Olimpiadi, cinema e televisione
Le Olimpiadi e il cinema sono accomunati nei loro destini fin dalla nascita, avvenuta praticamente nello stesso anno e nella stessa città: nel 1894 a Parigi. Il 23 giugno 1894 il barone francese Pierre de Coubertin, intellettuale e diplomatico, nonché fervente filantropo, decise di ridare vita agli antichi Giochi Olimpici. De Coubertin possedeva una mentalità lungimirante ‒ per l'epoca ‒ sul ruolo dello sport nell'educazione dei giovani e trovò il sostegno di un gruppo di suoi pari alla Sorbonne di Parigi. L'intenzione era quella di ricreare e riproporre in chiave moderna gli antichi agoni ateniesi dedicati a Olimpia, con lo scopo di far acquisire allo sport la funzione di promotore dell'internazionalismo, della forma fisica e dell'agonismo, nel senso più sportivo del termine. Il primo passo fu la fondazione del Comitato internazionale olimpico, il quale stabilì che i primi Giochi dell'era moderna sarebbero stati disputati due anni più tardi. In quegli stessi giorni del 1894 un altro illustre francese, Louis Lumière, inventò il cinematografo, uno strumento in grado di registrare e proiettare immagini in movimento. Egli fu assistito dal fratello Auguste, con il quale condivideva una bottega di artigianato fotografico, e trovò l'ispirazione nel kinetoscopio ‒ presentato pochi anni prima al pubblico da Thomas Edison ‒ capace di registrare, ma non di proiettare, figure in movimento. Nel febbraio del 1895 i Lumière depositarono all'ufficio brevetti la loro rivoluzionaria invenzione e il 28 dicembre dello stesso anno organizzarono la prima proiezione pubblica nel Salone Indiano del Grand Café in Boulevard des Capucines, a Parigi. Si racconta che la pellicola, dal titolo L'arrivée d'un train à la Ciotat, ebbe un impatto molto forte sugli spettatori presenti, terrorizzati di essere travolti dal treno che sembrava dovesse uscire dallo schermo. Il cinema, prima tra tutte le arti, sapeva ricreare il movimento e, quindi, mostrare la vita. Proprio la vita quotidiana e il gesto sportivo vennero scelti per le prime immagini girate dai Lumière in due corti, dedicato l'uno al gioco delle bocce (Concours de boules, "Gara di bocce") e l'altro al pugilato (Les boxeurs en tonneaux, "I pugili nelle botti") .
Un primo elemento per comprendere come il mezzo filmico abbia contribuito alla crescita e allo sviluppo delle Olimpiadi è senza dubbio presente nell'origine della parola 'cinematografo': dal greco kinema ("movimento") e grapho ("descrivere"). Il linguaggio del corpo è la base dell'attività sia dell'atleta sia dell'attore ed entrambi tendono a raggiungere una performance soddisfacente e vincente. Allo stesso modo, la terminologia tipica di un set di ripresa ('luci, camera, azione') può essere associata a quella utilizzata su una pista di atletica ('ai posti, pronti, via'). Le prove effettuate sotto la guida di un insegnante di recitazione o di un regista assomigliano molto alle sedute di allenamento svolte agli ordini di un coach. Il pubblico di una gara sportiva equivale agli spettatori di un film, così come l'arbitro può essere paragonato al regista e l'atleta all'attore. Pur con ruoli diversi, essi sono tutti protagonisti di uno spettacolo, che si manifesta in due forme differenti, ma è pur sempre uno spettacolo. Gli appellativi abitualmente usati per indicare atleti e attori di successo sono per lo più gli stessi: star, eroe, mito, campione, leggenda ecc. Ed è proprio il successo, unito alla fama, l'obiettivo comune di chi intraprende la carriera di atleta o di attore professionista.
Una cosa è certa: i parallelismi tra il mondo dello sport e quello del cinema sono infiniti. Lo sport difatti è stato per il cinema una fonte di ispirazione inesauribile, tanto che fino a oggi sono stati realizzati quasi 2500 film a contenuto sportivo. Grandi registi, quali John Huston, Alfred Hitchcock e John Ford, solo per citarne alcuni, hanno realizzato pellicole in cui raccontano le glorie dello sport. Ci sono poi casi più o meno recenti di personaggi politici, con un passato legato allo sport e al cinema: l'ex presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan e l'attuale governatore della California Arnold Schwarzenegger sono i due esempi più eclatanti e conosciuti dal grande pubblico. Lo sport simboleggia nel modo migliore la società competitiva in cui l'uomo ha vissuto dall'inizio del secolo scorso. Non a caso, Harvey Zucker e Lawrence Babich, autori di Sports films: a complete reference, hanno classificato i film sportivi in tre categorie: i film in cui si assiste al trionfo di chi fino ad allora aveva sempre perso, quelli in cui viene sconfitto, o al contrario si riscatta, il campione celebrato e infine quelli in cui l'evento sportivo fa da ambientazione alle vicende dei protagonisti. Come in tutti i generi cinematografici, anche nel cinema sportivo sono presenti alcuni luoghi comuni ineliminabili: la satira dell'ambiente sportivo, il giocatore come simbolo di virilità circondato da schiere di ragazze, l'allenatore corrotto o che cerca di arricchirsi alle spalle dell'atleta, la violenza o il sentimentalismo portati all'eccesso. Fortunatamente, non mancano esempi in cui il gesto atletico risulta valorizzato ed esemplificato nella sua straordinaria e, allo stesso tempo, semplice bellezza. Sin dagli albori dell'industria della celluloide, registi e produttori compresero il fascino che un campione sportivo poteva esercitare nei confronti dei potenziali spettatori. Smessi i panni dell'atleta, numerosi ex campioni indossarono quelli di attore, iniziando in alcuni casi una luminosa seconda carriera. Il più famoso 'atleta-attore' fu senz'altro Johnny Weissmuller, il primo a impersonare Tarzan, che nel nuoto aveva vinto cinque ori ai Giochi di Parigi e Amsterdam, 52 titoli nazionali ed era detentore di 67 record mondiali.
L'elenco di star, di ieri e oggi, che hanno prestato volto e azione ai protagonisti di ring, campi da gioco, piste e oceani è impressionante. La comunicazione sportiva attraverso i media, il cinema e la TV, project work di Curzio Valerio Bufacchi per il master in Management e gestione dello sport (2003), propone una sintesi piuttosto puntuale dei principali nomi che hanno fatto la storia del cinema sportivo. In ambito maschile si possono ricordare Jean-Paul Belmondo, Charles Bronson, James Cagney, Jean Carmet, Charlie Chaplin, James Coburn, Gary Cooper, Lou Costello, Tony Curtis, Brad Davis, Robert De Niro, Alain Delon, Patrick Dewaere, Kirk Douglas, Clint Eastwood, Errol F1ynn, W.C. Fields, Peter Fonda, Glenn Ford, Clark Gable, Gene Hackman, Richard Harris, Charlton Heston, Dustin Hoffman, William Holden, Dennis Hopper, Samuel L. Jackson, Tommy Lee Jones, Buster Keaton, Gene Kelly, Burt Lancaster, Jean-Pierre Léaud, Jerry Lewis, Walter Matthau, Steve McQueen, Eddy Mitchell, Robert Mitchum, Yves Montand, Paul Newman, Jack Nicholson, Al Pacino, Gregory Peck, Anthony Perkins, Tyrone Power, Anthony Quinn, Robert Redford, Burt Reynolds, Mickey Rooney, Frank Sinatra, James Stewart, Spencer Tracy, Jean-Louis Trintignant, Jon Voight, John Wayne. A questi nomi illustri se ne aggiungono altri di validi attori protagonisti degli anni Ottanta e Novanta ancora in piena attività, che spesso sullo schermo si sono cimentati negli sport più svariati con ruoli diversi: Antonio Banderas, Beau Bridges, Nicolas Cage, Kevin Costner, Russell Crowe, Tom Cruise, Daniel Day-Lewis, Johnny Depp, Michael Douglas, Ralph Fiennes, Colin Firth, Michael J. Fox, Jeff Goldblum, Tom Hanks, Christopher Lambert, Ralph Macchio, Ewan McGregor, Matthew Modine, Nick Nolte, Brad Pitt, Dennis Quaid, Keanu Reeves, Jean Reno, Mickey Rourke, Tom Selleck, Will Smith, Wesley Snipes, Sylvester Stallone, Patrick Swayze, Denzel Washington. Anche la rappresentativa femminile è ben nutrita: citiamo soltanto Lauren Bacall, Cyd Charisse, Olivia d'Abo, Geena Davis, Cameron Diaz, Whoopi Goldberg, Mariel Hemingway, Katharine Hepburn, Helen Hunt, Nastassja Kinski, Jennifer Love Hewitt, Madonna, Lori Petty, Rosie O' Donnell, Tatum O'Neal, Michelle Rodriguez, Mimi Rogers, Meg Ryan, Meryl Streep, Barbra Streisand, Elizabeth Taylor, Raquel Welch, Esther Williams.
Alcuni film hanno cercato di ricostruire la vita e la carriera di campioni e atleti realmente vissuti, come i campioni dei pesi massimi Joe Louis, Sugar Ray Robinson e Muhammad Ali, alias Cassius Clay, campione olimpico nel 1960. Il film più famoso nell'ambito di quelli biografici è certamente Chariots of fire (Momenti di gloria), basato sulla storia di Harold Abrahams, olimpionico ai Giochi di Parigi del 1924 e in seguito rappresentante della Federazione inglese di atletica ai Congressi della IAAF. Fra gli sport la boxe si è sempre prestata molto bene alla resa sul grande schermo, così come ai tempi di Bruce Lee accadde per il kung fu, che però venne messo da parte non appena morì l'unico attore in grado di appassionare all'arte marziale una vasta platea (solo negli ultimi anni le arti marziali sono tornate in auge grazie all'abbinamento di tecniche di combattimento spettacolari con effetti speciali dell'ultima generazione: i film La tigre e il dragone, Shaolin Soccer e la trilogia di Matrix sono soltanto alcuni esempi).
Tuttavia, il soggetto che più degli altri ha ottenuto attenzione da parte del cinema sono stati i Giochi Olimpici. In origine non era così. Da entrambe le parti mancava l'autocoscienza dei propri mezzi e delle proprie potenzialità. Solo con le Olimpiadi berlinesi del 1936 ci si rese veramente conto di come il cinema potesse offrire un fedele ritratto dell'evento olimpico, enfatizzandolo, analizzandolo e rendendolo fruibile a un pubblico mondiale. I Giochi Olimpici, nati da istanze internazionaliste e popolari, raggiunsero la loro sublimazione proprio attraverso la macchina da presa.
Con non poca sorpresa, dunque, possiamo annotare quanto segnalano Sylvie Espagnac e Taylor Downing in Olympic review, ossia che le prime edizioni dei Giochi furono trascurate dalle telecamere e che in particolare i primi Giochi dell'era moderna (Atene 1896) rimasero totalmente negletti, anche se in proposito il dibattito rimane ancora aperto in quanto alcune pellicole sono di difficile e controversa datazione. Dei Giochi disputatisi a Parigi nel 1900 esiste una pellicola firmata dalla Exposition Universelle de Paris, il cui scopo era celebrare le innovazioni tecnologiche, meccaniche e architettoniche che nascevano e si concretizzavano in quegli anni rigogliosi di nuove e ingegnose idee. Un'altra Esposizione internazionale contribuì a fare assegnare i Giochi del 1904 a St. Louis; ed è appunto risalente a quest'edizione una pellicola prodotta dalla St. Louis World fair.
Con le Olimpiadi di Londra del 1908 la manifestazione riprese una consistenza e una qualità che le due edizioni precedenti non avevano garantito. Lo sforzo organizzativo del governo inglese e l'appoggio della Corona furono imponenti, rifacendosi alla tradizione che vedeva nella Gran Bretagna lo Stato in cui era nato lo sport inteso nel senso moderno del termine. Le immagini di questa Olimpiade, con la collaborazione delle neonate agenzie di stampa, consegnarono quella che possiamo definire la prima star olimpica. L'avvincente maratona conclusasi con la squalifica, causa l'aiuto e il sostegno dei giudici di gara, dell'italiano Dorando Pietri, rappresentò il primo momento di grande pathos olimpico.
Le Olimpiadi svedesi (Stoccolma 1912), a loro volta, furono raccontate in un filmato che de Coubertin definì 'un incanto'. Nel 1924, un produttore francese, Jean de Rovera, fece un film sui primissimi Giochi invernali di Chamonix e, dando continuità alla sua opera di precursore, filmò anche le Olimpiadi estive che si svolsero sempre in Francia, a Parigi. Le pellicole riportano fedelmente lo spirito dei Giochi, nei quali Harold Abrahams ed Eric Liddell, 'lo scozzese volante', vinsero l'oro nelle rispettive competizioni, eventi poi immortalati dal regista Hugh Hudson nel già ricordato Chariots of fire. Il film francese prodotto da de Rovera si può quindi proclamare come la prima, lunga e particolareggiata pellicola sui Giochi Olimpici moderni.
