Cinema nuovo
Rivista cinematografica italiana quindicinale, poi bimestrale, fondata a Milano il 15 dicembre 1952, diretta da Guido Aristarco, con Giuseppe Grieco redattore capo, Tom Granich redattore, Tullio Kezich e Renzo Renzi consiglieri redazionali. Capo della redazione romana era Michele Gandin, da Parigi corrispondeva Jean-Marie Lo Duca, da New York George N. Fenin, mentre vi erano anche una redazione a Città di Messico e una a Praga. L'editore iniziale fu La Scuola, Arzigliano (Belluno).
Dopo alcuni anni di permanenza alla seconda serie di "Cinema", prima come redattore, nel 1952 come redattore capo, Aristarco ne era uscito anche per contrasti con il direttore ufficiale, Adriano Baracco, con l'intenzione di proseguire un discorso avviato nella stagione dell'immediato dopoguerra. Egli fondò la nuova rivista con lo scopo di sostenere e contribuire a promuovere un nuovo cinema (da cui il titolo della testata), anche in considerazione del processo involutivo che a suo parere si stava verificando nel cinema italiano a cavallo tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta. Nel suo editoriale d'apertura Aristarco citò Cesare Zavattini e Antonio Gramsci come numi tutelari, affidando al primo una rubrica fissa intitolata Diario, nella quale lo scrittore poteva narrare i progetti, gli incontri e le idee che egli aveva sul cinema e sulla società. Richiamandosi costantemente alla concezione estetica di György Lukács e a quella ideologica di Gramsci, la rivista non mancò di affidarsi anche all'influenza di Benedetto Croce, di cui nel primo numero fu pubblicata una lettera che egli aveva indirizzato, nel 1948, a Luigi Chiarini, e in cui indicava i possibili valori artistici del cinema. Fin dall'inizio Aristarco impresse una forte impronta alla sua rivista, avviando la tesi di un necessario passaggio dal Neorealismo ‒ a suo giudizio ormai involuto ‒ al realismo e dalla cronaca alla storia, e individuando in particolare nell'opera di Luchino Visconti le qualità per operare questi passaggi. In alcuni numeri del 1953 scrittori, letterati e critici di varie arti ‒ C. Alvaro e G. Titta Rosa, C. Bo ed E. Vittorini, I. Calvino e R. Bilenchi, C.L. Ragghianti, C. Varese, V. Sereni, F. Fortini ‒ furono chiamati a intervenire nel dibattito su Il realismo italiano nel cinema e nella narrativa, poco prima dell'uscita di Senso (1954) di Visconti e in una fase in cui si sarebbe sviluppato un altro (e acceso) dibattito intorno a Metello (1955) di V. Pratolini. Un'opera chiave per la rivista e il segno della realizzazione dei citati passaggi. Ma il 1953 fu anche segnato da un articolo di Renzi (L'armata s'agapò, uscito sul nr. 4, 1° febbraio), in cui il critico discute l'esito deludente di Carica eroica (1952) di Francesco De Robertis, prospettando un film che in forma antieroica narrasse gli eventi bellici degli italiani in Grecia, durante l'ultimo conflitto mondiale. Ne scaturì una feroce polemica, culminata, il 10 dicembre di quell'anno, con l'arresto di Renzi e Aristarco per oltraggio all'esercito e alla nazione. Sebbene processati e condannati, i due critici furono poco dopo scarcerati.
Per tutti gli anni Cinquanta il cinema italiano fu privilegiato sugli altri, anche in virtù di una battaglia culturale e politico-ideologica interna al Paese che la rivista condusse con indubbia costanza e attenzione, toccando più volte temi quali la censura e l'economia produttiva. Visconti fu l'autore più sostenuto, mentre alcune riserve furono rivolte al cinema di Michelangelo Antonioni e, ancor più, a quello di Roberto Rossellini successivo a Germania anno zero (1948) e a Federico Fellini, che tuttavia furono considerati, con Renato Castellani e Vittorio De Sica, i maggiori registi del cinema italiano. Rispetto a "Cinema", soprattutto alla prima serie, scarsa fu l'attenzione per la tecnica, mentre non trascurabile il rapporto diretto con i registi, in una prospettiva in cui la critica era vista come coinvolgimento attivo e scambio fecondo con gli autori. Accanto ai ricorrenti collaboratori quali Renzi, Glauco Viazzi e Callisto Cosulich, già attivi nella seconda serie di "Cinema", nei primi anni trovarono ospitalità figure quali André Bazin, Sigfried Kracauer, Rudolf Arnheim, Georges Sadoul, Umberto Barbaro, Italo Calvino, Vito Pandolfi e Lukács, che sarebbe intervenuto più volte anche nel corso degli anni Sessanta. Di particolare rilievo, nel 1955, un lungo articolo di Bazin in difesa di Rossellini, la cui opera degli anni Cinquanta era stata considerata da Aristarco nel segno dell'involuzione dello spirito neorealista. Richiamandosi a padre A. Ayfre, Bazin ritenne che Rossellini fosse ancora espressione dello spirito più proprio del Neorealismo, definito "una descrizione 'globale' della realtà attraverso una coscienza 'globale'". Ma il principio costante su cui Aristarco e i suoi collaboratori continuarono a fondare il loro atteggiamento estetico fu comunque teso alla ricerca di una via di uscita dai cascami della stagione neorealista. Anche in tal senso esemplare fu un breve ma illuminante intervento di Visconti, raccolto da C. Mangini, a proposito del suo Le notti bianche (I confini valicabili, nr. 114-115, 15 settembre 1957, anno di uscita del film), nel quale il regista afferma di averlo concepito come un'opera in cui la realtà è 'ricreata' e non 'documentata'.
