Cineteca
Luogo di raccolta e collezione sistematica di film a scopo di conservazione, restauro, consultazione ed eventualmente diffusione.
Bolesław Matuszewski, pioniere del cinema in Polonia poi emigrato in Francia, fu il primo a lanciare, nel suo testo teorico del 1898 Une nouvelle source de l'histoire, l'idea di un "museo o un deposito cinematografico", come "fonte storica privilegiata cui attribuire la stessa autorevolezza, lo stesso statuto ufficiale, le stesse modalità di accesso degli altri archivi già noti" (in Borde, 1983, pp. 30-31). E in La photographie animée, ce qu'elle est, ce qu'elle doit être, prevedeva di inserire il cinema nel sistema di archivi e biblioteche dello Stato francese, con il compito di documentare i processi industriali, la medicina e in particolare le malattie nervose (con singolare coincidenza, uno dei primi film medici è La neuropatologia, 1908, diretto da Roberto Omegna e a cura di Camillo Negro, allievo di C. Lombroso), l'esercito, la direzione d'orchestra, il teatro, la danza, le inchieste di polizia e soprattutto le tradizioni locali in via di sparizione. Matuszewski raccomandava con acume archivistico di conservare i negativi, si preoccupava di tutelare il diritto d'autore e la sua c. ideale, da cui pure escluse i film a soggetto, prevedeva una sala di proiezione per 'consultare' liberamente i documenti filmati, salvo quelli coperti da segreto militare.
L'esigenza della conservazione è più o meno coeva alla produzione di immagini in movimento, probabilmente in considerazione dell'estrema precarietà dei prodotti cinematografici per la fragilità e i rischi d'incendio del supporto in nitrato, la rapida usura delle pellicole dovuta alle proiezioni intensive, e la tendenza dei produttori ad accelerare il ciclo di sfruttamento immettendo sul mercato sempre nuovi prodotti. A ciò si aggiungano episodi congiunturali, come gli incendi accidentali o, per es., il decreto della prefettura di Parigi che nel 1912 ordinava di gettare nella Senna 12 chilometri di film lesivi della pubblica decenza.
L'idea di Matuszewski non si concretizzò, ma continuò a circolare negli ambienti politico-culturali parigini fino agli anni Venti, con il risultato di dare vita, nel 1925, a una Cinémathèque de la Ville de Paris per far diffondere in ambiente scolastico film educativi. Nel frattempo il film, merce di pronto consumo, seguì il destino dei prodotti che non incontrano più i gusti del pubblico: la rapida evoluzione di tecnologie produttive, tecniche di ripresa e forme di strutturazione del racconto favorì distruzioni massicce, che determinarono la perdita di oltre il 70% della produzione internazionale tra il 1895 e il 1915. La stessa industria cinematografica che tendeva a distruggere le copie circolanti scoprì tuttavia l'interesse di centri di archiviazione per la tutela del diritto d'autore. Già nel 1894 William K.L. Dickson, collaboratore di Thomas A. Edison, aveva registrato alla Library of Congress di Washington il copyright per A sneeze, che mostra uno starnuto della durata di qualche secondo. Il suo esempio venne seguito da altri pionieri del cinema a tutela della proprietà intellettuale dei loro film e della conseguente esclusiva di sfruttamento commerciale: Edison (1896), l'American Mutoscope and Biograph Company (1899), Georges Méliès (1903), la Vitagraph (1905) ecc. Per ovviare al fatto che la legge statunitense sul diritto d'autore non prendeva in considerazione il cinema fino al 1912, di questi primi film, classificati tra le 'arti grafiche e varie', vennero depositati materiali su supporto cartaceo: stampe dei fotogrammi, foto di scena e soprattutto le cosiddette paper prints, cioè copie integrali del film stampate su carta per attivare il diritto di proprietà letteraria, che quasi un secolo dopo hanno consentito di recuperare buona parte del cinema primitivo statunitense. Il sistema durò fino al 1920, e solo dal 1942 per la registrazione del copyright i produttori furono obbligati a depositare una copia positiva su celluloide alla Library of Congress, la cui sezione cinematografica è diventata, con i suoi oltre 140.000 titoli, una delle più grandi c. del mondo.
Per analoghe ragioni in Francia i fratelli Lumière consegnarono al tribunale di Lione nel 1897 quasi tutta la loro produzione, 300 film ritrovati casualmente intatti nel 1969, poi conservati all'Institut Lumière di Lione. E in Italia Giovanni Pastrone, tra gli altri, depositò nel 1913 alla Società italiana degli autori la descrizione scena per scena di Cabiria (1914) accompagnata da un fotogramma ogni tre sequenze.
