VAGAGGINI, Cipriano (Leonello). – Nacque a Piancastagnaio (Siena)
il 3 ottobre 1909 da Giuseppe e da Concetta.
Ebbe tre sorelle (Nella, Loretta e Silia, una delle quali entrò in monastero) e fu l’unico figlio maschio sopravvissuto (in tenera età morirono i fratelli Leonello, Giovanni e Silio). Dal 1920 al 1927 studiò nel collegio dell’abbazia benedettina belga di Saint-André (Bruges), chiamato dallo zio Giovanni, fratello del padre, che vi era monaco. Il 5 ottobre 1927 iniziò il noviziato nello stesso monastero dove esattamente un anno dopo, il 5 ottobre 1928, fece la professione monastica.
L’abbazia di Saint-André, di cui dal 1919 al 1926 fu priore dom Gaspar Lefebvre, fu uno dei principali centri di apostolato liturgico in area francofona tra le due guerre. Lefebvre era stato missionario in Brasile dal 1906 al 1914 come coadiutore di dom Gerard van Caloen e, al suo ritorno in Europa, pubblicò alcuni scritti (La méthode de sainteté de l’Église dans son culte officiel, Lille 1917; Liturgia. Ses principes fondamentaux, Bruges 1920) che, influenzati da quell’esperienza, assegnavano alla liturgia (in quanto preghiera pubblica e collettiva della Chiesa) un ruolo importante per il rilancio della dimensione sociale del cattolicesimo in territori di antica cristianità attraversati da profondi processi di secolarizzazione. Negli anni in cui fu priore di Saint-André si impegnò nella divulgazione di questi significati della liturgia nel cattolicesimo europeo (principalmente Francia, Italia e Spagna) ed extraeuropeo (Congo e Brasile). Ne furono strumenti, in particolare, il messale bilingue (latino e francese) Missel quotidien et vesperal (1920) e il Bulletin paroissial liturgique (1919-1945). L’opera di Lefebvre era rappresentativa del più vasto movimento liturgico francofono dei primi decenni del Novecento, che nella liturgia aveva individuato uno strumento per ridefinire i rapporti tra Chiesa cattolica e mondo moderno.
Il confronto con la modernità fu anche all’orizzonte della riflessione teologica più matura di Vagaggini. Per il percorso di formazione filosofica e teologica si trasferì a Roma, presso il Pontificio ateneo S. Anselmo, dove studiò dal 1928 al 1935. Nel 1931 conseguì il dottorato in filosofia con una tesi dal titolo De metaphisico concepto pulchri ad mentem principiorum philosophiae scholasticae e il 29 luglio 1934, durante il quadriennio di studi teologici (1931-35), ricevette l’ordinazione sacerdotale. Tra il 1935 e il 1936 tornò in Belgio, a Lovanio, per approfondire gli studi teologici e, tornato a Roma, fu nominato vicerettore del Pontificio collegio greco (1936-42). Continuò tuttavia a studiare conseguendo nel 1938 il dottorato in teologia con una tesi intitolata Maria in operibus Origenii e frequentando il Pontificio Istituto orientale (1937-40), dove nel 1940 conseguì un terzo dottorato in scienze ecclesiastiche con la tesi Il potere dei patriarchi orientali cattolici di dispensare dagli impedimenti di consanguineità e di affinità.
In questi anni tra le figure più importanti per la sua formazione fu il benedettino tedesco Anselm Stolz, docente di teologia dogmatica a S. Anselmo dal 1928 fino alla morte. Stolz aveva cercato di andare oltre la teologia manualistica a partire da un rinnovato studio delle fonti bibliche, patristiche e liturgiche che lo portò a intrecciare profondamente spiritualità e riflessione teologica (Theologie der Mystik, Regensburg 1939).
Il 1940 segnò anche l’inizio di un’intensa attività di docenza e di assunzione di responsabilità accademiche, oltre che di impegno nella promozione di nuove istituzioni di alta formazione e di ricerca in ambito ecclesiastico. In larga parte tale attività si dispiegò a S. Anselmo, dove insegnò teologia orientale (1940-56) e, dopo la morte del maestro Stolz, anche teologia dogmatica (1942-63 e 1971-78). Dopo avere assunto questo insegnamento, ne mutò il titolo da Introductio in Sacram Theologiam in Methodologia Theologica, segno della sua attenzione ai problemi metodologici posti dalla riflessione teologica, che scaturiva già dall’esigenza di confronto con la cultura moderna.
