CINTURA
Fascia di pelle, cuoio, tessuto o metallo che cinge l'addome, la vita o i fianchi per stringere o sorreggere le vesti. Nell'Alto Medioevo la c. era un complemento essenziale dell'abbigliamento maschile e femminile, utilizzata per sostenere la veste - generalmente un'ampia tunica - in modo da agevolare i movimenti della parte inferiore del corpo. Constava di una fascia in stoffa o in cuoio morbido oppure di un cordone, di cui raramente sopravvivono resti archeologici per la deperibilità dei materiali stessi, a eccezione di alcuni esemplari copti conservatisi grazie alle favorevoli condizioni ambientali.Uno dei due lembi era dotato di una fibbia ad ardiglione, comunemente in bronzo, ma anche in oro, argento, ferro o avorio (solo eccezionalmente in cristallo), che assumeva svariate connotazioni nella forma (rettangolare, circolare, triangolare, modanata, cuoriforme, a scudetto, a u), nella decorazione (aniconica, a ornato geometrico, floreale o intrecciato; figurata, con immagini di genere o scene bibliche) e nella tecnica (a cuneo o Kerbschnitt, a sbalzo o a traforo). L'altra estremità, talvolta desinente in un puntale metallico, passava sia attraverso l'anello della fibbia sia nei passanti, distribuiti sulla fascia insieme a guarnizioni, linguette, bottoni e altre applicazioni ugualmente in metallo, da cui pendevano nastri con terminazioni a linguetta.La c. fu elemento peculiare della divisa militare, ritenuta simbolo del sacramentum militiae, certo in connessione con l'espressione cingulum militiae sumere. I cinturoni militari erano in cuoio, forniti di una fibbia a placca fissa corredata talvolta da una o più controplacche, un passante e un puntale, fissati con perni - ottenuti per fusione e rifiniti a cesello - decorati con motivi incisi o punzonati di tipo geometricofloreale e animalistico (c.d. stile militare). Numerosi esemplari rinvenuti lungo il limes renano-danubiano risalgono al 4°-5° secolo.Ancora ai tempi di s. Agostino gli uomini usavano inoltre la c. "ut ad operandum sint aptiores, ne vestis sinibus praepediantur" (Agostino, Enarr. in Psalm., 108, 21; PL, XXXVII, col. 1441). Tuttavia dalle testimonianze iconografiche si deduce che, almeno dal sec. 4°, la c. era già parte costitutiva dell'abbigliamento civile e non solo di quello militare o destinato alle attività più umili. Gli affreschi delle catacombe romane mostrano figure cinte, prevalentemente maschili, anche se non mancano quelle femminili, come nel cubicolo di Veneranda, nel cimitero di Domitilla. Dopo l'introduzione del cristianesimo i fedeli ritenevano che i martiri fossero soldati della militia Christi, attribuendo un particolare valore alla c., simbolo militare. Di Fulgenzio di Ruspe si ricorda che "pelliceo cingulo tanquam monachus utebatur (forte cingebatur)" (Vita s. Fulgentii; PL, LXV, coll. 117-150: 136) e di fatto anche gli eremiti erano definiti accinctis lumbis (Cassiano, Inst., I, 1, 1).È comunque dal sec. 5° che questo accessorio divenne elemento caratteristico del vestiario, restando tale per tutto l'Alto Medioevo, epoca in cui assunse forme e funzioni diverse. Il dittico eburneo di Stilicone e Serena (Monza, Mus. del Duomo), risalente agli anni intorno al 400, mostra il magister militum di Onorio con due cinturoni combinati: l'uno chiude l'abito, l'altro pende dal primo all'altezza del fianco destro e si lega alla spada attaccata dalla parte opposta. Sua moglie Serena indossa una dalmatica trattenuta in vita da una c. in pietre preziose e perle, allacciata mediante una fibbia con una grande pietra a cabochon.