Digitale, cinema
Digitale indica, in generale, una rappresentazione dell'informazione di tipo discreto o numerico, risultato di un processo algoritmico effettuato da un computer, la cui funzione può essere quella di creare un oggetto ex novo oppure di elaborarlo da matrici prodotte con altri strumenti (fotografia, macchina da presa, telecamera analogica ecc.). Digitale si contrappone ad analogico secondo l'opposizione discreto/continuo, nel senso che il primo termine indica processi associati a valori definiti, interpretabili e ripetibili in modo identico, mentre il secondo termine esprime un'interpretazione per approssimazione, sfumata, densa, associata alla componentistica elettronica e visualizzata, per es., dal segnale video tradizionale. In particolare, nel dispositivo cinematografico, il termine viene utilizzato con riferimento alla tipologia di apparecchiature computerizzate che intervengono in una generica fase del ciclo di vita di un film. Negli anni Ottanta, agli albori cinematografici del digitale, questi strumenti erano limitati ai soli effetti speciali della fase di postproduzione, vent'anni più tardi avrebbero iniziato a diffondersi in tutti gli aspetti della lavorazione (riprese, rumori, colonna sonora, effetti speciali, montaggio ecc.), in quelli della conservazione (restauro, archiviazione) e della distribuzione (eliminazione della stampa su pellicola, trasporto telematico, proiettori digitali). Da questa piattaforma tecnologica integrale potrebbe nascere un ponte tra l'attuale circuito televisivo e quello cinematografico, oppure, più direttamente, potrebbe attuarsi una fusione in un medium unico dei diversi mercati della fruizione visiva e sonora, tra cui la rete Internet e i videogiochi. L'aumento esponenziale delle capacità di calcolo dei computer ha nondimeno lasciato presagire, all'inizio del 21° sec., nuove prospettive, dal momento che la possibilità di generare immagini sintetiche sempre più realistiche fa ipotizzare la scomparsa dell'attore umano, dello spazio scenografico, dei costumi e in generale di tutte le matrici reali.
Nei primi anni Cinquanta, John Whitney, un esponente di rilievo del cinema sperimentale e d'animazione dell'epoca, adattò apparecchiature scientifiche e belliche al calcolo e alla rappresentazione grafica di curve e figure geometriche in movimento. Sebbene le immagini fossero analogiche, aprivano la strada alla grafica computerizzata. La cultura tecnologica del tempo differenziava ancora i calcolatori, enormi macchine con input e output cartacei e testuali, dal mondo della rappresentazione visiva: i primi esperimenti di connessione tra un calcolatore e un tubo catodico televisivo erano avvenuti soltanto nel 1950, grazie a un gruppo di ingegneri del MIT (Massachusetts Institute of Technology) che avevano creato un apparecchio denominato whirlwind, in grado di visualizzare la scia di un aereo. Nel 1960 Ivan Sutherland aveva realizzato il sistema Vector, che produceva reticoli di sintesi, e, due anni più tardi, la macchina sketchpad, un altro strumento capace di generare immagini direttamente sullo schermo, per mezzo di un principio di funzionamento che anticipa quello della penna ottica. Sempre nel 1962, Steve Russel aveva creato Space war, il primo videogioco, mentre la prima rappresentazione di un volto umano mediante l'ausilio di un calcolatore era avvenuta nel 1966, per opera di Charles Csuri dell'Ohio State University, che aveva adattato un computer IBM 7094.Il film 2001: a space odyssey di Stanley Kubrick (1968; 2001: Odissea nello spazio) aveva diffuso nel circuito commerciale internazionale gli ultimi sviluppi della computer graphics (v. multimediali, sistemi): si trattava di figure geometriche stilizzate, visualizzate dal computer di bordo dell'astronave del film, atte a rappresentare l'interazione uomo-macchina del futuro. Il computer HAL 9000 diventava così un vero e proprio personaggio, in seguito molto più famoso del protagonista umano Keir Dullea. Il forte impatto estetico del film di Kubrick avviò e diffuse, tra gli altri percorsi innovativi, anche il dibattito su arte e informatica (v. multimediali, sistemi: Arte). Nel 1975 George Lucas fondò la ILM (Industrial Light and Magic), una pietra miliare nel progresso degli effetti speciali: i