OPPO, Cipriano
OPPO, Cipriano (Efisio). – Nacque a Roma il 2 luglio 1890, figlio di Andrea Eugenio, funzionario del ministero delle Poste, e di Ottavia Sutto (che morì però già nel 1894). Il secondo nome con cui è comunemente noto, Efisio, non risulta nell’atto di nascita ed evidentemente Oppo lo adottò in un secondo momento (C. Efisio O., 2000, p. 257).
Nel 1900 il padre lo mise in collegio a Spoleto, ma dopo quattro anni, rifiutata la rigida vita che gli era stata imposta, tornò a Roma, ove si iscrisse al Reale Istituto superiore di belle arti, dedicandosi appieno alla pittura. Presto strinse amicizia con molti suoi futuri compagni di strada: da Francesco Trombadori ad Amerigo Bartoli, Vincenzo Costantini, Antonio Maraini. Frequentando, a partire dal 1907, la Scuola libera del nudo, ebbe modo di conoscere anche Umberto Boccioni e Mario Sironi. Risalgono a quel periodo le prime opere note, quale, per esempio, il triplice Autoritratto datato 1910 (coll. priv., ripr. ibid., p. 256). Dopo aver iniziato a lavorare nella galleria antiquaria di Giuseppe Sangiorgi, per cui «svolse mansioni di apprendista decoratore e copista di opere classiche, sotto la guida del maestro Oreste Morozzi» (ibid., p. 259), nella primavera del 1912 esordì partecipando con un dipinto non precisato alla Mostra del ritratto, organizzata a Roma dalla Associazione artistica internazionale. Nel 1913 prese parte dapprima, a Roma, alla mostra del Circolo artistico internazionale, con cinque «quadri “futuristi”, “cubisti” e “sartoriani”» (Secessione romana..., 1987, p. 31), poi a Napoli, alla II Esposizione nazionale di belle arti del Comitato nazionale artistico giovanile, con Il castello del mistero, opera fortemente influenzata dalla cultura simbolista e divisionista.
Emilio Cecchi (1927-28, pp. 698 s.), suo caro amico, ricordò questa pittura degli esordi «d’un colorito acre, mordente, quasi arso», debitrice non tanto delle moderne esperienze italiane, ma imbevuta, piuttosto, di «un certo influsso matissiano».
Sempre nel 1913 iniziò a pubblicare disegni su riviste (segnatamente sulle pagine di Novissima, come indicato in Marchioni, 2002, p. 9) e presentò due ritratti alla I Esposizione internazionale d’arte della Secessione di Roma. Partecipò anche alle successive edizioni della rassegna romana, facendosi notare dalla critica per la sua pittura «violenta, aggressiva, capace di tutti gli eccessi prima di trovare il suo equilibrio» (A. Cantù, in Rassegna d’arte antica e moderna, I [1914], 5, pp. 109-111).
Come ricorda Mario Corsi (1929, p. 131), «uscito da poco dall’Accademia» Oppo era «un po’ timido e appunto per timidezza un po’ scontroso. Lo si vedeva tutte le sere al “Caffè Greco” di Via Condotti, in fondo all’ultima ristretta sala – l’omnibus – dove si davan convegno poeti imberbi […], parecchi giornalisti, per lo più alle prime armi, e qualche artista, questi non tutti giovanissimi: la falange che emigrò poi, definitivamente, nella non ingoloriosa “terza saletta” del Caffè Aragno».
Nel giugno 1914 fu tra i promotori del Gruppo moderno italiano, cui aderirono, fra gli altri, Costantini e Roberto Melli. Sposata frattanto la linea politica nazionalista e divenuto amico di Luigi Federzoni, dal dicembre 1914 prese a pubblicare vignette e disegni satirici su L’Idea nazionale (Marchioni, 2002), iniziandovi poco dopo anche l’attività di critico d’arte. Nella primavera del 1915 partì volontario per la guerra, combattendo nei pressi di Gorizia; rimasto gravemente ferito al volto e a un braccio, fu costretto a rientrare dal fronte e, dopo un periodo di convalescenza, riprese a disegnare per le pagine de L’Idea nazionale. Fu in quel frangente che Boccioni, nel gennaio 1916, ne elogiò apertamente le doti di disegnatore, osservando che «Oppo costruisce macchiette comiche assolutamente italiane nella loro povertà provinciale ancora inosservata dalla caricatura nostrana» (in Boccioni, 1971, p. 394).
