Circostanze del reato. La recidiva nella recente giurisprudenza di legittimita
A sei anni di distanza dalla riforma del 2005 la recidiva è un istituto al centro dell’attenzione giurisprudenziale, come testimoniano le pronunce delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – ben tre – depositate nell’ultimo anno. Muovendosi all’unisono con la giurisprudenza costituzionale, e spesso percorrendo strade aperte dalla Consulta, la Cassazione è intenta a restituire quanto più spazio possibile alla discrezionalità giudiziale, scardinando in vario modo o interpretando in senso restrittivo gli automatismi sanzionatori introdotti dalla legge «ex Cirielli» a danno del «tipo d’autore recidivo». Un’opera che, ad oggi, ha dato importanti frutti: l’adesione alla concezione della recidiva come circostanza aggravante e non già come mero status desumibile dal certificato penale; l’abbandono della concezione parziale (o bifasica) della facoltatività della recidiva; la delimitazione, in senso restrittivo, delle ipotesi di recidiva obbligatoria e delle relative conseguenze.
Sei anni dopo la riforma del 2005, ad opera della legge «ex Cirielli », la recidiva è un istituto al centro dell’attenzione giurisprudenziale, per la variegata messe di questioni poste da quella discussa e nota riforma1: questioni che, in buona parte, furono anticipate in dottrina dai primi commentatori2 e che, oggi, vengono al pettine nel «diritto vivente». Uno sguardo alla recente giurisprudenza della Corte di cassazione – pronunciatasi a Sezioni Unite in ben tre occasioni tra il 2010 e il 2011 (mentre scriviamo è atteso il deposito di una quarta pronuncia)3 – mostra quanto sia ampio lo spettro dei problemi, che spazia dalla natura giuridica al fondamento della recidiva, dalla delimitazione delle ipotesi di recidiva obbligatoria, introdotte dalla legge «ex Cirielli», ai numerosi effetti indiretti della recidiva, pure introdotti da quella riforma, con riflessi sul diritto sostanziale, processuale e penitenziario, che nel loro insieme delineano un vero e proprio regime giuridico differenziato per i recidivi, all’insegna del rigore punitivo. La recidiva è da sempre un istituto al quale la dottrina guarda con una certa diffidenza, considerandolo un residuo, nel sistema, della logica del diritto penale d’autore4. Da una parte, infatti, il trattamento penale di sfavore connesso alla recidiva non si giustifica per una maggiore gravità oggettiva del fatto e, dall’altra, la possibilità che la recidiva riguardi reati eterogenei e per di più commessi a notevole distanza di tempo rende quantomeno problematica una giustificazione in chiave di maggior colpevolezza, sub species di insensibilità per l’ammonimento derivante da una precedente condanna (che potrebbe essere, appunto, assai risalente e riguardare per di più un reato del tutto diverso). Il sospetto è, allora, che l’istituto sia in ultima analisi espressione dello stigma per i precedenti penali del reo e comporti l’attribuzione di uno status retto da giudizi presuntivi di pericolosità sociale di dubbio fondamento empirico. Un simile sospetto – e con esso la diffidenza della dottrina verso l’istituto – è vieppiù accresciuto con la riforma del 2005, che sull’onda di istanze securitarie ha perseguito un inasprimento del trattamento della recidiva, attuato attraverso una serie di automatismi sanzionatori fondati su presunzioni normative di carattere assoluto, con corrispondente compressione, quando non addirittura esclusione, degli spazi di discrezionalità giudiziale. Le linee essenziali della riforma mostrano il disegno e le intenzioni del legislatore: introduzione di ipotesi di recidiva obbligatoria (art. 99, co. 5, c.p.); previsione, con la sola eccezione della recidiva aggravata ex art. 99, co. 2, c.p., di