Arnold Fanck, regista tedesco, geologo e, soprattutto, appassionato di montagna, fondò un nuovo genere di film girando le sue pellicole ad alta quota, dove paesaggi affascinanti e luoghi impervi e inaccessibili fungevano da maestosi fondali. Seguendo questa sua propensione, girò nel 1928 Das weisse Stadion, il film ufficiale dei Giochi invernali di St. Moritz. Nonostante i facoltosi finanziamenti del gigante della distribuzione UFA e l'appoggio del Comitato internazionale olimpico, il film guadagnò pochi consensi e non ammortizzò minimamente gli ingenti investimenti produttivi. Non fu realizzata nessuna pellicola ufficiale dei Giochi di Amsterdam del 1928 e ancor più sorprendentemente nessuna pellicola venne girata durante i Giochi di Los Angeles del 1932, tenutisi nel nuovo Coliseum Stadium, a poche miglia dal cuore dell'industria cinematografica hollywoodiana. Spettatori di quei Giochi furono anche attori, produttori e registi di indubbia fama, quali Charlie Chaplin, Claudette Colbert, Gary Cooper, Jeannette McDonald e Douglas Fairbanks. La vicinanza con Hollywood promosse alcuni atleti dalle piste degli stadi e dalle corsie delle piscine ai set cinematografici, dove poterono esibire la loro esuberanza fisica e il loro duplice ruolo di atleti e attori.
Le Olimpiadi tedesche (Berlino 1936) furono il momento in cui dalla preistoria del cinema olimpico, fatta primariamente da dilettanti e sperimentatori, si passò alla storia moderna. Punto essenziale e fondante di questa rottura, valida anche per la storia del cinema in genere, è rappresentato dal film Olympia di Leni Riefenstahl, la regista dell'epoca nazista, scomparsa all'età di 102 anni nel settembre del 2003. Con la sua opera, Riefenstahl codificò e canonizzò un'estetica del linguaggio filmico cui, ancora oggi, ogni documentario e film sportivo, implicitamente e spesso involontariamente, fanno riferimento.
A partire dai Giochi di Londra 1948, i primi dopo l'interruzione bellica, il Comitato internazionale olimpico si rese conto di quanto i Giochi, così carichi di valori e principi, potessero essere valide fonti per la produzione di pellicole di una certa qualità. Questa presa di coscienza, unita alla consapevolezza del potere pubblicitario e propagandistico insito nel film, convinse il Comitato internazionale e i vari Comitati olimpici delle nazioni ospitanti a produrre, per ogni edizione, pellicole di alto valore cinematografico, cercando di coinvolgere in questo ambizioso progetto celebrativo grandi nomi della regia. Nel medesimo tempo, rifacendosi sempre a quei valori reconditi di cui lo sport è carico, nacque una cinematografia non ufficiale dell'avvenimento olimpico nella quale i Giochi fungono spesso da sfondo, ma lo spirito di cui sono portatori riempie a livello morale tutti i momenti della pellicola, rendendoli protagonisti. Con il progredire delle tecnologie e con la specializzazione in generi sempre più articolati, parallelamente ai film olimpici propriamente detti, il documentario si è guadagnato anch'esso i favori dell'industria cinematografica.
In principio film e documentari olimpici avevano un linguaggio e una struttura molto simile, che rendeva inutile ogni generico tentativo di suddivisione. Ora la differenziazione è raggiunta: i film privilegiano l'aspetto lirico e ideale dei Giochi, i documentari quello epico e cronachistico, mantenendo comunque tra loro labili confini, spesso valicati senza arrecare danni alle qualità delle opere. Creato uno statuto autonomo, il film olimpico, ormai riconoscibile per le sue peculiarità ideologiche, tecniche e linguistiche, è entrato quindi in circuiti di produzione e distribuzione globali. I grandi nomi della regia, che hanno firmato alcuni dei film ufficiali dei Giochi, hanno contribuito ampiamente allo sviluppo e all'identificazione di questo genere. La loro abilità e la loro perizia garantirono dignità artistica alle produzioni, i loro suggestivi e prestigiosi nomi allettarono le società di distribuzione e la qualità delle opere entusiasmò il numeroso pubblico.
A partire da Olympia, dunque, i Giochi sono stati oggetto e soggetto di documentari e film, tra cui quelli pregevolissimi realizzati da Romolo Marcellini per i Giochi di Roma del 1960 (La grande Olimpiade), quello di Kon Ichikawa per l'edizione di Tokyo del 1964, un episodio del film ufficiale di Monaco 1972, realizzato da Claude Lelouch e Maratón, l'opera di Carlos Saura sui Giochi di Barcellona del 1992. Non va dimenticato l'apporto di Bud Greenspan, che è forse il regista olimpico per eccellenza, vista l'attenzione pressoché totale che la sua produzione ha prestato alle Olimpiadi: in oltre trent'anni di carriera con la propria compagnia, la Cappy Productions, oltre a 16 Days of glory sui Giochi del 1984 a Los Angeles, ha realizzato innumerevoli documentari, film per la TV e serie, tra cui quella omonima del film del 1984 16 Days of glory sui Giochi Olimpici di Calgary, Seul, Barcellona e Lillehammer, e quella in 22 episodi, Olympiad, trasmessa dalle televisioni di oltre 100 paesi.
I Giochi di Berlino del 1936 furono importanti non soltanto perché ‒ come abbiamo già visto ‒ Leni Riefenstahl realizzò il primo vero film olimpico, ma anche perché furono i primi a essere coperti e trasmessi dalla televisione. Le telecamere della Telefunken irradiarono le immagini registrate ai pochi apparecchi riceventi privati e ad alcuni punti di proiezione pubblici a pagamento. Dopo l'interruzione dovuta alla Seconda guerra mondiale, le Olimpiadi fecero il loro ritorno trionfale a Londra nel 1948. In quella occasione, la BBC pagò l'allora considerevole somma di 1000 ghinee (meno di 5000 dollari dell'epoca) per trasmettere in diretta i Giochi nelle case di 80.000 fortunati possessori di televisore.
La massiccia diffusione della televisione risultò fondamentale per la crescita di interesse nei confronti dell'evento olimpico, soprattutto quando poi negli anni Sessanta iniziò a svilupparsi la comunicazione satellitare (Telstar, Earlybird). Ciò che il cinema raccontava con enfasi a distanza di tempo, la televisione lo raccontava in presa diretta, nel momento stesso in cui avveniva. I Giochi, invernali ed estivi, svoltisi a Cortina d'Ampezzo nel 1956 (50 ore di trasmissione, 11 telecamere e 14 collegamenti dedicati al solo sci) e a Roma nel 1960 (106 ore di trasmissione, 450 tecnici, 17 telecronisti) diedero il via alle cosiddette 'maratone sportive', intese come una copertura totale di quanto accadeva sui campi di gara. L'edizione successiva di Tokyo 1964 fu altrettanto memorabile perché per la prima volta i Giochi vennero trasmessi live in tutto il mondo.
Grazie alla messa a punto della tecnologia televisiva, lo sport iniziò davvero a diffondersi rapidamente. L'arrivo del colore a metà degli anni Sessanta aumentò il realismo di uno spettacolo sportivo che poteva essere tranquillamente visto dal televisore della propria casa. L'Olimpiade è così diventata in brevissimo tempo ‒ come scrive nel 2003 Aldo Grasso nella Garzantina dedicata alla televisione ‒ "un rito sociale di autentica e nobile tradizione: ha una vocazione universale, invoca la partecipazione di tutte le platee possibili, si offre come una grande festa simbolica cui è difficile sottrarsi", al punto che discipline generalmente poco seguite nei quattro anni che separano un'edizione dei Giochi dall'altra riescono ad attrarre migliaia di persone nei campi di gara e milioni davanti agli schermi televisivi. È questo il fascino misterioso dell'atmosfera olimpica, cui senza dubbio ha contribuito fortemente lo sviluppo del mezzo televisivo, che oggi non si limita a registrare l'evento, ma lo arricchisce con istantanee ripetizioni in slow motion, riepiloghi statistici, rappresentazioni grafiche, discussioni, dibattiti, commenti e analisi, che vanno a comporre un pacchetto informativo ed emozionale senza uguali.
L'interesse della TV per i Giochi Olimpici è riflesso nell'escalation delle somme pagate dalla TV americana per i diritti. Le tre emittenti televisive americane (ABC, NBC e CBS) sono state per molto tempo coinvolte in una lotta che ogni quattro anni le vedeva fronteggiarsi, giocando al rialzo per l'acquisto dei diritti in esclusiva. La storia della crescita dei diritti è ben nota. Nel 1964 la NBC pagò 1.500.000 dollari per i diritti di Tokyo. Nel 1968 la ABC ne sborsò 4.500.000 per il Messico; nel 1972 per i diritti dei Giochi di Monaco furono pagati 7.500.000 dollari. La ABC comprò a 25.000.000 di dollari i diritti di Montreal 1976, la NBC a 80.000.000 quelli di Mosca del 1980, nuovamente la ABC a 225.000.000 quelli di Los Angeles pagando ulteriori somme per essere l'emittente ospite. Fino a quel momento l'emittente ebbe dei profitti, vendendo gli spazi pubblicitari per introiti complessivi superiori alle somme pagate. In occasione dei Giochi invernali di Calgary del 1988, i diritti vennero negoziati in un momento di grande fiducia nel mercato pubblicitario, ma la successiva recessione economica comportò investimenti inferiori al previsto da parte delle aziende, che si tradussero in una perdita di 50.000.000 di dollari per la ABC che da allora non partecipò più alla lotta per l'acquisizione. La NBC pagò non più di 300.000.000 di dollari per i diritti relativi ai Giochi di Seul, 416.000.000 per Barcellona e 456 per i Giochi del Centenario di Atlanta, somme comunque ben diverse dai 5000 dollari pagati dalla BBC nel 1948.
Questi dati statistici, per quanto interessanti, raccontano solo metà della storia. Il ruolo fondamentale svolto dalla televisione nella trasformazione delle Olimpiadi in un grande evento sportivo mondiale ha avuto infatti un rovescio della medaglia. Le manifestazioni e le gare sportive di rilevanza mondiale hanno dovuto fare i conti con le esigenze televisive, legate alla necessità di trasmettere le gare in orari agevoli per la platea più numerosa. Per es., nei Giochi Olimpici di Seul, per imposizione della NBC, detentrice dei diritti, le gare vennero disputate in orari tali da evitare veglie notturne all'audience americana nonostante le condizioni climatiche improbe (la finale dei 100 m fu corsa alle 12.45 locali). In compenso le differenze di fuso fecero sì che in Italia, ma in generale in tutta Europa, i Giochi fossero una manifestazione notturna. Durante i Giochi di Barcellona 1992, che ripresero gli orari normali con copertura totale (la radiotelevisione olimpica produsse e passò a tutto il globo oltre 2000 ore di programmazione), la televisione offrì al mondo una grande panoramica: telecamere sui tetti dello stadio, volanti, sulle piste di atletica, sott'acqua ecc; tutto ciò contribuì a creare un senso di partecipazione maggiore, coinvolgendo gli spettatori oltre il semplice gesto atletico. Con l'Olimpiade di Atlanta del 1996 risultò evidente che i Giochi si seguivano meglio in TV che non dal vivo, anche perché, ormai, ogni decisione degli organizzatori e delle varie federazioni veniva sempre motivata da condizionamenti televisivi. Alla lente d'ingrandimento, ai replay, alla generosa offerta di diverse angolazioni, al photofinish elettronico, alle riprese dall'alto, alla possibilità di seguire contemporaneamente più gare, si sono aggiunte vere e proprie trasformazioni dei regolamenti per favorire la messinscena della regia. Furono programmate 3000 ore di immagini per portare i Giochi Olimpici del 'centenario' agli spettatori di 170 paesi con una novità assoluta e, televisivamente parlando, rivoluzionaria: la 'personalizzazione dell'offerta'.
Inizialmente la prassi era stata quella di una regia unica per tutto il circuito internazionale, con le stesse immagini per tutti i paesi collegati e la possibilità di una 'unilaterale' (cioè un breve spazio per le interviste) a disposizione di ogni nazione. Questo tipo di format caratterizzò la copertura dei Giochi fino all'edizione di Los Angeles del 1984; già a Seul e Barcellona era stato possibile per ogni paese intervenire con proprie troupe in alcuni specifici momenti delle gare (esattamente come succede oggi nella Formula 1). Ad Atlanta le nuove tecnologie portarono questo processo all'estremo, dando a ciascuna nazione la possibilità di costruirsi un'olimpiade diversa, una sorta di 'unilaterale' perenne. Una banca dati offriva l'insieme dei segnali che arrivavano in contemporanea da tutti i campi di gara, consentendo ai vari paesi di seguire maggiormente gli atleti di casa o le gare ritenute più interessanti. Inoltre, a integrazione delle telecamere tradizionali, Atlanta vide il boom dell'impiego delle camere POV (point of view), piccole telecamere piazzate sugli archi dei tiratori, sul manubrio delle biciclette, sull'asticella del salto, sulle reti del tennis e della pallavolo, per offrire, attraverso nuovi e inusitati punti di vista, delle straordinarie 'soggettive'.
In occasione dell'edizione di Sidney 2000, RaiTre fu interamente dedicata alla copertura dei Giochi: 90 miliardi di lire spesi in diritti televisivi, uno studio di produzione di 600 m2, oltre 150 persone inviate in Australia per riprendere, montare, raccontare e commentare le gare, permisero alla RAI di interpretare correttamente il proprio mandato di servizio pubblico, mettendo in grado le persone di ogni ceto sociale di essere partecipi di una festa mondiale come le Olimpiadi. L'impostazione è stata replicata per Atene 2004, 'coperta' da Raidue.
