Animazione, Cinema di
Il c. di a. dell’ultimo decennio si contraddistingue per la sua costante innovazione tecnologica e per una presenza sempre più diffusa nel panorama audiovisivo contemporaneo. Già alla fine degli anni Novanta infatti, soprattutto nella cinematografia statunitense, ma anche nelle produzioni di animazione di altri Paesi, si è assistito a un aumento massiccio della realizzazione di lungometraggi, serie e cortometraggi di animazione che hanno costruito in breve tempo un universo articolato di prodotti e opere destinate sia al mercato più commerciale sia a un pubblico più selezionato. Il rapido e costante sviluppo di tecniche legate alle nuove tecnologie digitali e la differenziazione del target di riferimento (per cui i prodotti di animazione possono essere destinati a pubblici distinti per età e interessi) hanno ulteriormente ampliato lo scenario contemporaneo: le case di produzione si sono moltiplicate differenziando la loro offerta e sperimentando, di film in film, nuove tecniche e nuove modalità di narrazione.
L’animazione continua dunque a essere, come lo è stata sin dagli albori del la sua storia, anche una forma di sperimentazione dell’immagine. Nell’ambito del documentario contemporaneo si è così imposta nell’ultimo decennio la tendenza alla realizzazione di documentari animati, in cui le tecniche dell’animazione vengono utilizzate dagli autori quando non è più possibile filmare il mondo reale: in Vals im Bashir (2008; Valzer con Bashir) di Ari Folman, l’animazione serve a raccontare il difficile processo di recupero della memoria da parte di un uomo traumatizzato dalla guerra, mentre in The dark side of the sun (2011) di Carlo S. Hintermann e Lorenzo Ceccotti, viene utilizzata per dare corpo ai sogni e ai desideri di un gruppo di bambini affetti da una malattia gravissima.
Negli Stati Uniti la storica casa di produzione Pixar animation studios, che con Toy story (1995) di John Lasseter ha realizzato il primo film in computer graphic, è stata acquistata nel 2006 dalla The Walt Disney company che è diventata così la più grande compagnia di c. di a. nel mondo, producendo gran di successi come The incredibles (2004; Gli incredibili - Una ‘normale’ famiglia di supereroi) di Brad Bird, Cars (2006; Cars - Motori ruggenti) di Lasseter e Joe Ranft, Ratatouille (2007) di Bird e Jan Pinkava, WALL•E (2008) di Andrew Stanton, o Brave (2012; Ribelle - The brave) di Mark Andrews, Brenda Chapman e Steve Purcell. Nei primi anni Duemila, sulla spinta della Pixar/Disney si è così sviluppato un complesso sistema di studios dedicati alla produzione di lungometraggi che hanno costituito una sorta di sistema analogo allo studio system hollywoodiano classico: case di produzione come la DreamWorks animation (Madagascar, 2005, di Eric Darnell e Tom McGrath; Kung Fu Panda, 2008, di Mark Osborne e John Stevenson; How to train your dragon, 2010, Dragon trainer, di Chris Sanders e Dean DeBlois; Rise of the guardians, 2012, Le 5 leggende, di Peter Ramsey), la Walt Disney pictures (Chicken Little, 2005, Chicken Little -Amici per le penne, di Mark Dindal; Wreck-it Ralph, 2012, Ralph spaccatutto, di Rich Moore; Frozen, 2013, Frozen - Il regno di ghiaccio, di Chris Buck e Jennifer Lee), la Blue sky studios (la serie di film inaugurati da Ice age, 2002, L’era glaciale, di Chris Wedge e Carlos Saldanha, giunta nel 2012 al quarto capitolo; Robots, 2005, sempre di Wedge e Saldanha; Rio, 2011, di Saldanha) e la Sony picture animation (Surf’s up, 2007, Surf’s up - I re delle onde, di Ash Brannon e Buck; Cloudy with a chance of meat balls, 2009, Piovono polpette, di Phil Lord e Christopher Miller) hanno costituito, insieme alla Pixar, il luogo di produzione di un immaginario che attraversa il nuovo millennio, capace di mutare le forme e le modalità narrative dell’animazione. La caratteristica principale di questi lungometraggi è stata, oltre all’uso massiccio della computer graphic, il taglio citazionista e postmoderno della narrazione che ha contribuito a creare film diretti a un pubblico più ampio di quelli dei tradizionali film per l’infanzia.