misure fisse degli aumenti di pena per la recidiva; configurazione di una serie di conseguenze sanzionatorie ulteriori rispetto all’aumento di pena, particolarmente ampia in ipotesi di recidiva reiterata ex art. 99, co. 4, c.p., che comportano una disciplina di sfavore ad ampio raggio. I cd. effetti indiretti della recidiva ne inaspriscono infatti il trattamento, tra l’altro, vincolando i possibili esiti del giudizio di bilanciamento delle circostanze (art. 69, co. 4, c.p.), limitando la possibilità di applicare le attenuanti generiche (art. 62 bis, co. 2, c.p.), imponendo una misura minima dell’aumento di pena per il concorso formale e il reato continuato (art. 81, co. 4, c.p.), incidendo sul tempo necessario a prescrivere il reato (art. 161, co. 2, c.p.), precludendo l’accesso alla sospensione dell’esecuzione della pena detentiva ex art. 656, co. 5, c.p.p., finalizzata alla richiesta, dall’esterno, di una misura alternativa alla detenzione in carcere (art. 656, co. 9, lett. c, c.p.p.), vietando di concedere per più di una volta le misure alternative alla detenzione (art. 58 quater, co. 7 bis, ord. penit.), stabilendo, infine, requisiti più gravosi per l’ottenimento dei permessi premio (art. 30 quater ord. penit.). Una netta inversione di rotta, dunque, rispetto alla precedente riforma dell’istituto, risalente al 1974, allorché il legislatore, avendo di mira, all’opposto, un ammorbidimento del sistema sanzionatorio, rese la recidiva facoltativa nell’an e nel quantum – da obbligatoria che era nell’originaria previsione del codice Rocco – e la attirò nel giudizio di bilanciamento delle circostanze ex art. 69 c.p., ampliando così i margini della discrezionalità giudiziale, in vista dell’irrogazione di pene proporzionate e funzionali alla rieducazione del condannato. Nel 2005 la legge ex Cirielli ha invece mutato il volto e il ruolo dell’istituto, che ha concepito come il perno di un regime giuridico differenziato, in buona parte sottratto all’apprezzamento discrezionale del giudice proprio per garantire – in un clima di generale sfiducia della politica verso la magistratura – l’effettività del perseguito rigore sanzionatorio. Come si è messo in evidenza altrove (v. supra, La disciplina della recidiva nella prospettiva costituzionale), la recidiva, quasi indotta a desuetudine nell’esperienza giudiziaria successiva alla riforma del 1974, ha oggi acquisito un posto di assoluto rilievo nella prassi, generando un vasto movimento reattivo, in dottrina come in giurisprudenza, teso a restituire quanto più spazio possibile alla discrezionalità giudiziale. Ciò per evitare l’irrogazione di pene sproporzionate e l’attribuzione di uno status in grado di incidere negativamente e sine die sul futuro della persona, attraverso i più diversi effetti ‘indiretti’ della recidiva: un istituto che ha oggi assunto le vesti di un marchio che il giudice, sensibile al volto liberale del sistema penale, tende a imprimere con estrema cautela. Ne è testimonianza, per l’appunto, la più recente giurisprudenza della Corte di cassazione che, in armonia con l’orientamento della Corte costituzionale (v. supra, La recidiva nella prospettiva costituzionale) e dalla prevalente giurisprudenza di merito, tende sempre più a scardinare o comunque a limitare gli automatismi sanzionatori della recidiva riformata.
Nella prospettiva indicata, il primo passo da compiere – e che la Corte di cassazione, a Sezioni Unite, ha puntualmente compiuto – è rappresentato dal definitivo ripudio della concezione (formale) della recidiva come status desumibile dal certificato penale, e dalla «piena adesione»5, invece, alla concezione (sostanziale) della recidiva quale circostanza aggravante (soggettiva, perché inerente alla persona del colpevole: art. 70 c.p.)6.
