FACCHINETTI, Cipriano
Nacque il 13 genn. 1889 da Giovanni, agente di custodia delle carceri, e da Maria Pezzano, a Campobasso, che abbandonò presto per trasferirsi insieme con la famiglia a Busto Arsizio. Iniziò giovanissimo sia il suo impegno politico nel partito repubblicano, sia quello giornalistico. Collaborò dapprima con IlCorriere democratico di Busto Arsizio e con Il Nuovo Ideale, per poi entrare a Il Cacciatore delle Alpi di Varese, di cui divenne direttore nel 1910. Espresse su quelle colonne soprattutto le sue posizioni irredentiste, occupandosi inoltre di problemi inerenti i diritti civili, di cui è esempio la campagna che intraprese nel 1911 a favore del divorzio.
A seguito dell'insurrezione indipendentista del Malissori d'Albania il F. giudicò necessario promuovere azioni in loro favore, muovendosi sia sul piano organizzativo sia su quello pubblicistico.
Il suo atteggiamento si discostava da quello ufficiale del Partito repubblicano italiano che, nonostante l'appoggio ideale fornito alla causa degli insorti contro i Giovani Turchi, si era mostrato critico riguardo alla definizione di vere e proprie iniziative. Nell'aprile 1911 partecipò a Roma a una riunione insieme con Ricciotti Garibaldi per preparare una spedizione garibaldina in Albania e poco tempo dopo, il 10 maggio, venne denunciato alle autorità competenti per una protesta comparsa su Il Cacciatore delle Alpi contro l'espulsione dall'Italia del giornalista albanese Jvanay Bey, subendo il 27 novembre successivo una condanna a dieci mesi per lesa maestà. Sin dalla primavera di quell'anno il F. era vigilato a causa di un provvedimento adottato dalle autorità prefettizie, provvedimento per il quale protestò energicamente presso il ministero dell'Interno.
Fallito il tentativo di Ricciotti Garibaldi di allestire la spedizione, il F. si recò nel giugno di quell'anno a Trieste e indisse una riunione nella redazione del settimanale dei repubblicani giuliani Emancipazione, per organizzare un gruppo di volontari che - trovatisi poi insieme a Podgorica - si unirono subito dopo alla guerriglia albanese.
Il F. fece ritorno in Italia nell'agosto di quell'anno, per riprendere l'attività giornalistica e quella politica. I suoi interventi pubblici si concentrarono sulla decisione del governo italiano di dichiarare guerra alla Turchia, decisione contro la quale il F. si schierò ad esempio in un comizio a Forlì, in occasione dell'anniversario del 20 settembre, invitando i repubblicani a lottare contro la politica giolittiana in Africa.
Ma la sua iniziale opposizione alla guerra italo-turca doveva mutare radicalmente nei mesi successivi, tanto che nel novembre il F. offrì a Giolitti un corpo di spedizione di volontari repubblicani, da inviare in Tripolitania in appoggio all'esercito. In quell'occasione il Partito repubblicano italiano (PRI) prese le distanze dal gesto del F., che fu costretto a ritrattare.
Dopo un soggiorno di alcuni mesi a Berlino per motivi di studio, nel 1912 partecipò in Grecia alla prima guerra balcanica come volontario nella legione repubblicana di Ricciotti Garibaldi, combattendo nella battaglia di Drisko nell'Epiro. Durante i conflitti balcanici, sino al 1914, fu inviato del quotidiano democratico milanese Il Secolo, al quale inviò servizi giornalistici anche dalla Francia, nel 1915, battendosi sulle colonne del giornale a favore dell'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale, rientrando in Italia in occasione della sua entrata in guerra. Il F. fu - insieme con M. Bergamo, O. Zuccarini, E. Reale e A. De Donno - esponente di quel gruppo di giovani intellettuali repubblicani di ispirazione cattaneana, allievi di Arcangelo Ghisleri, che imposero la loro presenza nel 1914 al congresso del PRI a Bologna. Ad opera di questi giovani, l'interventismo repubblicano riuscì a distinguersi da quello nazionalista per la sua valenza democratica.
Subito dopo l'entrata in guerra dell'Italia si arruolò come volontario. Il 23 marzo 1917, mentre guidava all'attacco sul fronte del Carso nei pressi di Monfalcone un plotone del 225º reggimento di fanteria della brigata "Arezzo", fu gravemente ferito da schegge di granata. Ciò gli causò l'asportazione dell'occhio sinistro e la lesione grave di quello destro, di cui poté riacquistare solo parzialmente la vista grazie alle cure cui fu sottoposto a Milano. Fu congedato e decorato con la medaglia d'argento al valor militare.
