numerosi pezzi della nota ceramica di Yüeh, risalenti al periodo delle Cinque dinastie (907-960 d.C.), sono stati scoperti nel 1969 nella provincia del Chechiang. Con i Sung (960-1279) la porcellana cinese perfeziona e diversifica le sue tecniche. Molti esempi della porcellana detta di Ting sono stati ritrovati nelle fondamenta di due pagode a Ting-hsien (prov. dello Hopei); è una porcellana bianca che, talvolta, presenta incisi motivi floreali.
Sono continuati gli scavi, condotti dall'Istituto d'archeologia dell'Accademia delle scienze, per ritrovare le vestigia di Ta-tu, l'antica capitale mongola, che i Ming ingrandiranno e chiameranno Pechino. Dopo il 1969 è stato possibile stabilire meglio la struttura e il tracciato delle mura della città. È stato scoperto il barbacane che difendeva una delle porte della città (la Ho-i men) e le fondamenta di numerose case d'abitazione. Anche un certo numero di porcellane del periodo. mongolo sono state riportate alla luce, non solo nella capitale ma anche in altre regioni cinesi.
Bibl.: Cheng Te-k'un, Archaeology in China, voll. I-III, Cambridge 1959-63; W. Watson, China before the Han Dynasty, Londra 1961; id., Ancient Chinese Bronzes, ivi 1962; W. Willetts, Foundations of Chinese arts, ivi 1965; W. Watson, Early civilization in China, ivi 1966; Historical relicts unearthed in New China, Pechino 1972; Trésors d'art chinois, Parigi 1973; The Genius of China, Londra 1973.
Arti figurative. - La rivoluzione culturale è stata in ordine di tempo l'ultimo avvenimento che ha mobilitato in C. l'arte a scopi politici e ha riaffermato l'impegno di farne uno strumento della lotta di classe al servizio di una cultura nazionale e proletaria, aliena tanto dal convenzionalismo delle vecchie élites culturali quanto dalle avanguardie formali dell'Occidente.
È stato forse segnato il momento culminante del travaglio ideologico protrattosi dal movimento del 4 maggio 1919, allorché emerse un prima decisa tendenza verso una cultura genuinamente cinese e popolare, che non subisse una supina adesione alla civiltà occidentale. Il rifiuto che la nozione di "moderno" dovesse identificarsi necessariamente con l'Occidente e che per migliorare le proprie condizioni la C. dovesse operare una frattura nella sua storia, prescindendo dall'interna realtà economica, sociale, culturale, ha informato le più recenti scelte politiche, con l'importanza annessa all'economia agraria e al mondo rurale, nella preoccupazione che un processo di trasformazione industriale a carattere eminentemente urbano sconvolgesse con una struttura artificiosa l'intero assetto sociale cinese, senza poter dare, d'altra parte, apprezzabili profitti in assenza di un'adeguata attrezzatura "terziaria". Da qui, il programma di un'industrializzazione graduale e del suo organico inserimento nel mondo rurale, con l'implicita valutazione dell'elemento contadino in termini di proletariato. Tale orientamento politico ha promosso un maggior equilibrio città-campagna e ha valorizzato il mondo rurale, razionalizzandone gl'insediamenti e coordinandone le attività, con positive ripercussioni sulle industrie e gli artigiani rurali che hanno registrato crescenti livelli di produzione sia in serie che in manufatti singoli. Contestualmente sono entrati nel circuito della distribuzione i prodotti delle nazionalità minoritarie, apparentemente sempre più uniformati a quelli cinesi.
Fra gli artigianati tradizionali, dominano le ceramiche, le giade, gli avori, gli ossi, i legni intagliati, i tessuti. In genere non è stato incoraggiato un rinnovamento del design e i manufatti hanno per lo più ripetuto forme e motivi classici, già in gran parte convenzionalizzati nel secolo scorso. Ciò ha indubbiamente avuto effetti nocivi sul mercato estero d'alto pregio, ma pure il vantaggio di mettere a disposizione di larghi strati sociali, sia all'interno che all'estero, merci, come la porcellana, per l'innanzi destinate a clientele più ristrette. Una produzione d'epoca tardo Ch'ing (1644-1911) è stata ripresa nell'antico centro ceramistico di Ching-tê ch'ên, le cui fornaci sono state riattivate fin dal 1951; nella città funzionano oggi diciannove fabbriche completamente rinnovate, che impiegano circa trentamila vasai, anche per produzioni di porcellane industriali. Fra gli altri artigianati, intensificato quello del vetro, secondo le più aggiornate tecnologie; gl'impianti della provincia del Liao-ning si annoverano fra i più moderni e assicurano forniture a livello industriale. L'intero mercato artigianale è tenuto dalla China national arts and crafts import and export corporation.