2.1 Circostanza aggravante e non già mero status desumibile dal certificato penale
La giurisprudenza di legittimità esalta in tal modo la discrezionalità giudiziale, a discapito dell’automatismo sanzionatorio conseguente alla concezione ripudiata: la recidiva è infatti produttiva di effetti, per le Sezioni Unite, «unicamente se il giudice ne accerti i requisiti costitutivi e la dichiari, verificando non solo l’esistenza del presupposto formale, rappresentato dalla previa condanna (presupposto che, nel caso di recidiva obbligatoria, è necessario e sufficiente), ma anche, nel caso di recidiva facoltativa, del presupposto sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla più elevata capacità a delinquere del reo, da accertarsi discrezionalmente7. Secondo l’ormai consolidato orientamento della Cassazione, «non è conforme ai principi generali di un moderno diritto penale espressivo dei valori enunciati dalla Carta fondamentale una concezione della recidiva quale status soggettivo correlato al solo dato formale della ricaduta nel reato dopo una previa condanna passata in giudicato che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice, chiamato soltanto a verificare la correttezza della sua contestazione…La recidiva è, piuttosto, una circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto, che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale»8. L’inquadramento della recidiva tra le circostanze del reato, in passato re- vocato in dubbio da un orientamento contra legem (v. gli artt. 70 e 69, co. 4, c.p), che può dirsi oggi superato9, ne comporta peraltro l’assoggettamento alla relativa disciplina. La recidiva, proprio in quanto circostanza del reato, deve anzitutto essere obbligatoriamente contestata dal pubblico ministero, in ossequio al principio del contraddittorio10; contestazione che deve essere specifica, atteso che le diverse forme di recidiva comportano diverse conseguenze sanzionatorie. Il giudice non può, dunque, ravvisare una forma di recidiva diversa e più grave di quella contestata, pena la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, di cui all’art. 521 c.p.p.11. Le Sezioni Unite, nel 2011, hanno poi per altro verso riconosciuto che allorché la recidiva comporti un aumento di pena superiore a un terzo (si tratta delle ipotesi di recidiva aggravata e reiterata) costituisce una circostanza ad effetto speciale ai sensi dell’art. 63, co. 3, c.p. e, pertanto, ove concorra con altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, soggiace alla regola (art. 63, co. 4, c.p.) dell’applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave, con possibilità per il giudice di applicare un ulteriore aumento12. D’altra parte, la Cassazione aveva già coerentemente affermato che, allorché si presenta come circostanza ad effetto speciale, la recidiva rileva ai sensi dell’art. 157 c.p. ai fini della determinazione del termine di prescrizione del reato13. Con un’altra pronuncia del 2011 le Sezioni Unite hanno infine precisato che la qualificazione della recidiva come circostanza ad effetto speciale non toglie che essa sia irrilevante ai fini della determinazione della pena in relazione alla disciplina delle misure cautelari e pre-cautelari (arresto in flagranza e fermo), come espressamente stabilito dall’art. 278 c.p.p.14.
2.2 Abbandono della concezione parziale (o bifasica) della facoltatività della recidiva
Un momento certamente decisivo nella progressiva conquista, da parte della recente giurisprudenza di legittimità, di sempre più ampi spazi di discrezionalità giudiziale nelle trame della disciplina della recidiva riformata è senz’altro rappresentato da una sentenza depositata nell’ottobre del 2010 dalle Sezioni Unite15. Con tale sentenza le S.U. hanno tratto un lineare corollario del ripudio della concezione della recidiva come status (v. supra, 2.1): l’abbandono dell’orientamento, criticato dalla dottrina16, prevalente prima della riforma del 2005 e ribadito ancora da alcune pronunce di legittimità successive a quella riforma17, che concepisce la facoltatività della recidiva come parziale o bifasica, nel senso che riguarderebbe il solo aumento di pena, che il giudice potrebbe escludere, e non anche gli altri effetti penali connessi alla recidiva (i cd. effetti indiretti), che invece dovrebbero immancabilmente prodursi, per la mera – e formale – emersione dello status di recidivo dal certificato penale. La strada era già stata aperta dalla Corte costituzionale18: è irragionevole affermare il carattere facoltativo della recidiva (al di fuori delle ipotesi di recidiva obbligatoria previste dal quinto comma dell’art. 99 c.p.: v. infra, 2.3), e dunque la possibilità che la circostanza, ove non indicativa di maggiore colpevolezza o pericolosità, non abbia effetto sulla determinazione della pena e, al contempo, ammettere, anche in tale ipotesi, che la recidiva eserciti «una sostanziale funzione aggravatrice» producendo plurimi effetti penali, diversi dall’aumento di pena ma comunque incidenti sul trattamento sanzionatorio. Ne consegue che, per le Sezioni Unite, un’interpretazione conforme al principio di uguaglianza/ragionevolezza impone di affermare che, in ipotesi di recidiva facoltativa, gli effetti «indiretti» della recidiva si producono a condizione che il giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale, applichi (o dichiari) la recidiva, valutandola sintomo di maggiore colpevolezza o pericolosità; con la precisazione che la recidiva si considera applicata (o dichiarata) non solo quando comporta un aumento di pena, ma anche quando, partecipando al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., si limita a paralizzare l’effetto alleviatore di un’attenuante, ritenuta equivalente, ovvero, nei limiti in cui la legge lo consente (v. l’art. 69, co. 4, c.p.), risulti soccombente rispetto all’attenuante medesima19. In applicazione di un simile principio di diritto, la Cassazione ha tra l’altro affermato che la recidiva, che non sia stata dichiarata dal giudice, è ininfluente ai fini del computo del termine di prescrizione del reato20; non determina l’applicabilità delle disposizioni che prevedono: il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata21; una misura minima dell’aumento di pena per il concorso formale e il reato continuato22; la preclusione all’accesso al patteggiamento allargato23 o alla sospensione dell’esecuzione della pena ex art. 656 c.p.p.24; il divieto di una seconda concessione delle misure alternative alla detenzione25. Si tratta di automatismi sanzionatori fortemente ridimensionati dall’elaborazione giurisprudenziale, che li ha dunque rimessi alla scelta, discrezionale, di applicare o meno la recidiva.