tecnici della ILM (tra cui Dennis Muren, Phil Tippett, Robert Blalack), che il film Star wars (1977; Guerre stellari) dello stesso Lucas portò alla ribalta internazionale, costituirono una vera e propria scuola, vincitrice per due decenni della maggior parte dei premi Oscar per gli effetti speciali prima che la Pixar le togliesse il primato. I movimenti di macchina della battaglia finale del film vennero realizzati mediante il primo sistema di pilotaggio di una gru tramite computer (l'autore John Dykstra perfezionò il motion control di Douglas Trumbull e Bill Holland). Steven Spielberg inserì in Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) la prima figura interamente di sintesi presente in un lungometraggio: un elicottero completamente realizzato al computer. Nel 1982 è stato distribuito Tron di Steven Lisberger, prodotto dalla Disney, ambientato in una fantascientifica e suggestiva rappresentazione dell'interno di un computer. Un essere umano e l'avatar di un videogioco si scambiano i ruoli in uno spazio le cui scenografie (l'autore è Peter Loyd mentre il fumettista Mœbius è l'ideatore dei costumi) sono, in molte inquadrature, completamente virtuali: il film rappresenta la nascita cinematografica del cyberspazio. I componenti elettronici VLSI, microprocessori e memorie, visualizzati nel film, sono molto somiglianti ai circuiti integrati che permisero la rivoluzione tecnologica di quegli anni: il personal computer. Sempre nel 1982 è uscito Blade runner di Ridley Scott, opera cult nella cinefilia di fantascienza, con novanta inquadrature dotate di effetti speciali, ma poco significativo dal punto di vista delle tecnologie digitali (i trucchi erano perlopiù ottici e in truka). Nel 1986, in Top gun di Tony Scott e in Star Trek IV ‒ The voyage home (Star Trek ‒ Rotta verso la Terra) di Leonard Nimoy, è stato utilizzato per la prima volta lo standard audio digitale THX, in sostituzione dell'analogico Dolby Surround. Nel decennio successivo molte sale cinematografiche, in particolare i multiplex, si sono attrezzate per la riproduzione del suono mediante sistemi che aderiscono a standard THX (v. oltre: Sonoro). In Who framed Roger Rabbit? (1988; Chi ha incastrato Roger Rabbit?) di Robert Zemeckis sono state utilizzate soluzioni digitali che hanno consentito la coesistenza, all'interno della stessa inquadratura, di cartoni animati e attori reali. Nel 1989 è apparsa al cinema la prima immagine di un volto trasparente e animato, in grado di stupire il pubblico per il suo realismo: si trattava dello pseudopodo, sorta di telecamera antropomorfa aliena composta d'acqua, del film The abyss diretto da James Cameron. Successivamente, in circostanze tragiche, è stata visualizzata per la prima volta sullo schermo l'immagine sintetica di un volto umano, quello dell'attore Brandon Lee, protagonista del film di Alex Proyas The crow (1993; Il corvo ‒ The crow), ferito a morte da un colpo d'arma da fuoco durante le riprese. Sul corpo di una controfigura è stato 'innestato' il viso sintetico dell'attore. Toy story (1995; Toy story ‒ Il mondo dei giocattoli) diretto da John Lasseter è il primo lungometraggio d'animazione privo di immagini riprese da una sorgente reale: disegni, animazione, montaggio ed effetti speciali sono stati realizzati tutti al computer. Il film è stato prodotto per la Disney dalla Pixar. Quest'ultima, fondata nel 1986 da Steve Jobs e con Lasseter nel ruolo di vicepresidente, è divenuta leader mondiale degli effetti digitali: la pelle dei dinosauri e le creature neonate di Jurassic Park (1993) di Spielberg sono opera dei tecnici di questa compagnia (nel 1994 lo stesso Spielberg ha poi fondato la concorrente DreamWorks SKG). Il salto di qualità della Pixar è avvenuto con Toy story, grazie all'incasso del film nelle sale e nel mercato video (350 milioni di dollari) rispetto ai costi di produzione (30 milioni). Nella seconda metà degli anni Novanta la Pixar ha fatto incetta di tutti i maggiori premi nel proprio campo di sviluppo: Toy story ha vinto otto Annie Awards, A bug's life (1998; A bug's life ‒ Megaminimondo) di Lasseter e Andrew Stanton ha vinto il Blockbuster Entertainment Awards, Toy story 2 (1999; Toy story 2 ‒ Woody e Buzz alla riscossa), sempre di Lasseter, ha ottenuto tre Golden Globe.