Un genere di preminente tradizione artigianale, che ha assunto, su influenza occidentale, ormai un'autonoma dignità artistica, è rappresentato dalla scultura in pietra o marmo, per lo più di scuola europea. Vi si sono distinti artisti formatisi in Francia, come Hua T'ien-yü (n. 1902), Liu K'ai-ch'ü (n. 1904), Liao Hsia-hsüeh (n. 1906) Wang Ling-i (n. 1909). Ad opera di costoro e loro discepoli sono state espletate commissioni per una ritrattistica o una statuaria monumentale, celebrative degli eroi della nuova Cina. Lo stile, al di là della più recente adesione formale al realismo socialista, continua a evidenziare un gusto per l'elemento lineare, grafico, che è una sicura eredità artistica cinese e contribuisce a evitare il trionfalismo o la vuota solennità a vantaggio di valori espressivi interiori.
La tradizione artistica convive ormai, in quanto a tecniche e stili, accanto ai nuovi generi e tendenze dell'arte mondiale. Verso valori espressionistici e spaziali è orientata la produzione pittorica rimasta fedele alla scuola dei "maestri" del Novecento, come Wu Ch'ang-chih (1844-1927), Ch'i Pai-shih (1863-1957), Hsü Pei-hung (1894-1953), Ch'ang Ta-ch'ien (n. 1899). Si tratta di opere che hanno conservato nell'uso dell'inchiostro ora uno stile calligrafico per contorni, ora una tecnica a macchia, e hanno svolto le loro tematiche (paesaggi, ecc.) con continuativa essenzialità di mezzi cromatici e illusivi. Continua pure a essere coltivata la calligrafia e mostre periodiche sono occasioni d'incontri e confronti con calligrafi giapponesi, i quali sono ormai gli unici, fuori della C., a coltivare la tradizione dell'arte ideografica. La pittura di Taiwan di stile tradizionale si alimenta forse di maggiori risonanze sentimentali, rispetto a quella del continente, anche per la rievocazione di paesaggi e architetture di luoghi da cui gli artisti si sono sentiti fuoriusciti; ma, in ispecie le personalità più giovani - citiamo Ching Sung (nato nel 1932), Liang Ye-koon (nato nel 1935), Tsang Mei-chung (nato nel 1937) - hanno sviluppato un'arte in cui si accavallano le tendenze verso un linguaggio figurativo o astratto che è ormai espressione comune dell'arte internazionale. Lo stesso dicasi per gli artisti cinesi d'oltremare - di Hong Kong, Singapore, dell'Indonesia ecc., o attivi in Europa e in America -, molti dei quali conservano un'inconfondibile impronta espressiva o stilistica cinese, visibile nella preferenza accordata al disegno lineare o al tratto calligrafico.
Per gli artisti del continente, le direttive di Yenan del 1942, il movimento dei "cento fiori" del 1956, il "grande balzo in avanti" del 1959, sono state le fasi di una presa di coscienza del valore politico della cultura e dell'arte, prima sulla scia del realismo socialista di formulazione sovietica, quindi secondo un crescente adeguamento alla realtà culturale cinese. Al servizio della lotta di resistenza e del movimento rivoluzionario, poi dell'edificazione socialista, un gran numero di artisti hanno prodotto dipinti, disegni, xilografie, utilizzate soprattutto come matrici per le alte tirature dei manifesti, libri illustrati, francobolli, in composizioni singole o in serie, che si sono valse anche di collages fotografici. Molte opere hanno ottenuto presentazione e smercio all'estero, grazie a organizzazioni come la Guozi shudian, la Foreign languages press, la China philatelic company. I temi ora hanno illustrato il patrimonio artistico cinese, pure attraverso le nuove scoperte archeologiche; ora hanno presentato la storia del Novecento e celebrato figure da Lü Hsün a Mao Tze-tung. Sono stati commemorati i grandi movimenti mondiali, dalla Comune di Parigi alla rivoluzione d'Ottobre, alle lotte di liberazione nazionali combattute nei vari continenti e paesi. Sono state personalità artistiche di rilievo Li Hua, Liu T'ieh-hua, P'an Jên, Chang Yung-hsi.