È noto dalle fonti che i Goti si servivano di c. per sostenere le brache (femoralia), tipico capo del vestiario orientale (Procopio di Cesarea, De bello Gothico, III, 14), legate da fibbe di c. da brache (fibulae de bracile; Tjäder, 1955-1982). I rinvenimenti archeologici che testimoniano una presenza numericamente rilevante di fibbie confermano l'uso di tale accessorio sia in Italia sia in area danubiana e slava. La c.d. dama di Hochfelden, presso Strasburgo, per es., doveva indossare una c. che si allacciava con la fibbia trovata nella sua sepoltura.Dai tesori di Desana (Torino, Mus. Civ. di Torino, Mus. d'Arte Antica) e di Reggio Emilia (Mus. Civ. e Gall. d'Arte, Mus. Archeologico, Coll. Chierici) provengono le chiusure con il caratteristico ornato goto a granati alveolati.Riccamente elaborate dovevano essere le c. indossate dai membri della corte bizantina, stando alla testimonianza offerta dalle raffigurazioni sui mosaici di Ravenna. A S. Vitale le figure dell'imperatore Giustiniano e di sua moglie Teodora mostrano c. impreziosite da oro e gemme, come anche le sante effigiate in S. Apollinare Nuovo.Complemento essenziale del costume delle popolazioni germaniche, la c. veniva usata da Alamanni, Merovingi, Longobardi, Franchi, Avari, Burgundi e Bavari. Stando alle ipotesi ricostruttive di alcuni studiosi (Fleury, France-Lanord, 1961; 1962; Perin, 1971), la regina merovingia Arnegunda fu sepolta con una cintura. All'interno della sua tomba, venuta in luce nella chiesa di Saint-Denis a Parigi nel 1959, si conservavano, insieme a un anello sigillare recante il suo nome, a due fibule a disco, a uno spillone, a due aghi crinali più piccoli e a fibbiette da calzature, anche una fibbia con placca e controplacca in agemina, ornata da granati e filigrane (Parigi, Direction des Antiquités Historiques de la Région Parisienne). La posizione del reperto sul costato della defunta ha indotto a supporre una sorta di fascia in diagonale, segno del rango regale, ma non è escluso si trattasse di una vera e propria cintura. Sebbene fosse un abbigliamento di lusso, forse da parata, collegato alla corte merovingia, certamente doveva riflettere un gusto non lontano dalla moda corrente. I rinvenimenti recenti fra i corredi funerari delle necropoli dello stesso ambito culturale confermano l'adozione di tale accessorio, con la presenza di fibbie, controplacche, passanti e decorazioni.La fibbia eburnea (Arles, Saint-Trophime, Mus. d'art religieux) detta di s. Cesario, vescovo di Arles (m. nel 542), appartenuta al suo cinctorium lasciato in eredità al vescovo Cipriano, induce a pensare che anche i membri della gerarchia ecclesiastica usassero le c. e non solo la fascia in stoffa annodata in vita o il cingulum.Nell'Alto Medioevo dalla c. non pendevano solo le armi del guerriero, ma anche gli utensili di uso quotidiano. Quindi anche nel costume femminile si adottarono c. con appesi coltellini, chiavi e anche amuleti, piccoli oggetti scaramantici quali perle in cristallo di rocca, campanelli, dischi traforati (Zierscheiben), borsette in stoffa o cuoio contenenti monete o capselle reliquiario in bronzo. La c. stessa era ritenuta un amuleto, poiché cingendo i fianchi e il bacino proteggeva le membra con cui era a contatto, preveniva e curava le malattie. Che avesse un valore simbolico si desume anche da un particolare connesso con il rituale della sepoltura: spesso infatti le c. venivano adagiate accanto all'inumato con evidente intento di protezione, confermato dalla scelta di una decorazione a sfondo simbolico. Un gruppo omogeneo di fibbie provenienti da necropoli burgunde dell'Alta Savoia, ascrivibili al sec. 6°-7°, presenta motivi tratti da un repertorio iconografico di ispirazione vetero e neotestamentaria (albero della vita, Daniele fra i leoni, Giona, i Soldati al sepolcro di Cristo, l'Adorazione dei Magi), dal carattere celebrativo o allusivo alla salvazione, sottolineata dalle formule inscritte che corrono lungo i bordi (per es. Vivat in Deo oppure Utere felix). Talvolta si presentano vuote all'interno, forse con funzione di reliquiario.Con i Longobardi venne introdotta nel sec. 7°, al posto della tradizionale c. 