CINETICA CHIMICA
CHIMICA Lo studio della velocità delle reazioni chimiche che costituisce lo scopo della cinetica chimica, sta certamente tra i primi problemi (in ordine cronologico) di cui la chimica-fisica si sia occupata. Fin dal 1867 C. M. Guldberg e P. Waage enunciarono, appunto in base a considerazioni cinetiche, la loro legge di azione di massa; ma la prima trattazione sistematica e rigorosa dell'importante argomento si deve a J. H. Van 't Hoff (1884). Tra i fondatori della cinetica chimica va anche ricordato Svante Arrhenius, i cui lavori (1889) portarono un notevolissimo contributo allo studio della dipendenza della velocità di reazione dalla temperatura. E fra gli autori moderni che hanno contribuito validamente allo studio sperimentale della cinetica chimica, non si possono passare sotto silenzio M. Bodenstein, C. N. Hinshelwood, Irving Langmuir e H. S. Taylor.
La cinetica chimica dei sistemi omogenei. - Definizioni. - La velocitä di una reazione chimica viene misurata dalla variazione della concentrazione della sostanza o delle sostanze reagenti in funzione del tempo. Fermandoci su un tipo molto semplice e schematico di reazione: A = B + C + D...; ponendo la concentrazione (c) della sostanza A che si trasforma come una funzione del tempo (t) scriveremo per la velocità di reazione:
Il segno − sta a indicarci che, come è ovvio, la concentrazione di A subisce delle variazioni negative: in altre parole cA, diminuisce durante il decorso della reazione.
Noi per ora ci occuperemo solo delle reazioni come se si effettuassero completamente in un senso. In realtà nei sistemi omogenei le cose possono avvenire in modo diverso poiché le reazioni che tendono a un equilibrio si svolgono in ambo i sensi. Però possiamo sempre supporre nei nostri casi che l'equilibrio sia spostato così fortemente verso un lato della reazione da poter considerare questa come unidirezionale.
Agli effetti del loro comportamento cinetico si distinguono le reazioni in varî tipi o ordini: a) reazioni monomolecolari o del primo ordine se una sola sostanza prende parte alla reazione molecola per molecola (es.: A = B + C...); b) reazioni bimolecolari o del secondo ordine se intervengono nella reazione due sostanze distinte ciascuna rispettivamente molecola per molecola (es.: A + B = C + D...); ovvero se interviene un'unica sostanza ma questa prende parte alla reazione con due molecole alla volta (es.: A + A = B...); c) analoga definizione si può dare delle reazioni trimolecolari (o del terzo ordine): A + B + C = D + E..., oppure: 3A = B + C...
Si potrebbero ancora definire reazioni d'ordine superiore ma è da notarsi che tali reazioni tetra-, penta-, plurimolecolari sono estremamente poco probabili. Anzi, come vedremo meglio avanti, si è già dato il caso di reazioni considerate come trimolecolari, osservando l'equazione chimica generale che le interpreta, e per le quali invece si è potuto constatare un andamento riferibile a un ordine inferiore. Citeremo l'esempio fornito da Knoblauch sulla velocità di saponificazione degli eteri di acidi polibasici. Se indichiamo con R″ un radicale di un acido bibasico e scriviamo la reazione di saponificazione per mezzo dell'idrato di sodio:
dovremmo concludere che tale reazione è trimolecolare. Viceversa si è potuto stabilire che l'andamento effettivo della reazione non è affatto trimolecolare, ma avviene in due fasi, ambedue a decorso bimolecolare:
Sta il fatto che in generale reazioni apparentemente di ordine superiore avvengono invece per gradi successivi ciascuno dei quali è caratterizzato da un decorso mono- o bimolecolare e solo eccezionalmente tri- o plurimolecolare.
Di questa assai piccola probabilità delle reazioni di ordine superiore ci possiamo rendere facilmente conto se ci riferiamo per es. a una reazione che avviene fra gas.
Se la reazione è bimolecolare, è ovvio che condizione necessaria dell'effettuarsi della reazione stessa sarà quella dell'incontro fra due molecole gassose che devono reagire, se la reazione sarà tri- o polimolecolare gl'incontri dovranno essere tri- o polimolecolari. Ora la teoria cinetica dei gas ci insegna che la probabilità d'un incontro fra tre molecole contemporaneamente è assai più piccola della probabilità d'incontro tra due molecole e a maggior ragione un incontro fra più molecole diverse, secondo lo schema che necessiterebbe per una reazione polimolecolare, è estremamente meno probabile d'un incontro bimolecolare.
Condizioni necessarie all'effettuarsi d'una reazione. - Se l'incontro fra le molecole è causa necessaria per l'effettuarsi delle reazioni fra le stesse, non è causa sufficiente. In altre parole la nozione di "urto" fra due o più molecole non è sufficiente a spiegarci il meccanismo col quale una reazione procede e quindi non basta a determinarne la velocità. Qualche esempio di natura elementare chiarirà meglio questo concetto.
È noto che l'idrogeno e l'ossigeno allo stato libero si trovano sotto forma di molecole biatomiche che combinandosi tra loro dànno l'acqua secondo la reazione:
Alla temperatura ordinaria idrogeno e ossigeno possono rimanere a contatto per un tempo praticamente infinito senza reagire, mentre per alte temperature la reazione avviene con grande veemenza. A temperature intermedie l'unione tra l'ossigeno e l'idrogeno ha luogo più o meno lentamente e il decorso della reazione può durare, a seconda della temperatura, minuti, giorni o mesi. Ora ci si può chiedere se ciò dipenda esclusivamente dal numero di urti che avvengono nella massa gassosa, in modo che a ogni urto tra due molecole d'idrogeno e una molecola di ossigeno avvenga la formazione d'una molecola d'acqua.
Il confronto con reazioni analoghe, es.:
la cui velocità è assai grande per le temperature alle quali l'unione di H2 con O2 è piccolissima, c'insegna che il numero di urti fra le molecole non è condizione sufficiente per l'effettuarsi della reazione.
L'urto per così dire "attivo" o "efficace" agli effetti della reazione deve avvenire non fra molecole qualsiasi ma tra molecole che si trovino in uno speciale stato energetico. Sappiamo dalla teoria cinetica dei gas che appunto tutte le molecole d'una massa gassosa non si trova110 nelle stesse condizioni energetiche. Infatti è noto per es. che a tutte le molecole d'un gas a una data temperatura e pressione non compete la stessa velocità, bensì competono velocità diverse ripartite fra le molecole secondo una legge statistica (la legge di ripartizione di Maxwell). Quello che si dice per la velocità (e quindi per l'energia cinetica delle molecole) si può ripetere per l'energia di vibrazione o rotazione delle diverse parti delle molecole stesse e quindi anche per l'energia totale della molecola che si ritiene ripartita non uniformemente fra le molecole stesse. Di qui la possibilità di avere le molecole in stati energetici speciali, diremo "attivi" di fronte a molecole della stessa natura, che viceversa si trovano in stati energetici "inattivi" agli effetti d'una data reazione chimica.
Il fatto che soltanto una porzione delle molecole di un sistema possa trovarsi in uno stato energetico attivo ci può essere suggerito anche se consideriamo una reazione gassosa a decorso monomolecolare, per es. la lenta decomposizione del pentossido d'azoto. Invero in tale reazione (come del resto in tutte le reazioni gassose a tipo monomolecolare) se tutte le molecole dovessero trovarsi nell'identico stato energetico o dovrebbero decomporsi tutte contemporaneamente (e quindi avere una reazione istantanea) ovvero non dovrebbero decomporsi affatto. Invece il fatto di poter osservare reazioni di detto tipo più o meno lente ci mostra come soltanto una piccola porzione di molecole presenti istante per istante si decompono e quindi come una parte delle molecole presenti debba trovarsi in uno stato speciale di reagibilità o, come diremo, in uno stato "attivo". Un esempio chiarirà ancora questo concetto fondamentale per la cinetica chimica. Studiamo la velocità di scissione dell'acido iodidrico allo stato gassoso:
Supponiamo che z molecole si urtino nell'unità di tempo (minuto secondo) in un centimetro cubo di gas. Basandoci sulle leggi della meccanica statistica, abbiamo che la frazione delle molecole presenti la cui energia raggiunge un valore E1 sarà
analogamente la frazione di molecole ciascuna delle quali raggiunge il valore E2 sarà
La probabilità che si incontrino due molecole, la cui energia sia globalmente per ciascuna coppia: E1 + E2 = E, sarà
Dunque, se z è il numero totale degl'incontri qualsiasi fra le molecole HJ a due a due, il numero d'incontri che soddisfano la condizione che l'energia totale delle due molecole all'incontro abbia raggiunto un valore E, per ora indeterminato, sarà:
(k = costante di Boltzmann, T = temperatura assoluta, e = base dei logaritmi naturali). Fra tutti gl'incontri binarî di molecole di HJ produrranno la reazione solo quelli per i quali si verificherà la precedente condizione e cioè fra tutti gli z incontri solo
saranno attivi e provocheranno la reazione. Cioè:
Il numero di molecole che reagiscono dunque in un secondo per cmc. di gas sarà:
dato che per ogni incontro "attivo" avremo due molecole che reagiscono. Il numero di molecole che reagiranno in un secondo per litro di gas HJ sarà:
Ora la teoria cinetica dei gas ci insegna che il numero totale di urti, che noi abbiamo espresso con z, viene dato dalla relazione
essendo σ il raggio della molecola (considerata in prima approssimazione come una sfera), ū la radice quadrata della velocità quadratica media (media dei quadrati delle velocità molecolari), n il numero delle molecole per centimetro cubo. Se c è la concentrazione del gas in molecole grammo per litro avremo:
dove N = 6,06 • 1023 è il numero di molecole contenuto in una molecola grammo di gas.