Nello stesso Pontificio Ateneo S. Anselmo fu anche decano della facoltà di teologia, vicerettore (per entrambe le cariche dal 1952 al 1963) e rettore (1974-78). Ebbe inoltre un ruolo importante nella fondazione dell’Istituto di studi monastici e dell’Istituto liturgico. Del primo, ufficialmente eretto il 21 marzo 1952, definì il programma, fu primo coordinatore e scelse i corsi e i docenti. Tra questi era dom Benedetto Calati, procuratore generale dei camaldolesi, con il quale stabilì un profondo rapporto intellettuale a partire dal comune interesse per lo studio dei padri della Chiesa. La sintonia avvertita con lo spirito camaldolese gli fece maturare la scelta, nel 1975, di ritirarsi nel monastero aretino della congregazione. Al progetto del Pontificio Istituto liturgico lavorò invece tra il 1959 e il 1960, insieme ai confratelli Salvatore Marsili (del monastero di Finalpia) e Adrien Nocent (del monastero di Maredsous) e con l’appoggio dell’abate primate della congregazione benedettina Benno Gut. Il nuovo Istituto fu inaugurato il 9 dicembre 1961, ma la sua approvazione formale da parte del dicastero romano competente giunse solo il 17 giugno 1967. Il 23 agosto 1978 la congregazione per l’Educazione cattolica lo innalzò al grado di facoltà (con la possibilità di concedere i gradi accademici di licenza e dottorato in liturgia). Vagaggini aveva rinunciato a presiederlo, ma durante la cerimonia di inaugurazione tenne una prolusione intitolata Liturgia e pensiero teologico presente nella quale sottolineò come la liturgia, grazie anche alla valorizzazione che il movimento liturgico aveva fatto dei suoi significati, fosse divenuta una delle fonti più importanti della riflessione teologica più recente.
Aveva più ampiamente illustrato e dimostrato questa tesi nel volume Il senso teologico della liturgia che, pubblicato nel 1957, fu tradotto due anni dopo in inglese, spagnolo e tedesco ed ebbe tre edizioni successive di cui la quarta (1965) notevolmente rivista.
Si trattava di un tentativo pionieristico di elaborare una teologia della liturgia in stretta relazione con la spiritualità e la pastorale ed ebbe un ruolo importante negli sviluppi del movimento liturgico. Vagaggini vi sottolineava il fondamento teologico della liturgia, allontanandosi dalle definizioni di tipo giuridico-rubricistico datene dalla tradizione degli ultimi secoli. Nell’introduzione alla quarta edizione del volume, affermò che la costituzione liturgica del Concilio Vaticano II ne aveva recepito le tesi di fondo sul modo di concepire la natura e la funzione della liturgia nella Chiesa. L’opera, indicata come la maggiore di Vagaggini, richiamò su di lui l’attenzione del movimento liturgico, dal quale era rimasto sino ad allora defilato.
Dalla fine degli anni Cinquanta si impegnò nella promozione di convegni di spiritualità monastica, rivolti soprattutto ai benedettini italiani, con lo scopo di dare basi più solide alla loro formazione e alla loro vita spirituale. Nel 1959 se ne svolsero due, entrambi nel monastero camaldolese di S. Gregorio al Celio. Nel primo, tenutosi dal 2 al 3 gennaio 1959, sostenne che la nuova teologia, radicata in uno studio della Bibbia e dei padri operato con il metodo storico-critico, non era in contraddizione con una spiritualità monastica che si alimentasse alle stesse fonti. Nel secondo, svoltosi dal 10 al 12 ottobre, tenne una relazione di chiusura nella quale evidenziò come gli sviluppi del movimento liturgico avessero fatto maturare nuove tendenze nell’ambito della spiritualità liturgica. I testi di questi due convegni furono pubblicati nel volume Problemi e orientamenti di spiritualità monastica, biblica e liturgica (Roma 1961), mentre quelli dei convegni successivi furono raccolti in La preghiera nella Bibbia e nella tradizione patristica e monastica (Roma 1964) e in Bibbia e Spiritualità (Roma 1967).
Negli anni Sessanta Vagaggini diede un contributo significativo alla redazione della costituzione del Concilio Vaticano II sulla liturgia, Sacrosanctum concilium, in qualità di perito della commissione liturgica preparatoria, istituita da Giovanni XXIII il 5 giugno 1960, e della corrispondente commissione conciliare. Il suo ruolo fu particolarmente importante nella prima, sotto diversi aspetti. Non solo, infatti, fu segretario della prima sottocommissione (De Mysterio sacrae Liturgiae eiusque relatione ad vitam Ecclesiae) e consultore della quinta (De sacramentis et sacramentalibus) e della decima (De liturgia aptatione ad traditionem et ingenium populorum), ma svolse un ruolo di mediazione tra la commissione e la Curia romana, soprattutto in relazione alla questione della lingua della liturgia. Inoltre, su richiesta del segretario della commissione, Annibale Bugnini, elaborò una prima redazione organica del proemio e del primo capitolo dello schema liturgico, relativi ai fondamenti teologici e ai principi generali della liturgia.
