CIRENAICA (A. T., 113-114)
Il nome di Cirenaica, derivato dall'antica città di Cirene (v.), che ne rappresentò nel periodo della colonizzazione greca il centro principale, si applica a quella regione dell'Africa settentrionale, oggi compresa nella Libia Italiana, che si protende a guisa di penisola a O. del deserto libico, limitata a ponente dalla profonda insenatura della Gran Sirte. Alla fine del sec. IV a. C. i limiti della Cirenaica erano a E. Καταβαϑμός es-Sollùm (es-Sollūm) e a O. Αὐταμάλαξ (Ras Lanuf), e pochi anni prima, sotto Tolomeo I d'Egitto Eufrantas (Gasr Zaafran), che è a 280 km. a NO. della località detta el-Mugtàa, identificata con le are dei Fileni, il leggendario confine della Cirenaica con il territorio di Cartagine. Nel periodo arabo la regione ebbe anche il nome di paese di Barca dall'antica città di Barca o Barce (v.), rivale di Cirene, sotto gli Arabi risalita appunto a notevole importanza; e con il nome di altipiano o di penisola di Barca o del Barca si usa talvolta ancor oggi designarla. In seguito all'occupazione italiana la denominazione di Cirenaica nel senso amministrativo si estese a tutta quanta la sezione orientale della Libia, comprendendo perciò, non solo la Cirenaica propria, ma anche quella parte del deserto libico retrostante, con le oasi in esso racchiuse e con i territorî adiacenti della Marmarica a oriente e della Sirtica a occidente. I suoi confini, esattamente determinati a oriente mediante l'accordo italo-egiziano del 6 dicembre 1925, partono da Maaten er-Ramla a 12 km. a N. di es-Sollùm (es-Sollūm) e raggiungono, seguendo una linea alquanto tortuosa, ma con direzione costante da N. a S., il 25° meridiano a circa 29°20′ di lat. N., lasciando per 30 km. verso ponente Giarabub alla Cirenaica; seguono quindi il detto meridiano sino al 20° parallelo, oltre al quale gli accordi internazionali lasciano ancora indeterminata la delimitazione verso sud. A ponente il confine amministrativo della Cirenaica parte dalla costa sirtica nella località el-Mugtàa, presso il 19° meridiano, e prosegue indeterminato verso S. lasciando le oasi di Marada entro il confine della Cirenaica. Data questa incertezza nella determinazione dei limiti, incerta è naturalmente la valutazione dell'area, la quale, limitata alla Cirenaica propria, si ragguaglierebbe a circa 25.000 kmq., e a 188.000 kmq. sino al 20° parallelo; mentre, ove la si estenda a tutta la regione adiacente e retrostante, ascenderebbe a oltre 600 o 700.000 kmq. per gran parte costituiti peraltro da zone desertiche e non ancora tutte soggette al nostro effettivo dominio.
Eplorazioni. - La Cirenaica, per quanto nota e descritta sino dall'antichità classica, e nonostante i ricordi del suo glorioso passato, rimase nei tempi moderni affatto negletta. Ancora ai primi del sec. XIX può dirsi che le conoscenze che se ne avevano si riassumessero in quelle derivanti dalle testimonianze classiche. Dopo il viaggio di F. Hornemann, che nel suo itinerario da Siua a Murzuch (1798) ci fornì le prime moderne notizie sull'oasi di Augila, furono tre italiani che per primi visitarono e descrissero la Cirenaica: Agostino Cervelli, negli anni 1811-1812, il missionario P. Pacifico da Montecassiano che vi fu poco dopo, e specialmente Paolo Della Cella, che, come già il Cervelli, accompagnò nel 1817 una spedizione militare inviata in Cirenaica dal pascià di Tripoli. Più fruttifera dal punto di vista scientifico riuscì la spedizione dei fratelli F. W. e H. W. Beechey, che per conto dell'Ammiragliato britannico rilevarono nel 1821-22 le coste della regione e raccolsero sull'interno da essi visitato ampia messe di notizie, riccamente illustrandole. L'anno seguente il nizzardo J. R. Pacho e l'orientalista F. Müller perlustrarono la Cirenaica e la Marmarica e le retrostanti oasi di Marada e di Gialo, studiandone particolarmente gli aspetti naturali, le genti e gli avanzi dei monumenti e rilevandone carte e itinerarî. Preziose notizie sulla regione, specialmente dal punto di vista storico-archeologico, raccolse H. Barth nel suo memorabile itinerario costiero dal Marocco all'Egitto, da lui seguito negli anni 1845-47. Due ufficiali inglesi, R. Murdoch Smith e E. A. Porcher, eseguirono accurati rilevamenti di città e di antichi monumenti e corressero e arricchirono la cartografia della regione. Per quanto riguarda le oasi interne, sono da ricordare i viaggi di J. Hamilton da Siua ad Augila (1852-53); quello di M. Beurmann che recandosi da Bengasi a Murzuch per raggiungere il Uadai ove doveva trovare misera fine, visitò le oasi di Augila e Gialo; e sopra tutti quelli di G. Rohlfs, che, dopo avere visitato nel 1869 la Cirenaica e le oasi retrostanti, riusci dieci anni più tardi, primo europeo, a penetrare a Cufra. Dopo il 1880 la Cirenaica cominciò a interessare l'Italia, onde si ebbero i viaggi, promossi dalla milanese Società di esplorazioni commerciali in Africa, di M. Camperio, di G. Haimann, di G. Mamoli e più tardi quello con intenti politico-militari del maggiore Pedretti (1901), che illustrarono itinerarî attraverso la regione, mettendone in luce le condizioni attuali. Finalmente, prima dell'occupazione italiana merita una particolare menzione l'opera della Jewish Territorial Organisation, guidata dal geologo J. W. Gregory, che studiò la Cirenaica sotto l'aspetto geologico e idrologico in vista della possibilità di avviarvi una colonizzazione ebraica. L'occupazione italiana determinò, naturalmente, un nuovo e grande impulso allo studio della regione sotto ogni punto di vista. Limitandoci a quello più specialmente geografico e topografico, è da ricordare il regolare rilevamento alla scala di 1:50.000 eseguito dall'Istituto geografico militare, di tutta la zona costiera da Bengasi a Derna per una profondità di circa 40 km., e i regolari rilevamenti e le ricognizioni cui attende l'Ufficio studî del governo della Cirenaica per tutto il territorio della colonia, tanto della Cirenaica propria quanto della Marmarica, della Sirtica e delle oasi interne di Gialo e di Giarabub, nonché la larga messe d'informazioni, di determinazioni e osservazioni di ogni genere che l'Ufficio studî anzidetto raccoglie periodicamente nel suo Bollettino geografico. Finalmente per le oasi di Cufra, dove dopo il viaggio del Rohlfs nessun europeo aveva potuto più penetrare, sono da ricordare i viaggi che a scopo di studio vi compirono l'inglese Rosita Forbes accompagnata dal diplomatico egiziano Hasaneyn bey, nell'inverno 1920-1921; e quello che lo stesso Hasaneyn vi compi da solo nel 1923, eseguendovi determinazioni e studî d'interesse scientifico e pubblicandone un'ampia relazione. Di minore interesse dal punto di vista della scienza riusci l'ardita e memorabile traversata del francese Bruneau de Laborie dal Camerun al Cairo passando per il Uadai e Cufia, il cui itinerario per il tratto anzidetto fu il primo europeo a riconoscere. Finalmente nuove notizie sulla misteriosa oasi riferì il cap. dott. G. Brezzi, che a capo d'una missione sanitaria italiana si recava a Cufra nell'ottobre 1928 e vi rimaneva prigioniero sino al marzo 1929.
