queer, cinema
queer, cìnema <ki̯ùë ...> locuz. sost. m. – Il termine queer, in uso per riferirsi a culture, gusti, stili del mondo gay, lesbico, bisessuale o trans, fin dagli anni Ottanta del secolo scorso si è esteso all’ambito del cinema, ma è nei primi anni del 21° sec. che si è incrementato uno stile appannaggio di molti autori omosessuali, che hanno raccontato sullo schermo storie incentrate sia sul mondo gay o lesbico, sia su vicende, a volte parossistiche e grottesche altre volte drammatico-sentimentali, che hanno esplorato sessualità trasgressive, metamorfosi transgender, travestitismi, androginìe. Si è sviluppata anche una rete di festival internazionali su queste tematiche (in Italia, a Torino e a Palermo). Autori dichiaratamente omosessuali come G. Van Sant, R.Troché, T. Haynes hanno aperto la strada a un gusto e a uno stile che ha esasperato i toni melodrammatici, le morbidezze estetizzanti, le soluzioni visive eccentriche. Lo statunitense G. Araki ha trasportato i temi gay nel mondo adolescenziale, contaminandoli con la fantascienza e con situazioni allucinatorie, in film come Mysterious skin (2004) o Kaboom (2010). Sempre in ambito americano, e ancora nel mondo dei prostituti teen-agers, significativi sono i film di B. La Bruce, esasperati e provocatori ma pervasi da acre ironia, come Otto, or up with dead people (2008) o L.A. zombie che, tra horror e porno, raccontano di adolescenti gay e zombie dediti a perversioni cannibalistiche o a deliri schizoidi. Ma sono presenti anche i toni della commedia esistenziale o quelli del melodramma familiare, con un piglio documentaristico e indipendente e scene di sesso esplicito, nei film di J.C. Mitchell: Hedwig and the angry inch (2001; Hedwig, la diva con qualcosa in più) e Shortbus (2006; Shortbus, dove tutto è permesso).