CINTURONE
Con questo termine si intende un tipo particolare di cintura, formato da una piastra metallica (per lo più di bronzo, raramente di ferro, di osso e d'oro) di varia forma e dimensione, sovente decorata, costituente la parte anteriore di una fascia che gira attorno alla vita, formata talora della stessa lamina metallica, più spesso di cuoio o stoffa. È invalso l'uso di chiamare c. anche la sola piastra metallica anteriore, l'unica parte che, per lo più, si è conservata essendosi consumato il cuoio o le altre sostanze deperibili. Converrà inoltre includere nell'esame anche le sole fibbie e ganci di chiusura dei cinturoni.
I c. furono in uso soprattutto in Italia e nelle regioni celtiche dell'Europa durante l'Età del Ferro, portati a scopo di difesa e di ornamento. Ci rimangono alcuni esemplari di notevole pregio artistico e può dirsi che tutti quelli decorati sono interessante documentazione di un artigianato d'arte, affine a quello che ha istoriato le situle bronzee, valido a caratterizzare le varie civiltà italiche dell'Età del Ferro.
Abbiamo documentazione di cinture già nell'Età del Bronzo, ma sono del tipo a catena di anelli in bronzo fuso, tipo che si svilupperà poi in ambiente celtico in epoca La Tène, ma che è ben diverso e non prelude al nostro c.; possono invece essere indizio dell'esistenza di un tipo analogo le fibbie d'osso, destinate certo a chiudere una cintura, provenienti dalla palafitta del lago di Ledro, preziosi e rarissimi oggetti (Battaglia, La palafitta del lago di Ledro, p. 49) e il fermaglio di corno di cervo a forma grossomodo ellittica, decorato da file di circoletti, ricurvo ad una estremità a mo' di uncino e con quattro fori all'altra per essere fissato alla fascia, proveniente dalla terramara di Castione dei Marchesi, ora al Museo Pigorini (Bull. Pal. it., xxxiv, 1908, p. 117, fig. R).
I c. cominciano all'inizio dell'Età del Ferro, risultando quelli di Sicilia e i villanoviani gli esemplari più antichi. L'area di sviluppo, per quanto oggi ne risulta, comprende alcuni grossi raggruppamenti: il villanoviano (bolognese-etrusco-laziale), il veneto, al quale possiamo accostare quello illirico, il gruppo piceno-umbro, l'àpulo, esemplari più o meno isolati del Sannio, Campania, Lucania, Calabria e Sicilia, quindi, fuori d'Italia, il gruppo della Carniola, l'hallstattiano, alcuni della valle del Rodano e della Germania. Fra i primi vanno ricordati anzitutto gli esemplari usciti dal predio Benacci attribuiti al periodo Benacci I e i molti frammenti del ripostiglio di S. Francesco in Bologna. In questi la lamina di bronzo, leggermente incurvata e tale da poter bene aderire al corpo, ha forma di losanga, termina ad una estremità in una linguetta con fori, tramite i quali doveva essere fissata al cuoio, dall'altra con una seconda linguetta o con gancio ad uncino o con un anello con il quale si congiungeva all'altro cappio della cintura. La lunghezza degli esemplari conservati integri varia da m 0,60 a m 0,30, l'altezza da cm 13 a 8. Talora tutto l'orlo è sormontato da tanti tubetti entro i quali passa una verga di bronzo dalla quale pendevano delle catenelle, più spesso l'orlo è solo un po' rialzato. La decorazione è ottenuta a sbalzo o incisa con bulino e spesso con le due tecniche associate. Nell'esemplare sopra citato è costituita da tre cerchi crociati, il centrale più grande, dai quali partono delle linee serpeggianti affrontate, i cosiddetti colli di ochetta o protomi di uccelli. Il tutto è ottenuto con piccole bulle o punti a sbalzo, mentre bulle maggiori cerchiate sono disposte simmetricamente nei cerchi e fra gli svolazzi. Altri esemplari hanno file di due o tre bulle allineate simmetricamente nella parte centrale con le solite protomi di uccelli; altri aggiungono, con finissima decorazione a bulino e a punzone, lungo gli orli, nei cerchi, negli angoli, motivi a dente di lupo, a triangoli, a meandro, aggiungono la figura completa dell'ochetta o anatrella, altri ancora intrecciano nel centro la spirale semplice o doppia o con essa collegano le bulle centrali. È questo il repertorio decorativo pressoché costante dei c. villanoviani. Lo troviamo in alcuni da Populonia, Vetulonia, Tarquinia, Veio, Falerii, da Roma stessa, tutti a losanga e molto affini anche se differiscono alquanto cronologicamente (VIII-VII sec. a. C.).