'quintupla' (a cinque elementi), la c. multipla, d'impronta bizantino-mediterranea, che imitava però un'usanza dei popoli nomadi. In stoffa o cuoio, ornata da applicazioni metalliche a linguetta, rosette o altri motivi, era chiusa da una fibbia di forme articolate, talvolta dotata di una controplacca in pendant, da cui pendevano fascette dello stesso materiale desinenti in piccoli puntali metallici. Le guarnizioni erano realizzate con tecniche diverse, fra cui la più frequente era quella a cuneo. Non mancano esemplari arricchiti con pietre incastonate di chiara imitazione bizantina o con filigrana.Piuttosto diffusi erano gli esemplari in agemina, tecnica che consiste nell'introdurre intarsi d'argento in cunei scavati sulla placca in ferro, dando così l'impressione di un ornato raffinato. C. con placche rivestite da una patina dorata sono distintive di un rango elevato, mentre le guarnizioni in ferro appaiono più diffuse nel vestiario civile quotidiano.Da queste c. pendevano spathae, sax, scramasax, ma anche utensili e altri oggetti, stando ai numerosi rinvenimenti nelle sepolture delle necropoli di epoca longobarda in area sia pannonica sia peninsulare. In quest'ultimo ambito geografico non sono rari accessori di stampo bizantino-mediterraneo, sintomo di un processo di acculturazione del popolo germanico già molto avviato e quindi della diffusione di una moda comune in area bizantina e germanica, sia per la scelta degli oggetti sia per le decorazioni.La c. si mantenne in uso, con le caratteristiche ricordate, per tutto l'Alto Medioevo; a partire tuttavia dal sec. 8° - in seguito alla diffusione dell'uso di seppellire senza corredo - le testimonianze sono sempre meno frequenti.
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La c. è per lunghi periodi assai scarsamente documentata dalle fonti iconografiche e letterarie a eccezione vuoi dell'ambito militare, ove il suo uso vincolato alla funzione primaria di sospensione della spada si mantenne pressoché costante, vuoi di particolari c. connesse all'abito di taluni ordini religiosi, come per es. il cingulum francescano, la cui rigorosa osservanza era d'obbligo.Durante l'età carolingia l'abito maschile, costituito da una tunica, non richiedeva alla c. particolari valenze ornamentali: la funzione era assolta da una semplice fascia di stoffa avvolta all'altezza della vita o da una striscia di cuoio munita di fibbia e puntale in metallo (generalmente in bronzo dorato) inciso o niellato con motivi geometrici o zoomorfi. Una c. del genere appare anche nella ricostruzione dell'abbigliamento di una donna del primo periodo carolingio (La Neustrie, 1985, p. 421); in questo caso viene raffigurata sospesa alla c. una chiave, anch'essa presumibilmente in bronzo. Certamente dovevano essere in uso anche tipi di c. più elaborati, dotati di placchette in metallo (per lo più argento) cesellato e dorato, ma forse non con la diffusione che tale ornamento aveva conosciuto nel periodo merovingio, come testimoniano i reperti rinvenuti in sepolture databili a quell'epoca.Nei secoli successivi la c. civile sia maschile sia femminile non sembra aver conosciuto particolari trasformazioni mentre anche il suo uso appare rarefatto. Ancora nel tardo sec. 11° l'affresco con la Messa di s. Clemente, nella basilica inferiore di S. Clemente a Roma, mostra Beno de Rapiza con una sopravveste lasciata sciolta e Maria Macellaria con la sua lunga veste trattenuta sotto il seno da una sottile fascia di scarso risalto; la figura femminile sulla destra, indicata come Teodora, pur indossando una c. analoga, ne presenta una versione più nobile, ornata al centro da una fibbia tonda che sembra impreziosita da perle.Solo con il sec. 12° la c. si affermò come elemento indispensabile dell'abbigliamento maschile e soprattutto femminile e a seconda del ceto e della classe di appartenenza se ne adottarono tipi e se ne privilegiarono usi diversi. In generale la c. maschile era piuttosto semplice, costituita per lo più da un nastro annodato sul davanti con un intreccio piatto e largo i cui capi, allargantisi alle estremità, scendevano ca. all'altezza del ginocchio sulla gonnella svasata, che arrivava invece al polpaccio, come si vede nel rilievo della lunetta nel pulpito di S. Ambrogio a Milano, del 1110 circa. Altrettanto semplice è la c. detta di s. Giovanni Evangelista (Andechs, Wallfahrts-und