Forrest Gump (1994) di Zemeckis detiene invece il primato pionieristico della convivenza, e interazione, tra attori reali e immagini di repertorio rielaborate all'interno della stessa inquadratura. Grazie a questo sistema, il protagonista, interpretato da Tom Hanks, può stringere la mano al presidente John F. Kennedy: per ottenere questo effetto il direttore della fotografia Don Burgess ha dovuto girare le scene da aggiungere, simulando le stesse sbavature tecniche del materiale d'archivio: sorta di restauro 'rovesciato'.Nel 1999 è uscito il primo episodio della nuova serie di Star wars: episode I ‒ The phantom menace (Star wars: episodio I ‒ La minaccia fantasma) di Lucas, in cui il 95% delle inquadrature è realizzato in digitale; gli attori interagiscono con personaggi digitali in una commistione di sequenze dal vivo, set in miniatura, modelli in computer graphics e matter painting. L'intera razza Gungan è stata realizzata in computer graphics. Nel 2002 è uscito Star wars: episode II ‒ Attack of the clones (Star wars: episodio II ‒ L'attacco dei cloni), sempre di Lucas, le cui riprese sono state effettuate mediante telecamera ad alta definizione. Final fantasy: the spirits within (2001; Final fantasy) di Sakaguchi Hironobu e Sakakibara Motonori, tratto da un videogioco, si è proposto come opera a metà tra la grafica fotorealistica e la virtualizzazione dell'attore.
Dalla fine degli anni Novanta la strumentazione digitale è andata sostituendo man mano le tecnologie precedenti in tutte le fasi del ciclo di lavorazione e distribuzione di un film, a iniziare dagli effetti di postproduzione e dal montaggio, che sono, secondo quest'ottica, i settori più innovativi.
Riprese. - Le videocamere digitali convertono il segnale analogico proveniente dall'obiettivo e lo catturano su chip elettronici (per poi memorizzarlo su nastri magnetici o altri supporti, come l'hard-disc di un computer) invece che impressionare le immagini su pellicola. Le immagini memorizzate possono essere quindi trasferite facilmente su sistemi computerizzati dedicati per venire elaborate (montate, arricchite di effetti speciali ecc.) o solo archiviate. A partire dalla fine del 20° sec. vi è stata una diffusione di film digitali, specialmente per opere il cui soggetto è il mondo televisivo o la rete Internet, come The center of the world (2001) di Wayne Wang, o per opere realizzate da registi alla ricerca di nuove forme espressive, come Dancer in the dark (2000) di Lars von Trier. L'utilizzo di telecamera ad alta definizione, come nel secondo episodio di Star wars, ha fatto compiere un ulteriore salto di qualità all'immagine elettronica, avvicinandola alla qualità fotografica.Le differenze percettive tra l'immagine digitale e gli altri tipi di immagine, sia elettronico-analogica sia fotografica, dipendono fondamentalmente da tre parametri: la tecnologia delle riprese, il supporto di visualizzazione dell'immagine e la sua risoluzione. Il dibattito attorno all'argomento tende a privilegiare il terzo aspetto, trascurando il primo altrettanto importante. Per es., in Pleasantville (1998) di Gary Ross le fasi di produzione sono state le seguenti: il film è stato girato su pellicola per mezzo di macchine da presa ottiche, in seguito riversato in digitale ad alta definizione, montato con l'aggiunta di effetti speciali, e infine stampato su pellicola per poter essere proiettato nel circuito tradizionale. La qualità finale dell'immagine fotografica rimane solida, la doppia trascrizione diventa quasi impercettibile poiché la sorgente iniziale risiede nel supporto su pellicola. Se le riprese fossero state realizzate con telecamere digitali, anche ad alta definizione, l'effetto video avrebbe avuto un impatto ben maggiore, specialmente sui controluce e sul colore nero. La percezione dell'occhio nella cultura fotografica è infatti particolarmente influenzata da alcuni parametri di geometria ottica, come le saturazioni del colore in punti a luminosità elevata, che differenziano notevolmente l'effetto video da quello fotografico. Per realizzare digitalmente un'immagine fotografica occorre quindi correggere via software questi parametri e utilizzare sistemi progressivi e non i tradizionali interfacciati. Un ulteriore controesempio che la 'qualità' non dipende solo dalla definizione è rappresentato dagli spot pubblicitari orientati al mercato televisivo, ma proiettati anche nelle sale cinematografiche. Questo è un altro caso in cui viene effettuato un doppio passaggio, dalla sorgente iniziale su pellicola al formato video (TV), alla stampa finale su pellicola. Il processo di lavorazione è analogo a quello di Pleasantville, con la differenza che la risoluzione televisiva è a bassa definizione. Questa limitazione però non inficia completamente la qualità dello spot quando viene proiettato (ovviamente esistono tecniche di correzione, e il discorso è più complesso), mentre nelle riprese in video, come quelle di Dancer in the dark, rimane impresso più a fondo il marchio della digitalizzazione.