Il gruppo veneto vanta gli esemplari di maggior pregio artistico. I più antichi appartengono al II periodo atestino (VII-VI sec.) e sono in forma di losanga allungata simile a quella villanoviana. Così un esemplare a Este (tomba Pelà, n. 8), tutto decorato a incisione con doppia spirale nel centro, ai lati due dischi con la stella da cui si dipartono i soliti svolazzi e - particolarmente interessante - tre coltelli a lama fiammeggiante con impugnatura ad una delle estremità; così altro similissimo da Baldaria (agro atestino, ora a Cologna Veneta, Museo Civico) con lo stesso motivo a spirale. Ma la gloria viene a Este dai grandi cinturoni che nel III periodo sviluppano la modesta placca lievemente ellissoidale in una losanga rombica, più alta e fastosa, splendidamente ornata. Il più importante è l'esemplare Nazari (così dalla campagna in Este in cui fu trovato nel 1881, avvolto attorno ad una situla fittile che conteneva l'ossuario) tutto in lamina bronzea, vero corsetto protettivo (in tal caso rende meglio l'idea il termine francese corsage); armatura dunque ma, per la bellezza e rarità, anche ornamento di persona insignita di comando. La panciera (cm 48 × 37), suddivisa in cinque romboidi da cordoni rilevati a sbalzo, è tutta decorata a incisione con anatroccoli, cerbiatti, lepri correnti e palmette negli angoli dei rombi; a destra termina nel solito gancetto, a sinistra si sviluppa una fascia rettangolare lunga cm 74, alta cm 11,5 che ha all'estremità tre anelli, questi di ferro, intervallati, nei quali, secondo le dimensioni del guerriero, veniva introdotto il gancio. Anche essa è fittamente ricoperta di leggerissime delicate incisioni con lepri e cerbiatti. Nella parte terminale, che rimaneva nascosta sotto la panciera, sono incisi due riquadri figurati: due animali araldicamente affrontati tengono sollevati per il collo due cerbiatti, al di sotto è un cervo pascente; li precede un piccolo cavaliere in groppa a grande cavallo di cui due belve, dirette in senso opposto, azzannano le gambe sotto il cui ventre, a mo' di riempitivo, è una grande palmetta: gustosissime scene d'arte paleoveneta di indirizzo popolare, mescolate al repertorio orientalizzante che in questa regione si manifesta tardi e permane ancora alla fine del V sec., epoca cui risale il cinturone. Altri bei pezzi consimili sono a Este (dai frammenti si individuarono più di 40 esemplari); uno di essi (pure Nazari, n. 6048) ha al centro della losanga il tipico gruppo di due animali fantastici alati, affrontati, con le teste fuse in un'unica di prospetto. Vi sono poi placche di c. rettangolari, che si devono ritenere più tarde, in cui continua per lo più la stessa decorazione ad animaletti incisi su fasce parallele sovrapposte; singolare una da Ospedaletto Euganeo, con uccelli rapaci che afferrano un pesce e una tartaruga. Alcuni resti di cintura a dischetti di bronzo legati a mo' di maglia conservano ancora tratti del cuoio su cui erano appoggiati.