Un'altra forma di conservazione 'pre-cinetecaria' si deve alle collezioni private, spesso evoluzione di raccolte fotografiche come quella del gesuita svizzero J. Joye, che alla fine dell'Ottocento già utilizzava le proiezioni luminose con la lanterna magica per catechizzare i fedeli. Nel 1901 fu tra i primi a introdurre in Svizzera il cinema e quando cessò l'attività, nel 1911, la sua collezione constava di 250.000 metri di pellicola, pari a circa 2000 titoli, che dimostrano la scelta, affatto originale prima del 1930, di raccogliere anche film a soggetto. Alla sua morte la collezione Joye passò alla Compagnia di Gesù che tentò di venderla al miglior offerente, di fatto lasciandola degradare per anni, finché venne rilevata dal National Film Archive di Londra. Altro lungimirante collezionista fu il banchiere francese A. Khan che, a partire dal 1910, raccolse negli Archives de la Planète documentazione visiva sugli usi e i costumi del mondo intero finché, travolto dalla crisi del 1929, vendette il suo archivio unitamente alla casa museo e al bellissimo parco al Département de la Seine, che lo trasformò nell'attuale Photothèque-Cinémathèque Albert Khan di Boulogne. Altre collezioni di grande rilievo archivistico sono, per es., la Klein Collection negli Stati Uniti e la donazione Desmet, nata dai film raccolti da un vecchio distributore olandese, che ha trasformato il Nederland Filmmuseum di Amsterdam in uno dei poli centrali per la riscoperta e il restauro del cinema muto.Con lo scoppio della Prima guerra mondiale (1914), le autorità di governo si accorsero delle potenzialità del cinema, che venne utilizzato sia per la ricreazione dei soldati, sia come strumento di osservazione delle postazioni nemiche, di documentazione delle battaglie e di propaganda, portando alla costituzione dei primi archivi militari: l'ECPA (Établissement Cinématographique et Photographique des Armées) nel 1914 in Francia; il BUFA (Bild und Film Amt) nel 1917 in Germania; il National War Museum, aperto nel 1917 a Londra. In Italia, i film realizzati da vari servizi cinematografici dell'esercito furono consegnati nel 1924 all'Istituto nazionale Luce, fondato nello stesso anno per diretta volontà di Mussolini per produrre cinegiornali di informazione e di propaganda. Nel 1928 fu inoltre creato dalla Società delle Nazioni l'Istituto internazionale della cinematografia educativa, affidato a Luciano De Feo, primo presidente dell'Istituto Luce; nell'ambito delle attività per la scuola, con la collaborazione tecnica del Luce, fu poi fondato nel 1938, per volontà del ministro dell'Educazione nazionale G. Bottai, l'Istituto della cineteca autonoma per la cinematografia scolastica, le cui collezioni, disperse negli anni Cinquanta, sono state fortunosamente ritrovate nel 1990.
Nel primo dopoguerra la stessa industria aveva iniziato a ipotizzare l'eventuale riutilizzo dei vecchi film: Metro Goldwyn Mayer negli Stati Uniti, UFA in Germania e Gaumont in Francia inaugurarono una politica di conservazione dei loro film, mentre a New York nel 1920 nasceva la General Film Library, il primo archivio di stock shots (spezzoni con ogni genere di riprese venduti da 3 a 15 dollari al metro per essere riutilizzati in altri film) che nel 1940 avrebbe avuto in catalogo oltre sei milioni di metri di negativo. Altre raccolte di materiali di repertorio si costituirono presso distributori di film a passo ridotto, organismi religiosi come La bonne presse della Chiesa cattolica francese, enti educativi per la diffusione del cinema nelle scuole o nelle campagne. I film che non incontravano più il favore del pubblico continuarono a essere mandati al macero: lo stesso Méliès nel 1923 mise in vendita i negativi dei suoi film e ne buttò via le copie. Le distruzioni si incrementarono in corrispondenza con i salti tecnologici della produzione cinematografica, minacciando un'ecatombe sistematica quando il sonoro rese improponibile sul mercato il cinema muto. Dall'esigenza di salvare i classici sorgeva negli anni Trenta una nuova consapevolezza 'cinetecaria', attenta al cinema non più solo per il valore storico-documentaristico delle immagini, ma come espressione di una nuova forma d'arte da preservare in quanto tale. Il primo archivio con simili caratteristiche fu lo Svenska Filmsamfundet che, fondato nel 1933 a Stoccolma dal critico cinematografico Bengt Idestam-Almquist, divenne nel dopoguerra, guidato da Einar Lauritzen, l'attuale Svenska Filminstitutet. Ma i due Paesi che per primi vararono una vera e propria politica di conservazione sistematica dei documenti filmati sono stati l'Unione Sovietica e la Germania.