Le nuove tecniche di animazione sono diventate luogo di sperimentazione anche per registi che provengono dal cinemalive action, come Robert Zemeckis, che in film come The Polar express (2004), Beowulf (2007, La leggenda di Beowulf) e A Christmas carol (2009) ha sperimentato le possibilità della motion capture, la tecnica che permette di registrare i movimenti di veri attori e di trasferirli sullo schermo sotto forma di personaggi di animazione. Un autore da sem pre interessato alla sperimentazione come Richard Link later ha riletto l’universo distopico di Philip K. Dick in A scanner darkly (2006; A scanner darkly - Un oscuro scrutare) girando il film con attori reali per poi trasformare le immagini in disegni animati per mezzo di una tecnica chiamata interpolated rotoscoping, già utilizzata dal regista in Waking life (2001). Nelle operazioni di Linklater e Zemeckis, le ultime tecnologie dell’animazione offrono la possibilità di sperimentare nuove potenzialità dell’immagine contemporanea, di esplorare, costruendoli, nuovi mondi e forme inedite: la fiaba e il mito in Zemeckis, la percezione soggettiva alterata in Linklater.
Negli Stati Uniti il c. di a. si muove dunque tra la costruzione di un sistema produttivo che segue la logica dei grandi studios e la realizzazione di lavori più sperimentali, in cui l’animazione si afferma come una nuova ‘sintesi’ tra la ripresa di corpi reali e la creazione di mondi animati, mentre in altre cinematografie, come quella giapponese, l’animazione continua a essere parte integrante di una tradizione culturale e artistica molto importante.
Lo Studio Ghibli, fondato nel 1985 da Miyazaki Hayao e Takahata Isao, continua la sua produzione fondata su tecniche tradizionali di animazione e su uno stile di racconto che mescola la tradizione culturale giapponese con la tradizione letteraria e iconografica occidentale: Gake no ue no Ponyo (2008; Ponyo sulla scogliera) di Miyazaki, sorta di fiaba contemporanea con forti tendenze ecologiste, non è solo l’unico film di animazione uscito in quell’anno a essere stato realizzato senza l’ausilio della computer grafica, ma è anche un esempio concreto di animazione come forma artistica complessa e raffinata. Lo Studio Ghibli ha prodotto infatti in questi anni film anche molto diversi, ma caratterizzati dalla stessa attenzione e raffinatezza narrativa e formale, nonché da una costante profondità di approccio alle tematiche affrontate, come Gedo senki (2006; I racconti di Terramare) di Miyazaki Goro (il figlio di Miyazaki Hayao), tratto dal ciclo di racconti di Ursula K. Le Guin, o Kari-gurashino Arietti (2010; Arrietty - Il mondo segreto sotto il pavimento) di Yonebayashi Hiromasa, tratto dai racconti di Mary Norton; d’altro canto, opere come Kaze tachinu (2013; Si alza il vento) di Miyazaki H. e Kaguyahime no monogatari (2013; La storia della principessa splendente) di Takahata si pongono come veri e propri romanzi di animazione.
Anche il c. di a. giapponese si muove sia nella direzione di un cinema commerciale destinato a un vasto pubblico, sia nella direzione di opere più raffinate e sperimentali. Lo studio Madhouse, nato negli anni Settanta e specializzato in produzioni di serie animate per la TV, produce anche film d’autore come i film di Kon Satoshi – Papurika (2006; Paprika - Sognando un sogno), particolarissimo thriller onirico – e i film di Hosoda Mamoru – Samâ uôzu (2009; Summer wars), miglior film di animazione ai Japan Academy awards del 2010. Fondamentale anche il confronto con le nuove tecnologie digitali: un autore importante come Ôtomo Katsuhiro ha sperimentato la computer graphic in un film ambizioso e visionario come Suchîmubôi (2004;Steamboy), mentre uno dei registi più originali dello scenario contemporaneo, Oshii Mamoru – autore, tra l’altro, in tempi recenti di un capolavoro visionario come Sukai kurora (2008; The sky crawlers - I cavalieri del cielo) –, ha sperimentato la tecnica superlivemation, che consente l’animazione digitale della fotografia, per un film personalissimo ed esperimento per ora unico come Tachiguishi retsuden (2006), sorta di rilettura fantascientifico-magica della storia contemporanea del Giappone.