Emanazione del gruppo veneto vanno considerati i c., o estremità di c., con gancio, del bellunese (Caverzano) e le piastre rettangolari del Cadore (Lozzo C.); così pure un bellissimo c. dalla Pusteria (Lothen di S. Lorenzo di Sebato, prov. Bolzano) di forma rettangolare (cm 35 × 12) assegnato alla fine del V sec. a. C.: vi sono riprodotti un grande cervo dall'altissimo palco in atto di pascere e un cerbiatto che afferra la coda del primo con la bocca spalancata, il tutto reso semplicemente con puntini incavati di grandezza poco varia, ma con finezza di esecuzione, eleganza di linee ed armonia compositiva tali da risultarne una cosa preziosa. Sulla parte posteriore della lamina è graffita una iscrizione in alfabeto nord-etrusco con tratti epigrafici arcaici di carattere funerario. Hanno risentito certamente l'influenza veneta anche i c. del gruppo che può dirsi veneto-illirico, ossia quelli di S. Lucia, Pizzughi, Vermo, Nesazio; caratteristici quelli istriani per la decorazione a meandro che ricorda le ben note sculture di Nesazio, ma in cui ricorre anche l'anitrella, e che hanno chiare relazioni tanto con Este che con i Balcani. Influenze venete verso occidente si notano nei c. della civiltà di Golasecca, che sono però povere cose di un geometrismo infantile, riferibili al VI-V sec. a. C., ossia contemporanei al massimo fiorire di Este.
Il gruppo piceno conta esemplari di forma ellittica con decorazione affine ai più antichi villanoviani e atestini, assai belli. Così alcuni dalla necropoli villanoviana di Fermo (al museo di Ancona, tomba 31), da Rocca di Morro e Marino (al Museo di Ascoli Piceno); da Novilara le due parti di una fibbia con borchie a sbalzo e puntolini riferibile al VI sec. a. C.
Passando al mezzogiorno d'Italia va ricordato il c. proveniente da Saponara di Grumento, di tipo villanoviano a losanga con borchie a sbalzo e spirali; lo si credette per lungo tempo proveniente dall'Eubea (ora alla Bibliothèque Nat. di Parigi). In Sicilia si conservano (museo di Siracusa) alcuni c. rettangolari da Adrano con fori alle estremità decorate a sbalzo con motivi geometrici (cerchi, file di bulle) che, risalendo ancora alla fine dell'Età del Bronzo - inizî del Ferro - si direbbero i più antichi esistenti in Italia. Esclusi quelli siciliani, gli esemplari meridionali sono invece per la maggioranza di epoca piuttosto recente: così, ad esempio, alcuni frammenti di lamine e ganci da Alfedena, da Paestum, da Oliveto Citra (Salerno), da Sarno, dalle Puglie, dalla Lucania, da Altavilla Silentina, da Tiriolo (Calabria), ecc. che sono riferiti in genere al IV-III sec. e, pur ripetendo i motivi orientalizzanti mediterranei degli animali pascenti e delle spirali, sono ormai nell'orbita dell'arte greca ellenistica.
Fuori d'Italia vanno ricordati i c. della Carniola fra cui celebre soprattutto uno di Watsch. È di forma rettangolare in lamina di bronzo (cm 29 × 9). Entro una cornice a treccia si sviluppa la scena figurata a sbalzo; al centro si scontrano due guerrieri a cavallo, armati di lance e asce, fiancheggiati da due fanti con elmo dal lungo cimiero e grandi scudi ovali; li precede a destra un uomo, un signorotto dal grande cappello a larga falda (che apparve già identico sulla situla bolognese della Certosa e sulla Benvenuti di Este); nel cavaliere di sinistra che è a capo scoperto si è visto, a ragione, un Gallo. Il c. è un pezzo è interessantissimo prodotto di quell'arte veneto-celtica che ha la sua migliore espressione nella famosa situla di Watsch.