Potremmo allora ricavare il numero di molecole per litro che reagiscono in dato istante: tale numero sarà:
dividendo per N avremo allora il numero di molecole - grammo per litro che reagiscono nell'unità di tempo (minuto secondo) cioè la velocità
di reazione riferita al secondo come unità di tempo e alla concentrazione in molecole per litro. Cioè:
Ma a temperatura costante ū e e
sono costanti, σ è una costante, per cui ponendo
si avrà per la velocità della reazione bimolecolare
dove per una data reazione k è una costante dipendente dalla temperatura.
L'esperienza nel caso della reazione di dissociazione dell'acido iodidrico conferma i ragionamenti sviluppati. Invero, eseguendo il calcolo di k a 556° assoluti dai valori ū = 3,3 • 104 e σ = 2 • 10-8, si ha
mentre l'esperienza diretta fornisce
con un accordo del tutto soddisfacente.
La (1) riproduce l'ordinaria legge d'azione di massa della chimica generale che c'insegna che la velocità di una reazione è proporzionale al prodotto delle concentrazioni delle molecole reagenti, ciascuna presa con un esponente pari al numero di volte che la data molecola figura nell'equazione stechiometrica di reazione. Il ragionamento che ci ha condotti a tale relazione, mostra, se pure schematicamente e per un caso particolare, il significato teorico di k. L'applicazione della legge cinetica espressa dalla (1) è generale e rigorosa in tutti quei casi nei quali k resta effettivamente indipendente dalle concentrazioni, come avviene praticamente nei gas e nelle soluzioni diluite (soluzioni ideali).
Nel caso di reazioni monomolecolari è ovvio che la velocità dipenderà solo dalla frazione di molecole la cui energia supera nell'unità di tempo un dato limite critico Ec e in via di approssimazione potremo scrivere tale frazione con:
La relazione non è rigorosa, ma accenneremo più avanti alle complicazioni eventuali che sopravvengono quando si voglia studiare più da vicino la statistica delle reazioni chimiche.
Equazioni cinetiche fondamentali. - Frattanto abbiamo schematicamente mostrato il contenuto della legge chimico-cinetica fondamentale. Con le limitazioni su esposte avremo dunque per le reazioni monomolecolari:
per una reazione bimolecolare
che nel caso particolare già visto
diventa
Per una reazione trimolecolare
si scriverà
e così via.
Integrando queste equazioni si può giungere a delle relazioni finite che permettono di ricavare sperimentalmente i valori di k da misure di concentrazione e di tempo. Così abbiamo per le reazioni monomolecolari
dove c0 è la concentrazione iniziale della sostanza reagente e c la concentrazione al tempo t.
Per le reazioni bi- e trimolecolari l'integrazione dell'equazione cinetica diventa particolarmente semplice se si suppongono eguali all'inizio (e quindi durante tutto il decorso della reazione) le concentrazioni delle sostanze che reagiscono. Data cioè la reazione
si ha
che integrata dà:
(c0 concentrazione iniziale).
Sotto le stesse limitazioni per una reazione trimolecolare
Riconoscimento dell'ordine d'una reazione. - Non sempre una reazione procede cineticamente con l'andamento più semplice che noi possiamo supporre nello scriverne l'equazione e ciò, come già si è visto, specialmente nel caso di reazioni che dovrebbero essere di ordine elevato, data la minima probabilità di decorsi plurimolecolari. Con le leggi cinetiche soprascritte è possibile però risalire da misure di concentrazione durante il decorso d'una reazione all'ordine della reazione stessa. Si possono seguire diverse vie:
a) si può procedere per tentativi applicando le diverse relazioni date per il calcolo di k e vedere quali di esse portano a valori costanti. Tale metodo però è soggetto a errori, date le possibili perturbazioni che si possono verificare nel decorso delle reazioni;
b) un altro metodo sta nel determinare il tempo necessario perché la concentrazione iniziale c si riduca a metà. Nel caso semplice in cui tutte le concentrazioni iniziali siano eguali si ha per tale tempo
Dunque il tempo necessario perché la concentrazione iniziale si riduca a metà è indipendente dalla concentrazione nelle reazioni monomolecolari e inversamente proporzionale a questa in quelle bimolecolari, è inversamnte proporzionale al quadrato della stessa nelle trimolecolari, ecc.
Si può così, dopo aver eseguito una prima determinazione, diluite X volte la soluzione se si tratta di reazioni in soluzione e attendere di nuovo che la concentrazione si riduca a metà. Se la reazione è monomolecolare il tempo sarà lo stesso di prima, se è bimolecolare il tempo sarà n volte maggiore, sarà n2 volte maggiore nel caso del decorso trimolecolare.
Altro metodo interessante è quello cosiddetto dell'isolamento. Si abbia una reazione di ordine superiore fra le molecole A, B, C, D tale che la sua velocità si possa scrivere:
si supponga di mettere a reagire le sostanze A B in forte eccesso di fronte alla sostanza C tanto da rendere trascurabili le variazioni di cA e cB di fronte a quelle di cC. In questo modo cA e cB si potranno considerare costanti ed eguali alla concentrazione iniziale. Si potrà così scrivere
In tal modo si può risalire al va'lore di p e cioè all'ordine della reazione rispetto alla sostanza C.
Esempî di reazioni di ordine diverso. - Reazioni monomolecolari. - Esempî di trasformazione che obbediscono alla legge cinetica monomolecolare possiamo trovarli nei fenomeni di disintegrazione radioattiva, però tali esempî sono alquanto speciali sia per il fatto di presentarsi spesso come proprî ai sistemi eterogenei (p. es. radio ed emanazione di radio, ecc.), sia perché ordinariamente rientrano nei sistemi di reazioni successive delle quali parleremo in seguito.
Una reazione gassosa molto studiata e che segue entro limiti abbastanza larghi di temperatura e di pressione l'andamento monomolecolare è quella della decomposizione del pentossido di azoto secondo la reazione globale:
come si può vedere dalla seguente tabella.
Solo per pressioni assai piccole il valore della costante k viene ad essere alterato, mentre a pressioni superiori la reazione si presenta nettamente monomolecolare. In soluzione acquosa fra le reazioni a decorso monomolecolare è classico l'esempio dell'inversione del saccarosio, reazione la cui velocità è stata studiata da Wilhelmy (1860). Il saccarosio combinandosi con una molecola d'acqua si scinde in glucosio e levulosio:
Questa inversione rappresenterebbe una reazione bimolecolare, poiché il processo avviene fra due molecole distinte, una di zucchero e una di acqua. Ma siccome nell'inversione di soluzioni zuccherine avviene essenzialmente una variazione nella concentrazione dello zucchero, mentre la quantità d'acqua resta praticamente costante, data la forte sproporzione tra il numero di molecole d'acqua e di zucchero, la reazione può venire considerata come monomolecolare. Infatti l'equazione:
si trasforma in quella caratteristica delle reazioni monomolecolari se si può ritenere praticamente cH2 o = cost. e quindi:
L'andamento della reazione si può facilmente ed esattamente seguire poiché il saccarosio ruota il piano della luce polarizzata a destra, mentre il miscuglio di glucosio e levulosio provenienle dall'inversione, lo ruota a sinistra. Se con γ0 si indica l'angolo di rotazione all'inizio dell'inversione (tempo t = 0) e con γ∞ l'angolo dopo l'inversione e con γt l'angolo osservato al tempo t allora γ0 − γ∞ sarà proporzio1iale alla concentrazione iniziale del saccarosio mentre l'angolo γ0 − γt sarà proporzionale alla concentrazione dello zucchero invertitosi sino al tempo t. Si può quindi da misure polarimetriche risalire alla costante k della legge cinetica di reazione. Nella tabella seguente sono riportati alcuni lavori sperimentali che dimostrano l'andamento monomolecolare della reazione d'inversione del saccarosio.
