CIRCUITO ELETTRICO
. Considerazioni generali. - Dicesi circuito elettrico un sistema capace di trasferire opportunamente l'azione dei generatori elettrici a determinati componenti del sistema stesso. I c. e. possono essere considerati sistemi per la trasmissione di informazioni, ossia per la trasmissione di segnali occupanti un certo spettro di frequenze; il caso di pura trasmissione di energia è un caso limite di quello precedente, con spettro costituito da una sola riga. Gli elementi costituenti i c. possono distinguersi in attivi (generatori o generatori equivalenti) e passivi: i primi sono schematizzabili mediante generatori ideali di tensione o di corrente (fig. 1) associati eventualmente ad elementi passivi; i secondi mediante elementi passivi puri, caratterizzati ciascuno da uno dei parametri resistenza R, induttanza L, capacità C (fig. 2). Le induttanze possono essere eventualmente fra loro accoppiate per mezzo di mutue induttanze. Se la schematizzazione può avvenire con elementi puri finiti, i circuiti si dicono a costanti concentrate; se la schematizzazione avviene invece per mezzo di elementi infinitesimi distribuiti, i circuiti si dicono a costanti distribuite. Conseguentemente, nello studio dei sistemi a costanti concentrate compare come variabile indipendente soltanto il tempo, mentre in quello dei sistemi a costanti distribuite compaiono anche coordinate spaziali.
Un c. e. è, nel caso più generale, una rete costituita da lati fra loro connessi in punti chiamati nodi: pertanto nel circuito possono anche distinguersi delle maglie chiuse (fig. 3).
In gran parte dei casi pratici si è interessati, nei c. e., a conoscere un particolare effetto (tensione fra due determinati nodi, intensità di corrente in un certo lato) provocato da una causa assegnata (generatore): il circuito è allora evidentemente riconducibile a un doppio bipolo (fig. 4), in cui la causa è la grandezza d'entrata g(t) e l'effetto la grandezza d'uscita u(t).
A volte il doppio bipolo viene chiamato, meno correttamente, quadripolo: in realtà quest'ultimo è una rete con quattro morsetti cui si può accedere in qualsiasi modo, mentre il doppio bipolo è una rete con quattro morsetti distinti in due ben determinate coppie d'accesso.
La grandezza d'uscita è ottenibile in modo generale e con ben determinate procedure analitiche quando si abbia a che fare con circuiti costituiti da elementi lineari e normali, se s'intende come lineare un elemento caratterizzato da un parametro indipendente dalla tensione ad esso applicata e dalla corrente in esso fluente, e come normale (v. transitorî, fenomeni, App. I, p. 1060) un elemento caratterizzato da un parametro costante nel tempo. I c. pratici, che non soddisfano in modo rigoroso alle condizioni precedenti, potranno assumersi come lineari e normali se tali condizioni sono soddisfatte almeno nell'intervallo di variazione delle tensioni e delle correnti, effettivamente in gioco e nell'intervallo di tempo che è stato preso in esame. I problemi che s'incontrano nello studio dei c. vengono affrontati con due procedure fondamentali: la procedura d'analisi, che risolve il problema di determinare la grandezza d'uscita quando siano assegnate la grandezza d'entrata e la struttura del circuito; la procedura di sintesi, che risolve il problema di determinare una struttura di circuito tale da dare approssimativamente una grandezza d'uscita soddisfacente a determinate condizioni, quando siano assegnati la grandezza d'entrata ed eventualmente lo schema dell'utilizzatore (ove per utilizzatore s'intende il lato ai capi del quale si assume la tensione d'uscita o nel quale si assume che scorra la corrente d'uscita).
La procedura d'analisi, avendo a che fare con un problema ben determinato e ad unica soluzione, risulta più precisabile e più facile che non la procedura di sintesi, in cui, oltre ad aversi una molteplicità di soluzioni possibili, s'incontrano problemi di approssimazione che devono armonizzare i requisiti imposti alla grandezza d'uscita con le possibilità effettive dei c. fisicamente attuabili.
Salvo che non sia diversamente specificato, ci si riferirà nel seguito a circuiti lineari e normali.