In Unione Sovietica già nel 1926 nacque un archivio nazionale di documenti fotografici, sonori e cinematografici, mentre nel 1934 il VGIK, la scuola di cinema di Mosca, costituì un fondo di pellicole per le esigenze didattiche degli allievi, da cui nel 1948, sotto la direzione di Victor Privato, sorse il Gosfil′mofond, divenuta poi forse la più ricca c. del mondo.In Germania, pochi mesi dopo la presa del potere da parte di Hitler (1933), si vietò l'esportazione di tutti i negativi dei film, muti o sonori, e l'anno successivo per diretta volontà di J. Goebbels, ministro del Reich all'informazione e alla propaganda, venne costituito il Reichsfilmarchiv, affidato a Frank Hensel, con 1200 film "d'importanza artistica o culturale", tra cui 350 lungometraggi muti. Il Reichsfilmarchiv, integrato dal 1938 nel Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda, iniziò a conservare, identificare e catalogare "film interessanti a qualunque titolo", compresi quelli proibiti dalla censura del regime o le opere judenbolschewistischen requisite a Vienna dopo l'Anschluss (1938), e si può considerare la prima c. organizzata con criteri moderni di conservazione e con depositi attrezzati con sistemi antincendio e controllo di temperatura e umidità. Promosso dal governo tedesco, si tenne a Berlino nel 1935 l'Internationale Film Kongress, cui parteciparono la FIAPF (Fédération Internationale des Associations de Producteurs de Films), l'Istituto Luce, l'Office catholique du cinéma, le associazioni di categoria di vari Paesi europei, e che si concluse auspicando la fondazione in tutti i Paesi di archivi cinematografici. E in quell'anno, effettivamente, si aprirono nuove c. a Londra, New York e Milano, con identiche finalità, ma tipologie molto differenti. A Londra venne costituita per decisione governativa, all'interno del British Film Institute, la Film Library, nucleo del futuro National Film Archive a lungo guidato da Ernst Lindgren, personaggio di spicco nel dibattito del secondo dopoguerra, e successivamente, con il nome di National Film and Television Archive, una delle c. più all'avanguardia nelle tecnologie di conservazione e restauro dei film. A New York, il Museum of Modern Arts (MOMA) decise la creazione di un dipartimento film, su impulso dei coniugi John Abbot e Iris Barry che alla pura conservazione pensarono di affiancare, in analogia con le altre sezioni del museo, una politica di 'esposizione' delle opere cinematografiche; le proiezioni si tenevano al nr. 485 di Madison Avenue di fronte a un pubblico di cinefili tra cui spiccava Orson Welles.
Più amatoriale fu invece l'esperienza milanese, nata alla metà degli anni Trenta attorno a Mario Ferrari e al futuro regista Luigi Comencini, che iniziarono a raccogliere i film muti abbandonati nelle cantine dei distributori e nelle cabine dei cinema di periferia. La loro passione fu ben presto condivisa da un gruppo di giovani intellettuali, tra cui Alberto Lattuada, Luciano Emmer, Renato Castellani, Giulio Macchi, il pittore Luigi Veronesi e la moglie Giulia, il musicologo Luigi Rognoni, legati oltre che dall'amore per il cinema da comuni sentimenti antifascisti, che attraverso i GUF (Gruppi Universitari Fascisti) animarono cicli di proiezione all'Opera nazionale dopolavoro. L'esperienza venne bruscamente interrotta dalla polizia alla vigilia della guerra quando il pubblico, durante la proiezione di una copia di La grande illusion (1937; La grande illusione) di Jean Renoir prestata da Henri Langlois, si alzò in piedi cantando La marseillaise. Al termine del secondo conflitto mondiale le attività ripartirono, e già nel luglio del 1945 Lattuada e Comencini facevano uscire un comunicato nel quale veniva prefigurata la strutturazione dell'attuale Cineteca italiana, il cui importante fondo di nitrati ha consentito di recuperare capolavori del muto fino ad allora considerati perduti.Sempre nel 1935 si era costituito a Roma, sotto l'egida del sottosegretario per la Stampa e propaganda G. Ciano e del direttore generale per la Cinematografia L. Freddi, il Centro sperimentale di cinematografia (CSC) diretto da Luigi Chiarini, che subito tentò di costituire un'embrionale c. di classici per gli studenti. Le circa trecento copie faticosamente raccolte furono requisite dai tedeschi nel 1943 e soltanto in parte recuperate nel dopoguerra: mancante risulta ancora, tra i tanti, Sperduti nel buio (1914) di Nino Martoglio e Roberto Danesi, considerato uno dei primi esempi del 'realismo all'italiana', quasi un'anticipazione del Neorealismo.Presso il CSC venne istituita con la l. 29 dic. 1949 nr. 958 la Cineteca nazionale, cui venne affidato il deposito legale dei film di produzione