Geologia e morfologia. - La Cirenaica propria è costituita da un massiccio altipiano, il Gebel, elevantesi sino a 868 m. s. m., che fa passaggio a est all'altipiano marmarico, e che degrada dolcemente a sud nella deserta piana delle Balte, verso la serie delle oasi, segnante il limite settentrionale del deserto libico; successione di bacini chiusi che a partire dal lago Moghārah (Egitto) si estende fino a Melfa-Giarabub, con il massimo di depressione (−134 m.) a el-Gattara, proseguendo per terreni bassi, a sud dell'altipiano di Barca, fino alle bassure della costa della Gran Sirte. Sul litorale mediterraneo l'altipiano scende invece improvvisamente con erta e rocciosa scarpata. A est di Derna questa scarpata si eleva direttamente sul mare; anche a ovest arriva al mare, ma per poco, ché dipoi se ne allontana, dominando un'irregolare pianura litoranea (Sàhel), che poi si allarga, così da raggiungere l'ampiezza d'una ventina di chilometri in corrispondenza di Bengasi, per fondersi in seguito con il bassopiano sirtico.
Questa fronte del Gebel sul mare presenta due ripiani, o terrazze, ben riconoscibili: di Barce (el-Merg) a 300 m. in media, e di Cirene a 500 m. Esiste inoltre, di là dal litorale, una piattaforma sottomarina, alla sua volta terminata da una scarpata alla profondità di 100 a 125 m. Il primo ripiano ha il margine solcato da profonde vallate, presentandosi all'interno modellato in una serie di conche fra le quali la bassura di Barce. Solchi vallivi marginali e ampie spianate interne si ripetono sul secondo ripiano; e presso Slonta, in aree di maggiore elevazione, si hanno forse i relitti di un terzo gradino. L'incisione di queste valli dovette presumibilmente coincidere con un periodo di più abbondanti precipitazioni che non al presente. Altre basse terrazze si susseguono sulla pianura litoranea. Sull'altipiano di Barce le valli, generalmente morte, radiano seguendo l'inclinazione generale della superficie, e quelle dirette a sud raggiungono i bacini chiusi (Balte).
Una notevole particolarità morfologica, in rapporto alla scarpata, al corso dei uidian e alle terrazze più orientali che costituiscono la Marmarica, è la seghife (saqīfah) che nel dialetto locale indica qualsiasi area chiusa. Secondo l'ing. Crema la seghife sarebbe "un tratto di fondo vallivo occupato solo saltuariamente dalle acque e inferiormente limitato dal cono di deiezione di un corso d'acqua tributario venuto a sbarrare la valle principale per tutta la sua lunghezza, impedendo il normale deflusso delle acque".
Semplice nell'insieme è la plastica della Cirenaica, in relazione alla semplicità geognostica e alla sua storia geologica. Una potente pila ordinata di strati e banchi pressoché orizzontali, che ha subito almeno due sollevamenti (Cretacico superiore, Miocene medio), con interposta sommersione, sono i fattori che determinarono la struttura tabulare, tanto nell'altipiano quanto nella pianura costiera, salvo nei dintorni di Tocra, dove gli strati inclinano fortemente a mare. Mancano infatti prove di deformazioni e dislocazioni orogenetiche nel massiccio, e le scarpate non sembrano balze di frattura, bensì antiche ripe di abrasione marina. Gregory già ritenne che la struttura geologica del paese comprovasse l'esistenza di faglie parallele alla costa; ma il Marinelli e i geologi italiani escludono ogni fondamento stratigrafico a questa ipotesi. Ahlmann riconosce peraltro nella penisola di Barce un'anticlinale schiacciata, un domo leggermente convesso, il cui asse sarebbe pressoché parallelo alla costa mediterranea, e considera questa zona degli altipiani litorali quale diga terminale del blocco sahariano verso il Mediterraneo. Nella successione dei terreni dominano quelli calcari; rare sono le intercalazioni marnose e argillose.
La serie stratigrafica si può cronologicamente riassumere nel seguente prospetto, procedendo dai più recenti terreni ai più antichi.
Neozoico. - Dune mobili o consolidate con Helix (Derna, Marsa Susa [Apollonia], Tolmeta, ecc.). Panchina a Conus, Cerithium, ecc. (Bengasi). Terrazze di Benina e Tolmeta (60-100 m.).
Cenozoico. - Del Neogene, il Pliocene non risulta rappresentato. Al Miocene si riferiscono i calcari gialli con caratteristica e ricca fauna specialmente di molluschi, di Bengasi, el-Gubba, Tart, Gasr el-Mlèiz, Tobruch; i calcari marnosi, grigi a Briozoi di Cirene, es-Safsàf Gasr el-Harib, ecc.; i calcari ad Alveolina Bradyi di el-Abiàr; il calcare gialliccio granulare con Lepidocyclina elefantina di Birlibah. Del Paleogene, spettano all'Oligocene il calcare coralligeno di Derna, Ras el-Hilàl, Làbragh, Ras el-Migdum, ecc.; i calcari grossolani bruni e lumachelle gialle o brune con nummuliti ed echinidi di Slonta, Derna, Làbragh, ecc.; i calcari bianchi, teneri, grossolani con nullipore e piccole nummuliti ed echinidi di Derna, Ain Sciabat, Zavia el-Beda. Dell'Eocene è paleontologicamente dimostrata la presenza degli equivalenti dei piani parisiano e suessoniano, rappresentato il primo dalla lumachella grigia o bianca con molluschi di Derna e dai calcari candidi, teneri, nummulitici con echinidi e molluschi di Derna, Cirene, Tocra, e di Apollonia (breccia selciosa); il secondo dai calcari compatti, chiari e dai calcari selciferi con nummuliti di Derna e Apollonia.
Mesozoico. - Soltanto il Cretacico superiore affiora presso Tocra con calcari gialli, marnosi, a molluschi maestrichtiani; e su di esso si appoggiano i terreni cenozoici.
La recente missione all'oasi di Giarabub ha dato modo al Desio di estendere le conoscenze geologiche della Cirenaica orientale, in particolare sui dintorni di Porto Bardia, sul tavolato marmarico fra Porto Bardia e Giarabub, nei dintorni dell'oasi, sul sottosuolo dell'Erg libico. Non è possibile riassumere le particolareggiate, numerose osservazioni, corredate da abbondante documentazione paleontologica, senza uscire dai limiti del presente articolo. Così le notizie stratigrafiche e cronologiche sull'altipiano marmarico, sull'età della serie stratigrafica di Giarabub, anche nei rapporti geologici con la regione di Siua, quelle sulle formazioni continentali, sulla natura e origine dei sali, sul crostone dell'altipiano e del grande Erg libico, sul suolo del Serir dell'altipiano e del deserto libico, ecc., estendono e perfezionano lo studio della Cirenaica, senza peraltro modificare o contraddire il sintetico riassunto geologico, che veniamo esponendo.
A chiarimento e completamento dello schematico prospetto aggiungeremo che il suolo essenzialmente roccioso della Cirenaica, quando è pianeggiante o poco acclive, si trova spesso ricoperto da depositi varî di potenza, argillosi, rossastri, di origine eluviale, ai quali nelle bassure si aggiungono materiali di trasporto.