2.3 Delimitazione in senso restrittivo delle ipotesi di recidiva obbligatoria e delle relative conseguenze
L’obiettivo del recupero di spazi di discrezionalità giudiziale, da parte della giurisprudenza, è stato peraltro perseguito non solo ampliando il margine di discrezionalità nelle ipotesi di recidiva facoltativa (supra, 2.2), ma anche riducendo il novero delle ipotesi di recidiva obbligatoria, da un lato, e, dall’altro lato, attribuendo al giudice, finanche in quelle ipotesi, la possibilità di sterilizzare l’aumento di pena in caso di concorso con altre circostanze del reato. Nella prima prospettiva viene in considerazione l’orientamento, avallato anche dalla Corte costituzionale (v. supra, La recidiva nella prospettiva costituzionale) e oggi pacifico, secondo cui l’unica ipotesi di recidiva obbligatoria è quella prevista dal quinto comma dell’art. 99 c.p., che riguarda i gravi delitti compresi nell’elenco di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p.26. Subito dopo la riforma del 2005 la formulazione lessicale dell’art. 99 aveva posto il dubbio di un ripristino del regime di obbligatorietà della recidiva, come preesistente alla riforma del 1974, in relazione alle ipotesi della recidiva pluriaggravata (co. 3) e reiterata (co. 4). A proposto di tali forme di recidiva, infatti, il novellato testo dell’art. 99 c.p. utilizza l’indicativo presente del verbo essere in relazione al previsto aumento di pena e non già, come in precedenza, la voce verbale «può» (presente nei primi due commi dell’art. 99, che indubbiamente delineano ipotesi – rispettivamente, semplice e aggravata – di recidiva facoltativa). Le Sezioni Unite, con la sentenza del 27.5.2010, n. 35738 hanno confermato l’orientamento della Cassazione secondo cui «nel testo dei commi terzo e quarto dell’art. 99 c.p. il verbo essere è utilizzato con evidente riferimento al quantum dell’aumento della sanzione discendente dal riconoscimento della recidiva ivi contemplata, ma non coinvolge l’an dell’aumento medesimo, che rimane affidato alla valutazione del giudice secondo la costruzione dell’ipotesi base di cui al primo comma»27. Nella seconda prospettiva, sopra accennata, va segnalato come la giurisprudenza abbia individuato ipotesi in cui al giudice è consentito non applicare l’aumento di pena per la recidiva obbligatoria (non anche, però, di «sterilizzare» gli effetti indiretti, che invece si producono immancabilmente). La prima ipotesi è quella del concorso tra la recidiva obbligatoria e una o più circostanze attenuanti: la Cassazione28 ha riconosciuto che la recidiva – non solo facoltativa, ma anche obbligatoria – partecipa al giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p., con il solo limite, qualora si tratti di recidiva reiterata obbligatoria, del divieto di prevalenza – ma non già di equivalenza – tra le attenuanti e la recidiva stessa (v. l’art. 69, co. 4, c.p.). È pertanto possibile che, all’esito del giudizio di bilanciamento, il giudice non applichi l’aumento di pena per la recidiva obbligatoria, considerata equivalente o soccombente rispetto a concorrenti circostanze attenuanti. Una seconda ipotesi è stata individuata dalle Sezioni Unite nel 2011. Come si è detto (supra, 2.1), le Sezioni Unite hanno affermato che allorché la recidiva comporti un aumento di pena superiore a un terzo (si tratta delle ipotesi di recidiva aggravata e reiterata) costituisce una circostanza ad effetto speciale ai sensi dell’art. 63, co. 3, c.p. e, pertanto, ove concorra con altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, soggiace alla regola (art. 63, co. 4, c.p.) dell’applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave, che il giudice può aumentare. Orbene, secondo le Sezioni Unite a questa regola non si sottrae la recidiva obbligatoria ex art. 99, co. 5, c.p.: l’obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva, osservano le Sezioni Unite, non comporta una deroga all’art. 63, co. 4 c.p., che il legislatore non ha previsto. Lo impone un’interpretazione conforme a Costituzione: quella deroga infatti – attribuendo alla recidiva obbligatoria uno statuto speciale per il caso di concorso con altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, che imporrebbe sempre e comunque di procedere al cumulo materiale – sarebbe contraria ai principi costituzionali di offensività, proporzionalità e ragionevolezza, oltre che alla funzione rieducativa della pena. L’affermata applicabilità dell’art. 63, co. 4, alla recidiva obbligatoria, a ben vedere, comporta una possibile deroga al regime di obbligatorietà dell’aumento di pena per tale forma di recidiva. È un corollario del principio di diritto affermato dalle S.U.: è infatti ben possibile (anche se non si è trattato del caso oggetto della sentenza delle Sezioni Unite del 24.2.2011, n. 20798) che circostanza più grave, ai sensi dell’art. 63, co. 4, sia la diversa circostanza ad effetto speciale concorrente con la recidiva ex art. 99, co. 5, c.p., che non troverebbe pertanto applicazione29.