italiana. La Cineteca conserva oltre cinquantamila tra positivi e negativi di film, che ne fanno il centro propulsore per lo studio, la conservazione e il restauro del cinema italiano. Nel 1936 il presidente del Messico L. Cárdenas fondò la Filmoteca Nacional e nel 1938 nacque l'ultimo grande archivio d'anteguerra, la Cinémathèque de Belgique fondata a Bruxelles dal documentarista Henri Storck, da Pierre Vermeylen e da André Thirifays; quest'ultimo la diresse fino al 1960 cedendo poi il posto a Jacques Ledoux, personalità di spicco del mondo degli archivi, che trasformò quella che nel frattempo era diventata la Cinémathèque royale de Belgique in una collezione fondamentale per il cinema classico statunitense e le produzioni indipendenti europee.
Verso la definizione del moderno concetto di c. convergevano in quel periodo autorità di governo, istituzioni culturali, collezionisti privati e intellettuali, i quali rivendicavano uno spazio per il cinema all'interno della tassonomia delle arti. Ma per dar vita alla 'mitologia' della c. c'era bisogno di un giovane cinefilo francese, H. Langlois che, coadiuvato da Georges Franju, fondò nel 1936, come associazione privata senza fini di lucro, quella che nell'immaginario cinematografico sarebbe stata consacrata come la 'cineteca per antonomasia', la Cinémathèque française. Le prime c., pubbliche e private, nascevano in un vuoto legislativo che rendeva discutibile la legittimità del possesso dei film, legalmente sempre di proprietà di quei produttori che pure li avrebbero mandati al macero. Perché il film era considerato, e lo è tuttora, un 'bene economico' nella piena disponibilità dell'avente diritto e non un 'bene culturale' sottoposto a vincolo e tutela da parte della collettività. Fin dalle origini dunque le c. stabilirono un rapporto di competizione con il mercato, salvando opere che la logica commerciale immediata avrebbe voluto distruggere, ma anche di coo-perazione, sostenendo i costi di conservazione di un bene i cui introiti vanno comunque a profitto del produttore privato, anche se all'interno dell'Unione Europea si comincia a profilare la possibilità di pretendere contributi per il restauro da parte dei beneficiari della commercializzazione, molto estesa anche oltre l'uscita nelle sale grazie alle televisioni e ai nuovi media che valorizzano il repertorio storico.
Per trattare da posizioni di forza con il mercato, e occupare la ribalta del dibattito culturale, il 17 giugno 1938, a Parigi, il MOMA, la Film Library, la Cinémathèque française e il Reichsfilmarchiv diedero vita alla FIAF, aperta, come recita l'atto di fondazione, a "cineteche nazionali, semi-ufficiali e associazioni private riconosciute interessate alla storia e all'estetica del film […] che abbiano per oggetto la conservazione dei film, la raccolta della documentazione sui film e, se necessario, la proiezione dei film a scopi non commerciali, storici, pedagogici, artistici". Il primo congresso della federazione, l'anno seguente ancora a Parigi, rappresentò l'ultima occasione di contatto tra organismi ufficiali inglesi e tedeschi prima dello scoppio della guerra, che impedì lo svolgimento, previsto a Berlino, dell'incontro successivo. Ma soprattutto la FIAF si rivelò subito una zona franca dove la cooperazione tra le diverse c., come in altri rapporti di tipo culturale, fu impermeabile alle contingenze della politica, come dimostra la collaborazione ufficiosa durante l'occupazione tedesca tra Langlois e Hensel, che contribuì a salvare dalle requisizioni le collezioni della Cinémathèque. Già alla fine di agosto del 1945 la FIAF si riunì per il secondo congresso in Svizzera, dove nel 1943 erano nati Les archives suisses du film, poi trasformati nella Cinémathèque suisse con sede a Losanna, diretta da Freddy Buache, critico cinematografico e personalità di spicco nel mondo degli archivi. Tra il 1946 e il 1948 entrarono nella federazione sei nuovi paesi: Italia, rappresentata dalla Cineteca di Milano, Belgio, Svizzera, Cecoslovacchia, Olanda e Polonia, mentre la Germania, cui si chiedeva la restituzione dei film requisiti durante la guerra, veniva dichiarata decaduta finché non avesse ripreso il suo posto nel consesso delle nazioni. Sciolto, tra l'altro, il Reichsfilmarchiv, per disposizione delle potenze alleate, nella nuova Repubblica federale tedesca fu istituito il Deutsches Institut für Filmkunde di Wiesbaden, poi nel 1955 si formò all'interno dell'archivio di Stato una sezione cinema (Bundesarchiv-Filmarchiv). Contemporaneamente la Repubblica democratica tedesca aprì a Berlino lo Staatlisches Filmarchiv, a lungo diretto da Wolfgang Klaue, e fuso con il Bundesarchiv dopo la riunificazione (1989).