Allo sbocco dei uidían nella pianura costiera i calcari scompaiono sotto antiche conoidi alluvionali, spesso assai ampie ed estese talvolta fino al mare; in prossimità della costa essi sono nascosti invece sotto un mantello di arenarie postplioceniche, parzialmente ricoperte alla loro volta dalle dune marine, non di rado cementate in ragione della loro natura essenzialmente calcare. Fra le interruzioni della cortina di dune la più importante corrisponde alla foce del uadi el-Gattara, e dà luogo all'insenatura costituente la porzione naturale del porto di Bengasi. Rare e poco importanti le dune continentali, rossastre, dovute al ghibli. Dietro la cortina dunosa litoranea corre una successione di sebche.
Coste. - Lo sviluppo costiero della Cirenaica entro i limiti che abbiamo indicati si ragguaglia a 738 km. La prima sezione che va da el-Mugtàa a Ras Taiùnes, 20 km. a sud di Bengasi, e che limita ad est la Gran Sirte, è una costa bassa e uniforme e, salvo il primo tratto incurvato, procede con andamento quasi rettilineo, da sud a nord. El-Agheila o ez-Zuetina ne rappresentano i soli e meschini ancoraggi. Oltre Ras Taiùnes, la costa prosegue con direzione di nordest sino a Ras Aamer o Ras es-Sem a 32°57′ di lat. N., che segna il punto più settentrionale della Cirenaica. Anche questa costa è bassa e sabbiosa almeno fino a Tolmeta (21° long. E.) e assai uniforme, interrotta solo dalla piccola insenatura che forma il porto naturale di Bengasi. Nell'ultimo tratto invece, oltre Tolmeta, la prima scarpata dell'altipiano cade quasi a picco sul mare e la costa si presenta alta e talvolta dirupata. Un breve tratto di poco più di 40 km. si distende con andamento ovest-est da Ras Aamer a Ras el-Hilàl, che raggiungono un'eguale latitudine. Al punto medio si apre la piccola insenatura di Apollonia, la Marsa Susa degli Arabi, l'antico porto di Cirene. Da Ras el-Hilàl, a riparo del quale la costa flettendosi offre un buon ancoraggio per mediocri navi, sino a Ras et-Tin (100 km. in linea retta) l'andamento costiero torna a piegare verso SE., formando nel suo mezzo il porticciolo di Derna alle foci del uadi omonimo. Ras et-Tin si può considerare come l'estremo confine della Cirenaica propria. Oltre a questo capo si apre la costa marmarica, assai meno uniforme e interrotta da insenature profonde che formano buoni approdi portuali: tali il vasto Golfo di Bomba (v.), l'antico porto di Menelao, e più oltre quello più sicuro e profondo di Tobruch addentrantesi nella costa rocciosa per 4 km.
Clima. - Il clima è, nel complesso, quello proprio temperato caldo e scarsamente umido dei paesi mediterranei. Prima dell'occupazione italiana si ebbero regolari osservazioni meteorologiche, ma per un limitato periodo di tempo, per Bengasi soltanto. Oggi si posseggono i dati per varie stazioni, sia sulla costa sia nell'interno, che permettono di formarci un criterio sufficiente del clima della regione, almeno per la Cirenaica propria. Giova avvertire intanto che la sua peninsularità fa meglio risaltare l'azione marittima, laddove il rilievo interno determina condizioni diverse, a mano a mano che si procede verso sud. Possiamo quindi distinguere una zona litoranea dal clima marittimo, una zona adiacente steppica, una degli altipiani e una desertica.
Nella zona marittima sono comprese le due principali località costiere di Bengasi e di Derna, le cui medie termometriche poco differiscono. La media annuale, infatti, è di 20°,6 per Bengasi e di 20° per Derna: quella del mese più caldo rispettivamente di 26°,5 e di 25°,7; quella del mese più freddo di 13°,6 e di 14°,1; e così dicasi per le medie stagionali di 19°,2 e di 19°,3 per la primavera, di 25°,5 e di 26°,3 per l'estate, di 22°,9 e di 23°,5 per l'autunno, di 14°,4 e 15°,4 per l'inverno. Notevoli invece sono le differenze fra i valori estremi rappresentati dalle massime di 37°,2 per Bengasi e 44°,5 per Derna e dalle minime che sono rispettivamente di 8°,2 e 4°,5. La pioggia, soggetta a variazioni annue assai considerevoli, presenta una media annua di 276 mm. a Bengasi e la frequenza limitata a circa 50 giorni nel periodo invernale (novembre-gennaio); una media di 202 mm. a Derna, distribuiti in un periodo più prolungato (ottobre-febbraio). Oltre Derna e sull'adiacente costa marmarica si manifesta una rapida diminuzione della pioggia che si avverte anche a sud di Bengasi, sempre più accentuandosi, e solo accusando una lieve tendenza all'aumento nella più profonda concavità sirtica. I venti predominanti lungo la costa, determinati dall'avvicendarsi di aree di alta e di bassa pressione nel Mediterraneo, sono quelli del nord, tanto di NE. quanto di NO., che sogliono spirare nell'inverno apportando l'umidità. In primavera, specialmente, e in autunno spirano venti meridionali, dei quali quello di sud-est particolarmente noto in tutta la Libia col nome di ghibli. Le condizioni climatiche della zona dell'altipiano sono indicate dalle medie osservate a Cirene a 550 m. s. m., ove le temperature si mantengono di circa 4 gradi inferiori a quelle di Bengasi, ma le minime assolute discendono a 0° gelando l'acqua degli specchi lacustri, mentre la media delle piogge, che cadono nel più prolungato periodo ottobre-marzo, sale a 405 mm. (superando in qualche anno anche il metro) e il cielo si mantiene sempre coperto dalla fine dell'agosto alla primavera successiva. A Barce, che per la sua modesta altitudine (284 m.) ha una media temperatura di 18,5, assai più notevole che sulla costa si mostra l'escursione annua (11°,2) e la pioggia vi raggiunge i 403 mm. distribuiti in 67 giorni piovosi. Un clima di carattere più steppico con minori precipitazioni e maggiori escursioni annue presentano la zona intermedia fra la costa e l'altipiano e la regione predesertica a sud dell'altipiano medesimo, finché poi non si perviene alla zona assolutamente desertica per la quale difettano ancora osservazioni. Secondo le informazioni raccolte dal capitano medico Brezzi, a Cufra non sarebbe piovuto da ben 40 anni.
Acque continentali. - La scarsità delle precipitazioni, che costituisce il carattere climatico generale della regione, e la natura calcarea del rilievo, onde è notevole il manifestarsi del fenomeno carsico, rendono di assai scarsa importanza in Cirenaica la circolazione superficiale delle acque. Tranne il Uadi Derna, si può dire che non esistono nella regione veri e proprî fiumi a corso perenne; ma solo valli d'impluvio o uidiàn (widvān), talvolta ampie e profonde, talvolta invece appena riconoscibili sul terreno, ove si raccolgono e circolano le acque meteoriche. Queste solo per una parte della regione defluiscono al mare o in lagune costiere, mentre per una parte notevole si perdono in bacini chiusi o sono assorbite dalle sabbie e dalle fessurazioni delle rocce.