Sei anni dopo la riforma della recidiva, attuata dalla legge ex Cirielli, il cammino intrapreso dalla giurisprudenza nella direzione della restituzione di quanti più spazi possibile alla discrezionalità giudiziale può dirsi pressoché compiuto. Si è dato conto di come sia oggi pacifico che la recidiva è una circostanza del reato normalmente facoltativa, con la sola eccezione dell’ipotesi prevista dal quinto comma dell’art. 99 c.p., e che la scelta di escludere la recidiva (facoltativa) comporta l’esclusione di tutte le relative conseguenze sanzionatorie (aumento della pena principale ed effetti «indiretti»). Si è anche detto, d’altra parte, che l’aumento di pena per la recidiva obbligatoria può essere escluso nell’ipotesi – più che verosimile – del concorso della recidiva con uno o più circostanze attenuanti, ovvero con una o più circostanze aggravanti ad effetto speciale più gravi di essa. Vi è peraltro ancora spazio, nelle maglie della complessa disciplina della recidiva e dei suoi effetti «indiretti», per ulteriori sviluppi del percorso intrapreso dalla giurisprudenza dopo la riforma del 2005. Ne segnaliamo di seguito due. Un primo possibile sviluppo riguarda la disciplina della recidiva reiterata. Secondo l’orientamento ancora oggi prevalente nella giurisprudenza di legittimità, la recidiva reiterata può essere riconosciuta anche quando non sia stata dichiarata in precedenza la recidiva semplice30. Si sostiene, in tal senso, che dalla lettura dell’art. 99, co. 4 c.p. «emerge evidente che il termine ‘recidivo’ è stato usato dal legislatore per comodità di esposizione, per non ripetere la definizione contenuta nel primo comma dello stesso articolo e non già per indicare una qualità del soggetto giudizialmente affermata»31. È una tesi da tempo criticata dalla dottrina, che ha osservato come sia irragionevole «che da una recidiva esclusa nella competente istanza possa, in un ulteriore episodio giudiziario, scaturire una contestazione di recidiva reiterata »32, e richiede, quale necessario presupposto della recidiva reiterata, una recidiva, semplice o aggravata, che sia stata giudizialmente dichiarata. A noi pare che la tesi dottrinale rappresenti, nell’attuale scenario della giurisprudenza di legittimità in tema di recidiva, uno sviluppo del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, nel 2010, con la sentenza del 27.5.2010, n. 35738. In quell’occasione, come si è detto (v. supra, 2.2), le Sezioni Unite hanno riconosciuto che, in ipotesi di recidiva facoltativa, gli effetti diversi dall’aumento di pena si producono a condizione che la recidiva sia stata dichiarata; e tra gli effetti della recidiva, a noi pare, va inquadrata anche la sua idoneità a rilevare come presupposto per la dichiarazione della recidiva reiterata. Un ulteriore possibile sviluppo del percorso intrapreso dalla giurisprudenza successiva alla riforma del 2005 riguarda, infine, la recidiva obbligatoria, che si è già visto altrove rappresentare il primo dei fronti aperti sul terreno della tenuta costituzionale della recidiva riformata (v. La recidiva nella prospettiva costituzionale, 3.)33. Si discute se, perché diventi operante il regime di operatività della recidiva ex art. 99, co. 5, c.p. debba rientrare nell’elenco dei gravi delitti di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p. il delitto oggetto della precedente condanna (c.d. delitto fondante), ovvero il nuovo delitto che comporta la recidiva (c.d. delitto espressivo) ovvero, ancora, indifferentemente l’uno o l’altro piuttosto che entrambi. È chiaro che, a