La quarta e ultima edizione della Secessione romana, tenutasi tra la fine del 1916 e l’inizio del 1917, gli offrì l’opportunità di misurarsi per la prima volta nell’organizzazione di una mostra, cui partecipò anche con cinque dipinti, confermando, secondo quanto scrisse Cecchi, la sua «facoltà allucinativa che giuoca sui momenti più acidi e […] striduli della povertà nervosa» (in Il Marzocco, 28 gennaio 1917). Poco più tardi si allontanò da tale aspra espressività per trovare un nuovo equilibrio, come emerse dalle opere esposte nell’estate 1918 alla Casina del Pincio (ora Valadier).
Carlo Tridenti, nel commentare un suo Ritratto, notò che «con una tavolozza limitatissima e di toni discreti corrispondente ad un disegno rigoroso, Oppo riesce ad ottenere un rilievo, una compattezza interna davvero inconsueti nei suoi quadri. È il principio della liberazione e di un superamento» (in Pagine d’arte, 15 luglio 1918, p. 86).
Nella primavera del 1920 organizzò la Mostra del Gruppo romano nelle sale della Famiglia artistica di Milano (vi espose anche alcuni dipinti) e poco dopo fu tra i promotori della prima edizione della Biennale romana, che inaugurò il 31 marzo 1921; lì il Ritratto della fidanzata confermò la svolta classicista della sua pittura (l’opera, di ubicazione ignota, è tra l’altro ripr. in Emporium, LIII [1921], 316, p. 197).
Se Francesco Sapori lo trovò «rinfrancato e irrobustito» (ibid., p. 198), Cecchi (1927-28, p. 703) rilevò nel quadro esposto «un lieve ricordo di pinacoteca», la prova che Oppo, ormai, intendeva anzi tutto «consolidarsi sulle posizioni conquistate, ampliando le forme e semplificandole».
Nel 1922, di fatto accostandosi al gruppo di Valori plastici, presentò tre dipinti alla Primaverile fiorentina (cui dedicò fra l’altro un’ampia e positiva recensione sulle pagine de L’Idea nazionale). In questo periodo maturò una volta per tutte il suo impegno politico: Oppo seguì l’amico Federzoni entro le fila del Partito nazionale fascista, appoggiando da subito Mussolini, e, in particolare, elogiando il discorso che questi aveva pronunciato alla Mostra dei Sette pittori del Novecento allestita nel 1923 alla galleria Pesaro.
Nella primavera del 1923 intraprese un lungo viaggio in Francia, Germania e Olanda per organizzare le presenze straniere alla seconda edizione della Biennale romana. Nella mostra, che si tenne alla fine dell’anno, comparve anche una sua Fanciulla dormiente, che Margherita Sarfatti giudicò negativamente, ritenendola «così vicina all’Olympia di Manet, sebbene il mazzo di fiori le sia recato da una donzella bianca, anziché da una larga, ghignante e lustrante negra. Tutto qui è più piccolo, miserello e un po’ sbiadito al confronto» (Il Popolo d’Italia, 7 dicembre 1923; il dipinto, di ubicazione ignota, è ripr. in Corsi, 1929, p. 142). Al di là di queste battute, il rapporto con Sarfatti sarebbe stato particolarmente complesso, giacché Oppo assai presto cominciò a elaborare un progetto culturale del tutto alternativo rispetto a quello della creatrice del movimento novecentista. La sua attività d’organizzatore andò rafforzandosi, come dimostrò la terza Biennale romana (1925), incentrata su alcuni grandi artisti italiani del presente o del recente passato (tra gli altri si distinse, in questa circostanza, l’omaggio a Boccioni). Oppo tuttavia prese parte alle esposizioni ordinate da Sarfatti, a cominciare dalla prima Mostra del Novecento italiano che si tenne all’inizio del 1926: vi presentò tre dipinti, fra i quali la complessa scena con i Carabinieri (già in collezione Giordani; ripr. in Corsi, 1929, p. 143) e l’Autoritratto (coll. priv., ripr. in Roma 1918-1943, 1998, p. 203), che ancora una volta confermano la raggiunta solidità compositiva e l’adozione di una gamma cromatica controllata, lontana ormai dagli accesi accenti giovanili. Al fianco di tali prove pittoriche, continuò a pubblicare disegni su periodici, esprimendo con toni forti, talora violenti, le proprie convinzioni politiche, come testimoniano le numerose vignette e illustrazioni uscite su Roma fascista e indirizzate in particolare contro la massoneria.