L'incompiutezza delle nostre conoscenze sulla topografia della regione a qualche distanza dalla costa rende difficile tracciare con sicurezza le linee di spartiacque. Secondo un tentativo fatto dal dott. A. Desio, lo spartiacque mediterraneo, per tutto il tratto che va da Bengasi al confine orientale, correrebbe assai prossimo alla costa con andamento press'a poco parallelo e non discostandosene oltre 40 km. A sud di Bengasi, invece, lo spartiacque si addentra sempre maggiormente sino a raggiungere con la testata del Uadi el-Faregh i 320 km. dalla Gran Sirte. Oltre a questa linea di displuvio stanno numerosi bacini interni isolati, di cui il più vasto è quello dei Saraulo es-Siruàl (circa 50.000 kmq.) che si apre a sud del Gebel Achdar nel quale rientrano le ricordate "balte". A oriente di esso s'estende il bacino chiuso della Marmarica, dai limiti incerti per la sua struttura topografica pianeggiante. Alcuni minori bacini chiusi di varia estensione si aprono entro la zona del versante mediterraneo; tra questi il più ampio è la conca di Barce (el-Merg) vasta 1100 kmq. Più nell'interno, oltre il limite del bacino dei Samul, si distende un'altra vastissima zona di bacini chiusi più o meno indipendenti, della quale fanno parte le depressioni occupate dalle oasi di Giarabub, di Gialo e di Marada. Di tutti i corsi temporanei che solcano la Cirenaica il più importante per lo sviluppo è il Uadi el-Faregh, che dalla regione interna presso il 22° meridiano con il il nome di Uadi el-Arad e quindi di Uadi el-Melah va, con uno sviluppo di oltre 300 km. e con direzione da est a ovest, a perdersi nella sebcha costiera di Mugtàa el-Chebrit proprio al confine occidentale della regione. Per tutta l'ampia distesa del Sàhel di oltre 280 km. sino a Bengasi scendono al piano perdendosi nelle sabbie costiere varî uidian di diversa importanza, che assumono differenti denominazioni nei vari tratti del loro percorso. Soltanto a Bengasi il Uadi el-Gattara, proveniente dal secondo ciglione presso el-Abiàr, riesce a portare in piena le sue acque al mare nel porto stesso di Bengasi, che appunto può ritenersi formato dalla sua foce. Oltre a Bengasi la linea di displuvio, sempre più prossima alla costa, lascia adito soltanto alla formazione di piccole valli scavate nei calcari, di pochi km. di corso, ma che nella stagione invernale appaiono ricche d'acqua, dando anche origine a cascate pittoresche quali appaiono dal mare. A Derna sbocca il già ricordato Uadi Derna, nel cui delta appunto sorge la città, irrigandone il folto palmeto con le acque filtranti sotto le sue sabbie. Anche il Uadi Derna non ha più di 60 km. di sviluppo; ma le sorgenti che lo alimentano permettono di mantenergli il carattere di fiume perenne. Nel Golfo di Bomba si gettano il Uadi el-Maallegh e il Uadi es-Scegga, che prende verso la foce il nome di Uadi et-Tmimi del cui corso poco sappiamo. L'altipiano della Marmarica costituisce, come si è detto, quasi tutto un bacino chiuso e di nessuna importanza sono i piccoli uidian che scendono al mare. Numerosissimi sono i corsi d'acqua temporanei che nel declivio meridionale solcano la stepposa regione di es-Siruàl e vanno a finire nelle Balte, stagni temporanei, pare di acqua dolce. Laghi veri e proprî la Cirenaica non ne possiede, ma in più luoghi si trovano delle lagune (sebche) o dei piccoli bacini formati dal ristagno delle acque meteoriche o dalle sorgenti. Di questi, il suolo della regione abbonda, come abbonda di pozzi a piccola profondità. In generale, data la natura del suolo calcareo e sabbioso, la circolazione sotterranea delle acque assume in Cirenaica, la quale presenta in più luoghi una ricca falda freatica, un'importanza assai considerevole riconosciuta dall'antichità. Particolarmente celebri sono la fonte di Apollo presso Cirene, l'Ain Sciahhàt degli Arabi, che dà 300 mc.. d'acqua dolce al giorno utilizzata con conduttura, e la grotta del Lete a 9 km. a est di Bengasi, il cui fondo a 30 metri dal livello del suolo è occupato da un laghetto d'acqua dolce.
Vegetazione. - Il territorio di Agedabia, continuazione della Sirte, costituisce una regione pianeggiante, poco elevata sul mare e, per la massima parte, rivestita da una formazione steppica dominata nella porzione settentrionale da Lygeum spartum e da Asphodelus microcarpus e più o meno compenetrata di alofite della sebcha; più a sud da Artemisia herba-alba, Thymus capitatus, ecc. La costa è segnata da un cordone di dune e all'interno di queste, da una sebcha con la caratteristica vegetazione alofila di Salsolacee (Salicornia, Suaeda, Arthrocnemum, Halocnemum), Plumbaginacee (Limoniastrum, Statice), nonché da altri generi appartenenti a famiglie diverse (Aeluropus, Juncus, Triglochin, Frankenia, Tamarix, ecc.).
Più varia è la pianura bengasina, nonostante l'apparente uniformità della sua fisionomia. Anche qui una catena di dune e di sebche forma il limite del distretto verso il mare; verso l'interno esso è costituito da un'estesa pianura dal terreno rosso ferruginoso, rivestito di una mescolanza, piuttosto incoerente, di specie erbacee xerofile, conviventi con le colture e spostantisi continuamente sul terreno occupato discontinuamente dalla coltivazione estensiva. Questa vegetazione, che è ancora essenzialmente steppica, assume poi aspetti particolari nei punti in cui un'accentuazione della salsedine (per es., da Soluch a Schleidima) ha determinato l'addensarsi delle consuete Salsolacee: o laddove l'affiorare di rocce calcaree esalta la xerofilia del substrato o infine nelle stazioni in cui questo stesso calcare presenta escavazioni di carattere carsico occupate da una florura abbastanza speciale e piuttosto densa di arbusti (Rhamnus) e di specie erbacee appartenenti a diverse famiglie (Arum, Biarum, Arisarum, Asparagus, Polygonum, Rumex, ecc.).
Il distretto più interessante, però, è senza dubbio il Gebel, il quale, oltre al notevole sviluppo ed all'elevazione non indifferente sul livello dei mare (700-800 metri), presenta la particolarità di essere profondamente solcato da numerosi uidian e costituisce così una grande varietà di stazioni. Le depressioni sono essenzialmente occupate da consorzî prativi di aspetto assai lussureggiante nella stagione primaverile (aprile-maggio) e con flora piuttosto ricca nella quale predominano Graminacee (Lolium, Avena, Bromus, Hordeum), Leguminose, Composite e Borraginacee. I fianchi dell'altipiano sono poi rivestiti da una formazione di boscaglia, oggi molto degradata specialmente verso la periferia della catena e intercalata sporadicamente di piante di Juniperus phoenicea, il quale formava un tempo l'essenza forestale più diffusa. Anche oggi, man mano che penetriamo nel Gebel, lo vediamo diventare più frequente e mescolarsi con Pistacia lentiscus, Arbutus unedo, Myrtus communis, Phyllirea media, Olea europea, Lonicera etrusca, Viburnum tinus, formando una caratteristica macchia mediterranea, nella quale non mancano neppure esemplari sparsi di pino (Pinus halepensis), di querce (Quercus ilex, Q. coccifera) né il carrubo (Ceratonia siliqua), la ginestra (Spartium iunceum) e in qualche punto l'alloro (Laurus nobilis fra Tocra e Tolmetta) o densi macchioni di cipresso (Cupressus horizontalis a Uadi el-Cuf). L'incetta di legna da ardere ha notevolmente degradato il rivestimento boscoso originario, il quale non si conserva ormai che nella porzione centrale della Cirenaica lontano dai centri abitati e dalle vie carovaniere, formando ancora in questi punti una vera foresta, interrotta soltanto dal verde gaio delle conche prative e dei tratti nei quali la lussureggiante vegetazione erbacea frammista di gruppi d'alberi assume la fisionomia d'una formazione a parco. Dove invece l'azione dell'uomo si è fatta sentire, vediamo la macchia diradarsi, trapassando alla boscaglia e infine alla gariga mediterranea o addirittura alla steppa sub-desertica. Anche le stazioni rocciose o ghiaiose asciutte possono presentare consorzî xerofili simili e in tal caso primitivi, costituiti da uniformi boscaglie di lentisco oppure di Poterium spinosum e Phlomis floccosa.