A Hallstatt appaiono basse cinture tutte di bronzo con decorazione a punta e a sbalzo di stile geometrico, talora con anitroccoli e cavallucci, derivate nella forma da quella atestina più tarda a lamina rettangolare. La decorazione vi è in genere più piatta e disgregata che in Italia. Vanno ricordati ancora c. isolati dalla Germania meridionale e dal bacino del Rodano.
Soprattutto in ambiente celtico d'epoca tarda, civiltà La Tène, si conservano numerose fibbie e ganci di cinturoni. Uno dei pezzi più significativi provenienti da Hoelzelsau sull'Inn è un bronzo a traforo formato da avvolgimenti serpentiformi che costituiscono per così dire due lyre, una più larga alla base, una più piccola in alto; le involuzionì delle lyre sembrano teste di uccelli con occhio a cerchio e orecchie erette; attorno sono piccoli uccelli, nel mezzo una specie di pupazzo o manichino schematizzato. Altri hanno dragoni e diversi mostri rampanti; al di fuori dell'area celtica il motivo tende a restare semplicemente geometrico (così a Este) mentre è caro al gusto per l'astratto dell'arte celtica il ricorrere a quelle forme ibride fra animalesche e geometriche che raggiungono talora espressioni di suggestiva bellezza.
Sono stati via via segnalati i motivi della decorazione che ritornano più frequenti sui c. (e sono gli stessi delle situle, coperchi di situle, schinieri). È opportuno richiamare qui che i più antichi e in particolare gli svolazzi a collo d'uccello e l'intero anitroccolo, comuni sui c. villanoviani, piceni e atestini della prima maniera, sono stati variamente interpretati in quanto al significato e all'origine. Chi vi ha visto il simbolo egiziano del disco solare con i serpenti (Undset), chi scudi con altre armi (Pigorini), i più la barca col disco del sole trasportato da animali sacri o di valore apotropaico (fra questi la Laviosa Zambotti).
In quanto all'origine c'è chi sostiene quella nordica, ungherese o danubiana (ad esempio il von Merhart); altri, invece, notando la presenza di siffatto motivo nell'Italia centrale e settentrionale in epoca ben antica, lo ritiene italico, mentre collega la spirale e il meandro, con cui è associato, all'ambiente mediterraneo ed ellenico, donde può essere giunto in Italia direttamente, ma certo anche attraverso i Balcani soprattutto per quanto riguarda la zona illirica e veneta.
Circa la provenienza del c. stesso, se e donde ne abbiano cioè derivato l'uso le popolazione italiche, è difficile pronunciarsi. L'Orsi lo vorrebbe imitato dalle cinture dei faraoni d'Egitto, degli antichi Assiri e Babilonesi e propone sia stato introdotto dai Fenici; lo riconosce poi nelle descrizioni omeriche dei guerrieri che si rivestono della mitra e dello ζωστήρ. Una lamina d'oro micenea di forma ovale, con bulle a sbalzo entro cerchi e spirale ricorrente, è preziosa, anche se isolata, documentazione di un oggetto del genere in suolo greco; i cinturoni più antichi ne possono essere derivati per forma e decorazione.