seconda della soluzione prescelta, è più o meno ampio l’ambito di applicazione della recidiva obbligatoria e, con esso, lo spazio rimesso alla discrezionalità giudiziale. Nel 2011, con la sentenza del 24.2.2011, n. 20798, la Cassazione si è espressa, in un obiter dictum, nel senso che a dover essere incluso nel predetto catalogo è il nuovo delitto34; ed è questa, d’altra parte, la soluzione prevalente nella giurisprudenza delle sezioni semplici35, che sembra aver di recente ricevuto l’avallo della Corte costituzionale36. Va però segnalato che una tesi minoritaria – che riduce di molto l’ambito di applicazione della recidiva obbligatoria – aveva già in precedenza ricevuto l’avallo della Corte costituzionale (che sul punto, pertanto, non si è espressa univocamente) 37. Secondo questa diversa tesi, sostenuta in passato nella giurisprudenza di merito38, il regime di obbligatorietà della recidiva opererebbe allorché a rientrare nell’elenco di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p. sono tanto il delitto fondante quanto il delitto espressivo della recidiva. Se un domani (anche se oggi, a dire il vero, dopo la sentenza delle Sezioni Unite del 24.2.2011, n. 20798 appare poco probabile) la giurisprudenza dovesse mutare il proprio orientamento a favore di questa diversa tesi – in ipotesi a seguito di una risolutiva presa di posizione in suo favore da parte della Corte costituzionale – sarà compiuto l’ennesimo passo verso la riduzione degli automatismi sanzionatori introdotti dalla «ex Cirielli», e la restituzione al giudice di corrispondenti spazi di discrezionalità giudiziale, in vista dell’irrogazione di pene proporzionate e funzionali all’obiettivo della rieducazione del condannato.
1 Lo testimonia in modo tangibile il numero di massime – oltre 150 – pubblicate nel CED della Cassazione, da parte dell’Ufficio del Massimario, nei sei anni successivi alla riforma del 2005 (40 negli ultimi due anni).
2 Cfr., per tutti, Dolcini, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 516.
3 La sesta sezione della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: se sia configurabile la recidiva quando le pene relative alle precedenti condanne siano state dichiarate estinte per esito positivo dell’affidamento in prova al servizio sociale. Cfr. Cass., sez. VI, ord. 27.6.2011, n. 27150, in www.penalecontemporaneo.it. La questione è stata risolta in senso negativo dalle Sezioni Unite, all’udienza del 27.10.2011.
4 Cfr., per tutti, Dolcini, La recidiva riformata, cit., 516.
5 Cass., S.U., 24.2.2011, n. 20798, in www.penalecontemporaneo.it.
6 Cfr., a riguardo, Piffer, I nuovi vincoli alla discrezionalità giudiziale: la disciplina della recidiva, in www.penalecontemporaneo.it.
7 Cass., S.U., 24.2.2011, n. 20798, cit.; v. anche Cass., S.U., 27.5.2010, n. 35738, in Cass. pen., 2011, 2094 s.
8 Cass., S.U., 24.2.2011, n. 20798, cit.
9 Per i riferimenti v. Gatta, sub art. 99, in Dolcini-Marinucci (a cura di), Codice penale commentato, III ed., Milano, 2011, 1444.
10 Cfr. Cass., S.U., 27.5.2010, n. 35738, cit.
11 Cfr. Cass., sez. III, 20.1.2010, CED Cass. n. 246195.
12 Cass., S.U., 24.2.2011, n. 20798, cit.
13 V., da ultimo, Cass., sez. V, 7.6.2010, CED Cass. n. 248502.
14 Cfr. Cass., S.U., 24.2.2011, in www.penalecontemporaneo.it. Ai sensi dell’art. 278 c.p.p., richiamato quanto all’arresto in flagranza e al fermo dall’art. 379 c.p.p., al fine della determinazione della pena, per l’applicazione delle misure in discorso, mentre rilevano le circostanze ad effetto speciale non si tiene invece conto della recidiva.