Di grande importanza per la nostra colonizzazione è la pianura di Merg, vasta depressione stendentesi per 30-35 kmq. sul primo gradino del Gebel e circondata da colline boscose, con una leggiera depressione verso ovest in corrispondenza della quale le acque si raccolgono d'inverno per formare un laghetto temporaneo (Gherib). Il terreno umido e fertile vi è rivestito di una ricca vegetazione erbacea composta di Ciperacee, Giuncacee, Alismacee, Ranuncolacee, Poligonacee, ecc. Depressioni simili sono del resto la pianura di Silina fra Merg ed el-Abiàr e quelle di Fetia e di Gubba presso Derna, aree accaparrate in minima parte dall'agricoltura indigena.
Il distretto della Marmarica finalmente è costituito da un altipiano uniforme, elevato circa 150 m. s. m., rivestito uniformemente di una sterminata steppa disalberata e formata, per lo più, da Salsolacee (Suaeda, Salicornia, Haloxylon). Unica eccezione all'aridità del distretto rappresentano le seghife, depressioni che fanno capo all'origine dei uidian, e nelle quali un maggior accumulo di terra e di materiali fertilizzanti consente che alla florula alicola della steppa si aggiungano alcune specie vegetali, importate dagli Arabi, i quali praticano in queste stazioni colture sporadiche. Anche nella regione della Defna, nella quale persistono tuttora tracce di opere romane di sistemazione agricola, la vegetazione presenta oggi un carattere uniformemente steppico.
Le specie di piante vascolari segnalate a tutt'oggi nella Cirenaica ammontano a 1053, appartenenti specialmente alle famiglie delle Composite, delle Graminacee, delle Leguminose, poi, con frequenza assai minore delle Crucifere, Cariofillacee, Labiate, Scrofulariacee e con importanza ancora minore, delle Cistacee, Geraniacee, ecc. Considerata nel suo insieme la flora della Cirenaica presenta un carattere mediterraneo, paragonabile a quello della Sicilia, di Creta e delle isole Egee. Sono però evidenti affinità caratteristiche con la parte orientale del bacino mediterraneo (Lonicera persica, Ifloga spicata, Scabiosa eremofila, Trigonella coerulescens, ecc.) piuttosto che con l'occidentale.
A. Engler, Die Pflanzenwelt Africas, I, Lipsia 1910; A. Mangini, Appunti sulla vegetazione della Cirenaica e sulla sua utilizzazione agraria, Firenze 1921; R. Pampanini, Prodromo della flora della Cirenaica, 1930.
Fauna. - La fauna è più spiccatamente mediterranea che non quella delle due provincie confinanti, l'Egitto e la Tripolitania; è priva di elementi africani, mentre possiede qualche specie dell'Egeo e della Siria. La più notevole fra queste è una lucertola dagli occhi privi di palpebre, Ophiops elegans Ménétr., diffusa nella maggior parte delle isole dell'Egeo, nella penisola Balcanica e nell'Asia occidentale, assente in Egitto e in Tripolitania.
La fauna epigea è scarsa, perché non resiste all'azione continua del vento; ne è prova la maggiore concentrazione di animali che si nota nelle poche località riparate, come nel Uadi Derna, lungo il corso del Ben Gadir, e in altri luoghi analoghi. È invece discretamente abbondante la fauna che vive alla superficie del suolo e del sottosuolo e ciò probabilmente per la relativa umidità derivante dalle piogge invernali e per l'abbondante rugiada mattutina.
La steppa, specialmente nei dintorni di Bengasi, è ricchissima di cavallette e di locuste, dannose alle colture; sotto ai sassi si rinvengono numerosi Coleotteri, specialmente Tenebrionidi; Isopodi Solifughi, scorpioni, scolopendre, chiocciole e Rettili, specialmente Acantodattili; fra le lucertole gli Agama mutabilis Merr., caratteristici di tutto il nord dell'Africa. È pure abbondante la vipera dai cornetti (Cerastes cornutus Forsk.), ed è presente anche la vipera dagli occhiali (Naia haie L.). Anche tra gli uccelli e i mammiferi prevalgono le specie della steppa desertica. L'avifauna stanziale è rappresentata specialmente da varie specie di allodole, dal fringuello algerino (Fringilla spodiogenys Bonap.), dalla civetta diurna (Athene glaux Sav.), dall'aquila del Bonelli (Hieraäetus fasciatus Vieill.), dal capovaccaio (Neophron percnopterus L.), dal colombo torraiolo (Columba livia Bonn.) che nidifica nei pozzi e nelle caverne, da Pterocli e da Pernici. I mammiferi più notevoli sono la volpe, lo sciacallo, qualche iena, la moffetta, la genetta, l'istrice, le lepri e i topi delle piramidi. Nei giardini della costa è comune il camaleonte.
La fauna della Cirenaica fino al momento dell'occupazione italiana è rimasta quasi sconosciuta. Dopo la grande guerra i contributi del missionario Vito Zanon, le escursioni del Ghigi, del Festa e le raccolte del Kruger e altri, hanno arricchito le nostre conoscenze su di essa, almeno per quanto riguarda alcuni gruppi. È notevole la quantità di specie nuove descritte e di razze locali, esclusive del Barce, il cui altipiano, forse fino alla sua emersione e tranne che nell'epoca pluviale, si è comportato come una grande isola mediterranea, aperta soltanto alle incursioni degli animali deserticoli, affluenti attraverso la Marmarica e la Sirtica. Il gatto selvatico (Felis libyca Cyrenarum Ghigi), la lepre dell'altipiano (Lepus barcaeus Ghigi) e quella della steppa desertica (Lepus Whitakeri Thomas) sono razze locali della Cirenaica. La pernice (Alectoris barbata Reich.) è pure una specie distintissima e localizzata all'altipiano, mentre le sue prossime parenti della Tripolitania e dell'Egitto hanno distribuzione vastissima. Farfalle, imenotteri, coleotteri ed altri insetti hanno dato un contingente veramente cospicuo di specie nuove. Basterà ricordare che il conte Turati ha descritto dal 1920 al 1927 ben 159 forme nuove di farfalle, esclusive della Cirenaica, dieci delle quali appartengono a generi nuovi. Altri animali caratteristici sono la Typhlocaris lethaea Parisi, gambero cavernicolo cieco e diafano che vive nelle acque della grotta del Lete; parecchi altri Crostacei Fillopodi della palude di Merg e delle acque stagnanti dei dintorni di Bengasi; l'unica limaccia della Cirenaica (Parmacella Festai Gambetta) comune a Cirene e a Derna. Le ricerche faunistiche, compiute metodicamente in Cirenaica, sono state fino ad ora limitate alla zona dell'altipiano costiero e all'oasi di Giarabub; la regione confinante col deserto è ancora da esplorare.