Quanto all'uso i c. sono stati ritenuti oggetto di difesa o se non proprio tale, ché difficile sarebbe il più delle volte sostenerlo data la leggerezza delle piastre e le ridotte dimensioni, attributo comunque di guerrieri: così l'Orsi; per la Laviosa Zambotti sarebbero, invece, esclusivamente attributo femminile. Il Prosdocimi, nei suoi diligenti resoconti degli scavi atestini, asserisce di averli ritrovati in tombe dei due sessi e li ritiene quindi ornamento di uomini e donne, talora anche di bambini e, forse, è nel giusto. Non risulta tuttavia che esistano statuine o rilievi di figure virili che indossino simili cinturoni. Un bronzetto di guerriero sannita con corazza e triplice falera (principio IV sec.) porta una bassa cintura rettangolare, che però non sembra affatto decorata. Si vedano invece una figurina femminile bronzea da Caldevigo di Este e due lamine bronzee con figure femminili a rilievo pure atestine: il c. del classico tipo atestino a losanga vi è evidentissimo. Poiché queste figure, specie quella su lamina da Caldevigo, rappresentano indubbiamente persone di alto rango, se non addirittura una divinità, vien fatto anche di pensare che il c., almeno nella sua forma più fastosa, sia stato, più che attributo di uomini o donne, oggetto di decoro e bellezza attestante per gli uni e le altre una posizione di prestigio e di potenza.
Bibl.: Per il c. in generale: E. Saglio, in Dcit. Ant., s. v. cingulum (notando che l'esemplare ivi riprodotto non viene dall'Eubea, ma dalla Lucania); Ebert, Reallex. d. Vorgesch., IV, 2 s. v. Gürtel (A. Götze) e Gürtelhaken (R. Beltz); P. Orsi, Sui cinturoni italici della ia età del Ferro, in Atti e Mem. della Deputazione di Storia Patria per le Prov. di Romagna, III S., vol. III, fasc. I-II, 1885; L. Pigorini, Antichità della ia età del Ferro scoperte in Roma nel Quirinale, in Bull. Paletn. It., XXXIV, 1908, p. 100 ss.; G. Ghirardini, La situla italica primitiva, in Mon. Ant. Linc., X, p. 100; R. Mac Iver, The Iron Age in Italy, 1927, passim; Fr. Messerschmidt, Bronzezeit u. frühe Eisenzeit in Italien, 1935, tavv. XI e XIV: Messerschmidt-von Duhn, Italische Gräberkunde, II, 1935, passim; P. Laviosa-Zambotti, I Balcani e l'Italia nella preistoria, in Origines, 1954, p. 345 s. e 397; R. Battaglia, Dal Paleolitico alla civiltà atestina, in Storia di Venezia, I, 1957, p. 154.
L'elenco di c. sino ad oggi più completo, oltre che dal su citato lavoro dell'Orsi, è dato da J. Dechelette, Manuel d'archéologie préhistorique celtique et gallo-rom., II, 1°, 1924, p. 434.
Bibl. di singoli c. (posteriore a quella del Pigorini, op. cit.); Terni: Not. Sc., 1916, p. 224, f. 37 (Stefani); Vejo: Not. Sc., 1915, p. 7 (Colini); Populonia: Not. Sc., 1921, p. 199, f. 3 (Minto); Handbuch d. Archaeol., II, (Kaschnitz-Weinberg), p. 379, tav. 55, 3; Marino (Lazio): Not. Sc., 1924, p. 484, f. 35 (Antonielli); Velletri: Not. Sc., 1934, p. 172, f. 4 (Nardini); Este: Mac Iver, op. cit., pp. 14, 15, 45; Este: Not. Sc., 1948, p. 6 (Callegari); Ospedaletto Euganeo: von Duhn, op. cit., p. 69, disegno in Orsi, op. cit., tav. IV, 12; Baldaria: von Duhn, op. cit., p. 87; Lozzo di Cadore: Not. Sc., 1883, p. 58; Lothen: G. Fogolari-G. B. Pellegrini, I rinvenimenti preistorici di Lothen, Cultura Atesina, 1952; S. Lucia: C. Marchesetti, Scavi nella necropoli di S. Lucia presso Tolmino, 