Tra l'ottobre e il novembre 1917, dopo la notizia della disfatta di Caporetto, costituì a Milano - insieme con E. Vigorelli, Fulcieri Paulucci di Calboli, Meschia, monsignor Giraldi, D. Roberto, A. Valente - il Comitato d'azione fra mutilati invalidi e feriti di guerra. Due i compiti dell'associazione che, nell'idea dei suoi promotori, si sarebbe dovuta sciogliere alla fine del conflitto: innanzitutto, svolgere propaganda in Italia per incitare alla resistenza e per lottare contro i "sabotatori di guerra", e, in secondo luogo, formare gruppi di mutilati da inviare in zona di guerra.
Il Comitato d'azione era sorto non in contrapposizione, bensì in appoggio dell'Associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra (ANMIG), nata nell'aprile 1917 sotto gli auspici delle autorità governative. Ma già dopo pochi mesi dalla nascita del Comitato d'azione nacquero i primi contrasti tra i due organismi, dovuti soprattutto al fatto che il primo godeva di maggiore pubblicità del secondo.
Riconosciuto come ente giuridico dal prefetto di Milano nell'ottobre 1918, il Comitato d'azione decise di indirizzarsi verso obiettivi diversi da quelli dell'Associazione nazionale, e nello stesso mese prese l'iniziativa di fondare una Famiglia italiana della Lega universale per la Società delle libere nazioni, che proseguì la sua azione negli anni successivi in appoggio alla creazione della Società delle nazioni, collegandosi in tal modo alle simili iniziative prese negli altri paesi. Il F., insieme col sen. F. Ruffini, a A. Ghisleri e a L. Bissolati, fu uno dei promotori, e ricoprì la carica di presidente della commissione esecutiva della Famiglia italiana. L'associazione partecipò ai tre congressi internazionali che si svolsero a Parigi, Londra e Bruxelles, e organizzò il quarto congresso a Milano, nell'ottobre 1920. Il F. ebbe anche occasione di recarsi a Ginevra, come giornalista de Il Secolo, per seguire i lavori della Società delle nazioni.
La Famiglia italiana si fece promotrice di una proposta intesa a far attribuire al Parlamento italiano la facoltà di eleggere i rappresentanti nel Consiglio e nell'Assemblea della Società delle nazioni, sulla quale trovò la convergenza a Montecitorio di repubblicani, radicali, liberali riformatori, popolari, liberali di destra e di quelli della lista di Rinnovamento.
Nel dopoguerra il F., insieme con G. B. Pirolini, fu anche tra i maggiori esponenti di quell'interventismo democratico militante che ritenne necessario inquadrare i mutilati e i combattenti in una organizzazione che non fosse, come l'ANMIG, controllata direttamente dalle autorità di governo. Promotori di tale iniziativa furono, dunque, soprattutto i repubblicani, che riuscirono a coinvolgervi tutte le principali componenti del mondo interventista. Nel novembre 1918 nacque infine, da questi tentativi, l'Associazione nazionale combattenti (ANC), che si presentò anche alle elezioni politiche del 16 nov. 1919.
Nonostante fosse stata il nucleo fondante della lista del Blocco della sinistra, che rappresentava la democrazia radicale e intendeva difendere gli ideali dell'interventismo democratico, l'ANC non riuscì ad avere una posizione egemonica nella lista, e solo pochi dei suoi esponenti riuscirono a essere inseriti tra i candidati, come lo stesso F., L. Gasparotto, E. De Rossi, G. Ricchieri. La lista non godette dell'attenzione della grande stampa d'informazione e fu nel contempo attaccata da quella interventista e dai socialisti, che impedirono anche comizi elettorali, come quello del F. a Milano alla fine di ottobre.
