cinema e matematica
cinema e matematica Il matrimonio tra cinema e scienza è di quelli di lunga durata. Risale addirittura alla preistoria della settima arte, alle sperimentazioni fotografiche di P.J. Janssen, É.-J. Marey, E.J. Muybridge e alla tecnica pionieristica della cronofotografia, una sorta di antenata del cinema di animazione che consentiva di scomporre le fasi di un movimento riprendendo a intervalli regolari immagini successive di uno stesso soggetto. Si può sostenere che all’invenzione dei fratelli Lumière e alla nascita ufficiale del cinema il 28 dicembre 1895 non fosse del tutto estranea proprio l’esigenza scientifica di riprodurre il movimento e lo scorrere del tempo.
Sin dai suoi albori, il cinema si mostra attento al mondo della scienza. Tra i temi scientifici prediletti, vi è quello delle esplorazioni spaziali. Capostipite del genere fantascientifico è il brevissimo La Lune à un mètre (1898, 3 minuti) del francese Georges Méliès (1861-1938) che svilupperà il tema nei successivi cortometraggi ispirati da Jules Verne, Il viaggio nella Luna (1902), con il famoso razzo che colpisce la luna nell’occhio, e Le voyage à travers l’impossible (1904), dove un gruppo di bizzarri astronomi e scienziati parte alla volta del Sole. Sulla scia di Méliès, ma senza riuscire a eguagliarne la magia, si collocano le pellicole del pioniere spagnolo Segundo de Chomón (1871-1929), Excursion dans la Lune e Voyage sur Jupiter, entrambe del 1908. Oltre che ai viaggi spaziali, il cinema delle origini si mostra attento al progresso tecnologico, alla nascente industria automobilistica, ai voli in pallone, alle esplorazioni geografiche. Nel giro di pochi anni l’inarrestabile Méliès realizza i documentari Les rayons X (1898), Eruption vulcanique à la Martinique (1902), Le tunnel sous la Manche (1907), À la conquête du Pole (1912). Compaiono anche i primi film dell’ingegnere elettrico e primo regista della cinematografia inglese Robert William Paul (1869-1943), The trip of the Arctic (1903) e The motorist (1905). In pochi anni il cinema arriverà a divulgare le più moderne e astratte teorie fisiche con il film muto di animazione The Einstein theory of relativity (1923) di Max e Dave Fleischer. In questi esordi del cinema scientifico anche la cinematografia italiana si ritaglia uno spazio con il torinese Roberto Omegna (1876-1948), vero pioniere del filone, cui si devono spezzoni documentaristici e didattici sull’industria e lo sport automobilistico, un breve filmato Neuropatologia sul comportamento di una donna affetta da isteria, il documentario La vita delle farfalle e il cortometraggio Galileo Galilei (1909): mentre lo scienziato è impegnato nei suoi studi, un domestico tenta di sedurne la figlia; respinto, denuncia il padre della fanciulla al Sant’Uffizio, che porta il caso al tribunale dell’Inquisizione con la conseguente condanna e abiura di Galileo.
Con l’avvento del sonoro e del colore, si moltiplicano le pellicole di soggetto scientifico. In alcuni film il riferimento ai linguaggi scientifici e all’attività di ricerca è quasi incidentale, in altri essenziale. Si spazia dalla fantascienza al documentario. Ci sono le pellicole che hanno al loro centro la figura del medico, la malattia e il disagio mentale e quelle, al confine tra biologia, meccanica ed elettronica, che parlano di robot e azzardano la descrizione dei rapporti tra umano e artificiale in un avveniristico futuro. Ci sono i film “atomici” con trame, anche fantasiose, legate allo sviluppo nucleare delle grandi potenze del xx secolo e quelli dove invece l’attenzione si concentra sulle implicazioni belliche delle ricerche biologiche. Il riferimento alla guerra fredda e alla minaccia nucleare evoca subito il bellissimo e grottesco II Dottor Stranamore ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1963) di Stanley Kubrick. Racconta la storia di un militare statunitense (Peter Sellers) che, colpito da raptus anticomunista, ordina ai suoi uomini di sganciare una bomba atomica sull’Unione Sovietica. Il comandante americano ricalca forse la figura di Edward Teller, il fisico nucleare di origini ungheresi (scomparso nel 2003) che aveva partecipato attivamente alla creazione della potenza atomica americana e che continuava a sostenere, negli anni della guerra fredda, la necessità di mantenere efficace l’arsenale nucleare degli usa.