Analisi. - Il comportamento elettrico di un circuito è completamente definito quando siano determinate le intensità delle correnti fluenti nei singoli lati (correnti di lato) e le tensioni localizzantisi ai capi dei singoli lati (tensioni di lato). Il sistema di equazioni che consente di determinare tali correnti e tensioni può scriversi esprimendo che in ciascuna maglia deve essere nulla la somma delle tensioni di lato (equazioni di equilibrio delle tensioni) e che deve essere nulla la somma delle correnti concorrenti in ciascun nodo (equazioni di equilibrio delle correnti).
Notando che, ad esempio, la tensione vr del lato r e le correnti del lato r e degli altri lati sono fra loro legate da relazioni del tipo (v. fig. 2 e v. anche XI, p. 485):
(se Mrh è la mutua induttanza fra il lato r ed il generico lato h e vor è la tensione impressa nel lato r), si deduce che il sistema risolutivo del circuito, cui s'è dianzi accennato, è, nel caso di circuiti lineari e normali, un sistema integro-differenziale a coefficienti costanti, di complessità e d'ordine tanto più grandi quanto più complesso è il circuito analizzato. Peraltro, quando tutte le tensioni e le correnti nel circuito siano del tipo:
la relazione integro-differenziale [1] si riduce alla relazione algebrica
Condizioni come quelle espresse dalla [2] si verificano quando sia applicato alla rete il solo generatore vor = Vorest e si considerino le sole correnti "forzate", che hanno appunto nel tempo lo stesso andamento della tensione (o corrente) impressa e sono le uniche presenti dopo un sufficiente intervallo di tempo dall'applicazione del generatore se le correnti di "transitorio" si smorzano rapidamente.
Nelle ipotesi precedenti il sistema risolutivo del c. diventa un sistema algebrico e il comportamento del c. stesso, interpretato come doppio bipolo secondo la fig. 4, risulta definito, per un circuito a costanti concentrate, da una relazione del tipo:
avendo posto u(t) = Uest, g(t) = Gest e avendo indicato con P(s) e Q(s) due polinomî a coefficienti reali nella variabile s. Alla funzione
che lega la grandezza d'uscita U alla grandezza d'entrata G si dà il nome di funzione di trasferimento del doppio bipolo considerato. Nel caso in cui il doppio bipolo sia costituito da un solo lato, come illustrato dalle figure 5 a e b, la Ft assume rispettivamente il significato di impedenza Zt e di ammettenza Yt del bipolo considerato; tra queste sussiste la relazione Zt = 1/yt.
La considerazione di grandezze elettriche del tipo g(t) = Gest viene generalmente estesa a valori complessi s = σ + jω della variabile s. Il caso particolare in cui s sia reale (e G pure reale) equivale a grandezze variabili nel tempo in modo esponenziale; nel caso in cui s sia complesso (e G, in generale, pure complesso G = ∣ G ∣ ejϕ) occorre sempre assumere che associato al termine Gest esista anche un termine G* es*t, con G* e s* coniugati di G e di s. La somma dei due termini è infatti 2 ∣G∣e σt cos (ωt+ϕ), e cioè una grandezza cosinusoidale con fase ϕ, la cui ampiezza varia esponenzialmente nel tempo, salvo nel caso σ = 0 che corrisponde al puro regime sinusoidale, assai familiare nello studio dei circuiti.
Nelle considerazioni precedenti si è implicitamente supposto che al circuito sia applicato un solo generatore; conviene ora precisare meglio questo concetto, affermando che l'ipotesi fatta si riferisce all'applicazione di un solo generatore esterno al circuito, intendendo come tale un generatore la cui corrente o tensione impressa sia indipendente dalle correnti o tensioni di lato del circuito in esame. Possono infatti sussistere, all'interno del c., generatori equivalenti (ad esempio, corrispondenti alla presenza di tubi elettronici o di transistori) aventi tensione o corrente impressa legate a tensioni o correnti di lato attraverso una relazione di proporzionalità o, più generalmente, attraverso relazioni simili alle [1] e [3]: questi generatori possono essere messi in conto nelle equazioni di equilibrio delle tensioni o delle correnti senza alterare formalmente le relazioni sopra riportate.
I c. lineari e normali godono di alcune importanti proprietà, fra cui quella della sovrapponibilità degli effetti: quando al c. siano applicati più generatori se ne può determinare l'effetto complessivo come somma degli effetti di ciascuno d'essi preso separatamente (supponendo di volta in volta tutti gli altri assenti).