Cinema e televisione hanno dunque svolto un ruolo fondamentale nella storia dei Giochi dell'era moderna, per renderli un patrimonio di valori ed emozioni condiviso da tutta l'umanità. Nel 1896 circa 20.000 persone assistettero alla cerimonia di apertura dei primi Giochi Olimpici moderni ad Atene; nel 1936, alla cerimonia dei Giochi di Berlino, il numero era salito a 110.000, grazie a un'arena più grande e ai Giochi divenuti nel frattempo più popolari, ma erano ancora soltanto i presenti sul posto che potevano godersi lo spettacolo. Sessant'anni più tardi, in occasione dei 'Giochi del Centenario', nel luglio del 1996, circa 5 miliardi di persone furono in grado di vedere, grazie alla televisione, la cerimonia di apertura.
Il CIO nel 1983 ha affidato il settore culturale del cinema e della TV alla FICTS (Fédération internationale du cinema et télévision sportifs), con sede a Milano, conferendole il riconoscimento ufficiale. La FICTS, presieduta dal 1995 da Franco Ascani, opera al fine di "promuovere lo spettacolo dello sport soprattutto nell'ambiente del cinema e della televisione (produzione e distribuzione) e creare una maggior conoscenza del mondo sportivo e dei suoi valori morali presso gli autori, gli attori, i registi, i produttori e tutti coloro che realizzano film per il cinema e la televisione; e di creare ed organizzare una cinevideoteca particolare al servizio della Associazione dei Comitati Nazionali Olimpici e della Associazione delle Federazioni Internazionali Olimpiche, nella quale raccogliere tutti i film realizzati sui Giochi Olimpici estivi e invernali; tutti i film che possono diffondere il credo del movimento olimpico; tutti i film esaltanti gli ideali e lo spirito olimpico; tutti i film realizzati sullo sport prodotti nel periodo del cinema muto; e tutti i film a soggetto sportivo e con scopo commerciale prodotti dalla cinematografia mondiale". In tale ottica, la FICTS organizza annualmente a Milano lo Sport movies & tv International festival, a conclusione di un challenge internazionale con appuntamenti nei cinque continenti.
Abbiamo visto come i Giochi Olimpici, nati nel 1896 da una cultura europea, aristocratica e molto maschilista, siano oggi universali ed esercitino il loro fascino in tutto il mondo. Questa transizione è stata in gran parte una conseguenza della relazione simbiotica tra i Giochi e i media audiovisivi. Con lo sguardo rivolto al futuro, senza dubbio la televisione e le future potenzialità della comunicazione continueranno a svolgere la loro parte nella presentazione e nella promozione degli ideali olimpici nel mondo. Ma c'è di più. I Giochi Olimpici perseguono l'eccellenza e rappresentano uno dei più alti risultati conseguibili, in termini fisici, da uomini e donne. Generazioni intere sono state ispirate da questa ricerca della massima prestazione possibile, che rappresenta il meglio dello spirito dell'umanità. La TV ha diffuso e divulgato questo messaggio e questa celebrazione in ogni angolo del pianeta, rendendo le Olimpiadi il più grande evento globale.
Lo sport moderno tuttavia non ha più nulla di quella sacralità che ne costituì la ragione d'essere per numerosi secoli; in sua vece ha attinto alla propria intrinseca spettacolarità, diventata talmente essenziale che uno sport senza spettatori viene declassato al rango di attività di fitness.
Molte discipline sportive hanno accresciuto la propria popolarità grazie all'intervento del mezzo televisivo. In particolare l'atletica si presta notevolmente a essere seguita attraverso il piccolo schermo: l'alternanza tra gli eventi sulle pedane e quelli in pista ottempera perfettamente alle esigenze di ritmo richieste dai tempi televisivi. Un'altra disciplina sportiva che ha molto beneficiato della copertura televisiva è stata la ginnastica artistica: dagli anni Settanta, quando la ex Unione Sovietica e la Germania dell'Est ebbero un parco di miniatlete dalle performance straordinarie, la TV ha documentato le loro evoluzioni e acrobazie, contribuendo non poco alla diffusione dello sport in questione. Movimenti ed esercizi, già spettacolari se visti in tempo reale, acquistano un alone quasi magico se rivisti in slow motion. La televisione, permettendo di cogliere questi momenti diverse volte, ha contribuito a creare veri e propri miti della ginnastica, come Nadia Comaneci o Jury Chechi, per citare soltanto i due più famosi. Anche il tennis è stato privilegiato dalla TV: grazie al grande interesse suscitato e all'audience riscossa a Seul nel 1988 è stato pienamente riammesso nella lista degli sport olimpici da cui era stato estromesso.
Per inciso, va comunque segnalata un'altra novità introdotta dalla televisione nel mondo dello sport: l'interesse degli sponsor, attratti dalla opportunità di abbinare il proprio nome a un evento potenzialmente in grado di raggiungere milioni, e in alcuni casi miliardi, di persone. Gli atleti, soprattutto quelli vincenti, possono guadagnare cospicue somme utilizzando e pubblicizzando determinati prodotti. Jesse Owens, che vinse 4 medaglie ai Giochi di Berlino del 1936, non fu mai ricco nonostante sia stato uno dei primi testimonial per gli sponsor (la Coca-Cola); passò parte della sua vita come bidello e morì nell'indigenza. Carl Lewis, il suo successore, che vinse 4 ori a Los Angeles, 2 a Seul e a Barcellona, 1 ad Atlanta è invece multimiliardario.
L'evoluzione dello sport moderno ora delineata può, perciò, essere schematizzata in tre tappe, come rileva Michele Da Prà nella sua tesi di laurea Olimpiadi e mezzi audiovisivi.
La prima è costituita dall'incontro dello sport con i mass media, con l'immediato stabilirsi di una simbiosi molto funzionale: il primo ha fornito ai secondi la materia con cui confezionare i prodotti da vendere al loro pubblico, e questi, con il loro potere catalizzante, hanno alimentato la crescita e l'aumento degli spettatori dello sport. Nella spirale crescente così determinatasi, i due fattori si sostengono e supportano vicendevolmente.
Incorporata la dimensione mediatica, la seconda tappa di questo processo evolutivo è costituita dalla penetrazione di fattori economici nell'universo sportivo, con la creazione di un circuito autopropulsivo che agisce a due vie, utilizzando sia lo sport come propellente dell'economia sia quest'ultima per la promozione del mondo sportivo. Riguardo alla prima direttrice di questo scambio, lo sport sostiene l'aspetto economico tramite un duplice meccanismo: da una parte abbiamo l'uso dello sport come strumento commerciale (e non potrebbe essere altrimenti: un fenomeno così massivo è una miniera ideale per estrarre testimonial di ogni tipo, adatti praticamente a ogni prodotto, creando un vero e proprio star system; il cinema fu uno dei primi prodotti di consumo pubblico e popolare a fruire di questa possibilità); dall'altra c'è l'immensa platea dell'avvenimento olimpico, che costituisce il terreno dove i nuovi prodotti favoriscono la diffusione della pratica sportiva (abbigliamento e attrezzi) e la sua rappresentazione iconica (merchandising, magliette, cappelli, gadget ecc.). A sua volta l'economia, che trae profondi e remunerativi benefici dal mondo sportivo, ha tutto l'interesse a finanziarlo e promuoverlo, riversando ingenti sponsorizzazioni su atleti, squadre, manifestazioni ed eventi di portata globale. Il successo del connubio triangolare tra sport, media ed economia è chiaramente leggibile nei fatti e, soprattutto, nei bilanci delle varie aziende promotrici e sostenitrici dei suddetti eventi.
Ma l'evoluzione dello sport non si ferma qui: la terza tappa, quella che viviamo oggi, promette sviluppi dirompenti grazie all'incontro fra lo sport, i media, l'economia e ciò che sta alla base del nuovo sviluppo tecnologico. La tecnologia dell'informazione penetra nel profondo dell'evento sportivo reale e lo contamina con elementi assolutamente virtuali, tanto da renderne irriconoscibili i confini. Un'azione motoria su un qualunque campo sportivo viene, in tempo reale, scomposta, analizzata e ricostruita con elementi esterni all'evento, fornendo al telespettatore un prodotto in cui la prestazione fisica e l'elaborazione tecnologica tendono a diventare indistinguibili. Inoltre l'evoluzione tecnologica dell'informazione sta per infrangere, per merito dell'interattività, un'altra frontiera primordiale: la separazione fra atleta e spettatore. È questo il punto di partenza di una nuova spirale evolutiva dello sport, in cui tutti gli elementi sono plastici e, soprattutto, interattivi tra loro, con un continuo scambio di ruoli e prestazioni tra cause ed effetti; attraverso un processo graduale ma irreversibile, la televisione, il cinema, l'economia e, oggi, la tecnologia dell'informazione stanno cambiando lo sport, dando vita a un 'nuovo' sport, nato dalle esigenze combinate di questi fattori, legato al vecchio solo da un tenue rapporto filogenetico.
Si tratta di un processo circolare: così come cinema e televisione hanno cambiato lo sport, lo sport sta inducendo profonde modificazioni nella tecnologia e nella semiotica audiovisiva, innovandone progressivamente la sintassi e la semantica. Nei più recenti eventi sportivi, la televisione è riuscita a diventare l'artefice di valori nuovi, oltretutto spesso in antitesi tra loro, quali la globalizzazione dell'evento contrapposta allo sciovinismo nazionalista. Il risultato di questo processo è un'evoluzione complessiva i cui contorni etici non sono ancora chiaramente distinguibili, ma le cui potenzialità di diffusione a livello globale sono del tutto note.
Si è già detto che i Giochi Olimpici del 1896 vennero ignorati quasi totalmente dagli autori di cinema. La pellicola che pretende di essere un ritratto di quei primi Giochi mostra invece quelli 'intermedi', che si tennero nello stesso stadio ad Atene dieci anni dopo, nel 1906. Su Atene 1896 sono stati girati diversi film e documentari, ma tutti a posteriori. Nel 1962 fu realizzato It happened in Athens (Accadde in Atene), una biografia di Spiridon Louis, il giovane pastore greco che vinse la maratona nella prima Olimpiade dell'era moderna. Nel film recitano, tra gli altri, Jayne Mansfield, nei panni della bellissima attrice che aveva promesso di sposare il vincitore della maratona, e il campione olimpico Bob Mathias. Nel 1984 il film TV The first Olympics: Athens 1896 (USA, regia di Alvin Rakoff) descrisse la fondazione dei Giochi Olimpici moderni, concentrandosi soprattutto sulla composizione della squadra americana.
Nel 1972 Don Anthony realizzò per il National archive e il British film institute Early Olympic Games, una preziosa antologia di pezzi rari per raccontare gli avvenimenti clou delle prime edizioni dei Giochi da Atene 1896 ad Amsterdam 1928.
Per Parigi 1900 e St. Louis 1904 ci sono le pellicole della Exposition Universale e della St. Louis world fair. Nel 1908 ai Giochi di Londra fu catturato su pellicola l'evento rimasto simbolo di quella edizione: le ultime fasi della maratona di Pietri, che divenne così la prima star olimpica dei media. Tuttavia la tecnologia dell'epoca non permetteva ancora di realizzare un documentario compiuto e si sarebbe dovuto attendere l'interessamento delle generazioni successive per la ricostruzione di quei Giochi. Nel 1984 il film TV Wildfire. The legend of Tom Longboat raccontò la vita di sportivo e di uomo dell'atleta canadese che fu coprotagonista con Pietri della massacrante maratona londinese.
Da Londra in poi la registrazione su pellicola dei Giochi fu legata allo sviluppo e ai progressi della stessa tecnica cinematografica. In un primo tempo l'uso di angoli fissi delle telecamere, l'impiego di lenti ad angolo ampio e la mancanza di movimenti di macchina comportavano una mancanza di dramma e di passione nelle riprese. Man mano che la tecnologia cominciò a evolvere, anche la qualità delle emozioni che le immagini erano in grado di suscitare crebbe di pari passo.
Il primo documentario filmato dei Giochi risale all'edizione di Stoccolma del 1912. Nel 1986, il regista Gardar Sahlberg assemblò Olympiska Spelen I Stockholm, prodotto dalla TV svedese con immagini di repertorio girate allora. Quei Giochi ebbero un grande protagonista in Jim Thorpe, che vinse nel pentathlon e nel decathlon (in quest'ultima specialità, con 700 punti di distacco dal secondo), ma che fu poi squalificato e privato delle sue medaglie perché accusato di professionismo. La sua vicenda fu interpretata nel 1951 da Burt Lancaster in Jim Thorpe. All American (Pelle di rame; USA, regia di Michael Curtiz), che segnò l'ingresso dello star system nel cinema olimpico.