Comune alla maggior parte delle opere è la rappresentazione della scienza come una grande potenza virtuale che contiene al proprio interno tutti i beni possibili, o tutti i mali, e che proprio in virtù di questa forza entra in conflitto con la società o la natura. Può correggerla drasticamente o rovinarla irreparabilmente. Lo scienziato è sempre un eroe. Può essere un eroe positivo, progressista e rivoluzionario, in lotta contro l’establishment per il trionfo di una verità soffocata, oppure un eroe del male assatanato dalla conquista del potere, dall’arricchimento personale o da una furia vendicatrice che lo porta alla distruzione del mondo. Nel filone più documentaristico spiccano le biografie scientifiche: Louis Pasteur, Benjamin Franklin, Thomas Alva Edison, Pierre e Marie Curie, Robert Koch, Enrico Fermi, Robert Oppenheimer. Sono tutti, a vario titolo, benefattori dell’umanità. Nelle opere di fantasia, per contro, la gamma di caratterizzazioni è assai varia. Non mancano gli eroi positivi, difensori della società, della natura e del suo futuro, in lotta contro i colleghi malvagi o una classe politica corrotta, sempre dalla parte dei deboli e di chi ha subito un torto. Gorilla nella nebbia (1988) di Michael Apted è la storia (vera) di Dian Fossey, che dedicò la propria vita, non solo professionale, allo studio e alla salvaguardia dei gorilla di montagna fino a essere assassinata perché considerata un personaggio scomodo. Twister (1996) di Jan De Bont racconta con grande spettacolarità le avventure di un gruppo di cacciatori di tornado che sopperiscono ai mezzi semiartigianali di cui dispongono con la passione e l’intelligenza che invece mancano all’establishment politico-economico. In Contact (1997) di Robert Zemeckis protagonista è una giovane astrofisica impegnata nella ricerca di possibili segnali inviati da extraterrestri che finisce con l’interrogarsi sui rapporti tra scienza e fede. The day after tomorrow - L’alba del giorno dopo (2004) di Roland Emmerich è forse il primo film ecocatastrofico: il suo protagonista, un climatologo, vede realizzarsi in poche ore quei cambiamenti climatici che aveva inutilmente denunciato come possibili negli anni precedenti; è ormai troppo tardi e non gli resta che tentare di mettere in salvo milioni di persone (tra cui il figlio).
Ci sono poi gli scienziati utopisti che riescono a superare le barriere del mondo conosciuto per proiettare i loro sogni in nuovi universi e che molto devono, direttamente o meno, ai personaggi letterari creati da Jules Verne. La loro versione simpatica e un po’ pasticciona porta alla categoria degli inventori “svitati”, un po’ stralunati, a volte “fuori di testa”, spesso loro stessi vittime delle strane invenzioni che hanno escogitato. Alec Guinness ne Lo scandalo del vestito bianco (1951) di Alexander Mackendrick impersona la figura dello scienziato filantropo che realizza una formula chimica per una fibra indistruttibile e autopulente, ma non riesce a prevedere la reazione di industriali e operai uniti nel difendere lo status quo. Cary Grant (con Ginger Rogers) impersona ne II magnifico scherzo (1952) di Howard Hawks la figura di uno scienziato, un chimico, tra i più simpaticamente svampiti della storia del cinema e tenacemente impegnato nella ricerca della formula della eterna giovinezza.
Il titolo è già un programma nel caso di Un professore fra le nuvole (1961) di Robert Stevenson: narra di una particolare sostanza che permette a un altro chimico di vincere la forza di gravità e di scorrazzare in cielo con la sua macchina. Ma c’è anche la macchina che viaggia nel tempo e che permette a Michael J. Fox in Ritorno al futuro (1985) di Robert Zemeckis di tornare indietro agli anni della gioventù dei propri genitori.