Da questa proprietà si può trar partito, non solo nel caso effettivo in cui si abbiano più generatori esterni applicati, ma anche nel caso in cui il generatore sia unico e abbia una tensione (o corrente) impressa g(t) con andamento differente da quello Gest dianzi considerato. Una funzione g(t), infatti, quando soddisfi a certe limitazioni, piuttosto larghe, tra cui essenzialmente quella di non crescere troppo rapidamente per t→∞, può rappresentarsi come somma (eventualmente integrale) di componenti di tipo esponenziale, per mezzo delle trasformate di Fourier e di Laplace.
Di questi ultimi ci si limita qui a ricordare le definizioni:
a) Sviluppo in serie di Fourier, ottenibile per una funzione g(t) periodica con periodo T:
b) Sviluppo integrale di Fourier, ottenibile dalle espressioni precedenti per funzione g(t) aperiodica
c) Sviluppo integrale di Laplace:
Si osserva che mentre le trasformazioni di Fourier permettono di esprimere le funzioni del tempo g(t) come somma di componenti sinusoidali pure, e cioè si limitano a considerare il caso di valori puramente immaginarî della variabile s, la trasformazione di Laplace prende più generalmente in considerazione anche valori complessi della s e cioè esprime la funzione del tempo g(t) come somma di componenti sinusoidali con ampiezza variabile esponenzialmente nel tempo, questa maggiore generalità consente di estendere notevolmente i limiti entro i quali la funzione g(t) può essere trasformata. In realtà la trasformazione di Laplace sopra considerata, detta trasformazione unilatera, si riferisce soltanto a funzioni g(t) identicamente nulle per t〈0, ma questa restrizione non è essenziale in molti casi pratici.
Le funzioni (generalmente complesse) Cn (ωn), G (jω), G (s) sono chiamate densità spettrali o più sinteticamente spettri delle funzioni del tempo considerate; per ciascuna d'esse si può porre: Cn = ∣ Cn(ωn) ∣ ejϕ(ωn); G(jω) = ∣ G(jω) ∣ ejϕ(jω); G(s) = ∣ G(s) ∣ ejϕ(s), mettendo cioè in evidenza gli spettri d'ampiezza ∣ Cn(ωn) ∣, ∣ G(jω) ∣, ∣ G(s) ∣, e gli spettri di fase ϕn(ωn), ϕ(jω), ϕ(s).
La possibilità delle trasformazioni precedenti, unita alla sovrapponibilità degli effetti, consente di siruttare per le funzioni g(t) trasformabili le proprietà delle funzioni Gest, valutando l'effetto complessivo della grandezza impressa g(t) come somma degli effetti delle sue singole componenti elementari. È da notare che di ciascuna di queste si può considerare il solo effetto forzato, purché, ad esempio nella generalizzazione di Laplace, si scelgano componenti elementari il cui effetto forzato si decrementi nel tempo meno rapidamente dei transitorî proprî del circuito. In definitiva, per una rete lineare normale con funzione di trasferimento Ft(s), se g(t) e u(t) sono le grandezze d'entrata e d'uscita e se G(s) e U(s) sono le loro trasformate (spettri), si ha:
e in particolare, quando sia possibile la trasformata di Fourier:
L'ultima di queste relazioni giustifica la possibilità, assai frequentemente sfruttata sia teoricamente sia sperimentalmente, di analizzare i circuiti in regime sinusoidale. Anche la funzione Ft(jω) è in generale una funzione complessa che in termini del suo modulo e del suo argomento (angolo di fase) può scriversi:
Può a volte convenire di considerare, anziché l'effettiva funzione ∣ Ft(jω), il suo rapporto rispetto al massimo valore ∣ Ft ∣0 o assunto a frequenze reali:
a Ftr si dà il nome di funzione di trasferimento relativa e ad αr quello di attenuazione relativa (espressa in neper).
Se si riprende ora l'espressione di Ft in funzione della variabile complessa s,
si può scrivere, in base a note proprietà dei polinomî:
la quantità H essendo reale e avendo indicato con s1, s2........, sn le radici (generalmente complesse e, in tal caso, a due a due coniugate) del polinomio P(s) e con s1′, s2′....., sm′ le radici (generalmente complesse e, in tal caso, a coppie coniugate) del polinomio Q(s). Le radici di P(s), zeri di Ft, rappresentano quei valori si di s per i quali la rete è "insensibile" nel senso che non si ha alcuna uscita quando all'entrata sia applicata una grandezza g = Gesit. Le radici di Q(s), poli di Ft, rappresentano quei valori sj di s per i quali la rete ha "sensibilità infinita": essi caratterizzano quindi i modi di oscillazione libera della rete (o transitorî) che si presentano nella forma Uesjit. Posto: sj = σj + jωj, si osservi ora che tali transitorî si smorzano nel tempo (e quindi il circuito è stabile) se σj 〈 0, e cioè se i poli cadono nel semipiano sinistro del piano complesso in cui si rappresenta la variabile s, e che invece si esaltano nel tempo (e quindi il c. è instabile) se σj > 0 e cioè se i poli cadono nel semipiano destro.