Montaggio. - Questa fase, anche nelle opere di medio e basso budget, viene ormai attuata per mezzo di sistemi AVID ed equivalenti (computer specializzati con cui è possibile tagliare e raccordare gli spezzoni), i quali generano il modello di riferimento per effettuare il taglio del negativo su pellicola. Nel cinema hollywoodiano di grande budget è ormai uso comune la realizzazione di opere il cui montaggio è completamente digitale, e il riversamento su pellicola viene effettuato soltanto una volta che il materiale è stato montato, come nel caso del secondo episodio di Star wars.Un ruolo significativo della rivoluzione digitale è stato giocato anche dai videoclip e dalla pubblicità. Molti registi di provenienza dal settore videoclip sono approdati al cinema hollywoodiano (Ridley e Tony Scott, Michael Bay, Spike Jonze, Simon West) modificandone i canoni di montaggio, con il contributo di editing digitali. Da un lato l'effetto ritmico viene privilegiato rispetto alla leggibilità tradizionale della scena, dall'altro gli effetti digitali riportano in auge il piano-sequenza, grazie alla possibilità di agire all'interno della stessa inquadratura 'spezzandola' in continuità (filtri e nebbie varie, metamorfosi e morphing di ogni tipo, di cui il clip è diventato il laboratorio) oppure mantenendo il punto di vista in situazioni improbabili, come la soggettiva che accompagna l'intera caduta di una bomba in Pearl Harbor (2001) di Michael Bay.
Sonoro. - La rivoluzione digitale ha inciso significativamente sul sonoro, che, per fornire le migliori qualità, deve mantenere una simmetria tra sistema di registrazione (nella fase di produzione del film) e sistema di riproduzione (in sala). Il sistema DTS, lanciato da Spielberg in Jurassic Park, utilizza un segnale digitale molto dettagliato (a 20 bit) che viene successivamente compresso tramite algoritmi, e decompresso in fase di ascolto. La novità del sistema è quella di non avere la banda sonora stampata sulla pellicola, ma su una serie di compact disc. Tramite un segnale di sincronizzazione tra il compact disc e l'avanzamento della pellicola, viene controllata l'emissione del suono. Per evitare cadute di sincronismo a causa di pellicole che possono essere deteriorate, un sistema legge anche una banda duplicata e stampata sulla celluloide con sistemi di qualità inferiore, come il Dolby Digital. Questo audio viene sostituito al DTS nei momenti di avanzamento asincrono tra l'audio e l'immagine. Da ricordare che l'acronimo più diffuso nel sonoro digitale, il THX della Lucas Entertainment, non è un vero e proprio sistema di registrazione-riproduzione, ma uno standard di qualità: qualunque sistema soddisfi questo standard, sia a livello software sia a livello hardware, può avere il certificato THX.