Fra i dati della tabella che fissano le condizioni sotto le quali si effettua la reazione figura anche la concentrazione dell'idrogeno ione. Infatti, come meglio si dirà in seguito, la velocità della reazione d'inversione dipende nettamente dalla concentrazione idrogenionica della soluzione, tanto che si può dedurre detta concentrazione idrogenionica da misure di velocità d'inversione. Il caso riportato della misura della velocità d'inversione costituisce un processo molto elegante per seguire la velocità di reazione con misure ottiche molto semplici. Tale metodo presuppone che la rotazione del piano della luce polarizzata sia proporzionale alla concentrazione zuccherina, fatto che praticamente si verifica nei limiti dell'esperienza esemplificata.
Detto esempio è d'importanza fondamentale perché ci mostra come si possa giungere per mezzo di osservazioni di parametri puramente fisici a una determinazione assoluta dell'andamento d'una reazione. In modo analogo, per altre reazioni possono essere usate per es. la variazione della conducibilità elettrica, dell'assorbimento d'una data radiazione monocromatica, dell'indice di rifrazione. Se si deve invece seguire la reazione con mezzi chimico-analitici, occorre prelevare dei campioni durante il decorso della reazione. Allora possono intervenire due difficoltà: prima, quella che deriva dall'alterare le masse delle sostanze reagenti nel sistema, seconda, quella che deriva dal fatto (specie per reazioni rapide) che la reazione può proseguire nel campione prelevato prima dell'istante dell'analisi, portando così a valori falsati. Si ovvia a tale inconvenierite diminuendo al massimo la velocità di reazione nel campione prelevato sia per forte diluizione, sia per un forte raffreddamento, dato che, come sarà detto in seguito, la velocità d'una reazione diminuisce col diminuire della temperatura assai più fortemente di quest'ultima.
Ricorderemo ancora un esempio di una reazione a decorso monomolecolare: la trasformazione dell'acetocloroanilide in paracloroacetanilide.
L'esperienza mostra che in determinate condizioni di temperatura e di concentrazione la reazione ha un decorso n onomolecolare. Però, come è stato dimostrato da esperienze di Holt e di Orton, in generale la reazione ha un decorso più complicato. In genere, le reazioni nelle quali avvengono migrazioni di atomi presentano simili complicazioni e avvengono in due o più stadî successivi.
Reazioni bimolecolari. - Il maggior numero delle reazioni studiate appartiene al secondo ordine e numerosi sarebbero gli esempî che si potrebbero portare per reazioni di questo tipo. Nei sistemi gassosi si è già accennato alla reazione di dissociazione dell'acido iodidrico:
Un esempio classico di reazione bimolecolare in soluzione è dato dalla saponificazione degli eteri per parte degli ioni ossidrili
Nella tabella seguente sono appunto riportati alcuni valori relativi all'andamento della detta reazione.
Può essere interessante ricordare che la velocità di saponificazione degli eteri si può applicare alla determinazione della concentrazione degli ioni ossidrili. Indirettamente potrebbe servire anche per la determinazione della concentrazione degli ioni idrogeno, dato che gli ioni idrogeno agiscono cataliticamente (v. oltre) sulla saponificazione degli eteri, sebbene tale azione sia circa 1400 volte minore dell'analoga esercitata sull'inversione del saccarosio. Van 't Hoff e Vijs hanno applicato questo metodo a una misura molto elegante della costante di dissociazione dell'acqua. seguendo infatti la velocità di saponificazione di un etere nell'acqua pura (che, come si sa, contiene ioni idrogeno e ioni ossidrili) in presenza d'un forte eccesso di etere, data la minima attività degli ioni ossidrili dell'acqua, la reazione procede come se fosse monomolecolare, però man mano che gli ossidrili vengono consumati diminuisce la velocità di reazione (fino a un minimo dopo il quale la velocità riaumenta per l'azione catalitica degli ioni idrogeno che diventano sempre più numerosi col procedere della reazione. Così si è potuto determinare la concentrazione degli ioni idrogeno nell'acqua distillata in
mentre col metodo della conducibilità elettrica si trova
däto che concorda bene col precedente.
Reazioni trimolecolari. - Come esempio di reazioni trimolecolari porteremo quello della reazione:
reazione studiata da Bodenstein (1918) e poi da Lindner (1922). Tale reazione risulta omogenea e del terzo ordine. Riportiamo nella seguente tabella alcuni dati della costante calcolata con l'equazione caratteristica per le reazioni del terzo ordine. L'indipendenza di detti valori di k dalla concentrazione conferma così l'andamento trimolecolare della reazione stessa.
Si è già accennato alla minima probabilità che presentano le reazioni plurimolecolari e come molte reazioni apparentemente di ordine superiore seguano in realtà un decorso più semplice. In generale dunque non v'è per le reazioni più complicate una corrispondenza tra l'equazione stechiometrica di reazione e il decorso della stessa. Nella maggior parte delle ricerche si è dimostrato che l'equazione stechiometrica postula un ordine di reazione più alto di quello che effettivamente si può dedurre dall'andamento cinetico della reazione stessa e di questo ci rendiamo conto perfettamente se pensiamo p. es. che il decorso trimolecolare di una reazione è legato a urti fra tre molecole, che sono più rari e meno probabili. Sarà viceversa più probabile un processo che si svolga attraverso a una successione di reazioni parziali intermedie di secondo ordine, data la maggiore probabilità degli urti fra due molecole. Da queste considerazioni emerge chiaramente che solo la cinetica chimica può chiarire il vero meccanismo d'una reazione, meccanismo che non può sempre trasparire dall'equazione stechiometrica globale.
Di qui l'importanza di questi sistemi di "reazioni consecutive", secondo i quali si svolge il decorso di reazioni apparentemente uniche.
Reazioni consecutive. - Per i sistemi di reazioni consecutive vale una regola empirica che è di grande importanza e cioè che tra parecchi decorsi di reazioni successive fra loro collegate, quello che avviene con maggiore lentezza caratterizza la velocità del processo. Esso determina dunque anche l'ordine della reazione.
Possiamo riportare un esempio molto noto. Si consideri la reazione globale (in soluzione acquosa):
Stando alla sua equazione stechiometrica la reazione dovrebbe essere del quinto ordine. Noyes e Scott (1896) hanno invece stabilito che avviene solo come bimolecolare sdoppiandosi nelle due reazioni
Ora di queste reazioni la prima bimolecolare ha un decorso lento e caratterizza il "tempo" del processo. La seconda (che è di quarto ordine), avviene con grandissima velocità e deve consistere in una serie di processi elementari poco noti. Gli ioni idrogeno non prendono parte alla prima reazione ma agiscono cataliticamente e tale azione catalitica è direttamente proporzionale alla concentrazione degli ioni idrogeno come nell'inversione del saccarosio. Un altro esempio di reazioni consecutive è quello riassunto dall'equazione globale:
reazione studiata dal Landolt nel 1886. La formazione dell'iodio non avviene subito, ma dopo un certo tempo. Landolt spiegò questo fatto supponendo per la reazione i tre stadî seguenti. Inizialmente si ha una riduzione di JŌ3 a J???
I quindi si potrebbe formare iodio secondo la reazione:
se l'iodio formatosi non venisse ridotto immediatamente a ione:
Questi tre processi avvengono uno accanto all'altro finché è presente SŌ3. Appena questi ioni si sono consumati la prima e la terza scompaiono e resta solo la seconda e quindi si separerà iodio.
I casi più interessanti di reazioni consecutive ci sono forniti dalle trasformazioni radioattive. Considerando le trasformazioni d'un elemento radioattivo (dato o dall'espulsione d'una particella α o dall'emissione di raggi β o γ) nelle disintegrazioni successive degli elementi d'una famiglia radioattiva abbiamo un sistema di reazioni consecutive e a volte anche laterali (v. oltre).
Tratteremo un caso relativamente semplice d'un sistema di tre reazioni consecutive a decorso monomolecolare. Una sostanza A si trasformi monomolecolarmente in una seconda B e questa al pari in una terza C secondo lo schema
La velocità della trasformazione di A in B si scriverà allora:
essendo cA la concentrazione della sostanza A. La velocità con la quale scompare B sarà dala dalla velocità con la quale B si trasforma in C meno la velocità con la quale lo stesso B nasce prendendo origine da A e cioè
Analogamente per CB:
Le tre equazioni formeranno un sistema che integrato porta alle seguenti relazioni:
dove c0 rappresenta la concentrazione iniziale della sostanza A.