Klosterkirche), della metà del sec. 12°, forse tedesca (Die Zeit der Staufer, 1977-1979, I, p. 629; II, fig. 585), la cui notevole lunghezza (cm. 276) evidenzia il fatto che doveva essere girata più di una volta attorno alla vita, annodata e lasciata ricadere sul davanti. Naturalmente permaneva la c. in cuoio con fibbia di metallo e di osso. Ben altro il valore ornamentale delle c. ritrovate nelle tombe dei re di Sicilia, come quella del normanno Guglielmo II (m. nel 1189), conservata a Vienna (Kunsthistorisches Mus., Schatzkammer), o quella di Enrico VI di Hohenstaufen (m. nel 1197), così descritta nel 1781 all'apertura del sepolcro: "di seta sciolta, e di tratto in tratto, in più nodi legata [...] annodata dinanzi, a ciascuno dei suoi lati sono attaccati molti cordoncini di seta, tessuti di due colori, verde e cremisi, ed entrando essi in alcuni occhielli delle brache le tenevano alla cintura legate. Dal nodo dinanzi pendono due frange di seta larghe tre dita, tessute a spiga, di color scarnatino, giallognolo e turchino, e sono esse alle estremità sfioccate" (di Gregorio, 1821, p. 25).La c. femminile era comunque assai più ricca e complessa, per ornamenti e applicazioni, di quella maschile. Spesso tutta la parte centrale, che veniva giustapposta al ventre, portata dietro la schiena, incrociata e riportata avanti, era ricoperta di placchette metalliche quasi sempre in argento dorato preziosamente lavorate. Venivano invece lasciate flessibili, per poter essere annodate, le estremità ricadenti fin quasi al bordo della veste (Viollet-le-Duc, 1872, pp. 107-108, figg. 3-4).Nel sec. 13° proseguì la moda di tali placchette, spesso ravvivate da smalti policromi, che avevano, oltre alla funzione ornamentale, anche quella di conferire una certa rigidità alla fascia di stoffa o pelle con cui erano realizzate le cinture. Anche il puntale metallico, oltre a facilitare il passaggio nella fibbia, doveva con il suo peso apportare una maggiore consistenza all'estremità della c., ricadente ormai fin quasi al bordo del sorcotto o della tunica. Le placchette, i puntali e soprattutto le fibbie erano spesso veri e propri gioielli, la cui ornamentazione si ispirava a motivi vegetali, più o meno stilizzati, sovente animati dalla presenza della figura umana. Esempi famosi di tale gusto sono un fermaglio in bronzo dorato, degli inizi del sec. 13°, con due personaggi, un uomo e una donna, seduti tra racemi, affiancati da due accompagnatori e poggianti i piedi su un drago e su un leone (New York, Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters) e un altro in argento con scene cortesi, del 1230 ca. (Stoccolma, Statens historiska mus.), rinvenuto a Dune (Gotland) ma, come il precedente, probabile manufatto lotaringio. Spesso in esemplari francesi l'estremità del puntale è risolta con una ghianda piatta.Le c. potevano essere assai semplici o listellate con passanti metallici per tutta la lunghezza, come quelle indossate da tre personaggi maschili nell'ambone di Nicolaus nella cattedrale di Bitonto (1229). Nelle raffigurazioni di popolani e contadini le c. appaiono nascoste dallo sbuffo delle gonnelle; doveva comunque trattarsi di semplicissimi legacci o rozzi cordoni, ben diversi dai lussuosi accessori prediletti dalla ricca borghesia e dalla nobiltà e sui quali Dante duramente si esprime per bocca dell'avo Cacciaguida - "Non avea catenella, non corona, / non gonne contigiate, non cintura / che fosse a veder più che la persona" (Par. XV, vv. 100-102) -, che pure rimpiange i tempi più austeri quando egli stesso vide Bellincione Berti "andar cinto / di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio / la donna sua sanza 'l viso dipinto" (Par. XV, vv. 112-114).Eppure se s. Francesco, spogliatosi delle ricche vesti, cinge il saio solo con un cordone, "umile capestro" (Par. XI, v. 87) di ben più alto e metaforico significato, e s. Domenico usa una cinta di cuoio per sospendervi il rosario, sembra sempre più difficile contrastare, soprattutto nelle donne, il piacere tutto mondano di