Alighieri, Cione
Figlio di messer Bello, fu fratello di Geri, Gualfreduccio e di Lapo conosciuto solo attraverso il figlio Bellino. C. sopravvisse a tutti i fratelli e fu persona assai in vista nella Firenze del suo tempo per l'attività svolta nel campo del commercio del danaro. La documentazione intorno a questo personaggio comincia il 17 febbraio 1277 quando egli, come rappresentante di alcuni convicini della chiesa di S. Martino del Vescovo, partecipò al processo di appello in una lite tra detta chiesa e il monastero di S. Maria da una parte, e i convicini della chiesa di S. Martino dall'altra, processo nato per un atto abusivo di suo padre Bello di Alighiero, e cui furono interessati altri Alighieri, come Brunetto, Bello e Gerardo, figli di Bellincione.
Spogliò questo documento alla fine del '500, o nel primo terzo del '600, l'erudito Segaloni. Il suo spoglio è perduto, ma qualcuno dei tanti che lo videro errò nel leggerlo, e così, secondo M. Barbi, poté nascere la leggenda di un Cenni di Bello (v.).
Nel novembre del 1280, C. fu coinvolto col fratello Geri (v.) in un episodio di violenza alle porte della vicina Prato, per cui, non essendosi presentato al processo, venne condannato in contumacia. Nel gennaio del 1283 fu a Firenze membro del Consiglio del Capitano; subito dopo, cominciano le notizie sulla sua attività come trafficante in danaro: un perduto libro amministrativo della società Cione Pilastri e compagni lo registrava creditore di 200 fiorini d'oro nel 1295. Doveva egli esser considerato nel ceto commerciale un mercante attivo ed esperto se la massa dei creditori del fallito Donato Bonizzi lo volle come sindaco insieme con Rinuccio Machiavelli nel 1298. A questa attività di C. si riannodano cinque documenti, del principio del marzo 1299, che trattano di piccoli mutui concessi ad agricoltori delle colline fiesolane sotto la forma di acquisto di grano che al principio di marzo non poteva essere che in erba, tipo di acquisto che nascondeva in sé una forma di usura (per questi documenti vedi R. Piattoli, in " Archivio storico italiano " I-II [1969] 1-69).
Gli eredi di C. sono ricordati in documenti fiorentini degli anni 1306-1311: si hanno notizie di tre suoi figli: Lapo, Bambo, Simona; si può supporre che uno di questi, forse Bambo, vendicasse la violenta morte dello zio Geri verso il 1305, e che l'efferatezza del fatto di sangue provocasse il bando dalla città di tutta la famiglia di C., già morto a quella data (l'ultima notizia di lui vivo è del 1302), e l'esclusione dall'amnistia del 2 settembre 1311, nota sotto il nome di riforma di Baldo d'Aguglione. Si può inoltre arguire che i discendenti di C. trovassero rifugio a Bologna dove, durante l'esilio, prima del 1266, era stato il loro zio Geri, causa indiretta dei loro guai, o nel territorio bolognese, come S. Giovanni in Persiceto, dove abitavano i discendenti di Bellino di Lapo (v.). Una sua figlia infatti, Simona detta Lippa, era registrata nel 1330 tra i tassati del comune di Bologna nella cappella di S. Michele dei Lambertazzi.
Parte delle case di C. ubicate non lontano dalla chiesa di S. Martino e attigue a quelle dei suoi consorti (infatti D. e il fratello Francesco possedettero e abitarono la casa che era stata di Geri del Bello), venne distrutta per farvi passare l'attuale via dei Magazzini. Nel gennaio 1298 fu fatta richiesta di tracciare quella nuova strada la quale doveva anche passare " per domos de Cerchiis et Cionis del Bello quae protenduntur usque ad terrenum abbatiae ". C. riscosse a lavori ultimati, come risarcimento per le espropriazioni subite, il 30 ottobre 1301, 388 lire di fiorini piccoli. Questo documento, interessante in quanto l'ultimo che lo dia ancora vivente, è anche l'unico in cui al nostro personaggio vivo venga dato l'appellativo di ‛ dominus ', cioè di cavaliere. Ma quali meriti avrebbe potuto avanzare quel ricco mercante o, meglio, usuraio, per ottenere la distinzione di cui avevano goduto il bisavolo Cacciaguida e il padre Bello? Era circondato dalla stima del ceto commerciale, forse aveva ricoperto qualche podesteria o altri uffici importanti, nel territorio fiorentino e fuori del territorio, con onore e senso di responsabilità, o aveva partecipato, riportandone una certa nomea, a spedizioni militari della sua città. Forse anche perché, nella divisione tra Bianchi e Neri, era rimasto attaccato alla professione di fede guelfa e nera come i suoi antenati e non aveva seguito l'indirizzo del consorto D. e di qualche altro Alighieri del ramo di Bellincione, come Brunetto. Forse anche era divenuto cavaliere perché aveva il denaro per sostenere le spese della cerimonia d'investitura e della dignità cavalleresca. Forse per tutte queste ragioni insieme, C. ottenne la dignità equestre come risulta dal documento del 30 ottobre 1301, e dagli atti del 17 maggio 1306 e del 26 maggio 1310, che ricordano case e terreni già suoi nel popolo di S. Martino.
Come cavaliere C. rimase nella tradizione dantesca e dei commentatori della Commedia. Benvenuto non trovò modo migliore per dipingere e designare Geri del Bello che dicendolo fratello di C.: " Gerius iste vir nobilis fuit frater d. Cioni del Bello de Aldigheriis "; inoltre il medesimo Benvenuto ci dice che a far la vendetta di Geri furono " filii d. Cioni et nepotes praefati Gerii ". Il Landino riecheggiò l'imolese e attribuì la vendetta di Geri a un " figliuolo di mes. Cione ".
Bibl. - M. Barbi, " Cenni " di M. Bello A., in " Studi d. " I (1920) 132-136; ID., L'ufficio di D. per i lavori di via S. Procolo. Appendice di documenti relativi alla costruzione d'una nuova via da Orsammichele al chiasso della Badia (via dei Cimatori), ibid. III (1921) 111-128 (ora in Problemi II 400-413); R. Piattoli, Geri e Cione del Bello a Prato nel 1280, in " Studi d. " XVI (1932) 127-136; M. Barbi - R. Piattoli, La casa di D., ibid. XXII (1938) 30-37; Piattoli, Codice 43, 45, 46, 55, 59-64, 70, 89, 96, 104-106, 148.