Effetti speciali. - Gli effetti speciali digitali di postproduzione hanno rappresentato l'ingresso dell'informatica nella realizzazione di un film (v. effetti speciali): l'aggiunta di questi effetti viene realizzata mediante l'elaborazione di innesti grafici creati al computer e inseriti sul negativo della pellicola riprodotto digitalmente. Gli effetti digitali possono dividersi in due categorie: gli effetti invisibili, come nel caso di Forrest Gump dove il personaggio interpretato da Gary Sinise, un reduce mutilato, veniva 'privato' digitalmente delle gambe (in realtà l'attore recitava con una calzamaglia blu che veniva in seguito 'sottratta' all'inquadratura, e sostituita con lo sfondo ritagliato negli stessi contorni). La seconda categoria è quella degli effetti visibili: tra i numerosissimi esempi, si può citare la scena dell'affondamento del transatlantico Titanic, nell'omonimo film di James Cameron (1997). Gli effetti speciali vengono ormai utilizzati anche per risparmiare economicamente sulle comparse del film: scene come la battaglia iniziale di Gladiator (2000; Il gladiatore) diretto da R. Scott hanno l'effetto di sembrare così affollate grazie alla moltiplicazione digitale di un numero ristretto di campioni umani, modificati per l'evenienza. Le difficoltà di realizzare artificialmente scene realistiche consistono, oltre che nell'avere a disposizione una limitata potenza di calcolo, nell'individuare i parametri giusti di rappresentazione del reale. Sovente, elementi apparentemente neutri per abitudine percettiva sono invece fondamentali nelle tecniche analitiche: è significativa, da questo punto di vista, la differenza tra effetti locali (in foreground) e globali (in background). Se, per es., si confrontano due film ad alto budget usciti nello stesso anno e realizzati con il contributo di grandi case specializzate in modellazione digitale (Sony Pictures Imageworks nel primo caso e ILM nel secondo), è visibilmente migliore la qualità realistica dell'effetto 'metamorfosi' a cui si sottopone l'attore Kevin Bacon in Hollow man (2000; L'uomo senza ombra) di Paul Verhoeven, rispetto alle onde dell'oceano di The perfect storm (2000; La tempesta perfetta) di Wolfgang Petersen. Nel primo film vene e fasci muscolari sono raffigurazioni locali e dai contorni netti: assorbono l'attenzione dell'occhio dello spettatore rispetto all'ambiente reale circostante; nel secondo, invece, nonostante la curvatura delle onde sia perfetta nella sua casualità geometrica, le masse d'acqua risultano troppo omogenee nella densità e nell'illuminazione per sembrare vere. Quando le onde, che occupano tutto il formato cinemascope, s'infrangono trasformandosi in particelle piccolissime come gocce, queste ultime sono in numero troppo elevato (ognuna caratterizzata da una propria densità, luminosità, traiettoria ecc.) per poter essere gestite dall'attuale potenza di calcolo dei computer, anche con l'ausilio di tecniche di elaborazione dati come la compressione e l'approssimazione (v. oltre).
Animazione. - Ancora all'inizio del 21° sec., la condizione di completa digitalizzazione del contenuto di una pellicola cinematografica spetta solo al cinema d'animazione: il pioniere è stato il lungometraggio Toy story. Negli anni successivi sono usciti altri film interamente digitali, come A bug's life e Toy story 2, contrastati dal qualitativamente meno ricercato Antz (1998; Z la formica) di Eric Darnell e Tim Johnson prodotto dalla DreamWorks SKG. Significativo per il realismo della texture di costumi e capelli è Shrek (2001) di Andrew Adamson e Vicky Jenson, sempre della DreamWorks. In Toy story ogni fotogramma utilizza dai 3 ai 17 milioni di poligoni. Per poligono si intende la più piccola unità geometrica manipolata dai processori dei computer per realizzare la grafica delle immagini: ogni curva ed elemento spaziale vengono ottenuti per combinazione e approssimazione, utilizzando poligoni colorati e sfumati. A differenza del pixel, che si riferisce alla matrice grafica statica che visualizza l'immagine, il poligono è l'unità di misura dell'oggetto dinamico rappresentato: per es., un volto sintetico, modellato con un milione di poligoni, mantiene questa densità in tutti i momenti in cui è rappresentato. Tale densità costituisce quindi un valore indicativo per l'effetto 'realistico' della scena. La soglia della realtà è stata calcolata nell'ordine dei due miliardi di poligoni al secondo. I più potenti computer gestiscono in tempo reale solo un centesimo di questo valore: in ragione di ciò la realizzazione di un'inquadratura della durata di un secondo, seppure ancora imperfetta, può durare molte ore (per i fotogrammi più complessi di Toy story 2 sono occorse cinquanta ore di calcolo, e comunque si deve sottolineare che la verosimiglianza degli ambienti è ancora dell'ordine del disegno realistico e non della realtà fisica).