Nell’estate del 1926 fece il suo esordio alla XV Biennale di Venezia, con La casta Susanna (ubicazione ignota, ripr. in Emporium, LXIV [1926], 376, p. 228), in cui l’amore per la tradizione veneta cinquecentesca si coniuga con reminiscenze della pittura di Gustave Courbet. Nello stesso anno si impose come figura cruciale all’interno del nascente sistema del sindacato degli artisti, e, al contempo, sostenne la rivista 900, creata da Massimo Bontempelli e caratterizzata da una spiccata apertura internazionale (vi scrisse, tra l’altro, di Picasso). In quel periodo consolidò la sua attività di organizzatore di cultura, di voce importante nel panorama artistico italiano, intervenendo fra l’altro nel dibattito sull’identità dell’arte fascista nato, nel corso del 1927 e su sollecitazione di Giuseppe Bottai, sulle pagine di Critica fascista. Entrò poco dopo a far parte del Consiglio direttivo della Biennale di Venezia, e, per altro verso, pose le basi per la nascita di un nuovo sistema espositivo, incentrato sull’organizzazione sindacale, ormai prossima a essere riconosciuta ufficialmente dal regime mussoliniano. Capillarmente diffuso sul territorio nazionale, l’impianto piramidale delle mostre sindacali si basava su una rete di iniziative di carattere cittadino, provinciale e interprovinciale, e aveva al vertice la Quadriennale d’arte nazionale, la prima edizione della quale si sarebbe tenuta all’inizio del 1931. Oppo fu la vera e propria anima della Quadriennale: in qualità di segretario, ne fu senza ombra di dubbio il principale organizzatore. Continuò comunque a partecipare alle mostre di Sarfatti, esponendo addirittura tre dipinti alla seconda Mostra del Novecento italiano che si tenne a Milano nel 1929. In questo giro d’anni di fatto riuscì a imporre il proprio progetto culturale, scalzando una volta per tutte la scrittrice veneziana e diventando il principale punto di riferimento nella politica dell’arte. Nella primavera del 1929, presentatosi come candidato rappresentante degli artisti, entrò in Parlamento. A partire da questo momento la sua azione per l’arte contemporanea si fece vieppiù efficace: riuscì infatti a organizzare importanti mostre d’arte italiana all’estero (talora servendosi direttamente del sindacato fascista di belle arti, come a Barcellona nell’estate del 1929); promosse una politica di dialogo tra lo Stato e le più attive gallerie private (appoggiando, in particolare, la galleria d’arte di Roma di Pier Maria Bardi, poi la galleria della Cometa della contessa Anna Laetitia [Mimi] Pecci Blunt); sostenne la nuova generazione di artisti, favorendo la nascita della cosiddetta Scuola romana, che andava dalle sperimentazioni espressioniste di Scipione e Mario Mafai ad altri artisti di diverso orientamento, quali, per esempio, Antonio Donghi e Fausto Pirandello.
L’affermazione definitiva del progetto di Oppo fu sancita dall’apertura, nel gennaio del 1931, della prima Quadriennale d’arte nazionale, allestita nelle sale del Palazzo delle Esposizioni di Roma. La rassegna si impose da subito per la quantità e la qualità delle opere esposte e, ancor più, per la capacità – poi confermata nelle successive edizioni – di documentare la migliore ricerca artistica nazionale, chiarendo valori e indirizzi di ricerca. Il successo ottenuto indusse Oppo a trasferire un’ampia selezione delle opere esposte negli Stati Uniti, e segnatamente al Baltimore Museum of art, ove a cavallo tra il 1931 e il 1932 si tenne l’Exhibition of contemporary Italian painting (che approdò poi al Syracuse Museum of fine arts e al Museum of art di Cleveland). Nel 1932 rassegnò le dimissioni dal sindacato fascista di belle arti, ma continuò a tenere saldamente le redini della Quadriennale romana, la cui seconda edizione fu preparata con largo anticipo. Nel 1934 espose alla XIX Biennale di Venezia; in questo stesso anno uscì per i tipi dell’editore francese Fernand Roches una monografia di Emilio Cecchi a luidedicata. Nel febbraio 1935 si aprì la seconda edizione della Quadriennale, «la mostra d’arte nazionale più rilevante dei nostri anni Trenta», come sottolineato da Fabrizio D’Amico (Roma 1934, 1986, p. 9).