Un settore importante è costituito dalla narrativa illustrata, in particolare dai generi che si fanno rientrare nei "fumetti" per la caratteristica interdipendenza stabilita fra elemento grafico e didascalie descrittive e dialogiche. Si tratta di opuscoli, album, libri, con serie di tavole in bianco e nero o a colori, che illustrano adattamenti di romanzi e racconti, ispirati per lo più alle lotte contro la vecchia società, alla liberazione e alla rivoluzione. Una piccola stella rossa splendente è l'adattamento di un romanzo di Li Hsin-tien fra gli ultimi presentati. Il mezzo grafico facilita la diluzione della storia nel mito eroico, della cronaca nella celebrazione degli eroismi e dei sacrifici quotidiani. Sono apparsi anche temi di satira di costume, nonché riproposte di vecchie storie in chiave di allegoria politica attuale. L'istanza pedagogica è duplice: di alfabetizzazione e di culturalizzazione, non solo a livello dell'infanzia ma dei lettori adulti.
È stato calcolato che nel quindicennio successivo alla fondazione della Repubblica popolare sono stati pubblicati oltre 13 mila fascicoli con una circolazione di 700 milioni di copie: cifre indicative del valore dato anche in C. alla comunicazione grafico-visiva nell'ambito di un fenomeno equivalente a quello mondiale dei mass-media. Curano il settore grosse imprese editoriali, fra cui la Shanghai people's art publishing house. Si tratta di un genere nel quale la C. rivendica una lunga tradizione, dai dipinti in sequenze illustrative dell'epoca Han (206 a.C.-220 d.C.), al romanzo illustrato Ming (1368-1644), fino alla grafica di soggetto popolare dell'epoca Ch'ing (1644-1912). In effetti alcune opere contemporanee possono vedersi sotto la luce di uno sviluppo continuativo della grafica antica, specie per quanto riguarda il montaggio delle scene, la rievocazione di stereotipi figurativi di paesaggi e personaggi in costume. In particolare, ripropongono i canoni antichi dell'incisione i romanzi di vecchia ambientazione storica, illustrati con aderenza ai costumi d'epoca. Ne è un esempio l'opera Lo scimmiotto, parafrasi parziale di un classico della narrativa cinese, il Hsi-yü-chi ("Memorie di un viaggio in Occidente") dell'epoca T'ang (618-907). Coerentemente, i temi d'attualità sono trattati con fedeltà al vero dei tempi d'oggi, secondo un realismo fotografico o che comunque riprende tagli e ritmi di montaggio della tecnica cinematografica, secondo convenzioni standardizzate, che costituiscono la versione cinese del linguaggio mondiale di massa e si riscontrano pure nei manifesti e in tutta la stampa di propaganda. È il settore della produzione che, con la pittura a olio e una parte di quella all'acquarello, più risente delle tecniche pittoriche occidentali, sebbene con artisti come Hsiao Ting e Huang Yang-yü abbia accolto risonanze dell'arte cinese classica e si orienti visibilmente verso una reinterpretazione del realismo socialista alla luce della tradizione pittorica cinese.