Antropologia. - Intorno ai gruppi umani della Cirenaica non si hanno, fino ad oggi, sufficienti notizie antropologiche. Gli el-Fuácher che vivono attendati alle falde del versante meridionale dell'altipiano cirenaico e gli ez-Zuéia nomadizzanti lungo la carovaniera che conduce alle oasi di Augila e di Cufra hanno statura superiore alla media, con frequenti alte stature, al di sopra di m. 1,75: il colore della pelle tende al rame, i capelli sono lisci, neri o castagni scuri, gli occhi castagni o neri, ma si notano anche individui con iride grigiastra e barba e capelli chiari. La dolicocefalia è poco pronunciata, con alcuni mesaticefali e pochi brachicefali, tutti a faccia lunga e stretta (leptoprosopi), naso spesso diritto, quasi mai aquilino, decisamente leptorini (A. Mei). Il solo gruppo che finora si considera come sicuramente berbero è quello degli abitanti dell'oasi di Augila, con colorito cutaneo molto chiaro, capelli lisci, neri o castagni scuri, occhi neri o castagni scuri, con qualche traccia di biondismo e di occhi azzurri, a statura alquanto inferiore alla media, superando pochi individui m. 1,65, corporatura tozza, arti inferiori corti, cranio sempre dolicocefalo e alto (ipsistenocefalo), faccia media tendente però verso forme alte e strette (lepto-mesoprosopia) di tipo grossolano e voluminosa rispetto alla fronte, labbra carnose, naso diritto a radice infossata. Gli abitanti della porzione occidentale dell'oasi di Gialo somigliano molto agli Augilensi, mentre nel resto dell'oasi dimostrano palesi incroci con Arabi e con Negri (Mei).
Un gruppo di 29 Ulàd el-Haràbi Gebàli cirenaici, misurati dallo Chantre in Egitto, ha dato statura alta (1,73), franca dolicocefalia (72,8) e mesorinia (76,6).
Per iniziativa dell'Ufficio studî del regio governo della Cirenaica è però in corso un'indagine antropometrica sugl'indigeni di quella colonia; qualche media è anzi già nota, riferentesi alle tribù el-Haràbi, eccettuata l'Àilet Fàid, e a due tribù el-Baraghìts (Puccioni 1929):
Secondo questi primi risultati le tribù costiere orientali (el-Abeidàt, el-Hasa) risultano a statura più alta, a minore sviluppo dell'arto inferiore, a braccia più lunghe, a testa meno alta delle tribù costiere occidentali (ed-Dorsa, el-Orfa); nelle tribù più interne (el-Bráasa, el-Abìd) si notano differenze con le tribù costiere, essendo le prime più basse di statura e con minore sviluppo dell'arto inferiore. I caratteri cranici e faciali (indice cefalico orizzontale, indice faciale, indice nasale) sembrano assai costanti nelle tribù studiate, che presentano cranio stretto e allungato (dolicocefalia), faccia lunga e stretta (dolicoprosopia), naso sottile e allungato (leptorinia). Le tribù el-Haràbi e le due tribù el-Baraghìts sembrano avere maggiori affinità con le tribù della Tripolitania orientale, anziché con ì Beduini d'Egitto, che presentano minore sviluppo in lunghezza delle braccia, maggiore dolicocefalia e minore leptorinia.
Etnologia. - L'enorme maggioranza della popolazione indigena è costituita dagli Arabo-Berberi e dagli Arabi. I primi sono discendenti dell'antichissima popolazione autoctona berbera, ormai da secoli linguisticamente arabizzati, e, secondo la tradizione storica, appartenenti al gruppo Lawātah dei Berberi Mādghīs (v. vol. VI, pag. 685). I secondi continuano due strati arabi diversi: quello dei conquistatori arabi del sec. VII, che presero dimora nei centri abitati di maggiore importanza, e quello delle tribù beduine penetrate nella Cirenaica verso la metà del sec. XI come parte degl'invasori Benī Hilāl (v.) e soprattutto dei Benī Sulaim (v.). Non è facile determinare con esattezza il rapporto numerico fra i due elementi arabo-berbero e arabo, tanto più che quest'ultimo ha senza dubbio avuto forte commistione di sangue berbero; le statistiche del De Agostini per il 1923 davano rispettivamente le cifre di 97.000 e 79.000
Gli altri elementi della popolazione locale indigena sono: gli Ebrei, circa 1400, linguisticamente arabizzati, costituenti piccoli gruppi a sé nelle maggiori località litoranee e discendenti in gran parte dai loro correligionarî stabilitisi in Cirenaica dall'Egitto nei primi tre secoli a. C. e da quelli che vi si aggiunsero dopo la fine dello stato ebraico (sec. I d. C.); i Negri sudanesi, in origine schiavi liberati, formanti piccoli nuclei sia fra le tribù sia accanto a popolazioni cittadine, e ammontanti, insieme con i mulatti, a circa 9000 persone; i Caloghli, circa 4300, linguisticamente arabizzati; infine i Cretesi, circa 700 e ormai di lingua araba, immigrati soprattutto dopo l'occupazione greca dell'isola di Creta (1897).
Gli Arabo-Berberi e gli Arabi vanno distinti innanzi tutto in appartenenti a popolazioni sedentarie cittadine e appartenenti a tribù. Le tribù si distinguono alla loro volta in tribù Saadi (Sa‛ādī) e Marabtìn (Marābṭīn): le prime presumono di discendere dall'eroina Sa‛dà dei Benī Sulaim e sono quindi stirpe dei beduini invasori del sec. XI; le seconde rappresentano la continuazione delle popolazioni berbere soggiogate, sicchè sono considerate a un tempo vassalle e protette delle singole tribù Saadi, benché questa diversità di grado si sia venuta molto attenuando dopo l'occupazione italiana. Del resto esistono anche grossi nuclei Marabtìn aggregati a frazioni di tribù Saadi o addirittura divenuti parte di queste. Dai Marabtìn suddetti, chiamati anche Marabtìn Sedgàn (ṣudqān "amici", vanno nettamente distinte le piccole tribù dei Marabtìn bl'l-bárakah "di benedizione" e in tutto circa 5000 persone, le quali corrispondono esattamente alle tribù marabuttiche dell'Algeria e del Marocco, ossia tribù le quali presumono di essere discendenti d'un santo (murābit), che per lo più la tradizione rappresenta come venuto in Cirenaica dal Marocco qualche secolo fa; esse godono perciò di particolare considerazione presso gli altri beduini.