Insieme con Bissolati, il F. fondò L'Italia del popolo, che iniziò le sue pubblicazioni il 17 genn. 1919. Era, questo, l'organo dei Fascio wilsoniano d'azione, cui aderirono repubblicani milanesi, alcuni socialisti riformisti dell'Unione socialista italiana (USI) e numerosi combattenti: l'organizzazione si richiamava a quegli stessi principi indicati dal presidente statunitense W. Wilson che, nella sostanza, erano anche alla base del programma della Famiglia italiana. L'Italia del popolo nacque in funzione antimussoliniana, nonostante il direttore del Popolo d'Italia avesse assunto all'inizio una posizione favorevole al wilsonismo. Fra i due quotidiani, anzi, si sviluppò una violenta polemica, suscitata anche dalla serata al teatro della Scala di Milano del gennaio 1919, durante la quale Bissolati e il F. furono bersaglio degli insulti di Mussolini e Marinetti sulla questione della "pace mutilata". Il risultato della forte tensione creatasi ormai tra i suoi dirigenti fu lo scioglimento ufficiale, in quello stesso mese, del Comitato d'azione.
La posizione del F. sulle questioni inerenti la pace fu coerente con il programma wilsoniano anche nel periodo successivo. Nel XIV congresso nazionale del PRI (25-27 sett. 1920) presentò un ordine del giorno sulla politica estera che esprimeva la sua opposizione alla politica di D'Annunzio su Fiume, di cui il F. comprendeva i risvolti nazionalisti e militaristi. Alla fine di quel congresso il F. fu eletto nella commissione esecutiva del partito, facendo parte - insieme con E. Conti, O. Zuccarini, F. Schiavetti, O. Reale e G. Bergamo - della corrente maggioritaria che si era schierata a favore della promozione politica e sociale dei lavoratori. Il F. fece parte anche della direzione eletta dal XV congresso del partito tenutosi a Trieste dal 22 al 25 apr. 1922, nel quale fu relatore sulla situazione internazionale. La linea antifascista uscita vincente da quel congresso fu resa ancor più chiara dal F., Conti, Zuccarini e Schiavetti nel XVI congresso che il PRI tenne a Roma il 17 e 18 dic. 1922.
Della pregiudiziale antifascista il F. fu tenace assertore in Italia fin quando fu consentita una opposizione legale nel paese. Nelle elezioni del 6 apr. 1924, che seguirono allo scioglimento del Parlamento imposto da Mussolini nel gennaio, il F. fu eletto per la prima volta deputato nel collegio di Trieste. In tale veste pronunciò, il 3 giugno, un duro discorso critico nella discussione che fece seguito alla presentazione fatta da Mussolini dell'indirizzo generale della politica governativa. Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, il F. fu uno dei più convinti sostenitori della secessione dell'Aventino, tanto da partecipare attivamente al Comitato delle opposizioni e - per tale motivo - da essere tra i parlamentari dichiarati decaduti dal regime fascista nel novembre 1926.
Arrestato e quindi rilasciato per ordine del ministero dell'Interno l'11 novembre di quell'anno a Milano, di qui espatriò in Svizzera, unendosi alla cosiddetta terza ondata del fuoriscitismo italiano, e nel dicembre era segnalata la sua presenza a Lugano. Lo avevano aiutato a fuggire M. Macchi, A. Rabolini e G. Battaglia, facendogli passare la frontiera presso Pian d'Alpe.
Aveva lasciato a Milano, sorvegliate dalla polizia, la moglie Erminia Poletti - che aveva sposato nel 1914 - e le due figlie. Queste furono poi aiutate a espatriare dall'operaio socialista Adolfo Cantoreggi, che si era offerto spontaneamente di condurle in salvo sino al Ticino, facendole passare per sue familiari.
Il F. rimase a Lugano sino al marzo 1927, per poi recarsi a Ginevra in qualità di corrispondente presso la Società delle nazioni della Libera Stampa di Lugano. Da Ginevra partì quindi insieme con Eugenio Chiesa per la Francia il 28 apr. 1927 per stabilirsi in Alta Savoia, ad Annemasse, da dove si recava spesso a Parigi e a Ginevra, dove era accreditato come giornalista alla Società delle nazioni, e dove ebbe riunioni con G. Chiostergi e A. Sancini. Risiedette a Annemasse sino all'ottobre 1928, quando decise infine di trasferirsi insieme con la famiglia a Parigi, dove per mantenersi fece anche il commerciante di salumi.
Il F. fece parte della commissione esecutiva del PRI in esilio, che nella sua prima riunione del 22 genn. 1927 decise il programma d'azione del fuoruscitismo repubblicano promuovendo la ripresa dei collegamenti tra i vari gruppi all'estero e decidendo la pubblicazione del quindicinale L'Italia del popolo. Sulla questione della riorganizzazione del PRI il F. ebbe forti contrasti con Schiavetti, promotore della Federazione dei repubblicani italiani all'estero (FRIE), poiché riteneva che la federazione avrebbe potuto avere una funzione dispersiva, come un inutile doppione del partito.