In questo senso si profila un rinnovamento interno della cosiddetta "pittura tradizionale", la cui nozione non pare debba ormai restringersi soltanto alle particolari tecniche dei pennelli e dei colori, ma a una produzione figurativa che, pur includendo i repertori più tipici del realismo socialista, si pone in continuità con le concezioni figurative classiche, sia nella costruzione delle scene e negli equilibri spaziali delle composizioni, sia nelle delicate annotazioni di paesaggio ed elementi floreali, che imprimono timbri romantici all'epopea rivoluzionaria o stemperano il crudo realismo dei soggetti in tenui pennellate o scene di valore lirico. In alcune composizioni, i familiari visi di "porcellana" dei bambini contrastano con i volti segnati di militari, contadini, operai; in altre, le fabbriche invadono paesaggi, per le cui annotazioni permangono i suggestivi sfondi nebbiosi; nelle une e nelle altre opere persiste la fedeltà a una visione artistica che tuttavia si arricchisce del verismo di forme e colori, di ricerche prospettiche, di minuziose riproduzioni di tratti somatici e di costume; ma se si tiene presente che il verismo non è una lezione nuova all'arte cinese, si può confidare in una rapida sintesi che superi o risolva gli attuali effetti più negativamente oleografici.
La produzione più recente raccoglie opere di artisti singoli, come Kuan Shan-yüeh, Chang Wên-jui, Tang Ta-hsi, Shan Yin-kuei; di collaborazioni fra più artisti, com'è il caso della giovane pittrice Wang Ying-chun che ha firmato le sue opere insieme con Yang Li-chou; o come pure è il caso delle serie di Cheng Yu-min, Pan Hung-hai e Ku Pan; di Wang Ying-chun e Yang Li-chou; infine di gruppi d'arte, come quello della provincia dello Shensi, autore di un'ormai famosa composizione intitolata ai Figli di Yenan a colloquio con Mao Tse-tung.
Il lavoro di gruppo è specialmente comprensivo di un'attività artistica di carattere non professionistico che dilata il fenomeno dell'arte cinese fino alla produzione di massa, cioè di operai, contadini, soldati, studenti, per i quali l'arte è uno strumento d'incentivazione culturale ed espressione di presa ideologica. In conclusione, un dilettantismo artistico che storicamente si fa erede - sebbene di gran lunga più esteso a livello di classe - di quello dei pittori "letterati" (wên-jên), che hanno dato i più cospicui contributi fino all'epoca moderna alla pittura cinese, pur rappresentando in molti casi l'espressione di un'adesione ai valori culturali ufficiali.
Non più privilegio esclusivo degl'intellettuali, l'attività pittorica non professionistica pare diventare oggi l'aspetto di un'arte popolare che per lo più replica e dettaglia il messaggio di un impegno politico rivolto dal professionismo artistico militante, il che si spiega anche per i condizionamenti esercitati in sede di didattica d'arte. Il contatto con gli artisti che prendono parte alla vita nei campi o al lavoro nelle officine, garantisce l'apprendimento delle tecniche elementari e una guida assidua nella scelta dei modi espressivi. Mostre itineranti nei centri rurali e nelle città, esposizioni annuali, servono di capillare presentazione di tali opere, mentre la loro conoscenza si diffonde anche all'estero grazie alle riproduzioni a stampa. Sono stati posti all'attenzione i dipinti di tecnica tradizionale di Ou Yang, quelli a olio di Chang Hung-tsan; le incisioni di Hsu Kuang; fra le opere di gruppo quelle a olio di Kao Hung, Peng Pin e Ho Kung-tê, di tecnica tradizionale i dipinti collettivi di Yen Sheng, Hou Chieh, Ou Yang. Una serie recente di quindici incisioni dal titolo Sormontate le mille difficoltà è stata presentata da un gruppo di genieri che hanno partecipato alla costruzione di una linea ferroviaria e hanno fissato il ricordo di scene e relative pause di lavoro. Queste e altre opere hanno spesso l'aspetto di trasposizioni fotografiche e rivelano un'arte che facilmente può prestarsi ad essere considerata imbrigliata nelle secche del realismo, tuttavia alimenta un fenomeno sociale di grosse proporzioni, quando si pensi che perfino nei nuovi centri industriali, come quello di Yangchuan nello Shansi, i gruppi d'arte giungono a contare fino a 250 operai. Apparentemente un numero assai minore di cultori dilettanti attraggono le arti plastiche, e in ispecie la scultura, la quale evidentemente comporta più complessi problemi d'addestramento tecnico.
Architettura e Urbanistica. - Il lavoro di gruppo si estende alle attività d'ingegneria e di edilizia, ove già in sede di progettazioni si organizzano comitati di costruzione formati da architetti, ingegneri, tecnici, operai, studenti.