Dunque la concentrazione della sostanza A diminuisce col tempo secondo una legge esponenziale semplice. La concentrazione di B si annulla per t = 0, o per t = ∞ perciò dovrà crescere dall'inizio fino a un massimo dopo il quale decresce. Come è ovvio, se k1 fosse eguale a k2 la concentrazione di B sarebbe sempre uguale a zero.
A seconda del valore relativo delle tre costanti k1, k2, k3 il sistema può presentare degli andamenti più semplici e più utili per la determinazione sperimentale delle costanti. Così se k1 − k2 è maggiore di zero e assai grande e cioè k2 assai piccolo di fronte a k1 allora e-k2 t non solo sarà sempre maggiore di e-k1 t, ma per un tempo t sufficientemente grande eluest'ultimo esponenziale potrà trascurarsi di fronte al primo. Allora avremo:
e dato che k2 è trascurabile di fronte a k1:
Cioè dopo un tempo abbastanza lungo il decremento di cB avverrà con una legge esponenziale semplice e ci darà modo di conoscere k2. Se invece k1 fosse assai piccolo di fronte a k2, dopo un certo tempo sarebbe trascurabile e-k2 t di fronte a e-k1 t e la legge di decremento di cB finirebbe per essere espressa da
Analoga discussione potrebbe ripetersi per cC.
Da quanto precede possiamo trarre una giustificazione della regola empirica già innanzi citata e che cioè in un sistema di reazioni consecutive la reazione più lenta è quella che dà il "tempo" del processo. Nella figura sono riportati gli andamenti di cA, cB, cC (rispettivamente curva P1, P2, P3) nel caso in cui k1 = 3,85 • 10-3; k2, = 5,38 • 10-4; k3 = 4,13 • 10-4.
Reazioni laterali. - Se una sostanza iniziale si trasforma contemporaneamente in più modi diversi si ha un sistema di reazioni laterali. Per esempio si abbia una sostanza A che si trasforma contemporaneamente in due altre B, C secondo lo schema
Così, per citare un esempio semplice, la nitrazione del fenolo con un eccesso d'acido nitrico è una reazione a decorso monomolecolare. Contemporaneamente da molecole di fenolo si passa a molecole di orto-nitrofenolo e di para-nitrofenolo:
Scriviamo che le due reazioni A → B e A → C avvengono indipendentemente:
Dunque:
D'altra parte il rapporto tra le quantità di B e di C formatesi dall'inizio della reazione al tempo t si scriverà come è facile dedurre:
Cioè per un sistema di reazioni laterali a decorso monomolecolare (o in genere dello stesso ordine) il rapporto tra le quantità di sostanze formatesi in un dato intervallo di tempo è costante e indipendente dal tempo. Questo è l'enunciato della legge di Wegscheider sulle reazioni laterali, che serve a distinguere le reazioni laterali dalle reazioni consecutive.
Reazioni indotte. - Questo è il caso di due sostanze che fra di loro non reagirebbero spontaneamente, mentre in presenza d'una terza sostanza che reagisce rapidamente con una di esse, manifestano un'azione assai vivace.
Esempio classico è quello della reazione tra permanganato di potassio e acido cloridrico in soluzione diluita. Mentre il permanganato reagisce rapidamente con l'acido cloridrico, se è concentrato, svolgendo cloro, in soluzione di acido cloridrico diluito l'azione è quasi nulla: se però anche in soluzione diluita la reazione avviene in presenza d'un sale ferroso si libera subito cloro. Il permanganato in questo caso prende il nome di attore, l'acido cloridrico di accettore e il sale ferroso d'induttore. Si ricordano altri casi classici di reazioni indotte, es. acido cromico (attore) acido iodidrico (accettore), acido arsenioso (induttore), ecc.
Si ritiene che in tali reazioni indotte gl'induttori vengano dagli attori portati a forme superiori di ossidazione. Così nella reazione fra permanganato e acido cloridrico, sopra esemplificata, il ferro passerebbe non nella forma corrispondente all'ossido Fe2O3 ma a una forma corrispondente a un ossido Fe2O6 e sarebbe in tale condizione che il ferro ossiderebbe l'acido cloridrico.
Reazioni opposte.- Fino a questo punto abbiamo supposto che le reazioni considerate si svolgessero completamente in un senso unico fino all'esaurimento delle sostanze reagenti. In altre parole si considerava come trascurabile la velocità della reazione opposta che a spese delle sostanze prodotte riformasse le sostanze di partenza. Cerchiamo di accennare ora a quest'ultimo caso. Sia data la reazione:
la reazione opposta alla (1) sarà:
La velocità della prima reazione si scriverà:
mentre la velocità della seconda reazione:
Se k2 non è trascurabile, appena si sarà formato un certo quantitativo di AB la velocità della reazione (2) comincerà a divenire apprezzabile e aumenterà man mano che per effetto della reazione (1) la quantità delle sostanze AB si va accumulando. Però nel frattempo diminuendo la concentrazione delle sostanze A e B diminuirà pure la velocità della reazione (1) e potrà quindi darsi che a un dato istante le due velocità (1) e (2) si eguaglino. Da questo istante tanta è la quantità di sostanza AB che si forma quanto quella che si distrugge. Si raggiungerà così una condizione di regime che caratterizza un equilibrio. La condizione di tale equilibrio sarà che:
Dato che k1 e k2 sono due costanti, a temperatura costante, indipendenti dalle singole concentrazioni, K sarà una costante. Si nota subito che K coincide con la costante d'equilibrio chimico dedotta dalle leggi della statica chimica per un sistema ideale. Bodenstein ha dato un elegante esempio di reazioni opposte studiando la cinetica della reazione
Come si nota dalla tabella V, dai valori delle costanti k1 e k2, dedotti da misure delle velocità delle due reazioni opposte (considerate come isolate) si calcolano con ottima coincidenza le costanti d'equilibrio dedotte da esperienze di statica chimica.
Dipendenza della velocità di reazione dalla temperatura. - Fin dall'inizio abbiamo dato alcuni cenni sul significato di k (costante della velocità di reazione) e abbiamo visto come il suo valore sia strettamente legato al numero di molecole che al dato istante raggiungono un determinato stato critico osservando come tutti gli urti fra le molecole non siano urti "attivi" e cioè seguiti da reazione. È difficile oggi sviluppare una teoria completa e soddisfacente che permetta di stabilire nettamente le caratteristiche di questo stato critico, come può essere raggiunto, mantenuto o perduto dalle molecole. Daremo schematicamente qualche cenno delle idee svolte in proposito.
La prima idea di stato critico delle molecole è stata svolta nel senso che una molecola potesse raggiungere tale stato ogni qualvolta la sua energia interna raggiungesse un valore globale Ec detto appunto "energia critica" della reazione. Ora nel caso della decomposizione d'una molecola biatomica, tale concetto non porta a gravi discussioni, dato che l'energia interna molecolare è strettamente legata allo stato dell'unico legame chimico che unisce i due atomi nella molecola e al cui allentamento seguirà la dissociazione della molecola stessa.
Se ci riferiamo però a una molecola più complicata, le cose diventano subito meno definite. Infatti a priori, in generale, l'energia d'una molecola complicata è legata a molteplici fattori (coordinate di energia) e un dato valore di energia totale d'una singola molecola (stiamo per ora ai concetti della meccanica statistica classica) può essere dato da molteplici ripartizioni individuali d'energia fra le diverse coordinate, tra i diversi legami costituenti la molecola stessa. Ciascuna di queste configurazioni molecolari, che posseggono la stessa energia totale diversamente ripartita, si potrà considerare come una molecola attiva? Senza per ora voler cercare aiuto in ulteriori considerazioni teoriche, ci si può facilmente convincere in modo elementare che tutte queste configurazioni isoenergetiche non sono equivalenti agli effetti della cinetica d'una reazione, ma che fra queste solo quelle caratterizzate da ripartizioni speciali dell'energia, in virtù delle quali siano particolarmente impegnati i legami chimici che dovranno poi dar luogo alla reazione, sono da ritenersi come veramente "attive". Ora quest'ultimo numero di molecole è minore del numero di molecole che al dato istante posseggono comunque ripartita l'energia critica Ec. La meccanica statistica classica invero assegna al numero di molecole che in un gas posseggono, comunque ripartita, una energia compresa tra E e E + dE il valore
dove:
e n è il numero di coordinate di energia della molecola e N il numero totale delle molecole presenti.
Nel secondo caso invece il numero delle molecole che posseggono l'energia E ma ripartita in modo determinato fra le n coordinate di energia in modo che la coordinata
dove N è il numero totale di molecole presenti e β è una costante che deriva dalla relazione
dove si suppone l'energia molecolare come una fmzione quadratica delle n coordinate di energia.