Proiezione e distribuzione. - La proiezione digitale ad alta definizione ha appena superato, agli inizi del 21° sec., lo stadio pionieristico: alcune proiezioni sperimentali del primo episodio della nuova serie di Star wars sono state realizzate con proiettori digitali che hanno visualizzato una copia del film trascritta su file (di circa 1000 Gbyte) e contenuta in hard-disc (si noti che il supporto del film non è più la pellicola impressionata, ma il film è memorizzato digitalmente in un supporto ottico o magnetico). Il secondo episodio è uscito in circa venti sale attrezzate con proiettori digitali, di cui una in Italia.Il proiettore digitale ha dimensioni equivalenti a quello tradizionale di una pellicola 35 mm. La tecnologia è derivata dalla separazione tricromatica: per ogni colore fondamentale, una matrice di 1280 × 1024 specchi gestisce le diverse sfumature e intensità del colore. Ogni specchio può ruotare indipendentemente su perni micromeccanici pilotati da un computer che interpreta il segnale codificato nel file che rappresenta il film. Le componenti dei colori sono alla fine mescolate nuovamente tra di loro prima di raggiungere la lente che le proietta. La risoluzione di un proiettore digitale è attualmente di circa duemila linee orizzontali, con contrasti di 1000:1, maggiori dei parametri statunitensi della televisione ad alta definizione, ma ancora inferiori agli attuali standard fotografici di film ad alto budget, che possono essere equiparati a tremila linee orizzontali con contrasti di 1200:1.
Questi proiettori risultano agli inizi del 21° sec. ancora troppo costosi (il sistema DLP della Texas costa circa 250.000 dollari) per poter rivoluzionare il mercato cinematografico, vincolo che blocca l'utilizzo della tecnologia digitale in altre fasi fondamentali del ciclo filmico, come la possibilità di distribuire un film via reti dedicate, cavo o satellite (v. telematica). Quando è archiviato digitalmente, un film viene facilmente duplicato su supporti ottici oppure trasmesso in modalità telematica, a costi inferiori rispetto agli attuali sistemi di distribuzione nelle sale; inoltre non subisce il deterioramento cui è sottoposta la pellicola. Ovviamente l'apparato di distribuzione-proiezione, come è stato qui descritto, diventa conveniente solo se la catena è completamente digitale; altrimenti, con i proiettori ottici, rimane più efficace ed economico il percorso tradizionale. Nelle sue prospettive più ampie, il mercato della distribuzione sta già assumendo un cambiamento per l'interesse delle Webcompany (società che gestiscono il commercio via Internet), che operano una distribuzione on-line di film e cortometraggi a basso costo, con l'ausilio di trailer visibili sui siti. Questi film sono attualmente venduti nei formati video tradizionali, come il VHS o il DVD, e appartengono a un mercato periferico, che non preoccupa le grandi case di produzione e distribuzione. Diversa potrebbe essere la situazione del futuro, in cui la maggiore velocità della rete potrebbe consentire la trasmissione on-line dell'intero film a costi contenuti. Un aspetto, questo, che ha già iniziato a provocare nuovi casi di violazione dei diritti d'autore, e che si sta diffondendo tra i possessori di connessioni ADSL.
Restauro, colorazione. - Le tecnologie digitali di restauro sono in grado di ricreare interi fotogrammi scomparsi per mezzo di riversamento digitale di altre parti della pellicola e tecniche di estrapolazione a partire da fotogrammi contigui. Dal momento che la pellicola da restaurare viene riversata in digitale, tramite software di fotoritocco è possibile eliminarne impurità e restituire la colorazione originale (v. restauro e conservazione). Anche la criticabile colorazione delle opere classiche originariamente in bianco e nero, che ha avuto un certo successo nella prima metà degli anni Novanta, viene effettuata con l'ausilio di programmi di fotoritocco. Questi sono integrati in software specialistici che permettono il riconoscimento dei confini di un oggetto in movimento (per es., il volto umano), in modo tale da poter agire a livello dell'intera inquadratura, e non fotogramma per fotogramma.
