Cinema Nôvo
Movimento cinematografico nato nel periodo della presidenza di J. Goulart (1961-1964), che espresse, forse più di ogni altra 'nuova ondata', uno stretto legame fra la cultura e la tradizione nazionale del Brasile, ricche di esiti letterari, musicali e teatrali, e la produzione cinematografica. Fonte privilegiata d'ispirazione di molti film furono, per esempio, le opere letterarie di G. Ramos, del primo J. Amado, di J.G. Rosa, con le loro accurate e intense descrizioni della miseria del Nordeste, del sertão dominato dalla siccità e dalla canna da zucchero, delle rivolte dei banditi e della spiritualità dei profeti. E, sovente, anche il tono metaforico e allegorico, lo stile 'fantastico-meraviglioso' di quella letteratura si riscontrano nei film di Glauber Rocha, di Nelson Pereira dos Santos, di Ruy Guer-ra, di Carlos Diegues, di Gustavo Dahl, di Joaquim Pedro de Andrade, di David Neves. Ma vi sono almeno altri tre fattori che hanno reso il nuovo cinema brasiliano oltremodo singolare rispetto alle altre nouvelles vagues. In primo luogo è il carattere 'militante' ‒ in senso politico e artistico-culturale ‒ che i vari registi hanno impresso alla ricerca di nuove forme estetiche, in modo da fondarle sempre su ferme convinzioni etiche; quindi il legame con la realtà locale. Infine, la compattezza dei suoi principali esponenti nelle intenzioni e nella ricerca cinematografica. Una compattezza testimoniata anche dall'avere riconosciuto come maestro di riferimento Humberto Mauro ‒ in particolare per Ganga bruta (1933) ‒ e dal legame stabilito tra la produzione dei film e la riflessione storico-critica su di essa.Il C. N. nacque immerso nella realtà della regione di Bahia, ma presto spostò l'attenzione anche verso il Nordeste e verso i suoi motivi più tipici, in particolare la lotta politica del popolo nordestino contro i grandi proprietari terrieri, ma anche l'intensa religiosità popolare. Il Nordeste e il sertão, già luoghi d'elezione della produzione letteraria, divennero per la nuova generazione di cineasti l'immagine stessa del nuovo cinema. Anche per questo frequenti sono state le trasposizioni dalla letteratura al cinema. Alla base del C. N. vi fu infatti un netto rifiuto dei compiacimenti folcloristici e un'accentuazione della polemica terzomondista. A tal proposito vanno ricordati in particolare i testi critici di Rocha quali Revisão critica do cinema brasileiro (1963) e Uma estética da fome (1965), dove da un lato egli traccia un percorso di approdo al C. N., anche come superamento e reazione alla produzione dominante negli anni Quaranta e Cinquanta, sia quella della chanchada (la commedia musicale) sia quella della compagnia cinematografica Vera Cruz di San Paolo, "che intese dare al cinema brasiliano la struttura di una Hollywood tropicale" (Miccichè 1972, p. 100); dall'altro, indica nel 'miserabilismo' uno dei nodi tematici ed espressivi del nuovo cinema. Un'estetica della fame, come recita il titolo del suo intervento, che il nuovo cinema esprime con forza e in modo provocatorio, producendo "non […] un film, ma un insieme di film in evoluzione che, alla fine, darà al pubblico la coscienza della propria miseria" (trad. it. in Scritti sul cinema, a cura di L. Miccichè, 1986, p. 57). Strettamente legato a un'estetica della fame e della violenza, Rocha combina nei suoi film le ricordate suggestioni con quelle del Neorealismo italiano (in particolare, dello stile viscontiano), il cinema di Sergej M. Ejzenštejn, Luis Buñuel, Kurosawa Akira, sui quali scrisse anche illuminanti letture critiche. Da Barravento (1961), sua opera prima basata sul tema magico del rapporto tra i pescatori neri di Bahia e il mare, a O dragão da maldade contra o santo guerreiro (1969; Antonio das Mortes), Rocha realizzò una produzione che taluni hanno definito, sulla scia della celebre denominazione baziniana, della 'crudeltà', barocca e visionaria e dai ricorrenti accenti lirici. Una poetica dell'eccesso che trova matura espressione in Deus e o diabo na terra do sol (1963; Il dio nero e il diavolo biondo), affidato al canto, sospeso tra realtà e immaginazione, di un romançeiro cieco, frenetico nell'uso frequente della macchina a mano e con una stretta aderenza alla cultura popolare riscontrabile anche nella rielaborazione di canzoni del Nordeste. In esso appare già la figura di Antonio das Mortes, poi protagonista dell'ultimo film che Rocha realizzò prima dell'esilio in Europa e in Africa, appunto O dragão da maldade contra o santo guerreiro, che 'aggiorna' storicamente la realtà agraria delle prime opere con i segni dell'imperialismo, simboleggiati dalla presenza del logo dell'industria della Shell, rivelando ulteriormente la costante attenzione del regista nei confronti dei valori plastico-pittorici delle immagini.