Al di là delle contingenze politiche, il problema più urgente all'ordine del giorno ‒ anche in seguito solo parzialmente risolto ‒ restava quello dei rapporti con i produttori e dunque del diritto degli archivi di intervenire sui materiali stampando nuovi elementi di preservazione (internegativi, interpositivi, copie ecc.) per ovviare al degrado dell'opera. Ancora aperta, salvo per alcuni Paesi, resta anche la questione del deposito legale, cioè dell'obbligo da parte dei produttori di depositare almeno una copia di tutti i film realizzati presso l'archivio nazionale del loro Paese. Ormai datato è invece il dibattito sulla 'primogenitura' tra la conservazione, considerata obbligatoria, e l'eventuale proiezione al pubblico, mentre gli studi recenti tendono a sostenere che le condizioni di proiezione sono una componente essenziale della preservazione dell'opera.
Salvo il riconoscimento obbligato di membro fondatore al Gosfil′mofond, che pure entrò soltanto nel 1948 nella federazione, la FIAF passò indenne attraverso la guerra fredda e nel volgere di un decennio vide l'ingresso di Iugoslavia, Austria, Danimarca, Ungheria, Uruguay, Brasile, Iran, Portogallo, Spagna, Bulgaria, Marocco, Argentina, Giappone, Norvegia, Egitto, Perù, Canada, Venezuela. Si scoprì l'inattesa ricchezza delle collezioni di c. come quella di Praga e quella di Belgrado, diretta dal cineasta Vladimir Pogacich, da cui emersero classici del cinema spesso perduti nei Paesi d'origine; e il cinema si è rivelato talvolta un universo troppo complesso per poter essere conservato da un unico archivio per Paese. Nel 1949 affiancò il MOMA la George Eastman House di Rochester, poi sede di una scuola di formazione per archivisti cinematografici, che aprì la strada all'adesione di altre istituzioni statunitensi come la Library of Congress, l'UCLA Film and TV Archive, il Pacific Film Archive ecc.
Dopo Milano e Roma, il panorama delle c. italiane si arricchì con la nascita a Torino del Museo nazionale del cinema, entrato nella FIAF nel 1953, ma cui Maria Adriana Prolo cominciò a lavorare già dal 1941 e che conserva le più complete collezioni di precinema su scala internazionale. In tempi più recenti sono stati riconosciuti la Cineteca Comunale di Bologna (1989), la Cineteca del Friuli (1989), la Cineteca Sarda (1996), l'Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (1998). Di grande rilievo sono inoltre l'Archivio dell'Istituto Luce che conserva una straordinaria collezione di documentari e cinegiornali e le Teche RAI, che fanno invece parte della Fédération internationale des archives de télévision (FIAT/IFTA).L'ambito statuto di membro della FIAF garantisce essenzialmente l'accesso a una rete di contatti internazionali, fondamentale per la ricerca di film, il completamento delle collezioni, l'arricchimento e l'aggiornamento costante delle competenze tecniche nella conservazione e nel restauro. Dopo una prima fase di estrema rigidità, con gli anni Novanta la federazione si è aperta a una pluralità di istituzioni di tutti i Paesi, fino a comprendere, nel 2002, 71 membri ordinari, 29 membri provvisori e 25 associati.
R. Borde, Les cinémathèques, Lausanne 1983.
M.A. Prolo, H. Langlois, Le dragon et l'alouette: correspondance 1948-1979, texte et notes établis par S. Toffetti, Torino 1992.
Restauro, conservazione e distruzione, a cura di L. Comencini, M. Pavesi, Milano 2001.
A. Benedetti, Il cinema documentato, Genova 2002.