15 Cass., S.U., 27.5.2010, n. 35738, cit.
16 V., per tutti, Pedrazzi, La nuova facoltatività della recidiva, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 303.
17 Cfr. Cass., sez. IV, 22.2.2008, CED Cass. n. 240209; Cass., sez. VI, 27.2.2007, CED Cass. n. 236426; Cass., sez. III, 20.5.1993, n. 6424, in Cass. pen., 1994, 3008.
18 Cfr., per prima, C. cost., n. 192/2007, in Giur. cost., 2007, 1842.
19 Cass., S.U., 27.5.2010, n. 35738, cit. V. anche, successivamente, Cass., sez. I, 18.1.2011, CED Cass. n. 249843.
20 V., da ultimo, Cass., sez. VI, 7.10.2010, CED Cass. n. 248714.
21 V. ad es. Cass., sez. IV, 12.2.2010, n. 20587, in DeJure.
22 V., ad es., Cass, sez. V, 24.1.2011, CED Cass. n. 249513.
23 Cass., S.U., 27.5.2010, n. 35738, cit.
24 Cass., sez. V, 26.4.2010, Musci, CED Cass. n. 247956.
25 Cass., sez. I, 15.10.2009, n. 42462, Pezzuto, in DeJure.
26 Le Sezioni Unite hanno in particolare riconosciuto che l’art. 99, co. 5, c.p. «affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa, disciplinate dai primi quattro commi, altrettante forme di recidiva obbligatoria» (non si limita perciò a contemplare, come pure è stato sostenuto, una forma di recidiva reiterata o aggravata obbligatoria). Cfr. Cass., S.U., 24.2.2011, n. 20798, cit. In dottrina v. già, in questo senso, Marinucci- Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ed., Milano, 2009, 506.
27 Cass., S.U., 27.5.2010, n. 35738, cit.
28 Cass., sez. I, 15.4.2008, CED Cass. n. 239620. V. anche Cass., sez. V, 30.1.2009, CED Cass. n. 243600.
29 A noi pare – le Sezioni Unite non lo precisano – che in tale ipotesi la recidiva, contestata e ritenuta dal giudice, produrrebbe comunque tutti gli effetti diversi e ulteriori rispetto all’aumento di pena (analogamente a quanto avviene, secondo quanto affermato dalle S.U. nella sentenza delle Sezioni Unite del 27.5.2010, n. 35738, allorché all’esito del giudizio di bilanciamento la recidiva risulti subvalente o equivalente rispetto a concorrenti attenuanti, nei limiti in cui ciò è consentito dall’art. 69 c.p.).
30 Cfr. Cass., II, 7.5.2010, CED Cass. n. 247089; Cass., sez. V, 25.9.2008, CED Cass. n. 241598.
31 Così Cass., sez. I, 6.5.2003, CED Cass. n. 225233, in Cass. pen., 2004, 2019.
32 Pedrazzi, La nuova facoltatività della recidiva, cit., 303.
33 La Corte di cassazione, per il momento, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 99, co. 5, c.p., sollevata per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost., per la maggiore severità della disciplina della recidiva reiterata nel caso di realizzazione di un delitto di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p., «stante la non irragionevolezza della previsione normativa, in quanto limitata a fattispecie specifiche, caratterizzate da notevole allarme sociale, e indicative del perdurare della capacità a delinquere del reo, secondo una scelta legislativa non in contrasto con i principi costituzionali, essendo finalizzata a sanzionare più severamente, sia pure comprimendo gli spazi di discrezionalità del giudice, chi abbia continuato a commettere reati nonostante l’irrogazione di precedenti condanne». Cfr. Cass., sez. II, 9.2.2011, CED Cass. n. 249458.
34 Cass., S.U., 24.2.2011, n. 20798, cit.
35 Cfr. Cass., sez. I, 23.9.2010, CED Cass. n. 248289; Cass., sez. I, 12.11.2009, CED Cass. n. 246254; Cass., sez. II, 11.6.2009, CED Cass. n. 244268; Cass., sez. II, 5.12.2007, CED Cass. n. 238520.
36 Cfr. C. cost., n. 183/2011, in www.penalecontemporaneo. it.
37 Cfr. C. cost., n. 171/2009, in Giur. cost., 2009, 1906.
38 Cfr. Trib. Milano, 24.11.2006, in Foro ambr., 2006, 406.