Dal 1912 al 1924 i film sulle Olimpiadi rimasero un po' statici e molto affini a semplici documentari. Le opere di Jean de Rovera sui Giochi invernali di Chamonix (girato con le sovvenzioni della Federazione sport invernali francese e del Ministero per il Turismo di Parigi) e sui Giochi estivi di Parigi del 1924 crearono una nuova dimensione filmica, rendendo in modo esauriente l'evocazione del pathos suscitato dalle imprese del finlandese Paavo Nurmi (quattro medaglie d'oro nel mezzofondo e fondo) e dello scozzese Eric Liddell (record del mondo sui 400 m). Abbiamo a più riprese accennato che si ispira a Parigi 1924 il film Chariots of fire, uscito nel 1980 con la regia di Hugh Hudson e incentrato appunto sulle vicende di Abrahams e Liddell. I due atleti inglesi parteciparono alle Olimpiadi di Parigi 1924, rispettivamente nei 100 e nei 400 m, l'uno spinto dalla rivalsa contro il razzismo antisemita che lo circondava, l'altro dal desiderio di rendere gloria a Dio per il dono della velocità. Entrambi vinsero l'oro nelle rispettive gare e le loro ambizioni sociali furono soddisfatte. Il film, oltre alla storia principale, indaga anche il passaggio dallo sport dilettantistico al professionismo e il contrasto tra 'vecchio' e 'nuovo' nel mondo dello sport, in cui l'accelerazione è inarrestabile. Nel 1981 Chariots of fire vinse quattro Oscar: miglior film, miglior sceneggiatura originale, miglior colonna sonora (Vangelis) e migliori costumi (l'italiana Milena Canonero).
Nel 1928, oltre a Das weisse Stadion di Arnold Fanck e Othmar Gurtner, reportage ufficiale sulle Olimpiadi invernali di St. Moritz, promosso e finanziato dal pool degli albergatori di St. Moritz, dall'Organizzazione svizzera per il turismo e dal Comitato nazionale olimpico svizzero, uscì la commedia Olympic hero (USA) di Roy William Neill, con Charles Paddock, Julanne Johnston e Harvey Clark. Tuttavia né l'edizione dei Giochi di Amsterdam 1928, né ancor più sorprendentemente quella di Los Angeles 1932, tenuta nel nuovo Coliseum Stadium, in cui vennero abbattuti 16 record del mondo e stabiliti 33 nuovi record olimpici, furono testimoniate sul momento da una produzione filmica. Per l'edizione del 1928 fu, però, assemblato nel 1948 Olympic cavalcade, documentario storico sportivo montato con immagini di repertorio (USA, regia di Joseph Lerner).
In assenza di un film ufficiale, l'edizione del 1932 fu almeno in parte raccontata da due documentari, entrambi diretti da Ray McCarey: Olympic events, che narra la preparazione degli atleti a Los Angeles in vista dei Giochi, e Athletic daze, un'anteprima dei Giochi stessi. Inoltre il Comitato nazionale olimpico statunitense e il Comitato per la promozione della località di Lake Placid finanziarono nel 1932 la realizzazione del film ufficiale sui Giochi invernali: The third Olympic Winter Games. Sempre nello stesso anno Edward F. Cline girò per la Paramount un film ispirato alle Olimpiadi, Million dollar legs, con Jack Oakie, W.C. Fields, Andy Clyde, Lyda Roberti, una specie di favola ambientata a Klopstokia, un piccolo paese povero in cui tutti gli abitanti si dedicano allo sport: la loro partecipazione alle Olimpiadi di Los Angeles, con tutte le conseguenti vittorie, salverà il piccolo Stato dalla bancarotta. Un'interessante appendice delle Olimpiadi fu il passaggio al cinema di Johnny Weissmuller, che aveva vinto cinque medaglie nel nuoto tra il 1924 e il 1928: nel 1932 interpretò il primo film su Tarzan per la MGM e cominciò a costruire la sua leggenda nel cinema.
Si è sottolineato come il 1936 in un certo modo segnò una svolta nella produzione filmica di matrice olimpica. L'Organizzazione per il turismo e l'Organizzazione degli albergatori della Baviera finanziarono la realizzazione del film ufficiale dei Giochi invernali, Garmisch-Partenkirchen. Winter Games in the Bayern 1936; poi venne prodotto il documentario Berlin 1936: Games of the XI Olympiad. Ma, soprattutto, Leni Riefenstahl iniziò in quell'anno la realizzazione di Olympische Spiele 1936, diviso in due parti: Fest der Volker ("Festa dei Popoli") e Fest der Schönheit ("Festa di Bellezza"), note in Italia con i titoli di Olympia e Apoteosi di Olympia. Nonostante secondo molti critici dell'epoca facesse parte della propaganda del regime hitleriano, il film rimane un capolavoro del cinema moderno e uno dei più efficaci documentari sportivi mai prodotti, il migliore nel genere della filmografia olimpica, perfetta simbiosi tra estetica sportiva ed estetica cinematografica. La prima del film, destinato a esercitare una grande influenza su tutti coloro che in futuro avrebbero lavorato alla produzione di pellicole sui Giochi Olimpici, si tenne il 20 aprile 1938 presso il Palast am Zoo di Berlino: il materiale filmato (400.000 m di negativo, 40 operatori, postazioni su torrette, dirigibili, palloni frenati, cabine stagne nelle piscine) aveva richiesto due anni di montaggio, determinante per rendere l'idea della regista. Riefenstahl aveva steso una vera e propria sceneggiatura in cui, fin dal prologo, "il film doveva, dalle figure degli atleti antichi far sorgere quelle dei moderni": pur badando all'esattezza sportiva, si preoccupò quindi soprattutto "della bellezza e della grazia dei movimenti resi nelle immagini". Erano ripresi tutti gli sport che facevano parte del programma olimpico, comprese le gare i cui risultati erano dissonanti con le intenzioni propagandistiche del governo nazista, per es. dando il giusto risalto al duello tra il nero americano Jesse Owens e il tedesco Luz Long nel salto in lungo. Lo spirito olimpico, lo sforzo epico degli atleti di superare i propri limiti, furono così mostrati a un pubblico vastissimo, che non aveva mai avuto l'occasione di assistere all'avvenimento olimpico. Olympische Spiele 1936 si accattivò il consenso di milioni di persone e il successo fu tale che rimase nelle sale per più di diciotto mesi. Alla Mostra di Venezia 1938 vinse il Premio Mussolini.
Ai Giochi del 1936 si rifecero nei decenni successivi molti altri film. È del 1937 Charlie Chan at the Olympics di H. Bruce Humberstone (USA), in cui l'Olimpiade di Berlino fa da sfondo a un caso poliziesco dell'investigatore ideato da Earl Derr Biggers, all'epoca molto celebre (ben 45 film ispirati al personaggio furono girati tra il 1936 e il 1949): Charlie Chan, ispettore cinese in forza nella polizia di Honolulu, sulle tracce di un dispositivo elettronico rubato arriva a Berlino durante le Olimpiadi in compagnia del figlioletto e sventa le losche trame delle spie nemiche; il film mescola spezzoni di filmati olimpici alle avventure del detective. Champions never quit (1973) racconta la storia di Glenn Cunningham, il più veloce corridore americano degli anni Trenta, nonostante all'età di 7 anni fosse rimasto coinvolto in un pauroso incendio in seguito al quale aveva rischiato di perdere l'uso delle gambe; primatista mondiale nel 1934, a Berlino arrivò secondo nei 1500 m. Il grande attacco (Italia, 1978, regia di Umberto Lenzi) è un film di guerra ambientato durante le Olimpiadi di Berlino 1936 con un cast all star, che tra gli altri comprende Helmut Berger, Samantha Eggar, Edwige Fenech, Henry Fonda, Giuliano Gemma, John Huston e Ray Lovelock: durante un ricevimento numerosi capi militari di diverse nazionalità, molto amici tra loro, brindano alla pace, alla solidarietà e allo sport; durante la Seconda guerra mondiale ognuno di loro andrà incontro al suo destino, dimostrando quanto possano essere aleatori gli ideali individuali e l'amicizia rispetto alle logiche politiche di potere. Le Olimpiadi del 1936 costituiscono l'ambientazione anche di L'as des as (1982, coproduzione Francia-Germania Ovest, musiche di Vladimir Cosma), interpretato da Jean-Paul Belmondo, per la regia di Gérard Oury: durante la Prima guerra mondiale, Jo Cavalier e Gunther von Beckmann, due intrepidi aviatori, si inseguono in spericolati duelli sopra le trincee franco-tedesche; diventati ottimi amici dopo la guerra, si rincontrano durante le Olimpiadi di Berlino quando Cavalier, allenatore della squadra di boxe francese e intenzionato a farsi coinvolgere il meno possibile, decide invece di aiutare un bambino ebreo a ritrovare i suoi genitori arrestati dalla Gestapo, con l'aiuto di una compiacente giornalista e del suo vecchio amico divenuto un generale del Reich. Nel 1983 Die Olympiasiegerin (La vincitrice olimpica) di Herbert Achternbusch racconta i sogni olimpici della madre del regista stesso, in un'epoca in cui la Germania hitleriana coltivava il mito della razza ariana e concedeva emancipazione, non solo sportiva, alla donna nazista. Un anno più tardi il film TV The Jesse Owens story (USA, regia di Richard Irving) ripercorre quarant'anni di vita del campione ribattezzato 'l'antilope d'ebano', che batté quattro primati mondiali in un'ora e un quarto nel 1935 e trionfò a Berlino 1936, smontando le ipotesi razziste di Hitler sulla superiorità ariana. Infine nel 1991-92 Gordian Maugg girò Der Olympische Sommer (The Olympic Summer), che narra la storia di un giovane apprendista il quale, contagiato dalla febbre olimpica del 1936, abbandona il suo villaggio rurale per recarsi a Berlino e assistere ai Giochi; giunto nella capitale intraprende una storia d'amore con una vedova con cui vivrà un'estate stupenda sulle rive del lago.
Durante la Seconda guerra mondiale le Olimpiadi non si svolsero. Tuttavia, molti anni più tardi, vide la luce sullo schermo l'edizione di un'Olimpiade mai disputata. Olimpiada 40 (1980, Polonia, regia di Andrzej Kotkowski) racconta, con un'idea originale, la storia di un gruppo di internati che nel 1940 organizzano una piccola Olimpiade in un campo di concentramento. Li guida Piotr, che aveva partecipato ai Giochi di Berlino. Le gare sportive portano pian piano all'integrazione dei prigionieri nonostante l'opposizione di uno spietato tenente. Il soggetto di questo film ispirò l'anno successivo il più famoso Escape to victory (Fuga per la vittoria) di John Huston, con Pelé tra i protagonisti.
Nel 1942 una rivisitazione molto speciale delle discipline olimpiche si ha nel cartoon di Walt Disney The Olympic champ in cui Pippo si cimenta negli sport olimpici con risultati a dir poco dubbi.
Dopo l'interruzione subita per la Seconda guerra mondiale, The glory of sports (1948) di Castleton Knight, il film ufficiale sui Giochi di Londra, tornò al regime documentaristico, ma per la prima volta il grande evento sportivo venne ripreso a colori. Questo coinvolgente documentario inizia con una breve lezione di storia sui greci e le loro Olimpiadi antiche, per spostarsi a Londra per le Olimpiadi attuali, la maggior parte delle quali ambientate nel famoso stadio di Wembley. Abbondante la copertura filmica di tutti gli eventi ma, come solitamente avviene, lo spazio principale è riservato alla regina dei Giochi: l'atletica leggera e in particolare all'olandese Fanny Blankers Koen, trentenne e madre di due bambini, che vinse quattro ori in questo sport. Emil Zatopek vinse i 10.000 m, Bob Mathias divenne il più giovane vincitore di decathlon maschile a soli 17 anni, l'argentino Delfo Cabrera vinse la maratona, la prima in assoluto a cui partecipava. Seguendo tecniche e sequenze del suo più illustre antenato (Olympia), anche questo film olimpico salta continuamente dalla pista alla tribuna, dove gli spettatori vivono la loro Olimpiade con la stessa intensità degli atleti. Il documentario include anche le riprese di Torgny Wickman sui Giochi invernali di St. Moritz, Olympic Games in white (V Olympische Winterspiele 1948), realizzato a cura del Comitato olimpico internazionale e del Comitato nazionale olimpico svizzero. Un altro documentario storico sportivo sui Giochi di Londra, montato con immagini di repertorio, vide la luce molti anni più tardi: si tratta di Games of '48, diretto nel 1989 da John D. Taylor per conto del British film institute.
Il reportage ufficiale dei Giochi di Helsinki Olympia '52 (Francia, regia di Chris Marker) introdusse un'innovazione, consistente nel fatto che il regista non ritraeva soltanto le gare, ma anche gli atleti mentre si allenavano, si preparavano alla gara o nei momenti di relax, dando così alla sua opera un carattere molto più umano e molto meno eroico rispetto a opere precedenti. Altri due documentari testimoniano quell'edizione dei Giochi: Olympiade Helsinki (Cecoslovacchia, regia di Cenek Duba) e Maailmat kohtaavat. XV Olympiakisat Helsingissä 1952 (Finlandia, regia e sceneggiatura di Hanno Leminen). Il film documentario ufficiale dei Giochi invernali dello stesso anno è invece VI zimne Olympijske Hry Oslo di Cenek Duba (Cecoslovacchia). I successi dell'italiano Zeno Colò in quei Giochi sono narrati in I VI Giochi Olimpici invernali di Mario Serra.