Fisicamente la possibilità di transitorî esaltantisi è legata a un continuo apporto di energia all'interno del circuito e quindi alla presenza di generatori "interni" nel senso precedentemente definito. I c. senza generatori interni (c. passivi) non possono che presentare transitorî smorzati e pertanto le relative funzioni di trasferimento sono obbligatoriamente caratterizzate da poli nel semipiano sinistro delle s. Per i c. con generatori interni (c. attivi) occorre distinguere innanzi tutto il caso in cui la tensione (o corrente) impressa da qualsiasi generatore interno non possa influire sulla tensione o corrente di lato da cui dipende. Ciò corrisponde a rappresentare la rete come costituita da tante parti separate in cui le singole tensioni (o correnti) impresse sono indipendenti dalle tensioni e correnti di lato (fig. 6); per ciascuna di tali parti separate i generatori si comportano allora come esterni ed ancora una volta i transitorî devono essere smorzati. Quando invece la tensione (o corrente) impressa da un generatore interno possa influire sulla tensione o corrente di lato da cui dipende (e cioè si abbia una reazione come in fig. 7) il c. può essere effettivamente instabile e la ricerca delle sue condizioni di stabilità equivale alla ricerca delle condizioni per le quali i poli della funzione di trasferimento abbiano la parte reale negativa.
Al contrario dei poli, gli zeri di una funzione di trasferimento possono avere indifferentemente parte reale positiva o negativa (e cioè cadere in qualunque punto del piano delle s), salvo nel caso in cui la funzione di trasferimento si identifichi con l'impedenza di un bipolo poiché, in tal caso, gli zeri dell'impedenza sono anche i poli dell'ammettenza (e viceversa) e pertanto devono cadere anch'essi nel semipiano sinistro.
Secondo la rappresentazione [11], le caratteristiche a regime sinusoidale di una funzione di trasferimento (come anche di un'impedenza o ammettenza di un bipolo) possono essere studiate graficamente nel piano delle s, nel modo indicato nella fig. 8 a. Questa si riferisce a una funzione di trasferimento
i vettori indicati in figura rappresentano, per s = jω, i numeri complessi
s − si = ∣ s − s1 ∣ ejϑi. Per la Ft considerata si ha, in base alla [9]:
Dalla fig. 8 a si rileva che se lo zero s1 viene spostato nel semipiano di destra in posizione simmetrica alla precedente rispetto all'asse delle ordinate (fig. 8 b), il modulo della funzione di trasferimento e il suo andamento con ω restano inalterati.
Inversamente si può mostrare come, nella ricerca di una Ft corrispondente ad un modulo Ft assegnato, può solo sussistere ambiguità nella scelta della posizione di ciascuno zero reale o di ciascuna coppia di zeri complessi coniugati fra due posizioni simmetriche rispetto all'asse immaginario delle s.
Confrontando le figure 8 a e b, si osservi ora che, al crescere di ω, nella prima ϑ1 cresce come crescono ϑ1′ e ϑ2′, nella seconda invece ϑ1 decresce; in base allora all'espressione [13] dell'angolo di fase ψ si conclude che, variando ω da zero a infinito, la funzione di fig. 8 a presenta una variazione di fase minore di quella di fig. 8 b. Più in generale, fra tutte le funzioni di trasferimento aventi un modulo assegnato, quella con tutti gli zeri nel semipiano sinistro delle s presenta la minore possibile variazione di fase e perciò è detta a fase minima. Assegnato il modulo di una funzione di trasferimento (in funzione di ω), la funzione di trasferimento a fase minima ad esso corrispondente è univocamente determinata; similmente, assegnato il modulo di un'impedenza (o ammettenza) di un bipolo, i cui zeri come s'è detto debbono senz'altro cadere nel semipiano sinistro, l'impedenza (o ammettenza) è univocamente determinata. Quanto precede si suol esprimere dicendo che, per funzioni di trasferimento a fase minima (o impedenze o ammettenze di bipoli), assegnata la caratteristica di attenuazione relativa è univocamente determinata la caratteristica di fase e viceversa.