Fallito il tentativo di costituire una concentrazione repubblicano-socialista - di cui fu promotore insieme con i fratelli Bergamo, Schiavetti, E. Volterra e Aurelio Natoli -, il F. fu tra i fondatori nell'aprile del 1927 a Parigi della Concentrazione antifascista, che egli riteneva dovesse essere un cartello tra i partiti che fungesse da coordinamento di tutti i gruppi sul piano delle azioni da intraprendere contro la dittatura mussoliniana, ma nel quale ciascun partito rimanesse indipendente e quindi potesse conservare la propria autonomia politica.
Fin dal suo arrivo a Parigi il F. ricoprì diversi incarichi all'interno dell'emigrazione antifascista: fu eletto segretario politico del PRI nel congresso di Lione (30 giugno 1928) e designato come rappresentante della LIDU (Lega italiana diritti dell'uomo) nel consiglio generale della Concentrazione antifascista - insieme con D. Rondani, Chiostergi, C. Costa, A. Pedrini.
Partecipò poi nel 1929 alla fondazione di Giustizia e Libertà (GL), dopo l'arrivo a Parigi di Carlo Rosselli, ed entrò subito - insieme con R. Rossetti - nell'esecutivo della nuova formazione politica, fungendo in tal modo da tramite tra Giustizia e Libertà e la Concentrazione antifascista. La permanenza del F. nel comitato direttivo di GL non durò a lungo: egli si dimise nell'agosto 1930 rimproverando ai dirigenti giellisti di averlo tenuto all'oscuro del volo compiuto da G. Bassanesi su Milano alla fine di luglio e, inoltre, di non vigilare a sufficienza sull'affidabilità degli aderenti, consentendo in tal modo le infiltrazioni nell'organizzazione di spie del regime fascista. Fu nell'autunno di quell'anno, infatti, che il F., insieme con C. Rosselli, A. Tarchiani. E. Lussu e F. S. Nitti, smascherò Carlo Del Re, accusandolo di aver causato gli arresti del 30 ott. 1930 che avevano decapitato GL in Italia.
Dopo l'uscita dall'esecutivo di GL, il F. diede vita alla Giovane Italia, un'organizzazione per la lotta antifascista in Italia, che non ebbe però molto successo, soprattutto per l'atteggiamento sfavorevole dei repubblicani che già militavano nei gruppi clandestini di GL.
La tenace posizione antigiellista del F. proseguì anche negli anni successivi: nel 1932 si schierò con quella parte della direzione repubblicana che si opponeva alla ratifica dell'ingresso di GL nella Concentrazione antifascista, coalizzandosi successivamente con il gruppo di Schiavetti - di cui aveva consentito il rientro nel PRI - per riuscire a ottenere una maggioranza favorevole all'uscita del partito dalla Concentrazione nel congresso che il PRI tenne nella cittadina svizzera di Saint-Louis il 19 e 20 marzo 1932 per dirimere la spaccatura che sull'argomento si era avuta nella direzione. Nonostante la schiacciante vittoria che alla fine conseguì contro l'ordine del giorno di R. Pacciardi e Egidio Reale, il F. non aveva partecipato ai lavori congressuali perché si era reso conto del pericolo rappresentato dalla presenza di Schiavetti negli equilibri del partito.
Dopo lo scioglimento della Concentrazione antifascista, nel 1934, il F. continuò la sua opera nell'emigrazione politica in Francia, partecipando alle riunioni indette per costituire un contingente antifascista italiano, da inviare in Spagna nelle brigate internazionali in appoggio ai repubblicani nella guerra civile. A tale proposito il F. firmò il 27 ott. 1936, insieme con P. Ruggimenti per il PSI e R. Cocchi per il Partito comunista d'Italia (PCd'I), l'atto costitutivo del battaglione "Garibaldi". L'accordo, però, mantenne la sua validità soltanto sino al 1937, quando lo stesso F. comunicò agli altri partiti la decisione del PRI di rompere la collaborazione.