L’avvento delle nuove tecnologie digitali applicate all’immagine che ha caratterizzato il nuovo millennio ha permesso in molti casi un abbassamento dei costi di produzione, con un aumento del numero di film prodotti non solo in Paesi tradizionalmente legati alla produzione industriale di film di animazione come Stati Uniti e Giappone, ma anche in altre cinematografie. In Francia, per es., è proseguita la tradizione di un c. di a. erede del realismo poetico e del cinema fiabesco e visionario degli autori degli anni Tren ta. Un autore come Sylvain Chomet, dal tratto volutamente legato al passato e dai forti riferimenti alla tradizione pittorica francese, ha realizzato due film esplicitamente legati alla storia del cinema francese come Les triplettes de Belleville (2003; Appuntamento a Belleville), legato alle atmosfere di René Clair, e L’illusionniste (2010; L’illusionista), tratto da una sceneggiatura inedita di Jacques Tati. Un’opera particolare, nata da una graphic novel realizzata dalla stessa autrice, è Persepolis (2007) della fumettista e regista iraniana Marjane Satrapi (codiretto con Vincent Paronnaud), autobiografia ironica e tragica la cui animazione riprende la tradizione iconografica iraniana. Da segnalare anche la serie di Arthur diretta dal regista Luc Besson – Arthur et les Minimoys (2006; Arthur e il popolo dei Minimei), Arthur et la vengeance de Maltazard (2009; Arthur e la vendetta di Maltazard) e Arthur 3: la guerre des deux mondes (2010; Arthur e la guerra dei due mondi), in cui lo sguardo ironico e iconoclasta del regista incontra la tradizione dell’animazione per l’infanzia.
Mentre negli Stati Uniti, in Giappone e in Francia, come si è visto, l’animazione si rivolge a pubblici di età diverse, in Italia negli ultimi anni il c. di a. risulta per lo più destinato al pubblico infantile e adolescenziale. Nel 2003 è uscito L’apetta Giulia e la signora Vita di Paolo Modugno, primo film italiano realizzato interamente in computer graphic, mentre studi importanti come lo Studio Stranemani (specializzato in serie di animazione per la televisione, come Rat-Man, serie in 52 episodi del 2007) o Maga animation studio (che lavora spesso in coproduzioni internazionali di serie animate per la televisione) operano anche nell’ambito del lungometraggio. Stranemani ha infatti prodotto Opopomoz (2003), diretto da uno dei maestri del c. di a. italiano, Enzo D’Alò, che presenta tutte le caratteristiche della tradizione italiana del film d’animazione per ragazzi. Altra figura di maestro indiscusso dell’animazione italiana è senz’altro quella di Bruno Bozzetto che, oltre a essere fondatore dello studio omonimo, è anche uno dei rappresentanti di una tendenza particolarmente sviluppata nell’animazione contemporanea: l’utilizzo di tecniche di animazione per computer, come Shockwave Flash, un formato file vettoriale che consente animazione per siti web e computer con cui Bozzetto ha realizzato alcuni cortometraggi tra cui Femminile&Maschile (2004), Neuro (2004), per poi tornare a tecniche miste di animazione tradizionale e computer graphic con un lavoro personale e allegorico (una sorta di percorso visionario lungo l’assurdità della guerra), Rapsodeus (2013).
Accanto alla tradizionale animazione per ragazzi (nell’ambito della quale va segnalato anche La storia di Leo, 2007, di Mario Cambi, vincitore come miglior film al Giffoni film festival del 2008), il cinema italiano, soprattutto nel campo del cortometraggio sperimentale, ha ottenuto in questi anni numerosi premi e riconoscimenti: si pensi ai film di Simone Massi, il cui cortometraggio Dell’ammazzare il maiale (2011) ha vinto premi in numerosi festival specializzati in vari Paesi del mondo nonché il David di Donatello 2012 come miglior cortometraggio e ha ottenuto la menzione speciale della giuria del Torino film festival 2011; o al pluripremiato cortometraggio La piccola Russia (2004) di Gianluigi Toccafondo.
Di fronte allo sviluppo massiccio dell’animazione industriale, che di fatto è ormai parte integrante dell’intera produzione cinematografica – visto che le tecniche della computer graphic vengono utilizzate costantemente per la realizzazione di effetti speciali nel cinema contemporaneo – autori come Massi o Toccafondo, così come molti animatori e artisti contemporanei, usando tecniche di animazione tradizionali o non legate alle nuove tecnologie digitali, rappresentano un modo di concepire l’animazione come pratica artistica, legata alla pittura e alle arti plastiche; concezione che, per quanto minoritaria nel panorama contemporaneo, rappresenta una delle direzioni vitali di questo cinema.
S. Perucca, Il cinema d’animazione italiano oggi, Roma 2008; T. Ceruso, Tra Disney e Pixar. La ‘maturazione’ del cinema d’animazione americano, Roma 2013; M.R. Novielli, Animerama. Storia del cinema di animazione giapponese, Venezia 2015.