1893, tavv. XXVI; Pizzughi: von Duhn, op. cit., p. 157; Nesazio: von Duhn, op. cit., p. 153; Bellinzona: Mac Iver, op. cit., p. 97-98, tav. 22, 6-8; Piceni: Mac Iver, op. cit., p. 121, tav. 25, 12-13; Carsoli (Sannio): Not. Sc., 1951, p. 204, n. 49 (Sestieri); Altavilla Salentina: Not. Sc., 1937, p. 148, f. 5 (Mustilli); Paestum: Not. Sc., 1951, p. 147 (Sestieri); c. da tomba lucana: Fasti Arch., XI, n. 2592, fig. 73; tre c. da Conversano, Ginosa, Oria al Museo di Taranto (IV-III sec.), uno è al Museo di Canne (IV-III sec.): Oliveto Citra (Salerno): Not. Sc., 1952, p. 68, n. 6 (Sestieri); Sarnio: (Campania): Not. Sc., 1945, p. 176, f. 2 (Sestieri); c. lucani al Museo di Potenza: Itinerario, p. 28; Tiriolo (Calabria): Not. Sc., 1927, p. 351 (Ferri); Siculi: Not. Sc., 1909, p. 387 (Orsi); Mac Iver, op. cit., p. 151; L. Bernabò Brea, Sicily, 1957, tav. 77; da Watsch: Bertrand, in Rev. Archéol., III, 1884, p. 102 ss.; Arias, Umbone di scudo dal Carpena, in Studi Romagnoli, III, 1952, p. 314, fig. 3; Kastelic, in Jugoslavija, 1950, 3, fig. a p. 82; Mansuelli, Una stele felsinea di tradizione villanoviana, in Riv. Ist. Arch. e Storia d'Arte, V-VI, 1956-57, p. 13 e ss.; hallstattiani: Oesterreichs Urzeit im Bilde, 1938, tav. 36; Fr. Morton, Hallstatt u. die Hallstattzeit, 1953; Micene: Hoernes-Menghin, Urgeschicht. Bild. Kunst in Europe, p. 385.
Fibbie di c. di epoca La Tène: Viollier, Les sepoltures du second Age du fer, 1916, tav. 25.; Pittioni, op. cit., tavv. 45, 48; Jacobstahl, Early Celtic Art, n. 360, 361, 362, 363.
Figurine con supposto c.: guerriero sannita: Not. Sc., 1949, p. 176; L. Breglia, in Critica d'Arte, II, 1942, 1-2, p. 29, tav. XIII, 4; lamina atestina; Not. Sc., 1888; figurette da Caldevigo: Itinerario Mus. Naz. Atestino, Roma 1957, p. 60.
(G. Fogolari)
Anche in ambiente greco e romano il c. militare ebbe carattere principalmente difensivo, consisteva pertanto di una spessa fascia di cuoio, rafforzata da placche metalliche di varia forma o da borchie.
Per il mondo greco esistono termini generici e intercambiabili per designare il c. portato dai soldati, ma dalle descrizioni delle fonti se ne possono individuare due tipi: l'uno che si cingeva sulla pelle, sotto la corazza, e con le sue piastre metalliche costituiva l'ultima difesa dopo che scudo e lorica erano state perforate; l'altro che si portava invece sopra alla corazza proprio là dove essa finiva. L'uno e l'altro erano rafforzati da piastre metalliche e quello più in vista avrà avuto piastre meglio decorate e talora dorate o di metallo prezioso.
I ganci o la fibbia che chiudevano il c. erano generalmente essi stessi elementi decorativi in quanto le varie parti e le placche, che li fissavano sul cuoio, assumevano forme diverse o si coprivano di vaghi motivi ornamentali (palmette, spirali, globuli, animali).
Per il mondo greco, oltre che da elementi superstiti, non sempre del resto sicuramente riferibili a cinture militari, ne possiamo individuare la varietà di decorazioni attraverso le rappresentazioni figurate, specie nei vasi.
Un nome proprio e ben definito ha il c. militare nel mondo romano: cingulum. Esso è parte integrante ed essenziale della divisa del soldato sia in pace sia in guerra, tantochè cingi equivale a prestar servizio militare ed essere privato del cingulum (discingi) equivaleva alla degradazione.