Si noti infine che la funzione di trasferimento di fig. 8 b può rappresentarsi come segue:
e cioè come il prodotto di due funzioni di trasferimento, fisicamente ottenibili ad esempio con lo schema di fig. 8 d. La prima di queste funzioni di trasferimento, Fta, è la funzione di trasferimento a fase minima corrispondente a quella assegnata (fig. 8 a); la seconda, Ftc, è la funzione di trasferimento di uno sfasatore puro, dato che il suo modulo resta costante al variare di ω (fig. 8 c).
Tipi di circuiti elementari maggiormente usati nella pratica. - Un c. può essere molto spesso scomposto in circuiti elementari, mutuamente indipendenti e aventi frequentemente scopi diversi. In particolare lo scopo può essere: a) di realizzare, almeno nell'intervallo di frequenze praticamente occupato dal segnale che si vuole trasmettere (banda del segnale), il massimo trasferimento possibile, in tensione od in corrente, fra un generatore avente un'assegnata impedenza interna e un utilizzatore assegnato; b) di ottenere nel trasferimento da un generatore a un utilizzatore una forte differenza di attenuazione relativa fra la banda passante (banda del segnale desiderato) e la banda attenuata (banda dei segnali indesiderati eventualmente presenti): i circuiti che adempiono a questa funzione si chiamano filtri; molto spesso si cerca di ottenere, con un filtro, anche il massimo trasferimento nella banda del segnale; c) di ottenere una determinata caratteristica d'ampiezza (o di attenuazione relativa) nella banda di frequenze del segnale, al fine di correggere andamenti indesiderati dell'attenuazione relativa presentati da altri circuiti (equalizzatori d'ampiezza); d) di ottenere una determinata caratteristica di fase nella banda di frequenze del segnale, al fine di correggere andamenti indesiderati della caratteristica di fase presentata da altri circuiti (equalizzatori di fase o sfasatori puri).
Per motivi di semplicità costruttiva e di facilità di progetto, i c. che adempiono agli scopi a) b) e c), per i quali i fondamentali requisiti imposti sono quelli sulla caratteristica d'ampiezza, vengono generalmente attuati con funzioni di trasferimento a fase minima; quando poi sia necessario, la caratteristica di fase ottenuta viene modificata successivamente, mediante l'introduzione di equalizzatori di fase.
Progetto dei filtri. - Poiché nell'attuazione dei filtri si cerca spesso di ottenere, come s'è detto, anche il massimo trasferimento possibile nella banda passante, si darà ora qualche cenno sulle caratteristiche dei filtri, ritenendo in essi considerate le più complesse fra le funzioni precedenti.
A seconda delle applicazioni i filtri vengono solitamente suddivisi nelle seguenti classi: passa-basso, passa-alto, passa-banda e arresta-banda; la fig. 9 mostra i moduli delle funzioni di trasferimento relative idealizzate delle anzidette classi di filtri.
Come si può facilmente rilevare, l'attenuazione relativa di un filtro è legata alla funzione di trasferimento Ftr dalla relazione:
dove D e B sono due polinomî in ω2. Gli zeri del polinomio D (ω2) rappresentano, se reali, le pulsazioni con attenuazione infinita; essi possono essere in numero tanto più grande quanto più elevato è il grado del polinomio D e cioè quanto più grande è la complessità del filtro. La [14] può anche essere scritta:
essendo E(ω2) = B (ω2) − D (ω2) un altro polinomio in ω2. Gli zeri di E(ω2) rappresentano, se reali, le pulsazioni con attenuazione relativa nulla: essi possono essere in numero tanto più grande quanto più elevato è il grado del polinomio E e cioè quanto più grande è la complessità del filtro.