indossare preziose cinture; queste anzi si allungavano e si ornavano sempre di più, scendevano ben sotto i polpacci, erano decorate da listelli, placchette e lunghi puntali e per la loro lunghezza si prestavano a una facile presa da parte dei bambini, come nel mosaico con la inventio del corpo di s. Marco, del primo decennio del sec. 13° (Venezia, S. Marco, transetto destro, parete ovest, registro inferiore), in cui madre e figlia sono cinte in modo analogo da lunghe ed eleganti cinture. Si tratta probabilmente di esempi del tipo detto cingulum in stoffa, spesso di seta, largamente decorato in metallo, generalmente argento o argento dorato. Al peso di tali ornamenti, a volte veramente eccessivo, tentarono di porre freno, ma senza troppo successo, leggi suntuarie come quelle siciliane del 1272, che consentivano un massimo di otto once a cintura. Altre volte la c. sembra essere interamente in metallo e dovrebbe identificarsi con la zona che compare spesso in inventari o contratti matrimoniali accompagnata dalle significative indicazioni argenteam o argenteam deauratam. Doveva essere di questo tipo, realizzata in metallo per meglio renderne la specificità materica, la lunga c. stretta attorno alla vita della figura femminile variamente identificata con l'Ecclesia, la Sinagoga o la Fortezza, nella cattedrale di Winchester (1230 ca.), rimossa in tempo imprecisato ma documentata dall'incasso e dai fori per il suo fissaggio praticati nella pietra. Anche le statue della Ecclesia e della Sinagoga della cattedrale di Strasburgo (Mus. de l'Oeuvre Notre-Dame), del 1230 ca., indossano c. del medesimo tipo, ma il loro appoggio più basso sul ventre e una certa insistita morbidezza nella ricaduta farebbero pensare al cuoio o alla stoffa. In tutti e tre gli esemplari la c. arrivava ca. all'altezza del ginocchio. Simile, ma assai più ornata, con listelli e placchette quadrilobate lungo tutta la sua estensione, è la bella c. maschile raffigurata indosso a re Childeberto in una scultura del 1240 ca. (Parigi, Louvre). Le ricche c. profane non erano comunque confacenti alle raffigurazioni della Vergine, che appare infatti, sia in scultura sia in pittura, cinta sotto il seno da semplici fasce di pelle o stoffa, spesso ridotte a un nastro sottile che raccoglie in fitte pieghe l'ampiezza della veste, come nella duecentesca Madonna di Guido da Siena (Siena, Palazzo Pubblico).Nel sec. 14° la c. si spostò decisamente sui fianchi, al di sotto dell'ombelico, per esaltare la rotondità del ventre femminile. Divenne sempre più preziosa, tanto da suscitare una serie di misure restrittive e di controllo previste nelle leggi suntuarie dei diversi governi: a Firenze nel 1322 si proibì un peso per l'argento superiore alle otto libbre e nel 1330 si limitarono a dodici le spranghe d'argento; a Perugia nel 1318 si consentì alle donne di indossare lo scheggiale - il tipo di c. in tessuto più riccamente ornato con elementi in oro o argento, perle, gemme, smalti - purché di valore non superiore alle trenta libbre di denaro (nel 1366 a dieci fiorini d'oro); a Venezia nel 1334 si distingueva tra il valore della c., che non doveva superare i dodici soldi di grossi, e quello degli accessori che le erano appesi, che ne dovevano valere al massimo altri dieci. Dalle numerose descrizioni relative a c. reperibili in documenti e testi letterari trecenteschi (Levi Pisetzsky, 1964, II, p. 135) non sembra tuttavia che tali misure fossero rispettate. Allo scheggiale anzi, per renderlo ancora più prezioso ed elegante, le donne usavano sospendere borse ricamate, specchi, coltellini, agorai, chiavi, medaglie sacre, diffusori di essenze profumate, scatolette e altro ancora. Nella Francia dei secc. 14° e 15° l'uso di questo tipo di c. era consentito solamente alle donne oneste; per le donne pubbliche che se ne adornavano erano invece previsti la confisca e l'arresto. Simbolo dunque di una condizione sociale, lo scheggiale era un accessorio indispensabile nell'abbigliamento elegante femminile e quando non lo si possedeva o lo si