Se la rapidità di stabilirsi dell'equilibrio statistico fosse assai superiore a quella con la quale le molecole giunte allo stato critico possono reagire, allora agli effetti della velocità di reazione si dovrebbero considerare sotto il punto di vista della (2) non solo le molecole che hanno raggiunto il valore critico Ec di energia ma anche tutte quelle che lo hanno superato. Integrando l'espressione (2) tra Ec ed ∞ si ottiene:
e fermandosi al primo termine della serie:
È facile osservare come l'ipotesi espressa dalla (3) lascia adito alla possibilità esclusa invece dalla (2) e dalla (4) di passare da una molecola pluriatomica non attiva a una molecola attiva senza variazione dell'energia totale della molecola, ma solo per una variazione della distribuzione dell'energia interna fra le diverse coordinate.
La teoria dei quanti cercò di completare i ragionamenti cinetico-statistici con i quali si era tentato di affrontare il problema della cinetica delle reazioni chimiche. Alcuni autori supposero che lo stato critico si potesse raggiungere solo per quantità discrete d'energia. Sotto molti punti di vista il processo d'attivazione verrebbe così semplificato.
Per quanto la discussione dettagliata di queste particolarità sul meccanismo d'attivazione delle molecole possa oggi forse toccare più da vicino il campo della fotochimica o in generale i rapporti tra l'energia raggiante e le reazioni chimiche, non passeremo sotto silenzio un assai interessante ragionamento elaborato da Mc Lewis e da Perrin.
La materia si trova a una determinata temperatura costante in equilibrio con l'energia raggiante e tale energia viene per quanti assorbita e riemessa dalle molecole materiali. Uno spazio delimitato da pareti materiali supposte impermeabili all'energia raggiante verrà così a contenere oscillazioni di tutte le frequenze possibili. L'unità di volume di detto spazio conterrà allora una determinata quantità d'energia raggiante che prende il nome di "densità dell'energia raggiante" nello spazio considerato. Tale densità totale è determinata dalla temperatura e si ripartisce fra le diverse frequenze corrispondentemente alla legge di Planck. Questa legge ci dice che la quantità di energia ripartita fra la frequenza ν e quella ν + dν è uν dν dove uν rappresenta la densità di energia di frequenza ν ed è data da:
h = costante di Planck, c = velocità della luce, k = costante di Boltzmann, T = temperatura assoluta.
Si considerino delle molecole gassose in detto spazio: queste emetteranno e assorbiranno dei quanti generici hν compatibilmente con la loro struttura chimica. Ora se Ec, = hνα ci rappresenta l'energia di attivazione per molecola potremo supporre che la molecola si attivi ogni qualvolta assorbe un quanto hνc e cioè assorbe dell'energia raggiante di frequenza νc.
Il numero di molecole che al dato istante raggiungono tale stato critico si può porre come proporzionale alla densità dell'energia raggiante di frequenza νc e quindi si può scrivere per la costante della velocità della reazione provocata dalla frequenza νc.
Si trova che le frequenze νc corrisponderebbero nelle ordinarie reazioni alla parte ultrarossa dello spettro e perciò hanno valori relativamente piccoli tanto che uνc si può scrivere con buona approssimazione:
Dunque per la costante della velocità di reazione scriveremo
Dato che la frequenza νc cade nel campo dei raggi ultrarossi (calorifici) la tesi svolta riporterebbe a un meccanismo fotochimico le reazioni termiche ordinarie. I tentativi fatti per dare a detta teoria delle conferme sperimentali nel campo spettroscopico hanno incontrato forti difficoltà e incertezze.
D'altra parte è giusto osservare che la teoria dei quanti in generale non postula la discontinuità dell'energia, bensì la discontinuità dell'azione. Ora per un sistema costituito da una molecola complicata in soluzione, molecola sottoposta a un campo individualmente variabile nei riguardi d'una singola molecola, la precedente osservazione ci può portare ad ammettere un processo continuo nelle variazioni di energia di una singola molecola. La teoria dei quanti pone invero per un oscillatore (che potrebbe fino a un certo punto corrispondere a una coppia di atomi legati in molecola):
dove E è l'energia dell'oscillatore, ν la sua frequenza, n un numero intero (numero quantico) e h la costante di Planck. La relazione (5) ci mostrerebbe dunque per l'oscillatore sottoposto a un campo variabile in modo disordinato la possibilità di variazioni continue dell'energia E al variare di ν e pure restando costante il numero quantico n. Tale processo si dice adiabatico.
Lo sviluppo rapido delle moderne teorie fisiche sta aprendo allo studio fisico della cinetica delle reazioni un nuovo campo che si preannuncia già fin d'ora del massimo interesse. Non è però ancora possibile dare uno sguardo d'insieme a questi nuovi orientamenti chimico-fisici. Sono per es. notevoli le ricerche con le quali O. K. Rice (dicembre 1929) tenta d'applicare la meccanica ondulatoria di Schrodinger al caso delle reazioni chimiche.
D'altra parte è da osservare che tutte le considerazioni svolte in questi ultimi paragrafi poggiano sul principio statistico di Boltzmann. Ora gli autori contemporanei hanno potuto dimostrare che la statistica di Boltzmann si può considerare come un caso limite per temperature molto elevate, mentre in generale il dinamismo delle particelle materiali (atomi e molecole) s'inquadrerebbe in altre statistiche diverse. Così si presenta di un interesse eccezionale per tutto il campo della chimica fisica il principio statistico del Fermi e già è stato fatto qualche tentativo d'applicazione al caso della cinetica chimica.
Da tutto quanto precede però si può comprendere già qualitativamente come la velocità d'una reazione debba dipendere strettamente dalla temperatura. Per le reazioni omogenee si trova che in generale se la temperatura cresce di 10° C, il valore di k circa si raddoppia. Si hanno tuttavia numerosi casi nei quali l'aumento è minore, altri nei quali l'aumento è maggiore.
Dall'esame empirico delle reazioni si può giungere a una legge di dipendenza con la temperatura che in genere è abbastanza ben soddisfatta:
Essendo A, B due costanti e T la temperatura assoluta.
Riportiamo un esempio relativo alla velocità di decomposizione dell'acido monocloroacetico:
L'accordo è soddisfacente.
La relazione (7) può essere facilmente dedotta dalla (5). Si può infatti osservare che dalla
si può dedurre
Ricordando poi quanto abbiamo accennato sul significato di k vediamo che la legge di dipendenza della temperatura deve essere certamente meno semplice. In generale dalle formule usate per k si può dedurre il relativo coefficiente di temperatura. È però opportuno fare una osservazione che permette di essere formulata con una certa esattezza nel caso delle reazioni gassose.
Si è visto nei primi paragrafi che la costante della legge cinetica per una reazione gassosa bimolecolare (fra molecole della stessa specie) si scrive:
dove ū ci rappresenta la radice quadrata della velocità quadratica media delle molecole gassose reagenti. Ora sappiamo che la velocità quadratica media dipende linearmente dalla temperatura, quindi potremo scrivere per il logaritmo di k
Questa osservazione è di notevole importanza nei riguardi della determinazione dell'energia di attivazione da misure di velocità di reazione in funzione della temperatura. Infatti se consideriamo semplicemente la (7) si ha:
viceversa se si tiene conto della dipendenza della velocità quadratica media delle molecole dalla temperatura si dovrà secondo la (8) scrivere:
cioè il valore di E dedotto dalla semplice applicazione della (7) sarebbe errato in eccesso per la quantità di
Specie in reazioni gassose a temperatura elevata la correzione potrà avere un certo valore. Per es. verso i 1000° assoluti oscilla sulle 1000 calorie per molecola grammo.
L'osservazione della relazione (9) ci porta ancora a qualche altra considerazione.
Infatti è ovvio che se maggiore è E, più lenta in generale è la reazione: in altre parole le reazioni lente sono in generale caratterizzate da valori alti d'energia critica e viceversa. Però a valori alti di E corrispondono per la (9) forti valori del coefficiente di temperatura della reazione. La (9) dunque potrebbe significare che reazioni lente hanno forti coefficienti di temperatura e viceversa.
Dipendenza della velocità di reazione da fattori ambientali. - Le considerazioni svolte nel precedente paragrafo a proposito della ripartizione dell'energia fra le molecole, se pur non ci permettono ancora una serrata trattazione del problema chimico cinetico, ci mostrano qualitativamente come in caso di reazioni omogeneee in fase liquida la velocità di reazione debba dipendere dalla natura dell'ambiente nel quale essa si svolge, dato che dall'ambiente dipenderanno in genere le coordinate di energia delle molecole reagenti. Quindi in primo luogo il solvente dovrà esercitare una spiccata azione sulla velocità di reazione.
