ABATI, Ciolo
Figlio di Neri di Simone, si trova ricordato nelle fonti come appartenente ai Consigli del Comune fiorentino, tra il 1281 ed il 1285 e poi nel 1296. Ma è più noto attraverso citazioni letterarie. Nelle Cento Novelle Antiche (nov. LXXVIII) l'A. è rappresentato come un vecchietto goloso ed ingordo, parassita dello stampo di Ciacco, e così lo ricorda il Sacchetti (nov. LI). A lui molto probabilmente allude Dante nella Epistola all'amico fiorentino.
Unico della sua famiglia, non venne colpito dal decreto del 2 sett. 1311, la "riforma di Messer Baldo d'Aguglione", con il quale erano ripetute le condanne contro gli esiliati contumaci, tra cui lo stesso Dante Alighieri. Questi, con la frase "... ut more cuiusdam Cioli et aliorum infamium... ipse se patratur offerri", avrebbe proprio alluso, con il termine tecnico "se offerre", alla provvisione in cui si disponeva che con l'offerta di se stessi a S. Giovanni (una sorta di pubblica ammenda) si veniva liberati da ogni sospetto e condanna in cui si fosse incorsi per errori politici.
Gli fu attribuito l'episodio dell'incendio appiccato da Neri Abati e di questo equivoco rimase il ricordo nel proverbio fiorentino: "come al tempo di Ciolle (o Ciolo), che chi ha da dare addomanda", oppure "... che chi aveva avere, avea a dare", alludendo ai contrasti di interessi ed agli imbrogli commessi approfittando del disordine generale degli affari. Era ancor vivo nel luglio 1313, due anni prima della data presunta della lettera di Dante.
Fonti e Bibl.: A. Gherardi, Le Consulte della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1896, pp. 53, 67, 78, 88, 161, 191, 215, 230, 232, 234, 248, 255, 256,269, 275, 292; II, ibid. 1898, p. 498; Dino Compagni, Cronica, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, p. 184 n. 22; Dantis Alagherii Epistolae, a cura di P. Toynbee, Oxford 1920, p. 156 n. 4; O. Zenatti, Dante e Firenze, Firenze s. d., p. 506 n. 1. Si veda anche P. Luri di Vassano, Modi proverbiali e motti popolari, Roma 1875, p. 716.