La questione maggiore posta dal connubio informatica e cinema è quella di poter generare immagini prive di una matrice fisica. A differenza del cinema tradizionale, della televisione e della fotografia, l'immagine digitale si presenta come una pura astrazione matematica che, per avere un accredito di tangibilità, deve prendere forma e fare i conti con la realtà da un lato, e con le rappresentazioni artistiche umane dall'altro. Il cinema digitale, in quanto 'fabbrica artistica di corpi', riprende essenzialmente due linee creative, quella della rassomiglianza e imitazione dell'umano, e quella della dissomiglianza, rappresentativa dell'alieno, il cui modello rimane in bilico tra il fantasy di Star wars e l'horror della saga di Alien. Modelli, del resto, nati alla fine degli anni Settanta, sul crinale del passaggio tra i pupazzi e le creature digitali. Secondo quest'ottica il digitale non rappresenta una nuova fucina di idee, ma procede nell'evoluzione della tradizione, verso uno stato di perfezionamento sempre maggiore. Non a caso i migliori effetti speciali rimangono un compromesso tra intuizione artigianale e tecnologia digitale.La perfettibilità della tecnologia digitale ha dato luogo a uno dei maggiori timori sul futuro del cinema tradizionale, quello della scomparsa dell'attore, che ha destato molta preoccupazione nell'ambiente divistico dei film ad alto budget. Tale timore nasce da un errore di prospettiva, quello di identificare la simulazione della realtà soltanto con la precisione della definizione dell'immagine: quest'ultima, per essere realistica, deve anche imitare perfettamente la gestualità e il comportamento del personaggio da evocare, compresi tic nervosi, variazioni dell'umidità della pelle, battiti delle ciglia e tutta la minimalità fisiologica che caratterizza un particolare attore in un determinato ruolo. La questione di un virtuale percepibile come un reale presuppone un'intelligenza simulatoria che i computer non sono in grado di esibire, altrimenti sarebbero dotati di intelligenza e corporeità umane tout-court. L'attore, come origine umana di tutto il dispositivo, è per ora insostituibile: egli è l'essere originale e fondativo di tutte le copie possibili e approssimate che possono essere realizzate attraverso elaborazioni digitali. L'attore digitale è quindi più precisamente costituito da un processo di collaborazione tra uomo e macchina, in cui il primo fornisce i punti e le curve originali dell'automazione e della modellazione, successivamente creati con il computer.
In Hollow man il processo usato per 'ridefinire' numericamente l'attore Kevin Bacon è stato denominato rotomation: in questo caso l'animazione sostituisce esattamente il corpo del protagonista con il suo modello digitale. L'attore, dipinto di verde e con un vestito di lattice verde, era ulteriormente cosparso di punti blu sulle articolazioni per facilitare il lavoro di allineamento tra il modello digitale e l'ambiente esterno reale, oltreché per agevolare quello dei disegnatori che dovevano animarlo. Tali punti hanno anche dato informazioni utili per modificare l'elasticità dei muscoli e la coordinazione dello scheletro durante il movimento. Una volta terminata la modellazione, si è sostituita digitalmente la porzione di spazio occupata dal corpo di Kevin Bacon con il suo modello (che era trasparente o presentava leggeri tratti di opacità).
Prospettive future e interattività. - Il cambiamento fondamentale dell'era digitale è quello di formare una piattaforma tecnologica omogenea (componentistica elettronica, cavi, antenne, monitor ecc.): in questo modo i diversi mercati che di volta in volta utilizzano questa piattaforma finiscono necessariamente per subire un'omologazione culturale. Ecco perché musica, film, televisione, videogiochi, Internet si stanno trasformando in un'entità unica: una sorta di intrattenimento digitale di cui è difficile prevedere gli sviluppi, tanta è la compressione culturale in gioco. Questa integrazione si presta a creare il timore di un livellamento del gusto, e quindi un minore mercato per le opere colte, per le quali potrebbero però crearsi nuovi spazi in strutture di carattere museale, in cui l'arte multimediale, in tutte le sue pluralità possibili, potrebbe essere fruita insieme al cinema metafilmico e d'autore.Su un altro piano, l'immagine sintetica apre filoni di indubbio interesse narrativo e contenutistico, inerenti alla creazione di mondi possibili dove potrebbero convivere in maniera credibile (dal punto di vista della verosimiglianza dell'immagine) passato e futuro, inverno ed estate, sole e pioggia, e in generale uno spettro infinito di combinazioni di eventi, che nella realtà sono incompatibili o lontani. La posta in gioco è quella di