L'influenza del solvente sulla velocità di reazione non influisce generalmente sul valore dell'energia di attivazione. Ecco per es. alcuni dati della reazione di scomposizione del bromuro di trietilsolfina.
Recentemente si sono fatti degli studî per rilevare se e in quanto l'azione del solvente sulla velocità della reazione possa dipendere dal momento elettrico molecolare dei solventi e quindi dalla polarizzazione dielettrica molecolare dello stesso. Sta il fatto che esistono delle regolarità tra la velocità d'una data reazione e la costante dielettrica (e quindi la polarizzazione molecolare) del solvente. Valga l'esempio seguente riferentesi alla velocità di trasformazione del cloridrato di canfene in cloruro di isobornile a 40° C.
E recenti studî hanno illustrato esempî d'influenza del momento elettrico molecolare sulla velocità di reazione senza ripercussione sull'energia molecolare di attivazione.
Ma non solo le molecole neutre dell'ambiente possono avere una spiccata influenza sulla velocità di reazione: anche gli ioni possono esercitare una spiccata azione pur non entrando in combinazione nella reazione. Prima fra tutte è da citarsi l'azione spiccata degli ioni idrogeno. Gli acidi agiscono in questi casi proporzionalmente all'attività idrogenionica che compete alle loro soluzioni. Soluzioni equimolecolari di acidi di forza diversa agiscono in modo diverso. Per le soluzioni di acidi deboli si dimostra che la concentrazione idrogenionica è data da:
dove K è la costante di dissociazione dell'acido ed [A] la concentrazione totale dello stesso. Un acido agirà dunque sull'inversione del saccarosio proporzionalmente alla radice quadrata del prodotto (K [A]). Due acidi diversi avranno la stessa azione, se nelle due soluzioni esaminate sarà uguale il prodotto (K [A]). L'aggiunta di sali neutri altera l'azione degli acidi dato che ne varia l'attività ionica. È quindi logico che tale azione dei sali neutri debba essere specifica per i singoli sali. L'azione degli ioni idrogeno sull'accelerazione di certe reazioni in soluzione si può assumere per misurare sperimentalmente l'attività idrogenionica delle soluzioni stesse. Così la velocità di decomposizione della nitrosotriacetonamina
che si può seguire facilmente, misurando di tempo in tempo l'azoto formatosi, può servire per misurare la concentrazione idrogenionica di una soluzione. Ciò che si è detto per gli acidi e gli ioni idrogeno può ripetersi per le basi e l'ione ossidrile che ha un'azione meno spiccata e vasta degli ioni idrogeno, ma accelera per es. delle reazioni di mutarotazione, di recemizzazione, ecc. Anche nel caso delle basi l'azione sulla velocità di reazione non dipende direttamente dalla concentrazione della base bensì dall'attività degli ioni ossidrili della soluzione.
Catalisi. - Abbiamo così illustrati alcuni esempî di sostanze che provocano e accelerano una reazione restando inalterate. Fenomeni di questo genere vennero chiamati già da Berzelius (1836) "fenomeni catalitici". Il campo della catalisi è oggi assai vasto e importante e solo in succinto ne parleremo in questo articolo, rimandando per una trattazione più ampia all'apposita voce. Sotto il punto di vista fenomenologico un catalizzatore presenta le seguenti caratteristiche:
1. non viene alterato dalla reazione che esso accelera;
2. non crea reazioni nuove ma solo ne accelera una o più tra quelle già presenti nel sistema;
3. non altera l'ordine della reazione e nelle reazioni che conducono a un equilibrio non altera il valore della costante di equilibrio: il catalizzatore agisce egualmente sulle due reazioni opposte.
La costante d'una velocità di reazione catalizzata si scriverà:
essendo k la costante della reazione non catalizzata e ϕ una funzione della concentrazione del catalizzatore che si annulla con questa. Spesso la funzione ϕ è una funzione lineare della concentrazione del catalizzatore. Ora può accadere che il termine k (costante della reazione non catalizzata) sia trascurabile di fronte a ϕ e la reazione quindi proceda praticamente solo in presenza del catalizzatore. Questo capita nel caso dell'inversione del saccarosio sotto l'azione catalitica degli ioni idrogeno.
Autocatalisi. - Può darsi che l'agente catalitico venga formato ovvero consumato nel decorso della reazione stessa. Si ha allora l'autocatalisi. Per es. la formazione degli eteri è catalizzata dagli ioni idrogeno; così l'acido fenilacetico sciolto in un eccesso di alcool etilico si dovrebbe eterificare secondo un processo pseudomonomolecolare (dato che l'alcool è in forte eccesso):
però dato che la reazione è catalizzata dagli ioni idrogeno e in assenza di questi la velocità è assai piccola si scriverà
Ma, se ϕ è proporzionale alla concentrazione degli ioni idrogeno e quindi legato a c, è evidente che nell'espressione di v la concentrazione c dovrà figurare al quadrato. Invero se Ξ = ξc si avrà:
e cioè apparentemente la reazione sarà del secondo ordine.
Se il processo consuma ioni idrogeno, la sua velocità diminuirà col tempo (autocatalisi negativa); viceversa se c aumenta durante il processo, si avrà un'accelerazione della reazione (autocatalisi positiva).
Enzimi. - Sono di enorme importanza alcune sostanze che accelerano in modo particolare gruppi speciali di reazioni. Tali sostanze (dette enzimi) vengono generate da organismi viventi e hanno un'azione oltremodo spiccata tanto che ne bastano delle tracce infinitesime per trasformare quantità enormi di sostanze. Ordinariamente le reazioni enzimatiche consistono nella scissione di molecole di sostanze più complesse per portarle a una maggiore semplicità, quindi si tratta assai spesso di reazioni monomolecolari. Però le reazioni enzimatiche non seguono in tale caso ordinariamente la legge delle reazioni monomolecolari che competerebbe al loro decorso. Per es. una sostanza assai nota fra gli enzimi è l'invertina o invertasi, enzima che può invertire il saccarosio con velocità notevoli. Ora per quanto si è già visto l'inversione del saccarosio segue la legge delle reazioni monomolecolari, viceversa se avviene per via enzimatica tale legge delle reazioni monomolecolari non è più soddisfatta. Valga a ciò l'esempio seguente:
Si vede dunque che k non resta costante durante il decorso della reazione confermando quanto si è detto e che cioè l'inversione enzimatica del saccarosio non segue la legge cinetica che competerebbe al suo decorso. Già da tempo V. Henri ha proposto per tale reazione enzimatica del saccarosio una legge del tipo:
essendo a la quantità iniziale di saccarosio e x la quantità trasformata al tempo t; legge empirica, che può portare a valori di k indipendenti dal tempo. Una spiccata caratteristica degli enzimi è quella di risentire di un numero grandissimo di cause. Così la temperatura ha un'influenza grande sull'attività dell'enzima: le temperature relativamente alte "uccidono" l'enzima, a temperature più basse l'attività dell'enzima è inibita; esiste dunque un optimum della temperatura per gli enzimi, optimum che può variare da enzima a enzima. Così l'attività degli enzimi dipende strettamente dall'attività idrogenionica del mezzo: anche per questa esiste un optimum che può essere specifico per ciascun enzima e ciò si dica pure per il potenziale d'ossidazione e riduzione del mezzo che ha una spiccata influenza sull'attività degli enzimi. Altra caratteristica degli enzimi è quella di potersi "avvelenare" per effetto delle sostanze stesse prodotte nella reazione enzimatica. Ma una trattazione completa della questione degli enzimi rientra nel campo biologico.
Cinetica delle reazioni eterogenee. - Sono dette reazioni eterogenee quelle che si esplicano alla superficie tra due fasi diverse: per es., gas-solido, gas-liquido, liquido-solido.
a) Reazioni gassose su superficie solida. - La cinetica chimica dei sistemi eterogenei si presenta assai complicata e difficile a uno studio teorico che cerchi d'inquadrarla se pure in linee molto generali come si è potuto fare per la cinetica delle reazioni nei sistemi omogenei. Fisseremo qui schematicamente i punti di vista più notevoli in tale campo.
Teoria dell'adsorbimento. - Il processo d'attivazione delle molecole gassose su una superficie solida si presta a interessanti considerazioni. Le molecole gassose non vengono trasformate in uno stato chimicamente attivo (a eccezione di pochi casi speciali) mediante il solo rimbalzo meccanico su una superficie solida. Sta a conferma di questa affermazione l'influenza del tutto specifica delle diverse superficie dei solidi.