L'intensa opera di costruzione in corso attualmente in tutta la C. comporta l'edificazione di centri urbani, industriali, rurali, che possono contare su pochi quadri specializzati, i quali debbono necessariamente operare di concerto con la manodopera disponibile e coordinare rapidamente e in ciascuna fase esigenze plurime d'immediate attivazioni d'impianti, alloggi, servizi terziari. Un recente centro modello è quello di Taching che, oltre agl'impianti industriali, ha contemplato una maglia di terreni agrari per attività ausiliarie di produzione. Il centro residenziale è composto di 130 unità edilizie autosufficienti, con servizi terziari organizzati per 4 o 5 villaggi.
Nelle vecchie città gli sforzi sono stati concentrati nello smantellamento delle baracche, delle abitazioni di paglia e fango, delle case sull'acqua. Alle dipendenze del ministero dei Lavori pubblici, sono entrate in funzione commissioni municipali di progettazioni edilizie e riorganizzazione territoriale, con l'obiettivo di decongestionare i centri storici e loro adiacenze e di coordinare gl'insediamenti con gl'impianti e i servizi di produzione, di assegnare alloggi secondo spazi medi di 4 0 5 m2 per abitante e servizi per lo più in comune. Le progettazioni si sono giovate delle teorie urbanistiche ed edilizie che la C. aveva formulato con anticipo sulla cultura occidentale, cioè la flessibilità dei piani regolatori, la tendenza alla decentralizzazione, l'espansione urbana per aggregazione di unità fisse, la mobilità e la prefabbricazione degli edifici, l'uso in senso modulare dell'unità costruttiva del ch'ien. Su progetti standard sono stati in tal modo edificati complessi residenziali formati da edifici multipiani a schema lineare aperto, con strutture portanti a scheletro indipendente, solai prefabbricati. Spazi verdi e giardini sono d'intercomunicazione fra i vari edifici, formando non di rado parchi di assetto tradizionale con laghetti e corsi d'acqua. Ogni quartiere è dotato dei necessari servizi per un funzionamento autonomo (asili, scuole, ambulatori, ecc.) e rispondono in genere a un assorbimento locale della manodopera, in modo da ridurre nei limiti del possibile tempi e costi di trasporti. Un'edilizia di minore elevazione interessa le zone rurali, ove è più evidente la conservazione delle tradizioni architettoniche regionali, anche per quanto concerne l'impiego di tecnologie e materiali locali (pietra, legno, ecc.). Nelle aree a popolazioni minoritarie (tibetane, ecc.) si è riscontrata la tendenza a inserire le concezioni tradizionali sia in quelle cinesi che in quelle occidentali.
Il decentramento urbano e il capillare insediamento rurale in funzione di un equilibrio e un'integrazione fra città e campagna hanno sollecitato massicci interventi nei campi delle imprese idriche (dighe, canali), centrali elettriche, drenaggi e recuperi di terre dal mare, viabilità (stradale, ferroviaria), edilizia per medie e piccole industrie intese di supporto all'agricoltura, nonché opere pubbliche per l'autosufficienza dei singoli insediamenti. È il settore in cui appaiono pienamente accolte le soluzioni tecnologiche e funzionali più avanzate del cosiddetto stile internazionale, il quale viene invece rifiutato sul piano delle avanguardie formali, a favore di un'architettura socialista e nazionale, secondo un indirizzo emerso nel 1961 in sede di dibattito ufficiale, equilibrante le opposte tendenze, da un lato, verso il realismo socialista dell'architettura sovietica, dall'altro, verso una riproposta del rinascimento cinese operante con alti e bassi fin dagli anni Venti. Obiettivi primari di contenimento dei costi e di funzionalità hanno orientato verso la reperibilità di materiali a bassi costi (scarti industriali, ecc.), che hanno espresso consueti criteri monumentali. Fra le più imponenti opere d'ingegneria degli ultimi anni, si cita la linea ferroviaria Paochi-Ch'engtu, che attraverso valichi di montagna collega lo Shenhsi con lo Szuch'uan e costituisce la prima linea interamente elettrificata. E stata inaugurata nel 1975. Vedi tav. f. t.
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