Nell'attuazione dei filtri sono di particolare interesse due tipiche funzioni rappresentanti l'attenuazione relativa: quella di Čebyšev e quella di Butterworth. Nella prima (v. fig. 10 a) le pulsazioni di attenuazione nulla sono disposte in modo che i massimi di attenuazione nella banda passante abbiano tutti lo stesso valore e le pulsazioni di attenuazione infinita sono disposte in modo che i minimi di attenuazione nella banda attenuata abbiano tutti lo stesso valore. Nella seconda (v. fig. 10 b) le pulsazioni di attenuazione nulla vengono fatte tutte coincidere nel centro della banda passante e quelle di attenuazione infinita vengono fatte tutte coincidere nel centro della banda attenuata; in questo caso il filtro si dice anche progettato per la massima piattezza della curva di attenuazione nella banda passante, in quanto al centro di questa banda si annulla il massimo numero di derivate dell'attenuazione rispetto alla frequenza.
Nella progettazione dei filtri è conveniente distinguere varî casi:
a) filtri "semplici", per i quali è richiesta una moderata attenuazione relativa della banda attenuata rispetto alla banda passante od è concesso un ampio intervallo di transizione fra l'una e l'altra banda. In tal caso è abbastanza facile effettuare, in base alla conoscenza delle strutture filtranti più elementari, la scelta di qualche schema circuitale che si presume possa offrire le caratteristiche desiderate. Per tale schema si può allora determinare con le procedure d'analisi l'andamento dell'attenuazione relativa per diversi valori dei parametri, ed esaminare se tra le possibilità offerte dal circuito ne esista una soddisfacente. In caso affermativo l'analisi precedentemente effettuata fornisce più o meno direttamente i valori dei parametri del circuito.
b) filtri "complicati" ottenuti mediante combinazione in cascata di filtri semplici fra loro disaccoppiati. In tal caso si predispongono i circuiti in modo che la grandezza d'entrata per un particolare filtro sia proporzionale alla grandezza d'uscita del filtro precedente, senza peraltro che le caratteristiche di ciascun filtro elementare possano risentire della presenza degli altri filtri. Nella fig. 11 è riportato un esempio, in cui il disaccoppiamento fra i successivi filtri è ottenuto mediante tubi elettronici, di cui è rappresentato in figura il circuito equivalente. La funzione di trasferimento complessiva è proporzionale al prodotto delle funzioni di trasferimento singole; ossia l'attenuazione relativa totale è la somma delle attenuazioni parziali.
c) filtri "complicati" ottenuti mediante combinazione in cascata di filtri semplici fra loro accoppiati direttamente, in modo tale però che si conservi la proprietà che l'attenuazione (e la fase) complessiva sia la somma delle attenuazioni (e delle fasi) parziali. Questa condizione viene soddisfatta quando si faccia riferimento al comportamento del filtro elementare (e anche a quello del filtro complessivo) chiuso sulle sue impedenze immagine (fig. 12). La composizione in cascata di due filtri elementari, entrambi ancora soddisfacenti alle condizioni di chiusura sulle impedenze immagine, è illustrata in figura 13. Nel caso di filtri simmetrici (Zi1 = Zi2) l'impedenza immagine comune alle due coppie di morsetti viene anche detta impedenza caratteristica.
La teoria dei filtri in termini di impedenze immagine conduce a procedure di progetto abbastanza spedite ed è stata particolarmente sviluppata nel caso più comune di filtri costituiti da elementi puramente reattivi, caricati resistivamente all'una e all'altra coppia di morsetti (fig. 14). In questo caso l'attenuazione risulta identicamente nulla nella banda passante, cosa assai comoda ai fini del progetto, ma peraltro, per quanto detto a proposito della formula [15], impossibile ad ottenersi fisicamente: le impedenze immagine, infatti, non sono fisicamente realizzabili e ad esempio nella banda passante risultano delle resistenze pure variabili con la frequenza. All'impossibilità fisica di chiudere il filtro sulle impedenze immagine possono conseguire sensibili discostamenti, specie nella banda passante, fra l'attenuazione prevista dalla teoria e quella effettiva. Nel progetto dei filtri in termini di impedenze immagine vengono pertanto generalmente anche imposte condizioni di sufficiente costanzadelle impedenze stesse nella banda passante, cosicché siano più approssimativamente realizzabili con resistenze pure costanti. L'effettivo comportamento del filtro può essere calcolato mediante l'introduzione dei coefficienti di riflessione Γu e Γg, definiti nella fig. 15. Pur potendosi calcolare gli scostamenti tra l'effettivo comportamento del filtro e il comportamento ideale nel caso di chiusura sulle impedenze immagine, non sussiste, nella teoria sopra menzionata, altra possibilità per ridurre detti scostamenti che di ricercare filtri elementari con impedenze immagine sempre più costanti; ciò può condurre in pratica a notevoli complicazioni circuitali.