Il passo verso gli apprendisti stregoni è breve, seguendo le orme di Frankenstein e dei suoi sequel, tra cui Frankenstein junior (1974) di Mel Brooks. 2001: Odissea nello spazio (1968) di Kubrick appartiene a questa categoria, ma vi si può ricondurre anche A.l.: Intelligenza artificiale (2001) di Steven Spielberg, su soggetto di Kubrick. Protagonista è il piccolo David, un moderno Pinocchio, un robot capace di amare e la cui storia mette in scena un inquietante mondo futuro in cui è possibile la clonazione di esseri umani. È breve l’ulteriore passo che conduce agli scienziati pazzi e pericolosi per la loro follia: dal dottor Moreau (ne L’isola del dottor Moreau del 1977, di Don Taylor con Burt Lancaster) che si dedica a terrificanti incroci genetici tra uomini e animali, al dottor Mabuse, malvagiamente dotato di un’intelligenza superiore e di grandi capacità ipnotiche, dal dottor Mengele ne / ragazzi venuti dal Brasile (1978), di Franklin Schaffner con Gregory Peck, che racconta di un manipolo di ex gerarchi nazisti che nelle foreste del Paraguay intende costituire il Quarto Reich clonando tanti piccoli Hitler, allo psichiatra folle di Family Life (1971) di Ken Loach.
■ La matematica sul grande schermo. L’esordio della matematica al cinema risale al 1959 e al cortometraggio (26 minuti) di Walt Disney Paperino nel mondo della Matemagica, che alterna lo stile di cartone animato e di live-action. Come sempre, Paperino si trova nei guai: rimasto senza soldi, si è fatto prestare pochi centesimi dallo zio Paperone e ora è in debito con lui di molti dollari. Alla ricerca di un modo per uscire dai guai in cui si è cacciato, Paperino ricorre al libro di matematica dei nipotini. Ci si addormenta sopra ed entra così nel mondo di Matemagica dove gli alberi hanno radici quadrate, i fiumi brulicano di cifre, le frazioni possono essere addirittura divertenti e la logica buffa. Sotto i suoi occhi scorrono, in quello che è diventato un classico della Walt Disney, Pitagora e il segreto degli incommensurabili, le basi matematiche della musica, il rapporto aureo presente nel Partenone e nel Palazzo di vetro dell’onu a New York. Non mancano nemmeno quei giochi in cui la matematica svolge un ruolo fondamentale: dagli scacchi al baseball, al biliardo. Il film si chiude ricordando che la matematica non è solo calcolo e un insieme di sterili e noiose equazioni. È (citando la celebre frase di Galileo) l’alfabeto con cui Dio ha scritto il libro dell’universo.
Non è un caso che la matematica faccia la sua apparizione al cinema solo nel 1959, ben più tardi di altre tematiche scientifiche. Risulta oggettivamente difficile raccontare con immagini il mondo del matematico, la fonte delle sue ispirazioni, il travaglio dei suoi ragionamenti, lo stesso suo prodotto finale. Non basta scrivere una formula e le leggi matematiche sono difficilmente rappresentabili. Le teorie, poi, sono problematiche da spiegare. Il cinema è coinvolgimento dello spettatore tramite il fascino della narrazione e delle immagini; una lezione, ancorché sofisticata, è qualcosa di diverso. L’obiettivo è quello di non cadere nella lezione (di matematica) e di non interrompere il filo comunicativo con lo spettatore. Così, proprio a causa di queste difficoltà, la matematica spesso diventa un pretesto narrativo che via via sbiadisce nella sua intensità. L’attenzione dello spettatore viene presto dirottata altrove. È il caso, per esempio, di L’albero di Antonia (Marleen Gorris, 1995), Il giardino delle vergini suicide (Sofia Coppola, 1999) o II senso di Smilla per la neve (Bille August, 1997) che pure si apre con una dichiarazione d’amore per la matematica da parte di Smilla, una donna di origini eschimesi che elabora modelli matematici per capire l’evoluzione dei ghiacciai. È altrettanto problematico raccontare attraverso le immagini la vita normale, e tutto sommato regolare, di un normale studioso. Così, quando il cinema decide di occuparsi di matematica, preferisce farlo con figure di cui mette in scena soprattutto insofferenze, paure, paranoie, follie. È quanto avviene in A beautiful mind (2002) di Ron Howard con Russell Crowe, premiato con ben quattro Oscar, e in Morte di un matematico napoletano (1992) di Mario Martone, premiato alla Mostra di Venezia del 1992, con Carlo Cecchi nella parte del protagonista, il matematico napoletano Renato Caccioppoli: si tratta senza dubbio dei film “matematici” più noti allo spettatore italiano. A beautiful mind si ispira alla vita del matematico statunitense John Nash, dai suoi studi a Princeton fino al conferimento del Premio Nobel per l’economia nel 1994, passando attraverso il calvario delle sue allucinazioni, i ricoveri forzati in ospedali psichiatrici, le terapie con elettroshock. Nash ricevette il Nobel in considerazione dei suoi pionieristici lavori nella teoria dei giochi risalenti alla fine