A lungo la struttura di C. N. si articolò in alcune rubriche: Infrarosso (sulle questioni politiche e culturali), Saggi e studi, Attualità e dibattiti, Il mestiere del critico (le recensioni ai film), Documenti (dialoghi o brani di sceneggiature, progetti di film, soggetti non realizzati, dichiarazioni di poetica), recensioni a libri di cinema e di altre discipline. Dal nr. 134 (luglio-agosto 1958) la rivista divenne bimestrale e proprio sul declinare degli anni Cinquanta accolse nuovi collaboratori fissi, quali Adelio Ferrero, Guido Fink, Lorenzo Pellizzari, Paolo Gobetti, che per alcuni anni avrebbero contribuito a offrire una visione più allargata delle varie cinematografie. Rinunciando a occuparsi di recensioni, Aristarco affidò a loro (ma anche a Vittorio Spinazzola, a Giulio Cattivelli e a Ugo Finetti) la rubrica Il mestiere del critico. Nel corso degli anni Sessanta l'attenzione fu rivolta a registi quali Fellini e Robert Bresson, Alain Resnais e Ingmar Bergman, Antonioni e Pier Paolo Pasolini, Jean-Luc Godard, oltre naturalmente a Visconti, con il quale si continuò a intrattenere un dialogo privilegiato, ancorché talora critico (si pensi alle riserve su Il Gattopardo, 1963). Aristarco discusse le teorie di Walter Benjamin in occasione dell'uscita in italiano di Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit (1936; trad. it. 1966), combatté il 'fenomeno James Bond', ma anche film italiani 'di genere', come per es. Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone. Apparvero su C. N. contributi di E. Garin, A. Galante Garrone, C. Musatti, N. Bobbio, B. Brecht, G. Debenedetti, A. Plebe. Altri collaboratori più costanti si aggiunsero intorno alla fine del decennio, da Aggeo Savioli a Maurizio Del Ministro, mentre l'italianista francese Michel David discusse con Orio Caldiron (era il 1967) su cinema e inconscio, dopo l'uscita di Un uomo a metà (1966) diretto da Vittorio De Seta. Di particolare rilievo la pubblicazione di un importante articolo di Vsevolod E. Mejerchol′d (Le possibilità del cinema e i difetti del passato, nr. 186, marzo-aprile 1967), testo di una lezione del 1918.Allo scadere di ogni decennio Aristarco faceva il punto della situazione, anche in considerazione delle alterne vicende editoriali. Dal nr. 203 del gennaio-febbraio 1970 la rivista fu infatti edita da Sansoni, mentre dal nr. 251 del gennaio-febbraio 1978 fu gestita in proprio come edizioni di Cinema Nuovo, finché dal nr. 257 del febbraio 1979 e sino alla fine (a. 45°, 1996, nr. 359) sarà edita da Dedalo, divenendo dal 1994 quadrimestrale. Nel 1975 Aristarco pubblicò un ampio volume che raccoglieva una selezione di testi apparsi nel periodo 1952-1958, facendolo precedere da un suo saggio di oltre cento pagine, nel quale rievocò le varie stagioni della rivista, con l'intenzione di proseguire ‒ senza esito ‒ la ristampa antologica di altre annate (Antologia di Cinema Nuovo, 1952-1958. Dalla critica cinematografica alla didattica culturale, 1° vol., Neorealismo e vita nazionale, 1975). Del resto la rivista aveva fortemente contribuito a formare più generazioni di spettatori e di studiosi, facendo acquisire al cinema una più ampia dimensione estetica e culturale. Gli anni dai Settanta ai Novanta sarebbero stati segnati da una piccola diaspora ‒ che vide Ferrero, Fink e Pellizzari fondare, nel 1974, una nuova rivista, a lungo di un certo prestigio, "Cinema & cinema" ‒ ma anche dall'allargamento al confronto con la televisione e, soprattutto, con il teatro, e dall'attenzione verso questioni antropologiche, e verso autori quali Sergej M. Ejzenštejn e Charlie Chaplin, con la collaborazione costante di studiosi stranieri quali Barthélemy Améngual e Román Gubern. Persa la funzione in parte gramscianamente egemonica che la rivista aveva a lungo svolto e mutati i tempi, essa ha saputo comunque attraversare un periodo tra i più longevi e fecondi nella storia delle riviste cinematografiche.