Si è tentato di spiegare tale specificità facendo intervenire ipotetici composti intermedî tra gas e solidi, composti che dovrebbero formarsi alla superficie di questi ultimi. Però tale ipotesi oltre a presentare in generale un carattere di spiccata arbitrarietà non si è dimostrata sempre utile nello spiegare i fenomeni di attivazione sulla superficie dei solidi. Una teoria più accettabile è quella "dell'adsorbimento" che ammette essere gli strati sottili di gas, adsorbiti dalle superficie solide, la sede delle reazioni su accennate. Qui ci si potrebbe prospettare l'idea che l'aumentata velocità della reazione gassosa per effetto della fase eterogenea sia da imputare al fatto che nel sottile strato di gas adsorbito che è sede della reazione vi sia una concentrazione maggiore e quindi per la legge di azione di massa una maggiore velocità di reazione. Si può però dimostrare per vie diversissime che tale spiegazione non è generalmente ammissibile. Infatti si dànno per es. dei casi in cui una sostanza si può decomporre su superficie solide in due altre diverse secondo un sistema di reazioni laterali. Ora però l'aumentata concentrazione gassosa alla superficie del solido dovrebbe per la legge d'azione di massa accelerare ambedue le reazioni. Viceversa in certi casi ne vediamo accelerare una a totale esclusione dell'altra, così p. es. il vapore dell'alcool etilico può decomporsi in etilene e acqua come in aldeide acetica e idrogeno:
Su una superficie di rame a 300° C. si ha quasi esclusivamente la decomposizione in aldeide acetica e idrogeno mentre alla stessa temperatura su una superficie d'alluminio si ha prevalentemente l'altra reazione. Ora dato che sulle due superficie si possono formare concentrazioni diverse del vapore di alcool, per la legge dell'azione di massa ne verrebbe che ambedue le reazioni si dovrebbero accelerare in modo diverso, però non si riuscirebbe a spiegare il perché dell'esclusione quasi completa ora dell'una ora dell'altra delle due reazioni. Dobbiamo perciò supporre che le superficie esercitino un'influenza del tutto specifica sulle molecole adsorbite su di esse. Questa influenza speciale è, come si dice, di natura chimica. Langmuir suppone che le molecole vengano legate alle superficie solide per mezzo delle comuni forze di valenza, siano queste valenze principali o secondarie. Allo stato attuale delle nostre conoscenze sul legame chimico, diremo che il legame delle molecole gassose alla superficie è di natura omeopolare. Così per es. il legame delle molecole di ossigeno su una superficie di tungsteno non sarebbe in sostanza diverso da quello che caratterizza la molecola di ossido di tungsteno. L'unica differenza tra adsorbimento e formazione di ossido consisterebbe nel fatto che nel solo adsorbimento gli atomi metallici, sebbene collegati con l'ossigeno, restano ancora collegati fra di loro, mentre nella formazione dell'ossido il legame fra gli atomi del tungsteno è completamente sciolto. I complessi nichelio-idrogeno, sulla cui formazione si basa l'idrogenazione catalitica, si distinguono dagli idruri di nichelio per il fatto che l'affinità dell'idrogeno per il nichelio non è sufficiente a vincere le forze reticolari che tengono insieme gli atomi di nichelio nella fase solida. Siccome l'ossido di carbonio possiede invece la capacità di sciogliere il legame reticolare degli atomi di nichelio, esso forma con questo metallo un nichel-carbonile ben definito. Sul platino né molecole di idrogeno né di ossido di carbonio possono sciogliere gli atomi dal reticolo e perciò le particelle vengono fissate solo alla superficie del metallo. Considerando altri casi come per es. l'adsorbimento di ammoniaca sul quarzo o quello dell'ossido di carbonio sui silicati, questo punto di vista non resta forse troppo convincente. Però si deve anche pensare che si hanno esempî numerosissimi di composti di coordinazione della natura più svariata alla cui formazione ipotetica si potrebbe ricorrere anche in questi ultimi casi.
Se l'adsorbimento avvenisse realmente secondo il meccanismo sopra accennato, la superficie dovrebbe restare saturata appena coperta da uno strato monomolecolare del gas adsorbito e solo in casi d'eccezione sarebbe possibile la formazione di un secondo strato.
Una seconda teoria che potrebbe venire considerata è quella che sostiene che lo strato gassoso adsorbito (analogamente a quello che accade per l'aria atmosferica nell'atmosfera) possiede nell'immediato contatto con la superficie una densità maggiore che diminuisce in modo continuo con la distanza dalla superficie stessa finché non si raggiunge la densità normale della fase gassosa.
Il punto di vista moderno nel campo della cosiddetta chimica delle superficie cerca di spiegare molti fatti con il dimostrare che le molecole posseggono nello strato di separazione delle due fasi un orientamento determinato; così per es. strati sottili di acidi grassi superiori sull'acqua rivolgerebbero verso l'acqua i loro gruppi carbossilici, rivolgendo al lato opposto i gruppi metilici. Tale orientabilità delle molecole nelle superficie di separazione delle due fasi verrebbe determinata dalla presenza di gruppi polari come per es. l'ossidrile o il carbonile. Ora se immaginiamo una superficie solida che ha adsorbito uno straterello gassoso che rivolge tutti i suoi gruppi polari verso la superficie adsorbente, la superficie libera sarà per noi una superficie completamente particolare e le cui proprietà saranno determinate dalla natura dei gruppi che sono rivolti verso l'esterno. Fra le altre conseguenze che ne potremmo trarre, ne verrà la possibilità che questa superficie adsorba un nuovo straterello di gas e quindi la possibilità di strati gassosi, doppio- triplo-molecolari, ecc.
D'altra parte per trattare la cinetica delle reazioni gassose eterogenee non è forse assolutamente necessario conoscere esattamente il meccanismo dell'adsorbimento. Quello che invece necessita conoscere, sono i rapporti tra la quantità di gas adsorbita da una superficie e la pressione del gas stesso nella fase omogenea. Sembrerebbe dimostrato che, astraendo da ulteriori complicazioni, esiste un limite di saturazione ben definito come potrebbe essere suggerito dalla teoria dello strato gassoso monomolecolare. Per la relazione tra la quantità di gas assorbita e la pressione della fase gassosa, dobbiamo per ora servirci di un'equazione empirica
dove x rappresenta la quantità di gas adsorbita alla superficie del corpo solido, P la pressione della fase gassosa, A una costante e n un numero che ordinariamente è più piccolo dell'unità. Questa è la ben nota isoterma di Freundlich e tanto A quanto n sono funzioni della temperatura. Il valore di n talvolta è così piccolo che la curva devia notevolmente da una linea retta e appare fortemente incurvata. Tanto A che n sono grandezze empiriche che devono essere determinate per mezzo di osservazioni sperimentali. Nella figura 2 è rappresentato il tipo di queste curve isoterme di adsorbimento.
Teoria della diffusione nelle reazioni gassose eterogenee. - Una delle proprietà più interessanti delle reazioni eterogenee e gassose è che vengono ritardate molto spesso mediante i prodotti di reazione formatisi ovvero mediante una delle sostanze reagenti stesse quando è in eccesso. A spiegare tali particolarità è molto utile considerare gli eventuali processi di diffusione che possono intervenire. Un esempio varrà a chiarire meglio questo punto di vista.
La velocità della reazione
che avviene su superficie di platino agente da catalizzatore si può studiare come se il platino fosse coperto di uno strato continuo di anidride solforica il cui spessore sia proporzionale alla radice quadrata della pressione. Le molecole di anidride solforosa e ossigeno debbono attraversare questo strato prima di giungere alla superficie del catalizzatore.
Se ora l'ossigeno è presente in eccesso nella fase gassosa allora si troverà sempre una quantità sufficiente d' ossigeno sulla superficie del platino, tanto che ogni molecola di anidride solforosa che giunga sul platino può subito reagire. Perciò la velocità di reazione osservata viene determinata solo dalla velocità con la quale le molecole di anidride solforosa possono diffondere attraverso lo strato di anidride solforica. Corrispondentemente alla legge della diffusione, questa velocità è proporzionale al gradiente della concentrazione nello strato gassoso e vien data dall'espressione:
Siccome si può supporre che la reazione avvenga molto rapidamente sulla superficie del platino, la concentrazione superficiale dell'SO2 qui sarebbe costantemente nulla. La velocità della reazione:
sarebbe perciò proporzionale all'espressione
e cioè
dove si considera lo spessore dello strato di SO3 gassosa aderente alla superficie di P t come proporzionale alla radice quadrata della concentrazione dell'SO3 nel sistema.