degli anni Quaranta quando introdusse un concetto di equilibrio – successivamente chiamato proprio equilibrio di Nash – per mezzo del quale ciascun giocatore individua la miglior risposta alle scelte degli altri partecipanti al gioco. Il film è decisamente “hollywoodiano”, girato con notevoli mezzi, un noto regista e grandi attori. Il messaggio del suo finale da love story vuole indicare come l’amore sia il vero antidoto alla follia nella quale il matematico cade per l’incapacità di reggere il peso della sua geniale creatività. La schizofrenia colpì Nash nel ’59 quando, entrando al mit affermò che sul «New York Times» era presente un messaggio in codice proveniente da una civiltà aliena che solo lui avrebbe potuto decifrare. Più “europeo”, sicuramente meno film d’azione e con i tempi lenti di una rappresentazione teatrale, è Morte di un matematico napoletano. Renato Caccioppoli è stato uno dei più originali matematici italiani del Novecento, indiscusso protagonista della vita intellettuale di Napoli nei decenni attorno alla seconda guerra mondiale. Il film lo coglie nella sua ultima settimana di vita, prima del suicidio avvenuto l’8 maggio 1959, a soli 55 anni. Il bilancio della vita gli appare fallimentare. La vena più creativa in campo matematico sembra esaurita, l’impegno politico – sempre oscillante tra individualismo anarchico e appartenenza al mondo culturale che ruota attorno all’antifascismo e al Partito comunista italiano – non genera più tensioni e speranze, l’alcol ha fatto la sua parte, il dolore per l’abbandono da parte della moglie diventa insopportabile. Così Caccioppoli decide di togliersi la vita sparandosi alla nuca con un gesto programmato nei dettagli. La scena finale del film inquadra la grande folla – di nuovo, un affresco corale di Napoli – che partecipa ai funerali mentre un temporale accompagna l’ultimo saluto della città e del mondo politico e culturale a O’ genio.
Nei decenni che ci separano dal Paperino del ’59, il bambino prodigio che stupisce tutti per la facilità con la quale calcola mentalmente complicatissime operazioni numeriche si trasforma via via in un giovane adulto sempre dotato di un’intelligenza superiore ma progressivamente accompagnato dall’esplosione di nevrosi e ossessioni quasi che il peso dell’intelligenza sia eccessivo da gestire ed entri in collisione con gli altri aspetti della personalità del ricercatore trascinandolo nel gorgo della disperazione. È un viaggio, questo, che si può far cominciare con la storia di Erasmo il lentigginoso (1965) di Henry Koster. In una classica famiglia americana, il padre (James Stewart) è un professore universitario di letteratura inglese, convinto sostenitore che scienza e progresso rappresentino i veri nemici dell’umanità. Si ritrova invece un figlio, il piccolo Erasmo, che è stonato e daltonico, che non può dedicarsi né alla musica né alla pittura e che, quando il padre volutamente stona l’inno nazionale al pianoforte, commenta entusiasticamente che ha suonato proprio bene. Erasmo è però un piccolo genio in matematica e sbalordisce tutti con la capacità di calcolare a mente operazioni incredibili. Tutta la trama si sviluppa all’interno di questa dialettica familiare, con la mamma che cerca di barcamenarsi tra gli opposti caratteri di marito e figli e “siparietti” divertenti in cui Erasmo – infantilmente innamorato di Brigitte Bardot – mostra tutta la sua intelligenza numerica rivelando a un esterrefatto direttore di banca che i conti pubblicati dal suo istituto sono sbagliati o realizzando pronostici vincenti all’ippodromo con l’aiuto di sofisticate formule statistiche. Anche Il mio piccolo genio (1991) di Jodie Foster ha al suo centro un bambino prodigio, ma in questo film l’atmosfera comincia a farsi meno disneyana. Il bambino prodigio si chiama Fred Tate: è eccezionale in matematica ma, a differenza di Erasmo, ha talento anche per la musica, la pittura, la poesia. Anche in questo caso l’abilità matematica è descritta tramite la straordinaria facilità con cui calcola radici cubiche apparentemente impossibili. Ha però un problema: è triste e infelice. Non ha amici. Nel film, la matematica fa da sfondo al tema dell’infelicità puerile che Fred supera legandosi prima a un altro bambino da cui impara a giocare a biliardo – gioco che naturalmente affronta da un punto di vista rigorosamente scientifico, in base alle leggi della dinamica –, poi recuperando l’affetto della mamma e della psicologa che l’ha seguito nel suo percorso. Meno edulcorato, Il mio piccolo genio introduce al dramma di Decalogo I, il primo dei dieci film di poco meno di un’ora che il regista polacco Krzysztof Kieślowski ha girato tra il 1987 e il 1989 per la televisione del suo paese ispirandosi al decalogo cattolico. Il bambino qui si chiama Pawel e ha un ottimo rapporto con il papà, anch’egli docente universitario. Nel film