accettare o meno la maggiore permissività delle nuove forme cinematografiche, fondate su principi differenti da quelli del realismo, sorretto quest'ultimo dalla trasparenza e dalla neutralità della macchina da presa. Ma la 'impurità' del cinema futuro si manifesta non solo come eterogeneità dell'immagine, ma soprattutto come labilità dei confini dello stesso dispositivo cinematografico, che le tecnologie digitali e le telecomunicazioni a larga banda collocherebbero in uno spazio aperto e diffuso rispetto alle tradizionali sale. Il cinema ha avuto un momento simbolico d'origine, il 28 dicembre 1895, perché la terna composta da pubblico, proiettore e schermo si raccolse in un punto preciso: la sala. Questa istituzione ha mantenuto fino a oggi gli stessi canoni, ma le tecnologie future si prestano a cambiarla, se non altro perché sarà sempre più difficile individuare eventi innovativi isolati, viste le prospettive di integrazione di tutti i media. Occorrerà verificare se la natura fieristica e circense che ha caratterizzato il cinema alla sua nascita, avrà la meglio sulla tecnologia, e se quest'ultima si terrà ancora al servizio di grandi locali bui e affollati, che circuiti innovativi come quello dell'IMAX (pellicola di formato sei volte maggiore del tradizionale 35 mm con effetti 3D) continuano a proporre. All'interno del panorama futuro si sviluppa un altro corollario: la struttura intrinseca del digitale rende possibile l'interazione tra spettatore e spettacolo, caratteristica tipica dei CD-ROM e della rete Internet. Lo spettatore, in questo caso, non sarebbe più un utente passivo ma un agente attivo che modifica in determinati momenti lo sviluppo della storia a cui assiste. Molti videogiochi rappresentano evoluzioni interattive, quindi ramificazioni in più direzioni narrative, di famosi film di fantascienza legati al mondo digitale, e una linea di tendenza è quella di estenderne l'interattività, dalla trasmissione in un monitor circoscritto alla proiezione sulle superfici dello spazio circostante, per es. le pareti della propria stanza (v. multimediali, sistemi). La compresenza di storie ramificate ha però origini diverse da quelle della cultura digitale: il cinema del passato, specialmente quello del dopoguerra, ha espresso diversi esempi narrativi di storie parallele rispetto ai cambiamenti del punto di vista, oppure rispetto all'esistenza o meno della barriera dello schermo tra spettatore e spettacolo, caratteristica quest'ultima tipica del musical. Tra le opere degli ultimi decenni del 20° sec. che hanno espresso il filone della ripetizione possibile degli eventi, si ricorda: Przypadek (1982; Destino cieco) di Krzysztof Kieślowski, alcune operazioni metafilmiche di Woody Allen come The purple rose of Cairo (1985; La rosa purpurea del Cairo), Smoking (1993) e No smoking (1993) di Alain Resnais, Groundhog day (1993; Ricomincio da capo) di Harold Ramis, oppure Sliding doors (1998) di Peter Howitt. La presenza di un filone cinematografico rappresentativo in tal senso, sommata alla possibilità tecnologica di realizzare un cinema interattivo, sembrerebbe fornire l'occasione per attuarlo, ma le resistenze sono molte: creare delle sale cinematografiche interattive significherebbe rivoluzionare completamente il circuito, mentre lo statuto tradizionale della sala continua a imporre il mercato, relegando per ora a una dimensione esotica o d'intrattenimento leggero tutte le forme multimediali che non traggono origine da essa. L'interattività può sostanzialmente operare una mutazione dell'arte narrativa cinematografica, prima ancora di radicalizzare le modalità fisiologiche di partecipazione dello spettatore allo spettacolo. Le riflessioni di un noto filmmaker come Chris Marker vertono proprio in questa direzione: nel film Level five (1997) il videogioco rappresenta un'esperienza nuova di rivisitazione della memoria collettiva e l'interattività descritta indica una rilettura deterministica della realtà sfuggente degli eventi, e quindi privata della casualità. La ricostruzione interattiva della battaglia di Okinawa, soggetto del film, diventa un modo per fossilizzare e ritrovare le emozioni, in maniera sempre rinnovabile rispetto alla ripetizione passiva dello spettacolo di repertorio. In questo senso, la cultura dell'interattività potrebbe valorizzare una dialettica tra più soggetti in ambiti di comunicazione prima impossibili.
Demain le cinéma, in "Cahiers du cinéma", 1996, 503, pp. 66-130.
Cinéma et dernières technologies, éd. F. Beau, P. Dubois, G. Leblanc, Bruxelles 1998.
Aux frontières du cinéma, in "Cahiers du cinéma", 2000, nr. hors série.
P. Broderick, Fare film sta cambiando, e A.R. Smith, È dietro le quinte, in "Le scienze", 2001, 389, pp. 82-88, 91-95.