Le tribù Saadi formano due grandi gruppi: 1. el-Baraghits (al-Barāghīth), che è il gruppo occidentale e comprende le quattro tribù el-Magarba (el-Maghārbah; soprattutto nella Sirtica), el-Auaghìr (al-‛Awāqīr), el-Orfa (el-'Orfah), el-Abìd (el-‛Abīd); 2. el-Harabi (el-Ḥarābi), che è l'orientale e comprende le cinque tribù el-Abeidàt (el-‛Abeidāt), el-Hasa (el-Ḥāsah), ed-Dorsa (ed-Dorsah), el-Bràasa (el-Brā‛ṣah), Āilet Fàid (‛Āilet Fāid). È da notare che nell'agosto 1930, per ragioni militari, tutte le tribù del Gebel furono obbligate a trasferirsi presso la costa a nord di Bengasi. Secondo i calcoli del De Agostini per il 1923, gli el-Baraghìts sarebbero 27.820 (inclusi i loro 14.940 Marabtìn), gli el-Harabi (el-Ḥarābi) 77.250 (inclusi i loro 17.350 Marabtìn); le tribù Marabtìn semilibere conterebbero 14.930 persone. Queste cifre sono ora (1930) da diminuire.
La lingua della popolazione indigena è l'araba, fatta eccezione per gli el-Auágila o abitanti dell'oasi di Augila (Awgilah), i quali conservano il loro dialetto berbero. I dialetti arabi dei musulmani della Cirenaica appartengono al gruppo dei dialetti arabi maghrebini, gruppo che dai confini occidentali della vallata del Nilo si estende sino all'Atlantico. Il dialetto arabo degli Ebrei probabilmente è analogo a quello degli Ebrei del resto dell'Africa del nord; ma mancano precise notizie al riguardo.
La religione degl'indigeni non ebrei è la musulmana sunnita (ortodossa); nel rituale e nel diritto è seguita la scuola o rito mālikita. Delle confraternite religiose musulmane la più diffusa è la senussita (senūsiyyah); esistono anche, ma con numero molto limitato di affiliati, le confraternite ‛Arūsiyyah, ‛Isāwiyyah, Madaniyyah, Qādiriyyah, Rifā‛iyyah; gli scarsi Tigiāniyyah dell'interno sono di provenienza straniera.
L'abitazione arabo-berbera in città è la tipica casa araba: a un piano, che apre sulla strada la sola porta e riceve la luce esclusivamente dal cortile centrale sterrato, sul quale s'aprono le stanze strette e lunghe, illuminate tutt'al più da una finestra che dà sul cortile; le stanze sono coperte da un soffitto di legno sul quale si stende uno strato di calce, coperto a sua volta da uno strato di terra. L'abitazione del pastore e dell'agricoltore, in campagna, è la tenda di lana di capra e di cammello tessuta a strisce di colore diverso: bianche e nere e bianche e marroni; è fissata con picchetti di legno e tenuta sollevata nel centro da due pali conficcati in terra; il suolo è nell'interno coperto di stuoie e di tappeti di lana a strisce bianche e nere o bianche e marroni con ornamenti rossi.
L'abbigliamento è quello comune a tutti i cosiddetti Arabi d'Africa della costa settentrionale africana. L'uomo della campagna veste la caratteristica camicia araba a larghe maniche: i notabili vi portano sopra una sottoveste, senza maniche, di seta a righe, con qualche ricamo: tutti si coprono poi col barracano (v.), che è di una pesante stoffa di lana greggia o della rozza tela indigena; la calzatura è costituita da grosse scarpe di cuoio giallo o rosso; portano sulla testa un berretto di colore bianco (ma‛arqah) coperto da una calotta di lana rossa (taghia, ṭāqiyyah), dalla quale pende una nappa turchina. Anche le donne indossano la camicia di tela, che ricoprono di una sottoveste di velluto a colori vivaci (rossa, verde, turchina) con ricami d'argento, e al disopra hanno un barracano di cotone o di seta, legato sulla spalla sinistra, poi avvolto in due o tre giri intorno alla vita e quindi riportato sulla testa: per la strada portano, ancora al disopra, un barracano più pesante a piccole righe bianche e marroni nel quale si chiudono completamente, lasciando appena uno stretto spiraglio davanti agli occhi; hanno numerosi ornamenti d'argento: collane, orecchini e dischi che fissano a lunghe tiecce di lana nera che aggiungono ai capelli; calzano alti stivaletti affibbiati, di cuoio rosso.
Tra le due sopracciglia, immediatamente al disopra della radice del naso hanno tutte tatuati quattro punti, e dal labbro inferiore fino al mento sulla linea sinfisiana un altro tatuaggio di linee e punti che interessa talvolta anche la porzione visibile della mucosa labiale.
Autentiche armi arabe si vedono raramente in Cirenaica, gli uomini essendo armati di fucili moderni; qualche capo tuttavia conserva ancora i lunghi fucili a pietra e la pistola incrostata d'argento.
Il cibo è prevalentemente di carni ovine e di cammello o di farina di orzo condita con olio e peperoni rossi, o di zucche e di cetrioli; sono anche molto adoperati i datteri. Il pane, impastato con farina d'orzo non lievitata, è fatto cuocere in piccoli forni di terracotta fissati in una buca del terreno ove si accende un fuoco di sterpi: quando la legna è tutta consumata e non resta che un po' di brace ardente, si applica alle pareti del vaso l'impasto di farina d'orzo e si copre il recipiente: il pane, a forma di focacce schiacciate, cuoce così rapidamente.
Ciascuna tribù è soggetta a un capo, che a sua volta è sottoposto al capo dei capi dell'intero gruppo.
Gli Ebrei, come in tutto l'oriente, hanno conservato l'abitudine di vestire un abito che li fa distinguere a prima vista: le donne portano una veste assai ampia di colore bianco e tengono i capelli divisi sulla fronte in due ampie bande; gli uomini hanno brache della stessa stoffa e sulla camicia bianca una sottoveste di colore senza maniche; portano in testa una piccola calotta nera.
Dei negri sudanesi il gruppo più numeroso è quello di Bengasi costituito di circa 500 individui di diverse tribù del Sūdān (Uadāi, Dār Fūr, Baghirmi, Salamat, Bornu, Sara Banda, Dagiu, Rasciet) che abitano in un villaggio proprio nel palmeto del Sabri (es-Sābrī) a NE. della città e dove hanno conservato le proprie abitudini e il proprio modo di vita; la loro abitazione è la caratteristica capanna di frasche a tetto emisferico.
Demografia. - La popolazione della Cirenaica, dal punto di vista della sua consistenza numerica, non venne mai regolarmente accertata e su di essa si ebbero sempre dati soltanto approssimativi e tra loro discordanti. Senza riandare ai tempi più remoti allorché la regione dovette ospitare certo una popolazione alquanto più numerosa, probabilmente senza raggiungere mai le alte cifre che alcuni congetturarono, dobbiamo avvertire come dopo la conquista araba e specialmente negli ultimi secoli essa andò sempre più disertandosi. Le città furono abbandonate e la regione si trovò percorsa solo da rade popolazioni nomadi e seminomadi. Il Governo turco aveva tentato, ma con poco profitto, di richiamarvi delle popolazioni sedentarie, onde abbiamo la fondazione di el-Merg e un limitato sviluppo dei centri costieri. Prima dell'occupazione italiana si attribuivano alla Cirenaica, secondo varie fonti, da 250 a 450.000 abitanti. Valutazioni posteriori ne ridussero sempre più il numero, che il colonnello De Agostini credette di poter fissare nel 1923 a 185.400 abitanti escluse le oasi di Cufra. Accertamenti più recenti, eseguiti fra la fine del 1928 e i primi del 1929, lo ridussero a 144.932, di cui 131.032 indigeni musulmani (compresi i Negri sudanesi e i Cologhli), 3900 Ebrei e 10.000 Italiani o altri Europei. A questi sarebbero da aggiungere 3520 abitanti delle oasi di Cufra. La densità, come si vede, è bassissima, tanto da arrivare appena a un abitante per ogni 5 kmq., riferendosi a tutta la Cirenaica e dipendenze interne costituite prevalentemente da aree desertiche, laddove quella della Cirenaica propria può forse ritenersi di 405 abitanti per kmq. La popolazione è in gran parte nomade e seminomade.