Più prettamente 'realistico' appare il cinema di Pereira dos Santos, il cui risultato migliore è Vidas secas (1963), racconto scarno e lineare (tratto da G. Ramos) ma duro e diretto nella rappresentazione delle tribolazioni di una famiglia del sertão. Sulla miseria del sottosviluppo si soffermò anche Guerra con Os fuzis (1963; I fucili), costruito sull'accumulo della tensione popolare verso la rivolta, culmine del contrasto tra la popolazione, le sue tradizioni e il potere militare. Nella fase della sua piena espansione il C. N. subì un duro contraccolpo dovuto all'avvento al potere del regime militare nel 1964 e tra qualche difficoltà avviò la cosiddetta fase 'urbana', nella quale l'attenzione fu rivolta verso le nuove realtà cittadine e le classi medie. Di essa sono espressione A grande cidade (1966) di Diegues ‒ che proprio nel 1963 aveva esordito con un film sulla rivolta di un gruppo di schiavi nel Seicento, Ganga Zumba ‒ e A falecida (1965), una commedia macabra di Leon Hirszman.
Alla fine degli anni Sessanta, un ulteriore tema affrontato da questo cinema, ricco di percorsi, fu quello della ricerca dell'identità, al centro di opere diverse quali Terra em transe (1967; Terra in trance) di Rocha, O desafio (1965) diretto da Paulo César Saraceni, O bravo guerreiro (1968) di Dahl, Os herdeiros (1969) di Diegues. Proprio in quel periodo il percorso del C. N. si confrontò con quello di un nascente movimento che prese il nome di Tropicalismo, di cui sono esempio le canzoni di Caetano Veloso oppure una commedia quale O rei da vela (1967) di José Celso Martinez Correa, poi portata sullo schermo nel 1982, per la regia dello stesso Correa e di Noilton Nunes. Anche in questo caso letteratura e cinema s'intrecciarono, come dimostra il fatto che il romanzo modernista di M. de Andrade, Macunaíma (1928), venne trasposto sullo schermo nel 1969 da J.P. de Andrade.Tanto vivace e incisivo nei risultati, quanto soggetto a non poche reazioni, sia da 'destra' sia da 'sinistra', il C. N., proprio perché affermatosi durante un colpo di stato, si trovò ancor più isolato sul fronte interno, mentre ebbe maggiori possibilità di intrecciare uno scambio e di stabilire un dialogo con il cinema cubano e con quello delle nouvelles vagues europee. All'inizio degli anni Settanta il C. N. veniva considerato da Alberto Silva un movimento in crisi, un 'morto illustre' anche se fu proseguito per molti versi dal cosiddetto Cinema Marginal o Udigrudi (adattamento di Underground). Ma alcuni dissensi che contraddistinsero il rapporto tra Cinema Marginal e C. N. presero forma e produssero, all'interno di quest'ultimo, una riorganizzazione e una revisione delle sue tesi fondamentali. Rogério Sganzerla (autore di O bandido da luz vermelha, 1968), Júlio Bressane e Neville D'Almeida guidarono questo processo che, soprattutto con la seconda generazione di cineasti del C. N., rese sempre più sfumate le differenze tra quest'ultimo e il Cinema Marginal.
Alla fine degli anni Settanta il C. N. ‒ se così si può ancora chiamare questo periodo del cinema brasiliano ‒ entrò in una fase che si potrebbe definire antropofaga per l'attenzione che rivolse alle proprie radici e, in particolare, alla rappresentazione del mondo indigeno e della sua cultura, ricollegandosi alla lezione del Modernismo e del Tropicalismo. Uno dei film-manifesto di questa fase fu Como era gostoso o meu Francês (1971) di Pereira dos Santos, che si rivelò il più incline ai cambiamenti tra i registi brasiliani e l'unico che riuscì a traghettare il cinema del suo Paese attraverso più di quattro decenni: dall'inizio degli anni Cinquanta, quando aveva debuttato con il cortometraggio Juventude (1950), fino agli anni Ottanta e oltre.
D. Neves, Cinema nôvo no Brasil, Rio de Janeiro 1966.
J.-C. Bernardet, Brasil em tempo de cinema, Rio de Janeiro 1967.
P. Bertetto, Il cinema dell'utopia, Salerno 1970, pp. 128-32.
P.B. Schuman, Film und Revolution in Latein-Amerika, Oberhausen 1971.
L. Miccichè, Il nuovo cinema degli anni '60, Torino 1972, pp. 100-11.
Il cinema nôvo brasiliano I. Testi e documenti e Il cinema nôvo brasiliano II. I registi e i film, a cura di L. Miccichè, Pesaro 1975.
Brasile: "Cinema nôvo" e dopo, a cura di A. Aprà, L. Miccichè, Venezia 1981.
G. Rocha, Scritti sul cinema, a cura di L. Miccichè, Venezia 1986.