Il testo fu criticato dal francese Aimé George Martimort per la maggiore importanza assegnata quale fondamento della liturgia al mistero dell’incarnazione rispetto al mistero pasquale. Il liturgista francese preparò dunque uno schema alternativo, discusso insieme a quello di Vagaggini in una riunione ad hoc della prima sottocommissione riunita alla Domus Mariae dall’11 al 13 ottobre 1961. L’accordo faticosamente raggiunto fu tradotto in un nuovo testo che, con poche variazioni, rimase nella versione definitiva (redatta dalla commissione liturgica conciliare) della costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (4 dicembre 1963).
Vagaggini fu anche consultore del Consilium ad exequendam constitutionem de Sacra Liturgia, istituito da Paolo VI il 22 febbraio 1964 per l’applicazione della riforma liturgica. All’interno di questo organismo fece parte di diverse commissioni: il Coetus X, sulla revisione dell’ordinario della messa, nel quale lavorò in particolare nelle sottocommissioni per la III e la IV preghiera eucaristica; il Coetus XI per la riorganizzazione delle letture della messa; il Coetus XIII sulla reintroduzione delle preghiere dei fedeli; il Coetus XVI, sulla definizione dei riti della concelebrazione e della comunione sotto le due specie. Il suo impegno maggiore nell’ambito dei lavori del Consilium riguardò il testo delle nuove preghiere eucaristiche, sul quale lavorò nell’estate del 1966 nell’abbazia di Mont César. La sua proposta e le motivazioni che la sostenevano furono pubblicate nel volumetto Il canone della messa e la riforma liturgica (Torino 1966), discusso all’interno del Coetus X.
Dopo la formulazione del nuovo Ordo Missae, lo difese dalle critiche di quanti rifiutavano la sua sostituzione al messale detto ‛di Pio V’. Collaborò inoltre alla redazione di documenti che in diverso modo riguardarono la riforma liturgica: le istruzioni della congregazione dei Riti Inter Oecumenici (1964), Eucharisticum mysterium (1967) e De musica in Sacra Liturgia; l’istruzione per la formazione liturgica nei seminari In ecclesiasticam futurorum sacerdotum (1979); il motuproprio sull’età della cresima (1967).
Negli anni in cui lavorò più intensamente alla riforma della liturgia Vagaggini risiedette prima a Bologna, presso il Centro di documentazione (1963-67), poi a Milano. Qui dal 1967 al 1971 insegnò teologia dogmatica nella facoltà teologica interregionale dell’Italia settentrionale, alla cui fondazione aveva collaborato insieme a monsignor Carlo Colombo.
L’idea di una facoltà teologica interregionale risaliva a Paolo VI, che da arcivescovo di Milano aveva pensato di trasferire nella sua diocesi quella di Venegono. Vagaggini preparò una prima bozza degli statuti e il 7 marzo 1968, giorno dell’inaugurazione, tenne la prolusione accademica di apertura intitolata Interpretazione della Rivelazione ed esperienza cristiana. Il 23 marzo 1970 fu nominato vicepreside e membro del consiglio direttivo della stessa facoltà, di cui era preside Colombo. Si delineò tuttavia una tensione con quest’ultimo che portò all’esclusione di Vagaggini dai ruoli direttivi dell’istituzione. Il 5 aprile 1971, giorno della convocazione del consiglio accademico, Colombo dichiarò decadute le cariche elettive e i consigli elettivi, che erano tutti annuali. Vagaggini protestò contro questa procedura, invitando i colleghi a interrompere la discussione e a rivolgersi alla commissione episcopale. Su sollecitazione dello stesso benedettino, quest’ultima si riunì a Milano il 21 maggio successivo ma, venendone eletto presidente lo stesso Colombo, non poté assumere decisioni contrarie all’operato di quest’ultimo.
Nel 1971 tornò a Roma, dove riprese l’insegnamento nella facoltà di teologia del Pontificio ateneo di S. Anselmo. Qui tenne i corsi Quaestiones methodologicae, De pluralismo in theologia e Theologia sacramentaria fundamentalis e concorse alla fondazione della specializzazione dogmatico-sacramentaria, attivata nell’anno accademico 1972-73, di cui fu primo coordinatore.