Membro attivo del Grande Oriente in esilio, riuscì ad avere dalla massoneria internazionale i finanziamenti necessari per la pubblicazione del settimanale La Giovane Italia, che uscì nel dicembre del 1937, contemporaneamente alla costituzione della associazione omonima. Nel giugno 1938 tentò, insieme con Pacciardi e Salvadori, un nuovo avvicinamento a Giustizia e Libertà, proponendo la fusione tra questa e il PRI. Ma i dirigenti giellisti rifiutarono categoricamente l'offerta. Arrivati i Tedeschi a Parigi, il F. si rifugiò nel giugno del 1940 in Dordogna e quindi a Marsiglia. Il suo nome figurava nella lista dei sessanta antifascisti che si tentò di far espatriare negli Stati Uniti nell'agosto di quell'anno, e ancora nell'aprile 1941 era tra gli antifascisti italiani residenti in Francia che a loro richiesta potevano avere dal consolato statunitense a Marsiglia il visto d'imbarco per rifugiarsi Oltreoceano. Le informative del 1941 redatte dalle autorità fasciste riferiscono di un abboccamento dei F. con un funzionario della polizia italiana al quale l'esule disse di essere pronto a rinunziare a ogni attività politica per far rientrare nel paese la moglie e la figlia Valeria. Mussolini acconsentì alla richiesta, autorizzando anche il F. a rientrare in Italia, tanto che il 2 ag. 1941 venne rettificata la sua posizione nella rubrica a stampa della frontiera, modificata da "da arrestare" a "da segnalare". Ma del beneficio concessogli approfittò per un breve periodo soltanto la moglie, che rientrò in Italia nel settembre 1941 in occasione della morte del padre, per poi rientrare a Marsiglia alla fine di novembre.
Il 18 febbr. 1943 il governo di Vichy ne permise l'arresto da parte delle autorità naziste, che poi lo consegnarono all'OVRA. Condannato dal tribunale speciale a trent'anni di reclusione, il F. fu tradotto prima a Ponte Unione Mentone, e quindi nel marzo a Roma, dove rimase rinchiuso nel carcere di Regina Coeli e in clinica in stato di detenzione sino al 25 luglio 1943. Nell'agosto risiedette a Busto Arsizio sotto la vigilanza delle autorità, per poi essere sfollato insieme con la famiglia a Lanzo d'Intelvi (Como) sino al io settembre. Dovette quindi riparare ancora una volta all'estero: si rifugiò a Lugano, dove visse insieme con E. Vigorelli, nel gruppo raccolto attorno a monsignor Jelmini e a G. Canevascini, leader del socialismo ticinese.
Insieme con S. Massarenti, P. Malvestiti, S. Jacini, T. Gallarati Scotti, L. Casagrande, il F. ideò un organismo interpartitico a Lugano, modellato sull'esempio del Comitato di liberazione nazionale, che fu creato accanto al già esistente comitato militare di A. Tino, R. Morandi e L. Damiani, a cui provocò non pochi fastidi. Gli Alleati, infatti, preferivano una formula come quella dei comitato interpartitico poiché esprimeva una linea politica più moderata. Il F. collaborò inoltre, insieme con E. Vigorelli, con il centro creato da E. Tibaldi per il coordinamento dei soccorsi all'Ossola, dopo la caduta della Repubblica partigiana. Rientrò in Italia nel dicembre 1944 in aereo, facendo parte di quel gruppo di rifugiati di cui il governo Bonomi aveva chiesto il reimpatrio per dare loro incarichi governativi: insieme col F., c'erano L. Einaudi, L. Gasparotto, T. Gallarati Scotti, S. Jacini, G. B. Boeri, C. Marchesi, F. Carnelutti, A. Orlando, G. Colonnetti.
Medaglia d'argento al valor militare, il F. dopo la guerra partecipò al Comitato di liberazione nazionale e fu quindi designato membro della Consulta nazionale in rappresentanza del Partito d'azione nel 1946. Il 2 giugno di quell'anno fu eletto deputato nelle liste del partito repubblicano, cui aveva aderito dopo la scissione del Partito d'azione nel febbraio precedente, all'Assemblea costituente nel collegio unico nazionale e fu tra i candidati all'elezione del capo provvisorio dello Stato. Fu designato ministro della Difesa nel secondo governo De Gasperi, costituitosi il 13 luglio e in tale veste partecipò nell'agosto alla conferenza di Parigi per il trattato di pace italiano insieme con A. De Gasperi, G. Saragat ed E. Corbino. Nell'estate del 1946 dovette anche svolgere, come responsabile del dicastero, un'inchiesta sulla - sollevazione partigiana che aveva interessato in particolare le regioni del Settentrione: assunse in quell'occasione un ruolo di mediazione, attraverso il quale ottenne - con l'appoggio di tutti i partiti - la smobilitazione immediata dei gruppi di partigiani insorti.