I rilievi della colonna Traiana ed Antonina, quelli funerarî di legionari ce ne danno sovente la rappresentazione, con minime varianti attraverso le epoche (non sempre forse dovute ad un reale mutamento): la forma meglio documentata per l'età imperiale ce lo mostra come una cinta di cuoio fermata da ganci o fibbie (solo raramente è annodato, e in tal caso per lo più nelle rappresentazioni di ufficiali) e decorata e rinforzata da borchie (bullae) e placche metalliche di diversa forma; sul davanti pendono listerelle di cuoio rafforzate da borchie e terminate da pendenti (in forma di crescente o di pelta, decorati a traforo, a sbalzo o anche da incisioni) che costituivano una difesa per il basso ventre.
Non è facile distinguere tra gli elementi di bronzo giunti sino a noi e che sono parte di guarnizioni di oggetti di cuoio quali facessero parte di c. militari, quali di cinture civili, quali di finimenti, né possiamo d'altra parte escludere che talune fibbie in metalli preziosi facessero parte di c. militari piu ricchi. Si può dire genericamente che dal punto di vista della decorazione taluni di questi oggetti rientrano nel campo della toreutica e della gioielleria e seguono per la scelta dei motivi ornamentali o per la tecnica impiegata il gusto del tempo.
Nel basso Impero e in età barbarica gli elementi essenziali della decorazione (fibbie, ganci, placche) si arricchiscono di motivi decorativi più complessi ed eseguiti in diverse tecniche come attestano sia i ritrovamenti archeologici, sia le raffigurazioni in plastica, mosaico e nei dittici eburnei.
Alla decorazione, per lo più sbalzata o incisa prevalente nell'età precedente, si sostituisce l'intaglio a giorno, l'ageminatura, la incrostazione di smalti e, come nei cinturoni degli imperatori, la decorazione di gemme. In queste varie tecniche, che sorgono e hanno il favore in ambienti e in epoche diverse, si alternano sia i motivi decorativi puramente geometrici e vegetali, sia la rappresentazione, generalmente schematizzata, della figura umana e più ancora di quella animale, con particolare preferenza per i mostri fantastici, in una complessità di intrecci e di composizioni rilevanti talora influssi orientali. La diffusione della tecnica dell'incrostazione di smalti aggiunge una ricca policromia ai vari elementi.
Bibl.: E. Saglio, in Dict. Ant., s. v. cingulum; V. Domaszewski, in Pauly-Wissowa, IV, 1899, s. v. cingulum; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, passim; M. Almargo Basch, Materiales Visigóticos del Museo Arqueológico de Barcelona, in Mem. Ma. Prov., VIII, 1948, pp. 56-76, 13 tav.; G. Gaudron, in Bullet. Soc. Antiquaires France, 1943-44, p. 356 ss.; M. D. Lefevre, in Bullet. Soc. Antiquaires France, 1945-47, pp. 145-153; O. Paret, Die Gürtelschlösser der Merovingischen Zeit, in Prähistorische Zeitschrift, XXXIV-XXV, 1949-50, pp. 396-399; J. A. E. Nenquin, La nécropole de Furfooz (Dissertationes archaeologicae Gandenses, I), Brugge 1953, passim; J. J. Hatt, in Gallia, XI, 1953, pp. 154-155; M. Lafond, Au cimitière mérovingien de Curtilsous-Burnand, in Revue Archéologique de l'Est et du Centre-Est, IV, 1953, pp. 280-283; P. De Palol Salellas, Fíbulas y bróches de cinturon de época visigótica en Cataluña, in Archiv. Esp. de Arqueolog., XXIII, 1950; A. Roes, Une garniture de ceinturon à décor entaillé, provenant de Rhenen (Utrecht), in Berichten v. d. Rijksdienst v. h. Oudheidkunding Bodemonderzoek, IV, 1953, pp. 32-37.
(M. Floriani Squarciapino)