Tale specializzazione rifletteva la prospettiva di Vagaggini tesa a collocare la liturgia all’interno della teologia. Egli riteneva anche che S. Anselmo potesse svolgere un ruolo di formazione culturale più vasto, non circoscritto ai monaci che avesssero concluso gli studi teologici nelle facoltà più vicine ai monasteri. Queste posizioni, all’epoca non scontate, gli procurarono le critiche di Marsili (con il quale pure aveva istituito il Pontificio Istituto liturgico).
Negli anni Settanta oltre all’insegnamento romano riprese anche gli studi più strettamente dogmatici, pubblicandone gli esiti nelle tre voci Pluralismo teologico, Storia della salvezza eTeologia del Nuovo dizionario di teologia (a cura di G. Barbaglio - S. Dianich, Roma 1977, pp. 1597-1711).
L’ultima, in particolare, è ritenuta la sintesi più matura della sua riflessione metodologica. Vagaggini cercava di definirvi la natura e il metodo della teologia sistematica sotto il profilo formale e strutturale, individuando tre principali modelli storici di teologia cattolica: gnostico-sapienziale (della tradizione biblico-patristica e altomedievale), metafisico (aristotelico-scolastico medievale) e apologetico-storico (quello postridentino, che definisce «positivo-scolastico»). A quest’ultimo, in particolare, attribuiva l’assunzione di alcuni aspetti metodologici della cultura moderna: come l’uso delle scienze sperimentali e della critica filologica e storica al servizio di una conoscenza di tipo induttivo.
Per Vagaggini questo nuovo approccio conoscitivo era caduto nell’eccesso opposto della negazione dell’ontologico, dell’‘in sé’, dell’oggettivo e universale, della trascendenza: «Così la cultura moderna si è rinchiusa nell’immanentismo (individuale o sociale storico che sia), nell’empirismo, nel soggettivismo, nel relativismo, nel funzionalismo e, da ultimo, per ora, nel prassologismo, anzitutto sociopolitico. Ai quali “ismi” la recente ermeneutica presta lo strumento adatto per “interpretare” o ridurre tutta la realtà al punto di vista che è stato ogni volta prescelto. È tutto il dramma della cultura moderna nel suo insieme» (ibid., p. 1628).
Nella sua analisi, la teologia cattolica aveva assunto tale approccio nel quadro di una più generale reazione difensiva verso i suoi detrattori, che l’aveva spinta ad abbandonare la speculazione e a ricercare la prova apologetica storico-positivistica della «tesi» dalle fonti (Scrittura e Tradizione). Nel postconcilio si sarebbe invece configurato un nuovo modello di teologia caratterizzato dal tentativo di assimilazione, in tutto quanto concerneva le materie della fede, dell’ideale scientifico razionale e positivo: dal metodo storico-critico a quello fenomenologico e strutturalista della filosofia del linguaggio, ai dati utili delle scienze empiriologiche antropologiche.
Rettore di S. Anselmo dal 1974 al 1978, in questa veste Vagaggini promosse numerosi convegni di studio e incontri ecumenici. Fu anche membro della commissione teologica internazionale, facente capo alla congregazione per la Dottrina della fede (1969-80) e consultore della congregazione per l’Educazione cattolica e i seminari (1974-79).
Nel 1978 entrò nella comunità monastica di Camaldoli, ritirandosi a vivere nella villa La Mausolea, dove condusse una vita di studio e preghiera. Cominciò a scrivere un’ultima opera, rimasta incompiuta, concepita come una grande sintesi teologica, intitolata La teologia come sapienza. Nel 1991, per problemi di salute si trasferì dalla Mausolea al monastero di Camaldoli, dove morì il 18 gennaio 1999.
Fonti e Bibl.: Lex orandi, lex credendi. Miscellanea in onore di P. C. V., a cura di G.J. Békés - G. Farnedi, Roma 1980; A.M. Triacca, In memoriam, in Ephemerides liturgicae, CXIII (1999), pp. 449-465; A. Grillo, «Il legittimo e tormentoso assillo del pensiero moderno». C. V. tra (e oltre) la teologia monastica e la teologia scolastica, in Rivista liturgica, LXXXVII (2000), pp. 505-512; C. Profiro da Silva, Il pensiero teologico-liturgico di don C. V., osb.cam (1909-1999), con appendice bibliografica, ibid., LXXXVIII (2001), pp. 246-261; C. V. L’«intelligenza» della liturgia, numero monografico della Rivista liturgica, XCVI (2009); Teologia «in un regime di simboli». Scritti in onore di C. V. (1909-1999), a cura di M. Ferrari - G. Remondi, Camaldoli 2011; E. Massimi, Teologia e modernità in C. V. Percorso tra scritti editi e inediti, Roma 2013 (con ampia bibliografia delle opere di Vagaggini alle pp. 301-315).