Ciolo
. In Ep XII 6, nel momento in cui D. respinge l'infamante possibilità di rientrare in Firenze come reo confesso disposto a sottostare alla vergogna dell'oblatio, accenna al modo con cui fu condannato per insolvibilità e poi graziato un deliquente comune, a nome C., e nella stessa maniera altri malfattori: Absit a viro philosophiae domestico temeraria tantum cordis humilitas,ut more cuiusdam Cioli et aliorum infamium quasi vinctus ipse se patiatur offerri.
Sembra che questo C. possa identificarsi con C. degli Abati, che fu condannato nel 1221 e amnistiato quattro anni dopo. Il De Lungo ha ricordato che C. degli Abati risulta escluso esplicitamente da un elenco di esuli ai quali è fatto divieto di tornare in patria con la riforma di Baldo d'Aguglione (1311); il che fa pensare che successivamente al 1295 C. fosse di nuovo messo al bando ovvero che " non si trovava niente affatto bandito, ed aveva, quindi, il sacrosanto diritto di essere eccettuato da quella taccia di ribelle che, nella detta Riforma, implicava tutti gli altri suo consorti " (Della Torre). C., " olim Nerii Symonis de Abbatibus ", fu guelfo; nel 1280 è citato come uno degli arengatores (arengò infatti nei consigli del comune sino al 1282, poi, nel 1285, nel consiglio generale del comune), assunse appalti di gabelle. Si hanno sue notizie sino al 1313.
Bibl. - I. Del Lungo, Dell'esilio di D., Firenze 1881, 137; A. Della Torre, L'epistola all'Amico Fiorentino, in " Bull. " XII (1905) 162-174; Davidsohn, Storia III 388 (che esclude possa essere vera la notizia degli Ann. Aret., secondo cui C. fu l'autore dell'incendio di Firenze del 10 giugno 1304, opera invece di Neri degli Abati, priore di San Piero Scheraggio).