Nel 1954 Francis D. Lyon girò The Bob Mathias story, la biografia del campione che vinse due medaglie nel decathlon nelle prime due edizioni del dopoguerra (Londra 1948 e Helsinki 1952) e si ritirò a soli 22 anni. Il film è interpretato dallo stesso Bob Mathias.
Il reportage ufficiale sulle Olimpiadi di Melbourne del 1956 è Melbourne Olympiad di Ian K. Barnes (1957), un'opera non particolarmente rilevante. Questa edizione, la prima tenuta nell'emisfero australe, viene ricordata come i 'Giochi dell'Amicizia', nonostante la situazione politica internazionale (l'Unione Sovietica aveva invaso l'Ungheria, la Francia e l'Inghilterra erano intervenute nel canale di Suez e la Cina si era ritirata a seguito dell'inclusione di Taiwan tra i paesi partecipanti). Infatti, a seguito della proposta avanzata dall'australiano diciassettenne John Ian Wing al Comitato organizzatore, la cerimonia di chiusura vide gli atleti marciare tutti insieme anziché sotto le rispettive bandiere, cosa che in seguito divenne una tradizione. Il lato oscuro di questa Olimpiade fu mostrato molti anni dopo (nel 2000) da Fabrizio Berruti e Maurizio Carta, con il documentario Palombella rossa che ricostruisce la semifinale Ungheria-Unione Sovietica del 6 dicembre 1956, definita "l'incontro più famoso della storia della pallanuoto". Grandi favoriti per la vittoria finale, gli ungheresi trasformarono la partita in una continua zuffa: il sangue delle ferite tinse di rosso l'acqua della piscina. Il documentario si avvale delle testimonianze di cinque giocatori della nazionale ungherese e di uno della rappresentativa sovietica.
Un altro documentario su questa edizione dei Giochi è Rendez-vous à Melbourne del regista francese René Lucot (1956). Nell'ambito della fiction si situa invece Wee Geordie di Frank Launder (Inghilterra, 1956), che narra la vicenda immaginaria di un giovane scozzese molto gracile, il quale si allena per anni seguendo un corso di irrobustimento muscolare per corrispondenza, fino ad arrivare a rappresentare la Gran Bretagna nel lancio del martello alle Olimpiadi di Melbourne. La storia d'amore parallela a quella sportiva è di rito.
Vertigine bianca di Giorgio Ferroni (produzione Istituto Luce) è la cronaca agonistica dei Giochi invernali di Cortina d'Ampezzo 1956. Traguardi di gloria (1957) di Tanio Boccia, invece non si riferisce immediatamente a quella edizione, ma è un'antologia di montaggio sugli avvenimenti sportivi della prima metà del secolo, con ampio spazio dedicato alle imprese olimpiche degli atleti italiani.
Nel 1960 Jozsef Csoke (Ungheria) realizzò A diadalmas Olimpia (Le Olimpiadi trionfali), un lungometraggio dedicato alla storia dei Giochi Olimpici. In passato Csoke aveva filmato numerosi cortometraggi legati allo sport: ritratti di grandi campioni, profili di particolari discipline, indagini tecniche sull'impegno legato a determinati sport. Il film ufficiale dei Giochi invernali 1960 è invece il mediometraggio Squaw Valley (Victoire à Squaw Valley) di Jacques Ertaud (Cinecim-Francia).
La grande Olimpiade di Romolo Marcellini (1961) è il film ufficiale dell'Olimpiade di Roma del 1960, prodotto dall'Istituto Luce su commissione del CONI. Il film richiese due anni di preparazione e introdusse molte innovazioni dal punto di vista tecnico delle riprese. Seguendo il precedente di Leni Riefenstahl, Marcellini si basò su una vera e propria sceneggiatura e, partendo dalla cerimonia dell'accensione della fiaccola olimpica, ricostruì fedelmente la cronaca delle varie manifestazioni e delle gare svoltesi nei diversi stadi, piscine, pedane e piste, predisposte nei vari luoghi della città. Il risultato finale è un ottimo equilibrio tra l'aspetto atletico dei Giochi e la descrizione dei campioni nella loro umanità. Da ricordare le imprese di Abebe Bikila, che vinse la maratona correndo scalzo, la vittoria di Livio Berruti sui 200 m piani e quelle di Wilma Rudolph, che vinse tre medaglie consecutive nell'atletica. Le vicende di Rudolph, beniamina del pubblico di tutto il mondo anche per aver sconfitto la poliomielite, ispirarono, a distanza di più di quindici anni, Wilma, scritto, diretto e prodotto da Bud Greenspan (1977). Il film ripercorre la storia della giovane atleta dall'infanzia alla scoperta della malattia, al faticoso recupero, fino ai grandi successi olimpici.
I Giochi del 1960 furono rievocati dieci anni più tardi in The games (I formidabili), prodotto negli Stati Uniti per la regia di Michael Winner. Il film presenta le vite in parallelo di quattro atleti, in quattro parti del mondo, che si allenano per le Olimpiadi di Roma con motivazioni completamente opposte: l'inglese Hayes, guidato da un ex podista costretto al ritiro a causa di un incidente, ha interiorizzato gli stimoli di rivincita del suo allenatore; Vandek, campione cecoslovacco già quarantenne, è spinto da ragioni di prestigio nazionalistico; Scott, ambizioso e bramoso di successi, ricorre all'aiuto di sostanze dopanti; l'aborigeno australiano Pintubi, il più umile e il solo a credere nel dettato decoubertiniano, è l'unico a correre per il piacere di gareggiare onestamente ed è infine quello premiato dalla vittoria. Nel film, tratto dal romanzo di Hugh Atkinson, recita anche Charles Aznavour; tra gli autori delle musiche figura Elton John.
Ancora sui Giochi romani è da ricordare il film Le Olimpiadi dei mariti di Giorgio Bianchi, una commedia all'italiana con Ugo Tognazzi e Raimondo Vinello affiancati da un cast di prim'ordine (vi recitano anche Sandra Mondaini, Ernesto Calindri e Gino Cervi). È la storia di due giornalisti che dopo aver abbordato due turiste tedesche in viaggio a Roma in occasione delle Olimpiadi, per trovare una scusa di fronte alle mogli, raccontano di essere in possesso delle prove che Hitler sia ancora vivo e vengono alla fine uccisi per mano dello stesso Hitler.
O necem jinem, del 1963 (Qualcosa d'altro) di Vera Chytilovà racconta due storie parallele: quella della campionessa cecoslovacca di ginnastica Eva Bosakova, che si distinse all'Olimpiade di Roma, e quella di Vera, una casalinga in crisi, vittime entrambe di un'esistenza sempre uguale e alla ricerca di nuovi stimoli.
Il film ufficiale dei Giochi invernali di Innsbruck del 1964 è un lungometraggio, in seguito presentato con successo al Festival di Berlino, prodotto dal Comitato nazionale olimpico austriaco e diretto da Theo Hörmann: Olympische Winterspiel Innsbruck.
Una delle opere più grandiose sulle Olimpiadi è il film ufficiale sull'edizione del 1964, Tokyo Orimpikku (uscito nel 1965) di Kon Ichikawa, regista giapponese, che aveva raggiunto la grande popolarità in occidente con il film L'arpa birmana (1956). In tutto l'arco della sua produzione Ichikawa frequentò con successo generi diversi, dal cinema di animazione (nel 1968 realizzò Topo Gigio e la guerra missile, concepito con Maria Perego, la creatrice del topo popolarissimo in Italia e in Giappone) alla satira, agli adattamenti di opere letterarie. Il film olimpico, preceduto da una sceneggiatura molto accurata e risoltosi in 400.000 m di girato a colori, più 14.000 in bianco e nero per 170 minuti di lunghezza (nella versione originale, ridotti a 93 in quella americana), vide il coinvolgimento di cinque direttori della fotografia, un centinaio di operatori, macchine da presa montate su elicotteri, piattaforme mobili con speciali teleobiettivi. Anche se il regista non amava lo sport e non ne aveva mai praticato alcuno, il risultato fu un vero e proprio poema sulle Olimpiadi, teso a glorificare tutti gli atleti senza distinzioni, per cogliere l'aspetto umano dei Giochi, evitando sia l'obiettività asettica di un reportage televisivo sia la deificazione dei superuomini di Leni Riefenstahl, prestando uguale attenzione ai vincitori e ai vinti. Ichikawa nel presentare il suo film sui Giochi di Tokyo si espresse con le parole seguenti: "Ho cercato di catturare la solennità del movimento, quando l'uomo sconfigge i suoi limiti, ed esprimere la solitudine dell'uomo, che per avere successo combatte contro se stesso. Ho cercato di penetrare la natura umana non attraverso la finzione ma nella verità dei Giochi". Il testo e commento nella versione italiana è del più famoso telecronista di calcio, Nando Martellini.
Le vittorie della squadra ungherese all'Olimpiade di Tokyo sono descritte in Tiz aranye rem ("Dieci medaglie d'oro") di Jozsef Csoke. La campionessa dei 100 m di stile libero, già dominatrice a Melbourne e Roma, l'australiana Dawn Fraser, soprannominata 'il pesce umano', nel 1979 diventò protagonista del film Dawn! (Australia, regia di Ken Hannan), incentrato sulle difficoltà che incontrò a causa del suo forte spirito di indipendenza e anticonformismo nell'ambiente conservatore che caratterizzava il mondo dello sport internazionale dell'epoca.
Pravo no Pryzok (Il diritto al salto) di Valerij Chremnev (1971) narra la storia di Valery Brumel, atleta sovietico vincitore a quota 2,18 m della gara di salto in alto, la cui carriera fu spezzata l'anno successivo all'Olimpiade da un grave incidente in motocicletta. Nel film Brumel, dopo tre anni di ospedale e 37 interventi torna ad allenarsi e a gareggiare all'Olimpiade del 1968; nella realtà non riuscì mai a tornare ai livelli di prima. Running brave, uscito nel 1983 per la regia di D.S. Everett e Donald Shebib, racconta invece le imprese sportive di Billy Mills, pellerossa sioux che a sorpresa a Tokyo batté il superfavorito Ron Clarke nei 10.000 m, nonostante l'allenamento fosse stato oltremodo difficile a causa del razzismo nei suoi confronti e del burbero allenatore. Una versione di questo film, edita da Running strong for American indian youth, include la sequenza filmata dell'intera corsa vinta da Mills.
Walk, don't run (Cammina, non correre), uscito negli Stati Uniti nel 1966 per la regia di Charles Walters è un rifacimento di una commedia del 1942, The more, the merrier (Molta brigata vita beata), trasposta a Tokyo durante le Olimpiadi: un ricco lord londinese (Cary Grant alla sua ultima apparizione) e un atleta americano (Jim Hutton), per circostanze fortuite si sistemano nell'appartamento di una ragazza (Samantha Eggar). Grazie alle sapienti mosse del lord, tra i due giovani nascerà l'amore.
I Giochi invernali di Grenoble 1968 sono testimoniati da un lungometraggio documentaristico, da un vero e proprio film ufficiale, da una storia romanzata e da un film di ispirazione biografica. Il primo è Treize jours en France (Challenge in the snow) di Claude Lelouch e François Reichenbach, che vede i Giochi da una prospettiva abbastanza informale e giocosa, abbinata a una tecnica perfetta. Il film ufficiale dei Giochi è Les neiges de Grenoble di Jacques Ertaud e Jean-Jacques Languepin. The downhill racer (Gli spericolati) di Michael Ritchie con Robert Redford e Gene Hackman (1969) racconta invece le vicende del giovane David Chappellet, destinato a vincere le Olimpiadi invernali; ma la rivalità con un altro favorito americano e una delusione d'amore lo portano prima a un passo dalla sconfitta e poi all'imprevista, amara vittoria finale. Infine, nel 1973 Leonid Martyniuk girò Bolshoj tramplin (Il grande trampolino), un film per ragazzi ispirato all'infanzia dello sciatore Vladimir Belousov, prima medaglia d'oro sovietica nella specialità del salto dal trampolino.
L'Olimpiade di Città del Messico del 1968 fu documentata da Olimpiada en México (1969) di Alberto Isaac attraverso un uso virtuoso delle riprese, che riuscirono a cogliere momenti molto spettacolari, come le manifestazioni di grande entusiasmo per le vittorie, e a catturare i momenti salienti delle gare, poi montati insieme in un efficace continuum. Il film fu candidato all'Oscar nel 1969 nella categoria 'miglior documentario' ma il governo messicano, sponsor della pellicola, non ne fu totalmente soddisfatto per l'eccessivo spazio concesso per la prima volta nelle cronache ai perdenti (filmando l'arrivo dell'ultimo atleta della maratona, in realtà, Isaac aveva cercato di essere più fedele possibile allo spirito decoubertiniano). Il governo comunque non permise al regista di inserire nel film il riferimento alla repressione delle rivolte giovanili che precedette l'apertura dei Giochi. Gli stessi Giochi trovarono un'altra testimonianza nel cortometraggio (di appena 10 minuti) En vísperas de la Olimpiada-México '68 (Spagna; regia, fotografia e sceneggiatura di Julio Coll).