Ai maestri già affermati (la mostra vide, tra l’altro, il ritorno in Italia di Gino Severini) si affiancarono in questa occasione figure ancora poco note nel panorama artistico o esperienze eccentriche, di rottura (come avvenne nella sala dedicata al gruppo astrattista della galleria del Milione). Largo spazio fu concesso anche ad artisti molto giovani, poco più che esordienti, quali Afro e Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Pericle Fazzini e Renato Guttuso. Oppo, insomma, seppe «mettere in sordina le proprie predilezioni artistiche, le proprie personali propensioni, persino i propri convincimenti, per dar spazio a quella che considerava come una doverosa informazione, da rendere al pubblico, delle molteplici linee dell’arte italiana» (D’Amico, 1987, p. 246).
A partire dal 1936 lavorò alla preparazione dell’Esposizione universale prevista a Roma per il 1942, partecipando alla elaborazione dei concorsi e progettando diverse iniziative. Nel 1937 ottenne che la Quadriennale si trasformasse in Ente autonomo, ma la terza edizione della rassegna, allestita nel 1939, segnò un significativo passo indietro: pur riuscendo ancora una volta a convogliare nelle sale del Palazzo delle Esposizioni artisti di grande rilievo (fra tutte si ricorda la grande mostra che consacrò Giorgio Morandi), Oppo soffrì evidentemente l’inasprirsi del dibattito culturale, scosso da un lato dalla promulgazione delle leggi razziali, da un altro dai feroci attacchi portati da una parte della critica alle più moderne ricerche artistiche.
Nel 1940 fu presente alla XXII Biennale di Venezia con una sala, ricca di 25 dipinti, volta a documentare le diverse stagioni della sua pittura. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia continuò a operare: nel 1942 fu chiamato a ricoprire la cattedra di pittura alla Accademia di belle arti di Roma e, nella primavera del 1943, diede vita alla IV edizione della Quadriennale, decisamente sottotono, nonostante le numerose importanti presenze.
Dopo la caduta di Mussolini si trasferì a Venezia, ove iniziò a insegnare all’Accademia di belle arti. Terminata la guerra e ripresa l’attività artistica, rientrato a Roma, prese parte nella sola veste di pittore alla Rassegna nazionale di arti figurative, la nuova edizione della Quadriennale romana che si tenne – a partire dal marzo 1948 – nelle sale della Galleria nazionale d’arte moderna (Oppo presentò in questa circostanza tre dipinti, fra i quali una natura morta con pesci vagamente matissiana). Fu invitato in seguito anche alla sesta edizione della rassegna, tenutasi tra 1951 e 1952 (vi espose due nature morte, una veduta romana – riprodotta in catalogo – e un ritratto). Dal 1946 riprese con frequenza a pubblicare articoli su diversi periodici, collaborando, in particolare, con Il Cartiglio e con Il Globo.
Morì a Romail 10 gennaio 1962.
Fonti e Bibl.: U. Boccioni, Le caricature di O. (1916), in Id., Gli scritti editi e inediti, a cura di Z. Birolli, Milano 1971; E. Cecchi, Il pittore C. Efisio O., in Dedalo, VIII (1927-28), pp. 696-717; M. Corsi, Artisti contemporanei: C. Efisio O., in Emporium, LXX (1929), 417, pp. 131-148; A. Francini, Le scene del pittore O., ibidem, LXXX (1934), 480, pp. 333-339; F. Bellonzi, C. Efisio O., in Atti dell’Accademia nazionale di S. Luca, n.s., VI (1962), pp. 1-12; Roma 1934 (catal., Modena-Roma), a cura di G. Appella - F. D’Amico, Modena 1986; F. Benzi, Materiali inediti dall’archivio di C. Efisio O., in Bollettino d’arte, s. 6, LXXI (1986), 37-38, pp. 169-189; F. D’Amico, C. Efisio O. fra due Quadriennali (1935-1939), in E42. Utopia e scenario del Regime (catal., Roma), a cura di M. Calvesi - E. Guidoni - S. Lux, Venezia 1987, pp. 244-248; Secessione romana 1913-1916 (catal.), a cura di R. Bossaglia - M. Quesada - P. Spadini, Roma 1987; Roma 1918-1943 (catal.), a cura di F. Benzi - G. Mercurio - L. Prisco, Roma 1998; C. Efisio O. Un legislatore per l’arte, a cura di F.R. Morelli, Roma 2000; N. Marchioni, C. Efisio O. I disegni di guerra per «L’Idea Nazionale» 1916-1918, Firenze 2002.