È infine ancora da tener presente che nei filtri della pratica gli elementi supposti puramente reattivi hanno inevitabilmente a sé associati anche parametri dissipativi (resistenze): l'effetto di questi ultimi sulle caratteristiche del filtro, pur potendosi valutare (con procedure su cui non ci si trattiene), non può essere corretto preventivamente in sede di progetto.
d) filtri "complicati", di cui non è possibile la scissione in filtri parziali semplici indipendenti. In questo caso il progetto viene effettuato con le moderne procedure di sintesi, nel modo seguente. Innanzitutto si trova, con calcoli di approssimazione basati sul criterio di Čebyšev o su quello di Butterworth, una funzione razionale in ω2 del tipo [14] che soddisfi ai requisiti voluti e che sia fisicamente realizzabile. Da questa si risale successivamente alla struttura circuitale che la realizza, mediante un procedimento piuttosto complicato, e ben definito soltanto per casi particolari. Le impedenze immagine non vengono affatto introdotte, ciò che significa, in linea di principio, che il filtro viene progettato tenendo conto a priori delle riflessioni alle giunzioni fra i filtri elementari, e delle riflessioni alle giunzioni con il generatore e con l'utilizzatore: da ciò consegue non solo che la caratteristica filtrante effettiva è aderente a quella calcolata, ma anche che, a parità di risultati, la procedura attuale conduce a circuiti più semplici rispetto al caso di progetto in termini di impedenze immagine. Anche la dissipazione degli elementi reattivi può essere tenuta in conto nel progetto.
Distorsioni nei circuiti. - Una funzione d'informazione g(t) non viene distorta nella trasmissione attraverso un circuito se la funzione d'uscita è del tipo:
e cioè rappresenta, a meno di una costante moltiplicativa A, una replica del segnale entrante, avente eventualmente rispetto a questo un ritardo costante τ. Utilizzando le trasformazioni di Fourier, si rileva facilmente che ciò equivale a richiedere, nel caso di circuiti lineari e normali, che la funzione di trasferimento sia del tipo:
e cioè abbia modulo costante e fase variabile in modo proporzionale alla frequenza. Le distorsioni che si presentano quando la funzione di trasferimento non sia come la [17], o per lo meno non sia in tal modo rappresentabile nell'intervallo di frequenze effettivamente occupato dal segnale d'ingresso, si dicono distorsioni spettrali e precisamente: distorsioni d'ampiezza quelle dovute alla non costanza del modulo di Ft; distorsioni di fase quelle dovute alla non proporzionalità alla frequenza della fase di Ft.
Oltre alle distorsioni spettrali, uniche presenti nei circuiti lineari e normali, un altro importante tipo di distorsione, la distorsione armonica, può verificarsi in circuiti con elementi non lineari: in presenza di tale tipo di distorsione lo spettro del segnale uscente può contenere nuove componenti rispetto allo spettro del segnale entrante.
Una distorsione, che può esser chiamata distorsione non normale, è poi quella che si presenta quando vi siano nei circuiti elementi che sono caratterizzati da parametri variabili nel tempo.
Infine un altro tipo possibile di distorsione è quello che è dovuto alla sovrapposizione al segnale trasmesso di segnali spurî non più con esso coerenti, come per i tipi di distorsione precedentemente considerati, ma incoerenti: segnali ai quali si dà genericamente il nome di rumore. Sorgenti di rumore sono inevitabilmente presenti in tutti i circuiti della pratica, sia a causa dell'agitazione termica degli elettroni nei conduttori (effetto Johnson), sia a causa della quantità finita di elettricità che risulta concentrata in ciascuno dei portatori di cariche presenti nei tubi elettronici e negli elementi a semiconduttori (effetto Schottky: v. termoionici, fenomeni, vol. XXXIII, p. 590).
Bibl.: H. W. Bode, Network analysis and feedback amplifier design, New York 1945; W. Cauer, Theorie der linearen Wechselstromschaltungen, Berlino 1954; E. A. Guillemin, Communication Networks, New York 1935; id., Introductory circuit theory, New York 1953; id., Synthesis of passive networks, New York 1957; M. Schwartz, Information transmission, modulation and noise, New York 1959; J. G. Truxal, Control system synthesis, New York 1955.