Olympia-Olympia, girato da Jochen Bauer nel 1972 e presentato al Festival di Berlino, racconta in maniera lineare la storia delle Olimpiadi con il loro progressivo ingigantirsi, l'evoluzione di alcune discipline, l'ingresso di elementi estranei all'ideale olimpico quali l'industria, la politica e gli affari, narrando con precisione il percorso che ha portato i Giochi a diventare sempre più una festa televisiva. Nello stesso anno Les fous du stade (5 matti allo stadio), uscito in Francia per la regia di Claude Zidi, è un film comico sulle rocambolesche avventure di un gruppetto di giovanotti in un paesino dove si preparano festeggiamenti per il passaggio della fiaccola olimpica, tra inseguimenti della bella di turno e medaglie d'oro vinte per caso in gloria della Francia.
Nel 1973 uscì Sapporo Orimpikku (Giochi invernali di Sapporo) di Masahiro Shinoda, prodotto dall'Associazione giapponese dei produttori di film di attualità, sull'undicesima Olimpiade invernale, disputata nel febbraio 1972 in Giappone. Il film, di 105 minuti, unisce la descrizione delle varie gare a un suggestivo dialogo sul rapporto tra uomo e natura, esaminando il contrasto tra la soggezione dell'uomo davanti alla potenza della natura incontaminata e la sua aspirazione a dominarla.
Visions of eight (Quello che l'occhio non vede), uscito in realtà nel 1973, raccoglie le impressioni sui Giochi di Monaco 1972 di otto grandi registi di tutto il mondo, ognuno impegnato in un argomento specifico. La particolarità della presentazione è spiegata nella prefazione del film con un efficace paragone: "I girasoli sono conosciuti da milioni di persone, ma nessuno li ha mai visti come Van Gogh". Così, in questo racconto dei Giochi Olimpici, spettacolo ricorrente e familiare a milioni di persone nel mondo, l'interpretazione è atipica: non c'è un'analisi dei record, né un indice di vincitori e vinti, bensì una composita visione d'autore, quasi un mosaico composto di otto tessere, ognuna delle quali vuole cogliere l'unicità di un dato aspetto dei Giochi. Il sovietico Jurij Ozerov (The beginning) descrive l'ansia prima della partenza, la svedese Mai Zetterling (The strongest) il sollevamento pesi, l'americano Arthur Penn (The highest) il salto con l'asta, il tedesco Michael Pfleghar (The women) l'ambiente delle atlete, il giapponese Kon Ichikawa (The fastest) i 100 m, il francese Claude Lelouch (The losers) le delusioni e i pianti dei perdenti John Schlesinger (The longest) la maratona del britannico Ron Hill, il ceco Milos Forman (The decathlon) le prove del decathlon accompagnate da inconsueti accostamenti musicali e visivi.
L'episodio più clamoroso dei Giochi di Monaco fu argomento nel 1976 di 21 hours at Munich, tratto dal romanzo The blood of Israel di Serge Groussard e realizzato da William A. Graham: il film descrive l'assalto degli otto terroristi arabi che, penetrati nel villaggio olimpico, sequestrarono nove atleti israeliani e i loro tecnici per ottenere la liberazione di 236 arabi reclusi in Israele. L'operazione finì con una strage in cui tutti gli ostaggi persero la vita. Nel film, di produzione americana, compare tra gli altri Franco Nero.
Kuldetes ("Ritratto di un campione"), uscito in Ungheria nel 1977 per la regia di Ferenc Kosa, è ispirato alla vita del campione ungherese di pentathlon, András Balczó, vincitore dell'oro a Monaco 1972. Spezzoni di interviste con il campione si succedono per tutta la durata del film.
La vita di Steve Prefontaine, il velocissimo corridore scomparso nel 1975 a soli 24 anni dopo aver partecipato ai Giochi di Monaco e aver battuto 14 record USA nella sua breve carriera, è stata oggetto di tre film a distanza ravvicinata: nel 1995 Fire on the track: the Steve Prefontaine story, sponsorizzato dalla Nike e diretto da Erich Lyttle, nel 1997 Prefontaine di Steve James con Jared Leto, e nel 1998 Without limits (No limits), prodotto da Tom Cruise, con Donald Sutherland e Billy Crudup, per la regia di Robert Towne.
Rispettivamente nel 1974 e nel 1975 uscirono due altri film legati alle tematiche olimpiche: The winner (1974, Sud Africa, regia di Emil Nofal) e The other side of the mountain (Una finestra sul cielo, 1975, USA, regia di Larry Peerce). Il primo racconta la storia di un ex campione olimpico che cerca di spingere i propri figli a eguagliare i suoi trascorsi successi, enfatizzando la vittoria sopra ogni altra cosa; durante una corsa automobilistica uno dei due ragazzi muore in un incidente, l'altro rimane gravemente ferito e la famiglia si rivolta contro il padre; nella scena clou il padre sfida il figlio nella corsa e viene sconfitto. The other side of the mountain si ispira alla vita di Jill Kinmont, una giovane promessa dello sci americano degli anni Cinquanta, probabile olimpionica, che all'età di 18 anni durante un campionato del mondo ebbe un terribile incidente per il quale finì sulla sedia a rotelle.
Jean-Claude Labrecque con Jean Beaudin, George Dufaux e Marcel Carrière realizzarono il film ufficiale sui Giochi di Montreal del 1976: Jeux de la XXIème Olimpiade in Montréal, che oltre alle gare e ai risultati esamina le vittorie e le sconfitte (tra cui è da annoverare il fatto che il Canada divenne il primo paese ospitante a non vincere neanche una medaglia d'oro), le incertezze, le emozioni, valorizzando anche i comprimari e le comparse e non soltanto i grandi campioni. Grande risalto viene dato alla prestazione degli atleti americani nel nuoto, che prevalsero in dodici specialità su tredici; il tredicesimo vincitore fu David Wilkie, primo inglese a conquistare un oro nel nuoto dal 1908. Invece nulla appare, nel film, del boicottaggio e delle spaccature che contraddistinsero questa edizione dei Giochi, alla quale non parteciparono oltre 30 nazioni africane, oltre a Iraq e Guyana, per protestare contro la presenza della Nuova Zelanda, rea di aver avuto rapporti sportivi con il Sudafrica dell'apartheid. A Montreal Nadia Comaneci vinse tre ori, un argento e un bronzo, conseguendo per la prima volta nella storia della ginnastica il punteggio di 10.00, fino ad allora mai assegnato. Alla ginnasta rumena fu dedicato nel 1984 Nadia (USA/Iugoslavia, regia di Alan Cooke), un film piuttosto contrastato sulla sua carriera agonistica, a partire dalla sua infanzia (quando fu scoperta da Bela Karolyi) fino agli ori olimpici.
Olympic symphony, di Tony Maylam, realizzato dopo i Giochi estivi di Montreal del 1976 (Canada, Office national du film du Canada) e uscito l'anno successivo, è dedicato a tutti gli atleti dei Giochi estivi e invernali svoltisi quell'anno, di cui vengono mostrati l'energia, il coraggio, l'impegno, l'arte nel muoversi e la bellezza del gesto atletico. È inoltre da segnalare il documentario Summer Olympic Games Montreal 1976, realizzato a cura del Comitato nazionale olimpico statunitense: 83 minuti divisi in tre parti: Best of the best, The swift, the strong, the beautiful e Higher, faster and stronger.
Nel 1979 Running (Il vincitore) di Steven Hilliard Stern, con Michael Douglas, Lawrence Dane e Charles Shamata, racconta la storia di un uomo che coltiva il sogno di correre la maratona alle Olimpiadi di Montreal 1976 e a tale ideale sacrifica tutto; vi riesce, infortunandosi però quando è ormai in vista del traguardo, e questo sarà forse il modo per riprendere in mano la propria vita.
Il film ufficiale dei Giochi invernali di Innsbruck è Olympia '76. Olympische Winterspiele in Tirol di Alfons Benesch, prodotto dalle Associazioni private per il turismo. Anche White rock di Tony Maylam e Michael Samuelson, con James Coburn in veste di narratore, racconta i Giochi invernali di Innsbruck; è un prodotto mediocre, ma è il primo film olimpico in cui viene utilizzato il sistema stereofonico per la resa sonora.
Uscì nel 1978 International Velvet (Una corsa sul prato) di Bryan Forbes, il seguito di National Velvet del 1944, in cui la dodicenne Liz Taylor vinceva il Grand National Steeplechase senza alcuna esperienza, cavalcando un cavallo anch'esso non esperto. Nel film del 1978 sua nipote, interpretata da Tatum O' Neal, per una serie di eventi viene iscritta come membro di riserva nella squadra americana di ippica per le Olimpiadi. Le circostanze portano la giovanissima amazzone a scendere in campo sin dalla prima giornata di gare e alla fine è proprio lei a guadagnare la medaglia per tutta la squadra.
In questo stesso anno Ice castles di Donald Wrye descrive la sofferta vicenda di Lexie Winston, una pattinatrice americana che sogna di rappresentare gli USA alle Olimpiadi 1980 e vincere la medaglia d'oro. Superati due ostacoli in apparenza insuperabili (il rifiuto del padre e la necessità di essere presa in squadra nonostante l'età superiore a quella d'uso), la ragazza viene notata da una delle migliori allenatrici americane, che la addestra severamente e meticolosamente. Vince le qualificazioni, ma nello stesso giorno del suo primo trionfo, delusa nella sua nascente storia d'amore con un coetaneo, si abbandona a una corsa solitaria e sfrenata e ha un incidente che la lascia menomata nella vista. Il suo ex ragazzo, coadiuvato dal padre e dalla allenatrice, la rimettono in pista e, nonostante sia quasi cieca, la giovane riprende a pattinare sino a riconquistare l'ammirazione delle folle.
Altro film sulla 'preparazione' olimpica è The Jericho mile di Michael Mann (1979), la storia di un uomo imprigionato per parricidio, le cui doti di velocista lo portano a un passo dall'essere ammesso a far parte della squadra americana. Escluso dalla rappresentativa per non essersi dichiarato pentito, il giovane batte il tempo del vincitore correndo da solo intorno alla prigione, mentre i detenuti ascoltano alla radio la cronaca della finale.
Sport superstar (1978) di Vittorio Sala è un'indagine sui cambiamenti avvenuti nell'ambiente agonistico, dalla partecipazione della folla e del tifo, alle conquiste della tecnica, ai rapporti tra l'atleta e la società, all'evoluzione delle metodologie di allenamento, ai contributi di scienza e tecnologia ecc.
I Giochi invernali di Lake Placid sono documentati in Winter Olympics '80: the world comes to America, mentre il film ufficiale Lake Placid 1980. XIII Winter Olympic Games è stato prodotto dal Comitato organizzatore e diretto da Jean-Claude Killy. Nello stesso anno Patrick Segal girò La nuit ensoleillée sulle Paraolimpiadi di Arnhem, che senza falsi pietismi mostra le performance dei partecipanti, visti come atleti e non in quanto persone disabili. Miracle on ice (USA, regia di Steven Hilliard Stern) racconta la selezione del team di hockey sul ghiaccio, che dovrà rappresentare gli USA ai Giochi invernali di Lake Placid del 1980. Contro ogni previsione e, nonostante i problemi iniziali di affiatamento, la squadra batte tutti i quotatissimi avversari.
O sport, ty mir (O sport, tu sei la pace) di Jurij Ozerov è il film ufficiale delle Olimpiadi di Mosca, uscito nel 1981. Il titolo è tratto da una frase di de Coubertin, e il film, più che una rassegna di gare, cerca di riprodurne lo spirito. Ozerov vede l'appuntamento di Mosca unicamente come una manifestazione mondiale di pace e fraternità. Senza accennare al boicottaggio di USA, Germania Federale, Giappone e altri paesi, lo sport olimpico viene rappresentato come fenomeno culturale, mettendo in evidenza ciò che la televisione aveva fatto passare in secondo piano: sole, folle di spettatori, sorrisi, bandiere nazionali, famiglie, gruppi di atleti affiatati, gli impianti sportivi, l'ottimo livello tecnico e organizzativo, le iniziative culturali parallele ai Giochi, eccetera. Le gare sono raggruppate secondo il motto olimpico: Citius, altius, fortius, sistemando così razionalmente il materiale filmico. Alcuni disegni animati riportano lo spettatore ai tempi della Grecia delle Olimpiadi Antiche e sottolineano il ruolo della cultura fisica nella storia della civiltà. Il film è completato da due cortometraggi, La festa olimpica e Addio Olimpiade!, sulle cerimonie di apertura e chiusura, e da altri 22 cortometraggi prodotti dallo Studio Centrale di Mosca che abbracciano altrettante discipline olimpiche. Nel frattempo, grazie alla televisione, circa 2 miliardi di persone avevano seguito i reportage televisivi sui Giochi di Mosca.
Even Russian soil tastes sweet di Gabrielle Bown (coproduzione British film institute/ Royal college of art) nacque come tesi di laurea di una giovane londinese che, con una mini-troupe e mezzi limitati, raccolse una quantità di materiale durante i Giochi di Mosca. Il film vuole dimostrare in chiave ironica e dissacrante come media, politica e sport siano in realtà molto poco indipendenti l'uno dall'altro, nonostante gli sforzi per salvare l'apparenza.