Nel XIX congresso del partito repubblicano, svoltosi nel gennaio 1947, si schierò con quel settore che chiedeva l'allontanamento del Partito comunista italiano (PCI) dalla compagine governativa, opponendosi alla posizione più conciliante di Pacciardi. Ma nel novembre di quello stesso anno si fece promotore, insieme con V. E. Orlando, F. S. Nitti e I. Bonomi, di un ordine del giorno a favore di un governo di unione democratica. In occasione del rimpasto del quarto governo De Gasperi, avvenuto a pochi giorni di distanza, fu chiamato a parteciparvi ancora una volta come ministro della Difesa, sino a quando, nel maggio 1948, non venne sostituito da Pacciardi.
Dopo la conclusione del suo incarico governativo, non abbandonò i suoi interessi relativi alle questioni militari, svolgendo la sua opera nella quarta commissione Difesa del primo Parlamento repubblicano, di cui faceva parte come senatore di diritto.
Dal 1945 al 1949 fu presidente della Federazione nazionale della stampa, e quindi del consiglio d'amministrazione dell'agenzia di stampa ANSA (Agenzia nazionale stampa associata). Il F. morì il 18 febbr. 1952 a Roma e fu sepolto nella tomba di famiglia a Busto Arsizio.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Casellario politico centrale, b. 1919, ff. 86824/1-3; Ibid., Presidenza del Consiglio dei ministri, Verbali del Consiglio dei ministri, 1946 e 1947; Pisa, Domus Mazziniana, fondi Arcangelo Ghisleri, Oliviero Zuccarini, Vittorio Parmentola; necrol. in Voce repubblicana, 19 febbr. 1952; C. F. a dieci anni dalla morte, Busto Arsizio 1962; S. Laghi, Uomini da ricordare, Perugia 1964, pp. 185-193. Sul ruolo del F. nel Partito repubblicano italiano, cfr. B. Di Porto, IlPartito repubblicano italiano, Roma 1963, passim; S. Fedele, I repubblicani di fronte al fascismo, Firenze 1983, passim; Id., Appunti per una storia del PRI negli anni della Concentrazione antifascista, 1927-34, Bologna 1975, passim; M. Tesoro, I repubblicani nell'età giolittiana, Firenze 1978, passim; E. Signori-M. Tesoro, Ilverde e il rosso. Fernando Schiavetti e gli antifascisti nell'esilio fra repubblicanesimo e socialismo, Firenze 1987, ad Indicem. Sulle associazioni dei combattenti cfr. G. Sabbatucci, Icombattenti nel primo dopoguerra, Roma-Bari 1974, ad Indicem. Sull'attività antifascista del F. prima e durante l'esilio cfr. tra l'altro: A. Landuyt, Le sinistre e l'Aventino, Milano 1973, ad Indicem; S. Fedele, Storia della Concentrazione antifascista, Milano 1976, ad Indicem; E. Signori, La Svizzera e i fuorusciti italiani, Milano 1983, ad Indicem; M. Cerutti, Fra Roma e Berna. La Svizzera italiana nel ventennio fascista, Milano 1986, ad Indicem; P. Alatri, L'antifascismo italiano, Roma 1961, II, pp. 201-210 (sull'episodio della spia Carlo Del Re); G. Salvemini, Memorie di un fuoruscito, Milano 1965, pp. 124, 151 s.; A. A. Mola, Storia della massoneria italiana dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, ad Indicem. Sul periodo successivo alla seconda guerra mondiale cfr. A. Gambino, Storia del dopoguerra dalla Liberazione al potere DC, Roma-Bari 1978, p. 266; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, XI, Milano 1986, pp. 79, 82; E. Piscitelli, Da Parri a De Gasperi. Storia del dopoguerra 1945-48, Milano 1975, pp. 39, 173; P. Nenni, Tempo di guerra fredda. Diari 1943-56, Milano 1981, pp. 397, 403; Enc. dell'antifascismo e della resistenza, II, ad vocem; Enciclopedia Italiana, II, App., ad vocem.