polacco, la matematica è il motore di un’azione che porta a riflettere sui rapporti tra scienza e fede. Il papà di Pawel è un convinto scientista che crede fermamente nella razionalità scientifica e riduce ogni problema della vita a un calcolo matematico. Il figlio lo segue con prontezza e abilità decisamente superiori alla media, ma subisce anche il fascino della zia, profondamente cattolica, che vorrebbe integrare la sua educazione con i valori religiosi. La tragedia si compie quando un calcolo sbagliato del papà di Pawel – per il suo computer, la superficie gelata di un torrente avrebbe dovuto sopportare il peso di parecchi uomini che vi potevano quindi tranquillamente pattinare – porta alla morte del bambino, estratto ormai senza vita dalle acque del fiume. Nella Polonia cattolica, e di quegli anni, è la punizione per una scienza che diventa superba e vuole sostituirsi alla fede.
Il bambino geniale e iperdotato nei calcoli – è il modo più semplice con cui il cinema traduce il talento matematico – cede il posto a un giovane adulto, anch’egli sorprendentemente dotato, in Will Hunting - Genio ribelle (1997) di Gus Van Sant, con Matt Damon che interpreta Will, un giovane disadattato. Assunto come bidello al Massachusetts Institute of Technology, Will risolve un complicatissimo problema che un professore aveva lasciato scritto sulla lavagna per mettere alla prova i suoi migliori studenti. Il film descrive il rapporto che presto si instaura tra Will, il professore e uno psicologo incaricato di ridare equilibrio al genio ribelle che non accetta le varie opportunità che gli vengono offerte per rientrare nella “normalità”. Il finale è “liberatorio”: Will rinuncia a ogni prospettiva di carriera per trasferirsi in California dalla ragazza che ha capito di amare. Oxford murders - Teorema di un delitto (2008) di Álex de la Iglesia è un thriller dove la matematica interviene a più riprese, sia pure con le limitazioni e le prudenze di cui si è detto. I protagonisti dell’indagine matematico-poliziesca sono un docente universitario, anziano e un po’ cinico, e un suo giovane studente di dottorato che esprime grande fiducia nelle potenzialità del metodo deduttivo e nella capacità della matematica di riuscire a distinguere il vero dal falso. Nei loro dialoghi ricorrono spesso precisi riferimenti a teorie e risultati matematici e tutta la pellicola può essere vista anche come un’interessante riflessione sulla razionalità che dovrebbe governare il mondo e sulla capacità del linguaggio scientifico di riuscire a decifrarla. Nell’argentino Moebius (1996) di Gustavo Mosquera è la topologia l’argomento matematico al centro del film: grazie alle sue conoscenze teoriche sulle superfici, un matematico riesce a risolvere l’intricato e misterioso problema di un convoglio della metropolitana di Buenos Aires pieno di persone scomparso senza lasciare alcuna traccia, riuscendo a recuperarlo nell’intricata rete di tunnel sotterranei. Anche Enigma (2001) di Michael Apted è la storia di un talento matematico ispirato alla figura di A. Turing, uno dei più brillanti matematici e logici del xx secolo, uno dei padri della moderna informatica, suicida nel 1954 (ingerendo una mela avvelenata con il cianuro) anche per le vessazioni cui era stato sottoposto per la sua omosessualità. Il film è ambientato nella Gran Bretagna della seconda guerra mondiale e nel centro di Bletchley Park dove si lavora duramente per decrittare i codici di guerra tedeschi. È una corsa contro il tempo perché gli alleati americani hanno inviato in Europa un grande e importante carico di materiale bellico che dovrebbe servire, una volta arrivato in Inghilterra, per fornire all’esercito russo importanti risorse nella lotta al nazismo. L’Atlantico è però infestato dai sottomarini tedeschi e l’unico modo per evitare le conseguenze della loro terribile presenza è di decrittare la macchina Enigma usata con grande maestria dai comandi militari tedeschi. Tra gli ingredienti della pellicola ci sono una spy story, le intricate vicende sentimentali del protagonista e soprattutto il suo genio. Si assiste alla rappresentazione di un talento matematico, in cui si congiungono genio e sregolatezza, anche in The Bank - Il nemico pubblico n. 1 (2001) di Robert Connolly: il talento è quello di un brillante matematico, esperto di frattali e della loro applicazione ai modelli finanziari. Il protagonista si mette alla ricerca di una formula che riesca a prevedere l’andamento del mercato e a togliere un istituto bancario dalle cattive acque in cui sta navigando. La pellicola si sviluppa nella contrapposizione tra il matematico decisamente schierato dalla parte dei “buoni” e la ferrea logica capitalistica, le sue speculazioni finanziarie e la sua inevitabile spregiudicatezza, indifferente agli affetti e alla vita degli uomini e persino dei suoi stessi dipendenti.