Ai protagonisti, veri o immaginari dei Giochi di Mosca, furono dedicati, come al solito, vari film. Nel 1980 uscì Goldengirl di Joseph Sargent, che racconta la storia di una giovane americana adottata da un ex scienziato nazista, il quale da anni le somministra ormoni per farne una macchina da vittoria. A Mosca la ragazza conquista le medaglie nei 100 e 200 m, ma per i 400 m, sull'onda del nascente affetto per il protagonista maschile, interpretato da James Coburn, si affida solo alle proprie forze. Il film è ispirato al libro omonimo di Peter Lear e vede la partecipazione nel cast di Leslie Caron. Put K Medaliam ("La via delle medaglie") di Dzunia Sato e Nikita Orlov si ispira alla rivalità tra le due più forti squadre del mondo della pallavolo femminile, la giapponese e la russa, che si affrontarono per ben quattro volte nella finale olimpica (Tokyo, Città del Messico, Monaco e Montreal), per raccontare la storia di un gruppo di ragazze impegnate nelle selezioni delle rispettive rappresentative in occasione dei Giochi di Mosca. An Olympic love story (USA, regia di Richard Sarafian) è un film TV sulla storia d'amore tra Wayne Robinson, campione americano di decathlon, e la ginnasta russa Anja, che si promettono di rincontrarsi alle Olimpiadi di Mosca, ma non potranno mantenere fede alla promessa a causa del boicottaggio americano. Personal best (Due donne in gara; 1982) di Robert Towne narra il rapporto d'amicizia, sport, e infine anche amore, tra due atlete di pentathlon, nel periodo tra i Giochi del 1976 e quelli del 1980. Vi compaiono, tra gli altri, i campioni olimpici Patrice Donnely (coprotagonista insieme a Mariel Hemingway), Kenny Moore, Frank Shorter ed Edwin Moses.
Animalympics (Le Olimpiadi della giungla, 1980) di Steven Lisberger è un lungometraggio animato concepito come una parafrasi dei Giochi del regno dei cartoons, anch'essi dominati dalle sponsorizzazioni, dai media, dalla pubblicità. La versione originale americana del film annovera tra i doppiatori il comico Billy Crystal.
The Olympian way (1981) è un film TV in 6 episodi da 50 minuti, che ripercorre i momenti salienti del cammino di alcuni atleti verso il sogno olimpico. Nello stesso anno il cecoslovacco Fenix (regia di Dusan Trancik) racconta la storia di una lanciatrice di disco di alto livello, combattuta tra il desiderio di vivere la maternità e quello di perseguire il sogno della partecipazione ai Giochi Olimpici.
16 Days of glory di Bud Greenspan è il documentario ufficiale sulle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, raccontate attraverso la vita dei partecipanti, con le parole di David Perry e la voce di Placido Domingo. Nei 145 minuti del film il regista utilizza molto materiale già passato in TV (2 miliardi e mezzo di spettatori l'oceanica audience televisiva di questa edizione dei Giochi), adattandolo al formato cinematografico. Puntando sui 6797 atleti presenti, privilegia una narrazione aneddotica ed emotiva, volta a dare un'immagine di grande positività e fiducia nella classica ideologia americana un po' patriottica. Fra gli episodi clou la drammatica fuga finale dei 3000 m, quando la beniamina del pubblico, la statunitense Mary Deker, favorita per il successo, urtandosi con la britannica Zola Budd finì fuori gara tra le lacrime degli 80.000 spettatori del Colyseum.
Etot Sil'ny Slaby Pol (Questo forte sesso debole) di Dimitri Polonski ricostruisce la storia dello sport femminile (soprattutto sovietico), utilizzando vecchi brani di cineattualità, sequenze girate rifacendosi all'epoca del cinema muto, cartoni animati e riprese attuali di allenamenti e gare. La narrazione è accompagnata da una sottile ironia nei confronti della mentalità conservatrice e ipocrita degli uomini, che a lungo hanno sottovalutato le possibilità di resa sportiva delle donne, precludendo loro alcuni sport come la maratona e il ciclismo. Sempre su una problematica femminile si sofferma Dying to be perfect: the Ellen Hart Peña story, diretto da Jan Egleson nel 1996, che narra la battaglia di una maratoneta olimpica nel 1984 contro l'anoressia e la bulimia e la sua lotta per la guarigione.
Nel 1985 fu completato il film ufficiale dei Giochi invernali di Sarajevo 1984: Frozen in time di Greg Bonann e Gay Hennessy (che ne erano anche i produttori esecutivi), ripetutamente premiato nei festival americani.
Il film ufficiale dei Giochi estivi di Seul 1988 è Olympic highlight. Ai Giochi parteciparono 159 nazioni con 8465 atleti. Tra gli sport venne reintrodotto il tennis e presentati come sport dimostrativi il taekwondo e il judo femminile. Dominatrici furono le americane Florence Griffith Joyner (vincitrice dei 100 e 200 m) e sua cognata Jackie Joyner-Kersee (eptathlon e salto in lungo). Tra i protagonisti di quei Giochi vi fu il marocchino Saïd Aouita, che vinse il bronzo negli 800 m dopo l'oro nei 5000 m del 1984. La sua storia è narrata in Arabian knight: The story of Saïd Aouita, scritto e diretto da Pat Butcher. Nel 1988 l'atleta deteneva il record del mondo in cinque specialità: 1500 m, 2000 m, 3000 m, 5000 m e 2 miglia.
Il documento ufficiale dell'edizione invernale disputatasi a Calgary è Jeux d'hiver au Canada, realizzato dal Comitato nazionale olimpico canadese, dal Comitato olimpico internazionale e dalla Televisione canadese, per la regia di Jean-Claude Labrecque. La stessa edizione in chiave comica è presentata in Cool runnings (Quattro gradi sotto zero), uscito nel 1993 negli USA per la regia di Jon Turteltaub: racconta la trasferta ai Giochi invernali della squadra di bob a quattro della Giamaica. Fra una risata e l'altra, buona volontà, passione e purezza fanno di questo film ‒ tratto da una vicenda reale ‒ un'opera molto godibile.
Sempre nel 1988 l'avventurosa vita di Avery Brundage, per vent'anni (1952-1972) presidente e padre-padrone del CIO, fu narrata dal regista Lee Philips in The king of the Olympics (Il re delle Olimpiadi).
Il film ufficiale dei Giochi di Albertville 1992 è Les jeux d'hiver sont faits di Gérard Oury. Un secondo documentario concentra l'attenzione soltanto sulle competizioni olimpiche di pattinaggio su ghiaccio offrendone un resoconto dettagliato: si tratta di 1992 Winter Olympics figure skating (USA, 1994, regia di Robert A. Fishman). Documentari con lo stesso titolo furono poi realizzati da Fishman nel 1994 per Lillehammer e nel 1998 per Nagano.
Arriviamo così alla Olimpiade di Barcellona 1992. Il film ufficiale è Maratón di Carlos Saura, con la sceneggiatura di Hugh Hudson. Saura, vincitore dell'Orso d'argento a Berlino nel 1966 per La caccia e internazionalmente noto per gli originali tentativi di riproporre in forma filmica il flamenco, il tango, la danza e l'opera lirica, ricorre anche in questo film a un'interpretazione allegorica dell'evento reale. L'ultimo evento dei Giochi, la maratona, è usato come filo conduttore per passare da uno sport all'altro e offrire una panoramica degli oltre 9000 atleti che ‒ provenienti da 169 nazioni e suddivisi in 28 discipline ‒ parteciparono ai Giochi spagnoli aggiudicandosi 259 medaglie. De la oscuridad a la luz di Jorge Molina è il film ufficiale della IX edizione delle Paraolimpiadi 1992.
I migliori atleti americani che abbiano partecipato alle Olimpiadi, dai 14 del 1896 agli oltre 600 del 1992, sono ritratti in America's greatest Olympians, una compilation video di 94 minuti, scritta, prodotto e diretta da Bud Greenspan nel 1996. Tra le protagoniste del video Betty Robinson, la prima donna a vincere una medaglia d'oro nei 100 m nel 1928 ad Amsterdam, a soli 16 anni: coinvolta in un incidente aereo nel 1931, riuscì a recuperare e vincere nuovamente nella staffetta nel 1936.
Il film ufficiale dei Giochi di Atlanta 1996 è Atlanta's Olympic glory di Bud Greenspan (USA, 1997): tre ore di pellicola per offrire i momenti migliori del Giochi del Centenario con alcune emozioni irripetibili, come la prima medaglia mai vinta dal Sudafrica (Josia Thugwane, maratona), e la prima mai vinta dalla Siria (da Gadha Shoua, nell'eptathlon), la doppietta di Michael Johnson (200 e 400 m), la medaglia della statunitense Jackie Joyner-Kersee nel salto in lungo ‒ cinque giorni dopo un infortunio ‒, il quarto oro consecutivo di Carl Lewis e quello dell'italiana Paola Pezzo nella mountain bike. In occasione del centenario olimpico un secolo di glorie è raccontato in 100 years of Olympic glory dallo stesso Bud Greenspan, che assembla i momenti più indimenticabili e i volti e le fatiche degli atleti più importanti.
Nell'ambito della fiction si pone Blast di Albert Pyun (1996), con Rutger Hauer, che narra il rapimento della squadra americana di nuoto, salvata grazie all'intervento di Jack Bryant, ex ginnasta olimpico caduto in disgrazia. Storie vere sono invece al centro di Run for the dream. The Gail Devers' story e di Endurance. Il primo dei due film, di Neema Barnette (USA 1996), racconta la vicenda di Gail Devers, vincitrice ad Atlanta di due medaglie d'oro nei 100 m e nella staffetta 4 x 100 m, a distanza di soli diciotto mesi dalla diagnosi di un raro disordine degenerativo alla tiroide che le aveva fatto rischiare l'amputazione di un piede. Endurance, di Bud Greenspan e Leslie Woodhead (USA, 1999), è la biografia di Haile Gebrselassie che interpreta sé stesso, ripercorrendo la strada che lo ha portato dalle umilissime origini in Etiopia, in cui ogni pretesto era buono per assecondare la propria passione per la corsa, fino alla medaglia d'oro di Atlanta nei 10.000 m.
Bud Greenspan's stories of honor and glory è un documentario storico sportivo realizzato in occasione dei Giochi invernali di Nagano 1998, in cui il regista olimpico per eccellenza racconta la vita dei cinque atleti che lo hanno emozionato di più nella storia dei Giochi: Nadia Comaneci (Romania) per la ginnastica, Duncan Armstrong (Australia) per il nuoto, Alexander Karelin (Russia) per la lotta, Abebe Bikila (Etiopia) e Dan O'Brien (USA) per l'atletica. I Giochi invernali di Nagano 1998 furono illustrati da Keith Merrill in Olympic glory (1999), utilizzando l'avveniristica tecnologia IMAX per riprendere eventi come il salto del trampolino dall'alto e le più spericolate evoluzioni dei campioni di snowboard. Tra le curiosità, il film segue da vicino le avventure del primo kenyota ai Giochi invernali, che arriva ultimo nella gara più lunga di fondo ma non abbandona, come fanno invece altri cinque sciatori più esperti. Da ricordare la medaglia di Deborah Compagnoni e i vibranti arrivi al photofinish nel fondo.
Il film ufficiale del 2000 è Sydney 2000: Games of the XXVII Olympiad, che raccoglie i momenti più significativi, le emozioni, le vittorie e le sconfitte, i protagonisti e gli spettatori dell'edizione, senza tralasciare gli highlights della spettacolare cerimonia di inaugurazione con Cathy Freeman 'fiaccola umana' che si dissolve nel sacro fuoco della fiaccola olimpica. Il film si avvale di due commentatori di eccezione: Nadia Comaneci e Juan Antonio Samaranch, presidente del CIO.
Olympia 2000 (Germania, regia di Axel Engstfeld) descrive il sogno di una vittoria ai Giochi Olimpici comune a atleti con diverso background sociale e dimostra come, pur con mezzi diversi, sia possibile raggiungere uguali e importanti traguardi. Nel film appaiono Maurice Greene e Inge Miller (atletica, USA), Felix Savon (boxe, Cuba), Gate Wami (atletica, Etiopia), Robert Bartko (ciclismo, Germania) e Ato Boldon (atletica, Trinidad e Tobago). Realizzazione cinematografica analoga è On the road to Sydney (Olanda, regia di Corbijn Maarten) che segue da vicino la preparazione degli atleti olandesi in vista della trasferta australiana. Countdown Sydney 2000. Tri…motion (Germania, regia di Niels Eixler) descrive gli allenamenti della tedesca Anja Dittmer per la competizione olimpica che a Sydney ha visto per la prima volta il triathlon fra le discipline ammesse.
L'inaugurazione dell'edizione invernale di Salt Lake City è documentata da XIX Winter Olympics opening ceremony. Nello stesso anno gli antichi Giochi greci sono stati argomento di The Olympic Games in the antiquity (Grecia, regia di Marcos Holevas), una serie di cinque episodi televisivi di mezz'ora ciascuno, realizzati con la consulenza scientifica dell'archeologo Nikolaos Yalourise e girati nei siti archeologici più famosi della Grecia, tra cui Olimpia, Delfi, Cnosso, Micene, Santorini, Nemea, Dion, Vergina e Atene.
Il regista Zhang Yimou, noto per opere come Lanterne Rosse e Non uno di meno, ha girato nel 2003 New Beijing, Great Olympics, con il quale Pechino ha proposto la sua candidatura ai Giochi del 2008. Il film ha vinto l'edizione 2003 di Sport movies & TV, il festival internazionale del cinema e della televisione sportivi organizzato dalla FICTS.