era dovuto dare in pegno, la vergogna poteva addirittura impedire di uscire di casa nei giorni di festa, come narra Boccaccio (Decameron, VIII, 2). Un bellissimo esempio di c., probabilmente italiana del sec. 14° (New York, Metropolitan Mus. of Art), è in tessuto argentato, interamente ricoperto di elementi metallici a rosetta e a ics fitomorfe, con placche in smalti traslucidi e con la fibbia risolta da una elegante figurina femminile. Tipologicamente simile è la c. parigina del primo Trecento, ornata con leoni e A gotiche in argento, estremità smaltate con figure per metà umane, ma desinenti in felini maculati e con la coda fiorita; la fibbia è costituita da un'arpia (Baden-Baden, Neues Schloss). Interamente in argento e realizzata a placche snodate, alternativamente in smalti traslucidi, cristallo e perle, paste vitree verdi e trasparenti, è la rara e splendida c., datata 1350-1400 (Oxford, New College; Age of Chivalry, 1987, p. 473), lunga cm. 130, che documenta il tipo interamente realizzato in metallo, forse corrispondente a quello che in Italia era detto 'centura' o 'zentura'.Anche nell'abbigliamento maschile trecentesco la c. era portata bassa sui fianchi, soprattutto quando la si indossava sulla gonnella e serviva a tenere questa tesa e aderente al corpo, come in una miniatura di un Tacuinum sanitatis, del 1380 ca. (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 1673, c. 30), o in un offiziolo coevo (Parigi, BN, lat. 757). Sussisteva anche, ma era più rara, la c. portata in vita: era più bassa dell'altra, come si vede per es. nell' Adorazione dei Magi di Altichiero e Jacopo Avanzi, del 1379 ca. (Padova, oratorio di S. Giorgio) o nel suonatore di flauto nella Investitura di s. Martino di Simone Martini (Assisi, S. Francesco, chiesa inferiore, cappella di S. Martino), che indossa quella in cuoio imbiancato, fabbricata dai 'blancari' e che poteva essere decorata da pittori. Alla c., sia in vita sia sui fianchi, l'uomo poteva sospendere una daghetta o un pugnale che scendeva lungo la coscia destra. Di lato o al centro era invece appesa la borsa, detta scarsella, tramite un passante o dei cordoncini di cuoio che servivano anche a serrarla. Si appendevano alla c. anche contenitori con l'occorrente per scrivere o per altre necessità professionali. Verso la fine del sec. 14° si ritrova la c. femminile alta sotto il seno e, nella prima metà del successivo, si affermò la moda della vita stretta da alte fasce preziosamente ornate. Gli uomini invece, dopo il primo quarto del Quattrocento e fin sullo scorcio del secolo, apprezzarono maggiormente c. semplici, come cordoni di seta o dorati stretti in vita. Un prezioso e raro esemplare di c. oggi frammentaria in tessuto d'arazzo è conservato a Torino (Mus. Civ. di Torino, Mus. d'Arte Antica) ed è databile alla prima metà del sec. 15°; si tratta di un pezzo di grande raffinatezza sia nella scelta dei materiali - il fondo è in laminato d'argento -, sia nella qualità di esecuzione, sia nella scelta del tema decorativo, che mostra un cane latrante contro un grifo che sta abbrancando una lepre, secondo il gusto cortese e lo stile vivace della pittura lombarda del tempo.
Bibl.: R. di Gregorio, Discorsi intorno alla Sicilia, Palermo 1821, II; E. Violletle-Duc, s.v. Ceinture, in Dictionnaire raisonné du mobilier français de l'époque carlovingienne à la Renaissance, III, Paris 1872, pp. 104-118; R. Levi Pisetzsky, Storia del costume in Italia, I-II, Milano 1964; Die Zeit der Staufer. Geschichte-Kunst-Kultur, cat., 5 voll., Stuttgart 1977-1979; La Neustrie. Les pays au Nord de la Loire de Dagobert à Charles le Chauve, cat., Chelles 1985; Age of Chivalry. Art in Plantagenet England 1200-1400, a cura di J. Alexander, P. Binski, cat., London 1987; A.R. Calderoni Masetti, Una cintura nuziale con smalti, Annali della Scuola normale superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. III, 18, 1988, pp. 231-259: 233; R. Silva, Una cintura trecentesca di argento dorato con smalti, AM, s. II, 5, 1991, 2, pp. 149-155.A. Ghidoli