In altre pellicole, i pericoli “degenerativi” che il cinema associa alla passione e alla razionalità matematica esplodono ancora più nettamente. Il dramma non è ancora deflagrato ne L’amore ha due facce (1996), ma non tarderà ad arrivare. Nel film, diretto e interpretato da Barbra Streisand, un docente di matematica della Columbia University decide di avviare una relazione sentimentale che intende però gestire su un piano puramente razionale e platonico. Naturalmente capirà che l’amore non ha una sola faccia e presenta molte più incognite di una semplice equazione algebrica. A quel punto tutte le sue teorie sull’amore platonico verranno riposte in soffitta. Il dramma si avverte già in Bianca, una pellicola grottesca e paradossale realizzata da Nanni Moretti nel 1984. Ricordato per la celebre battuta sulla Sachertorte («Va bene, continuiamo così, facciamoci del male»), il film è imperniato su Michele Apicella, professore di matematica, la cui vita è perfettamente regolata dall’ordine, dalle sue manie e dalle sue nevrosi. Una violenza implacabile è l’esito cui giunge un altro occhialuto e riflessivo professore di matematica, protagonista di Cane di paglia (1971) di Sam Peckinpah, con Dustin Hoffman. Alcuni eventi – il comportamento sessuale un po’ disinvolto da parte della moglie e un incidente stradale – lo trasformano radicalmente e lo costringono a ingaggiare un mortale duello con i teppisti che assaltano la sua fattoria, un duello che alla fine lascerà sul terreno ben cinque cadaveri. Proof - La prova (2005) di John Madden torna a perlustrare (dopo A beautiful mind) il terreno del rapporto tra matematica e pazzia. La storia racconta di un padre e di una figlia, entrambi matematici. Il padre, da giovane, aveva dato geniali contributi alla ricerca, morendo poi in preda alla follia; la figlia è forse meno valida dal punto di vista scientifico ma ugualmente instabile nel suo equilibrio psichico. Il terzo personaggio è un ex studente del professore che trova tra le sue carte una dimostrazione matematica eccezionale (the proof) e non sa se attribuirla al maestro o alla figlia che la rivendica. La giovane è anch’ella un genio della matematica oppure è semplicemente sull’orlo della follia? La liberazione dei peggiori istinti è al centro di Cube (1997) di Vincenzo Natali – il titolo sfrutta il gioco di parole con l’inglese incubus – dove sei personaggi rimangono prigionieri all’interno di un gigantesco cubo. Per uscirne occorre sfruttare la conoscenza dei numeri primi e delle proprietà che questi numeri (e altri concetti matematici) verificano.
L’immaginario scientifico e matematico è approdato anche sul piccolo schermo con le serie televisive americane Numb3rs e Lost. La prima fa ricorso alla crittografia, alla teoria dei giochi, al calcolo delle probabilità, alle equazioni differenziali alle derivate parziali; anche in Lost i numeri hanno una particolare importanza: sei numeri-base permetterebbero di generare una potentissima formula matematica, addirittura in grado di prevedere la data esatta della fine dell’umanità.