Molti campioni dello sport, olimpionici o meno, hanno avuto esperienze cinematografiche, anche se nessuno probabilmente ha raggiunto la popolarità di Johnny Weissmuller, che iniziò la sua brillante carriera da attore nel 1932 impersonando Tarzan in Tarzan the ape man e nell'arco di quindici anni girò altri 11 film sull'eroe della giungla, interpretando poi Jungle Jim fino al 1955. Altri ex olimpici hanno avuto il ruolo del personaggio di Edgar Rice Burroughs: Ginn Frank Merrill, membro della squadra olimpica americana di ginnastica del 1928, apparve in Tarzan, the tiger nel 1929, con la regia di Henry McRae. Harold Herman Brix, pesista e medaglia d'argento ad Amsterdam 1928, fu Tarzan in The new adventures of Tarzan (1935) e girò poi molti altri film d'avventura, alcuni con il nome d'arte di Bruce Bennet. Rafer Lewis Johnson, tre volte campione del mondo, argento nel decathlon ai Giochi del 1956 e oro nel 1960, interpretò Tarzan in Wild in the country, 1962, Tarzan and the great river, 1967 e Tarzan and the jungle boy, 1968. Infine Don Bragg, campione olimpico di salto con l'asta nel 1960, nel 1964 fu scritturato per Tarzan and the jewels of Opar (trasposizione non autorizzata di un capitolo della saga).
Il nuoto, da cui proveniva Weissmuller, fu una grande fucina di attori e di attrici: l'hawaiano Duke Paoa Kahanamoku, medaglia d'oro per gli USA nei 100 m stile libero ai Giochi del 1912 e 1920, e argento nel 1924, ebbe in molti film il ruolo del capo indiano, del polinesiano, dell'azteco o del principe arabo; apparve a fianco di John Wayne in The wake of the red witch nel 1948, per la regia di Edward Ludwig. Clarence Crabbe, medaglia di bronzo nel nuoto ad Amsterdam 1928 e oro a Los Angeles 1932, interpretò molti supereroi dei fumetti e soprattutto ebbe un enorme successo nei panni di Flash Gordon e Buck Rogers. Fra gli italiani spicca il nome di Carlo Pedersoli, detentore di dieci titoli nazionali, nuotatore a Helsinki 1952 e Melbourne 1956, primo italiano a nuotare i 100 m stile libero in meno di 1 minuto: è diventato famosissimo come attore con il nome di Bud Spencer. Tra gli anni Sessanta e Settanta, in coppia con Terence Hill, ha girato numerosi film tra cui: Lo chiamavano Trinità (1970), Continuavano a chiamarlo Trinità (1972), Anche gli angeli mangiano fagioli (1973).
Gertrude Ederle, dopo essere stata la più giovane primatista al mondo nel 1919, aver conquistato due ori a Parigi 1924 ed essere stata la prima donna ad attraversare la Manica (1925), fu la protagonista di Swim, girl, swim nel 1927 per la regia di Clarence G. Badger. Georgia Coleman, vincitrice di quattro medaglie, tra cui un oro, nei tuffi da trampolino ai Giochi del 1928 e 1932, girò The beachcomber per la regia di Erich Pommer nel 1938; morì a soli 28 anni nel 1940, vittima della poliomielite. Eleanor Holmes, 29 volte campionessa di nuoto per gli USA, oro a Los Angeles 1932 nei 100 m dorso, partecipò a vari Tarzan e fu grande protagonista di film acquatici; grande favorita per i Giochi del 1936, fu squalificata per cattiva condotta sulla nave che trasportava la nazionale americana; il suo tumultuoso divorzio da Billy Rose ispirò il film La guerra dei Roses di Danny De Vito. Esther Williams, primatista americana di nuoto nel 1939, olimpionica mancata a causa della guerra, è stata la famosissima protagonista di una trentina di film e musical di ambientazione acquatica: Bathing beauty, Neptune's daughter, Skirts ahoy, Ziegfeld Folies. Christine Caron, primatista mondiale dei 100 m dorso, medaglia d'argento alle Olimpiadi 1964, oltre a diversi documentari ha interpretato nel 1972 Le lys de mer, diretto da Jacqueline Audry. Infine Alison Armitage, attrice e modella, dopo aver fatto parte della nazionale di nuoto di Hong Kong, è diventata nota soprattutto per la sua partecipazione alla serie televisiva del 1993 Acapulco H.E.A.T.; è stata poi coprotagonista di Jerry Maguire (1996).
Fra i campioni di atletica leggera, il primo da ricordare è Jim Thorpe, dominatore delle prove multiple nel 1912; terminata la carriera agonistica recitò in oltre 20 film tra il 1931 e il 1950 (per lo più western). Charles William Paddock, oro nei 100 m e nella staffetta 4 x 100 m nel 1920, argento nei 200 m nel 1920 e 1924, interpretò il ruolo di sé stesso in The campus flirt (1926) e Olympic hero (1928), oltre a partecipare a una serie di film come stuntman. Lee Barnes, vincitore nel salto con l'asta a Parigi 1924, quando non aveva ancora 18 anni, e recordman del mondo nel 1928, appare a fianco di Buster Keaton in College (1927, regia di James W. Horne), di cui è rimasta famosa una scena in cui l'atleta in uno dei suoi salti raggiunge il secondo piano di una casa. John Franklin Anderson, campione olimpico di lancio del disco nel 1932 e tre volte campione di football, grazie all'eccezionale prestanza fisica fu protagonista di diversi film, tra cui Search for beauty (1934). Glen Edward Morris, oro nel decathlon nel 1936, partecipò a un paio di Tarzan ma senza particolare successo; recitò poi in numerosi altri film e serie televisive, tra cui 007 Licence to kill, per la regia di John Glen, nel 1989. Il decatleta Floyd Simmons, medaglia di bronzo ai Giochi Olimpici del 1948 e del 1952, girò una dozzina di film tra 1956 e 1963. Adhemar Ferreira Da Silva, campione di salto triplo alle Olimpiadi del 1952 e del 1956, fu il protagonista di Orfeu Negro di Marcel Camus, Palma d'Oro al Festival di Cannes nel 1959. Uwe Beyer, bronzo nel lancio del martello ai Giochi Olimpici di Tokyo 1964, ha partecipato a diversi film mitologici tedeschi, tra cui Siegfried (1966), diretto da Harald Reinl. Bill Toomey, oro nel decathlon nel 1968 in Messico, è la star di The greatest all-around athlete in the world (1973). Bob Seagren, medaglia d'oro nel salto con l'asta ai Giochi del 1968, ha partecipato a numerosi film e serie televisive tra 1976 e 1988. Bruce Jenner, vincitore nel decathlon alle Olimpiadi del 1976 con un record del mondo di 8618 punti, è apparso in numerosi film, tra cui Can't stop the music (1980) e nella serie Tv Chips. Carl Lewis, 'atleta olimpico del secolo' con la partecipazione a 5 diverse edizioni dei Giochi (1980-1984-1988-1992-1996) e un totale di 10 medaglie di cui 9 ori, ha girato Dirty laundry (1987), Speed zone! (1989), Atomic twister (2002) e Alien hunter (2003). Ricordiamo infine l'italiano Giuseppe Gentile, bronzo a Città del Messico 1968 nel salto triplo, che interpretò il ruolo di Giasone nella Medea di Pasolini accanto a Maria Callas. Fra le donne, Babe Didrikson, che vinse un argento nel salto in alto e due ori (giavellotto e 80 m ostacoli) nel 1932 recitò in Pat & Mike con Katherine Hepburn e Spencer Tracy.
Hanno calcato le scene dei set cinematografici anche molti pugili. Il più famoso è senz'altro Cassius Clay, oro alle Olimpiadi 1960, che impersonò se stesso in due film biografici, Muhammad Ali, the greatest (1974) e When we were kings (1996), che racconta la storia della preparazione e dello svolgimento del match contro George Foreman a Kinshasa; è apparso poi nel film Tv Freedom road e in molte altre produzioni televisive e cinematografiche. Prima di lui Nat Pendleton, argento nei pesi massimi ad Anversa 1920, girò oltre 150 film tra cui The thin man (1934), Young dr. Kildare (1938), Northwest passage (1940); Charles Rigoulot, oro alle Olimpiadi del 1924 nei pesi massimi, detentore di 111 record del mondo, fu anche pilota d'auto e attore di cinema e musical; Jean Despeaux, medaglia d'oro nei pesi medi ai Giochi di Berlino del 1936 e campione di Francia, nel 1942 interpretò il film L'assassin habite au 21, per la regia di Georges Clouzot; José Torres, argento nei pesi leggeri a Melbourne 1956, apparve in 6 film tra il 1968 e il 1982, tra cui The last fight (1982). Nino Benvenuti, pugile di fama che vinse l'oro a Roma 1960 nei welter, fu il protagonista di Vivi o preferibilmente morti (1969) con Giuliano Gemma e di altri film d'azione, mentre Joe Frazier, che alle Olimpiadi del 1964 a Tokyo vinse il titolo dei pesi massimi pur essendosi infortunato alla mano, appare a fianco di Sylvester Stallone in Rocky nel 1976. Mark Breland, campione nei pesi welter ai Giochi del 1984, protagonista del film The lords of the discipline (1987, regia Frank Roddam), appare anche in He got game (1998) e Summer of Sam (1999), entrambi per la regia di Spike Lee.
Il pesista Harold Sakata, argento ai Giochi del 1948, dopo alcuni film minori impersonò l'avversario di James Bond in Goldfinger (1964). Anton Geesink, medaglia d'oro a Tokyo 1964 nel judo e membro del CIO per l'Olanda, dopo essere apparso già nel 1961 in My geisha, con Shirley McLaine e James Mason, interpretò il ruolo di Sansone in The great leaders. Samson and Gideon per la regia di Francisco Pérez Dolz (1968), e girò altri 12 film. Dolph Lundgren, cintura nera 3° dan di karate, campione di Europa dei pesi massimi di karate nel 1980 e di Australia nel 1982 e accompagnatore della squadra olimpica americana di pentathlon ai Giochi di Atlanta 1996, ha girato fra l'altro Rocky IV (1985), Universal soldier (1992), The shooter (1995).
Si possono ricordare anche alcuni grandi giocatori di basket: Michael Jordan, gran protagonista del Dream team che sbaragliò tutti gli avversari alle Olimpiadi del 1992, ha recitato insieme ai cartoni animati della Warner (Duffy Duck, Bugs Bunny & Co.) in Space jam del 1996; Shaquille O'Neal, medaglia d'oro alle Olimpiadi di Atlanta 1996, ha interpretato Blue chips di William Friedkin (1994); Ray Allen, membro della squadra olimpica USA a Sydney 2000, ha affiancato Denzel Washington in He got game (1998) di Spike Lee. Un notevole giocatore di pallavolo, tanto da essere nominato capitano onorario della squadra olimpica americana ai Giochi del 1988, era invece Tom Selleck, star degli episodi televisivi di Magnum P.I.
Passando al pattinaggio artistico, a parte Carol Heiss, oro a Squaw Valley 1960, che ebbe un ruolo in Snow White and the three stooges con la regia di Walter Lang (1961), sono soprattutto da ricordare Sonja Henie che, dopo i tre ori alle Olimpiadi del 1928, 1932 e 1936 e i dieci titoli di campionessa del mondo vinti tra il 1927 e il 1936, girò numerosi film fra cui Thin ice (1937), Happy landing (1938), My lucky star (1938), Everything happens at night (1939), Iceland (1942) e The countess of Monte Cristo (1948); e la tedesca orientale Katarina Witt, medaglia d'oro alle Olimpiadi invernali oro nel 1984 e nel 1988, la quale ha interpretato diversi film imperniati sullo sport che l'ha resa famosa, tra cui Carmen on ice (1991) e Ice princess (1996); è apparsa anche in Jerry Maguire nel 1996 e Ronin nel 1998.
Si sono cimentati nel cinema anche sciatori illustri come Toni Sailer, tre ori nello sci alpino a Cortina 1956 e protagonista di 12 girls and one man nel 1959 e di Ski Champ nel 1962; Jean-Claude Killy, tre medaglie d'oro ai Giochi di Grenoble, che ha interpretato sé stesso nel reportage dei Giochi firmato da Claude Lelouche, 13 jours en France (1968), e ha mostrato il proprio talento in Ski on the wild side (1967), Last on the ski bums (1969) e Snow job (1972), quest'ultimo diretto da George Englund, con Vittorio De Sica e Danielle Gaubert; Gustav Thoeni, oro e argento a Sapporo 1972 e argento a Innsbruck 1976, che ha partecipato al film di Duccio Tessari Centesimo di secondo; Alberto Tomba che dopo aver vinto varie medaglie ai Giochi invernali di Calgary, Albertville e Lillehammer, oltre a tutti i titoli che lo hanno reso protagonista unico dello sci italiano, ha interpretato la non memorabile parte di un carabiniere in Alex l'ariete (1999) di Damiano Damiani.
Per finire ricordiamo il tennista Boris Becker, che agli innumerevoli titoli ha aggiunto l'oro nel doppio olimpico a Barcellona 1992, e ha interpretato sé stesso in Faust and Mephisto (2002) di Rainer Matsutani, commedia su uno sfortunato taxista che vende l'anima al diavolo per vivere la vita di uno dei suoi idoli.