Tutto sommato però la teoria della diffusione ch-, specie per opera di Nernst, ha dominato sovrana nel campo della cinetica delle reazioni eterogenee, trova oggi spesso nelle reazioni gassose delle difficoltà assai gravi, tanto che gli autori moderni non attribuiscono più a detta teoria quel valore generale che prima pareva avesse. Per es. un'obbiezione essenziale di natura quantitativa è questa: che per spiegare l'andamento estremamente lento di certe reazioni si sarebbe costretti a supporre degli strati ostacolanti d'uno spessore eccessivamente forte. Una trattazione completa di queste questioni spetta però più propriamente al capitolo della catalisi e a questo rimandiamo per più ampia trattazione.
b) Sistemi "solido-liquido". - Potremo considerare per es. la velocità di soluzione di un solido in un liquido, o meglio ancora la velocità con la quale un acido in soluzione può attaccare un solido. Tale velocità dovrà dipendere dall'estensione della superficie di contatto (S) tra solido e liquido e dalla concentrazione (c) dell'acido. Dunque:
che integrata dà:
dove k sarebbe l'ordinaria costante della velocità di reazione. Questa formula è stata verificata abbastanza bene studiando la velocità di soluzione del marmo di Carrara negli acidi. Anche l'influenza della temperatura su tali trasformazioni è notevole e può paragonarsi a quella che si riscontra nelle ordinarie reazioni in sistemi omogenei.
Nel caso della velocità di soluzione di un solido nell'acqua scriviamo:
dove c è la concentrazione della sostanza che va disciogliendosi nella fase liquida al momento t e c0 la concentrazione di saturazione. Tale relazione è stata formalmente verificata per via sperimentale. Si ammette in questi casi che la superficie del solido sia ricoperta sempre da uno straterello assai sottile di soluzione satura e la velocità di soluzione del solido sarebbe determinata allora dalla velocità con la quale la sostanza può diffondere nell'interno dello straterello limite tra solido e soluzione. In conseguenza dell'agitazione, questo straterello limite si trova assai rimpicciolito e così è diminuito il percorso che per diffusione ha da fare la sostanza nel solido. Nernst ha generalizzato quest'idea ammettendo come molto probabile che l'equilibrio da una parte e dall'altra della superficie di separazione si stabilisca con una velocità assai grande di fronte alla velocità di diffusione. Allora se l'effettuarsi d'una reazione chimica in un sistema eterogeneo solido-liquido esige un tempo notevole, questo si dovrebbe secondo Vernst attribuire alla lentezza dei fenomeni di diffusione. In condizione d'agitazione energica e costante si può ammettere che la soluzione abbia una composizione omogenea e che la superficie limite aderente al solido abbia uno spessore costante ∂ nel quale avverrebbe la diffusione. In tale caso la costante della velocità di reazione si scriverebbe:
sarebbe cioè proporzionale al coefficiente D di diffusione, inversamente proporzionale allo spessore dello straterello attraverso al quale le sostanze devono diffondere prima di reagire. Nel caso della soluzione dell'acido benzoico nell'acqua a temperatura ordinaria si sarebbe trovato, utilizzando l'ultima relazione, un valore di ∂ = 0.03 mm. Ma il processo di diffusione sarà l'unico determinante della velocità d'una reazione eterogenea solo quando altri fenomeni ritardatori non intervengono o, in altre parole, quando non interviene nessun processo caratterizzato da una piccola velocità in fase omogenea. Così l'anidride arseniosa si scioglie nell'acqua più lentamente che non si supponga basandosi sulla sua velocità di diffusione; però in questo caso un lento processo di idratazione si sovrappone al processo di semplice soluzione.
Esplosioni. - Alla cinetica delle reazioni eterogenee si possono riallacciare i processi di esplosione che stanno in relazione alle stesse per il fatto che in loro, malgrado che la reazione avvenga in un sistema omogeneo, la trasformazione non avviene contemporaneamente in tutti i punti del sistema ma, in un modo del tutto particolare, propagandosi da punto a punto, per es. con un processo di propagazione stratiforme. In questi processi è da distinguere tra detonazione, esplosione e deflagrazione, processi che possono trasformarsi uno nell'altro a seconda della velocità e delle condizioni della reazione. Accendendo a un' estremità una miscela gassosa esplosiva che si trova in un tubo opportunamente lungo, l'accensione progredisce fino all'altra estremità del tubo, poiché i prodotti di combustione caldi che si formano nella reazione accendono gli strati gassosi vicini. La velocità di questo processo dipende evidentemente dalla maggiore o minore conducibilità termica del sistema. Tale processo avviene per es. nella fiamma di un becco di Bunsen. L'accensione viene a propagarsi con una velocità costante e opposta all'efflusso del gas: si formerebbe allora un equilibrio stazionario con formazione d'un cono di fiamma, quando la velocità di efflusso del gas oltrepassa la velocità di accensione. Se però detta velocità di efflusso supera in modo eccessivo la velocità di propagazione della fiamma, allora questa s'impiccolisce; nel caso inverso la fiamma ritorna nel tubo di accensione. Se i gas inaccesi non si possono spostare abbastanza velocemente davanti ai prodotti di combustione, essi si comportano rispetto alla pressione formantesi in vicinanza della zona d'accensione esattamente come avviene nella propagazione delle onde sonore: secondo cioè un processo di compressione adiabatica. Ora per pressioni sufficientemente alte può liberarsi da tale compressione tanto calore che la miscela gassosa ancora incombusta viene portata alla sua temperatura d'accensione e s'infiamma. E così strato per strato si propaga l'accensione a tutta la massa gassosa. Questo processo è stato denominato onda esplosiva e si può propagare con una velocità di 2 o 3 km. per secondo.
Analogamente stanno le cose nella trasformazione esplosiva di corpi solidi i quali però a seconda dell'intensità dell'eccitazione possono reagire in modi diversi. Così per es., riscaldando del nitrato d'ammonio sopra il suo punto di fusione esso si decompone secondo l'equazione:
eccitandolo per mezzo d'un sufficiente urto esso reagisce:
Sotto l'azione di un'onda esplosiva iniziale intensa, esso può anche detonare secondo la reazione:
Le reazioni esplosive si comprendono assai bene ricordando la forte dipendenza della velocità di una reazione dalla temperatura. Se una reazione è fortemente esoterma, il calore prodotto dalla trasformazione in un punto aumenta fortemente la temperatura dei punti vicini nei quali la reazione avverrà con maggiore vivacità e così man mano la velocità della trasformazione andrà aumentando automaticamente fino a raggiungere una velocità di regime estremamente alta. Se viceversa la reazione fosse endoterma il suo procedere tenderebbe sempre a raffreddare progressivamente il sistema e la velocità di reazione verrebbe a diminuire, a ridursi a un valore assai piccolo. Esempio notevole la gassificazione dell'anidride carbonica solida. Per quanto questo corpo possa aumentare enormemente di volume nella trasformazione di gassificazione, il processo non può diventare esplosivo, poiché la reazione assorbe calore e raffredda il sistema portando a valori assai piccoli la velocità della trasformazione.
Bibl.: Trattati generali: J. H. Van't Hoff, Vorlesungen über theoretische Chemie, Brunswick 1898; W. Nernst, Theoretische Chemie, 11ª ed., Stoccarda 1926; J. W. Mellor, Chemical statics and dynamics, Londra 1904; W. Mc C. Lewis, System of physical Chemistry, Londra 1919; J. Eggert, Lehrbuch der physikalischen Chamie, IIª ed., Lipsia 1929; A. Eucken, Lehrbuch der chemischen Physik, Lipsia 1930; A. Mazzucchelli, Chimica fisica, 11ª ed., Torino 1930. Pubblicazioni speciali sul moderno sviluppo della cinetica chimica e su argomenti che in parte vi si riallacciano: C. N. Hinshelwood, Reaktion-Kinetik gasformiger Systeme, Lipsia 1928 (con una bibliografia completa); Activation et structure des molécules (Réunion Intern. de Chimie-Physique, Parigi, 8 dicembre 1928), Parigi 1929; W. Huckel, Dipolmoment u. Reaktiongeschwindigkeit, in Dipolmoment u. chem. Struktur, Lipsia 1929; Tolman, in J. Amer. Chem. Soc., 1920 segg.; C. Bodenstein, in Zeitschr. f. physik. Chem., 1899 segg.; I. Langmuir, in J. Amer. Chem. Soc., 1908 segg.; H. S. Taylor, in J. phys. Chem. e J. Amer. Chem. Soc., 1920 segg.; C. N. Hinshelwood, Probl. der Einergieübertragung in den chem. Reaktionen, in Quantentheorie und Chemie, Lipsia 1928; O. K. Rice, On the Quantum Mechanics of Chemical Reactions, in Phys. Rev., XXXIV (1929), p. 1451; F. Giordani, Sulla teoria della velocità delle reazioni chimiche, in Rend. R. Acc. delle sc. di Napoli, s. 3ª, XXXII (1926).