Condizioni economiche. - La Cirenaica è un paese agricolo e pastorale. La popolazione indigena vive della coltivazione dei cereali, specialmente dell'orzo, e dell'allevamento del bestiame. L'agricoltura è assai primitiva: si lavora il terreno, quasi mai di proprietà individuale, ma di solito di propriea delle tribù, con un aratro molto rozzo. La vegetazione spontanea con la raccolta dello sparto, assai diffuso nella zona intorno a Bengasi, dà pure un buon raccolto che alimenta l'industria delle corderie e dell'intreccio, e che in parte viene esportato per essere utilizzato al pari della vera halfa, nella fabbricazione della carta. L'ulivo e altre piante fruttifere proprie della regione mediterranea, ma inselvatichite, si ritrovano in limitata misura; e in qualche punto sono anche oggetto di coltivazione. Poca importanza ha la coltura della palma dattilifera, limitata, non considerando le oasi dell'interno, ai dintorni di Bengasi e a quelli di Derna, dove si conterebbero rispettivamente 12.000 e 8200 palme. Ma, come si è detto, la coltivazione indigena più notevole è quella dell'orzo cui attendono le popolazioni seminomadi e che in annate di abbondanti piogge può dare anche un notevole raccolto, tale da favorire l'esportazione che si effettua specialmente per l'Inghilterra. Il patrimonio zootecnico della colonia è costituito specialmente dagli ovini, di cui si contano un milione di capi, cui vanno aggiunti centomila caprini, forse quindicimila bovini e quarantamila cammelli. Il bestiame costituisce appunto la maggior ricchezza dell'arabo-berbero, e la necessità di spostamento per il rinnovo dei pascoli costringe le tribù al nomadismo (sono i cosiddetti beduini) più o meno intenso a seconda delle regioni; nella zona costiera e del Gebel è ridotto a un seminomadismo; gli spostamenti dell'intera tribù sembra che siano meno ampî di quelli dei pastori, cui è affidata la custodia del gregge e che soli seguono il bestiame nei luoghi più lontani, mentre il grosso della tribù resta sempre in vicinanza delle piantagioni. I prodotti dell'allevamento, specialmente agnelli, lana e pelli, vengono esportati per l'Egitto e per l'Oriente in genere. Per opera dei coloni italiani si è anche iniziato l'allevamento dei suini e quello del baco da seta e delle api.
Per quanto riguarda l'opera di colonizzazione agricola compiuta dai connazionali, questa si è potuta sinora esplicare soltanto in modo limitato, sia per le condizioni di sicurezza interna, sia per la scarsa disponibilità delle terre da indemaniare, calcolate a soli 44.563 ettari, dei quali a tutto il 1928 ne erano stati concessi, con le norme stabilite per tutta la Libia, 12.000. Tali concessioni si trovano nelle adiacenze di Barce, di Cirene e di Tocra. Aziende agricole private di notevole importanza sono state fondate dall'Unione Coloniale Italo-Araba e dalla Società Toscana di imprese coloniali, che si è assicurata vasti possessi a Tocra e a Tolmeta. Altre aziende sono sorte da poco e vanno svolgendo la loro attività con la piantagione di viti, di ulivi e di altre piante da frutto, con la coltivazione dei cereali e con l'allevamento razionale del bestiame. Uno speciale Ufficio agrario e sperimentale provvede a promuovere lo sviluppo agricolo della colonia.
Il mare che lambisce le coste della Cirenaica è abbastanza ricco di pesce, ma la sola pesca veramente fruttifera che vi si compie è quella delle spugne di qualità pregiata, che viene praticata particolarmente nel Golfo di Bomba e sulle coste sirtiche da Greci con qualche concorso di indigeni ma su battelli italiani; la loro esportazione rappresenta un valore (quasi tredici milioni di lire nel 1926) che è circa la metà dell'esportazione totale. Per la pesca del tonno è sorta negli ultimi anni una tonnara a el-Mengar, a circa 10 km. a N. di Bengasi, che nel 1927 diede quattromila fra tonni e palamiti che vengono in gran parte confezionati in scatole per il consumo locale.
Scarsa è ancora la ricognizione del suolo dal punto di vista dell'eventuale sfruttamento delle sue ricchezze minerarie, le quali per ora si riducono a poco zolfo tratto dai giacimenti esistenti presso el-Mugtàa e adoperato localmente. Come produzione mineraria veramente notevole deve per ora considerarsi soltanto quella del sal marino. Tre importanti saline funzionano presso Bengasi e una più grandiosa di tutte è sorta di recente a Carcura, tra Bengasi ed ez-Zuetina. L'industria indigena, a parte le lavorazioni cui si è accennato, si limita alla concia delle pelli e alla fabbricazione di pelletterie; alla tessitura della lana per barracani e per tappeti; all'intreccio delle stuoie; alla confezione di oggetti di ornamento e d'uso comune. Il commercio marittimo toccò i 286 milioni nel 1928, di cui solo 25 milioni per le esportazioni, principalmente lane, pelli, bestiame e spugne. Le comunicazioni stradali della Cirenaica sono rappresentate da una linea ferroviaria di 108 km. che da Bengasi raggiunge Barce e dovrà poi proseguire per Cirene e per Derna, e da un tronco minore (54 km.) che da Bengasi fa capo a Soluch e che dovrà pure essere proseguito poi per Agedabia. È da aggiungere altresì il breve tronco di "decauville" Agedabia -ez-Zuetina. Una vasta rete di strade carreggiabili, che si vanno gradatamente sostituendo con regolari vie rotabili di 7 o di 5 m. di larghezza, congiunge ormai tutti i centri abitati della Cirenaica (v. cartina delle comunicazioni). Questa rete di vie rotabili è integrata da altre carovaniere, riconosciute anche come camionabili, che percorrono in vario senso l'altipiano e si dirigono nell'interno verso Cufra e il Uadai. Comunicazioni marittime regolari congiungono Bengasi a Siracusa e agli altri principali porti del Regno, e così pure a Malta, a Tripoli e agli altri scali della Tripolitania, nonché agli scali cirenaici di Tolmeta, Apollonia, Derna e Tobruch. Bengasi è legata a Siracusa da un cavo telegrafico ed ha una stazione radiotelegrafica che la mette in diretta comunicazione con Roma, Tripoli, Taranto e Rodi. Stazioni e uffici radiotelegrafici, telegrafici, telefonici e postali sono istituiti in tutti i centri e comandi militari della Colonia.
Centri abitati. - La Cirenaica, abitata principalmente da popolazioni nomadi o seminomadi, conta un piccolo numero di centri urbani, tutti di moderna origine e sviluppo, in parte iniziato già sotto il dominio turco ma largamente progredito poi dopo l'occupazione italiana. La maggior parte dei moderni centri sorsero sul luogo stesso di antiche e fiorenti città del periodo greco-romano o anche arabo, poi abbandonate e distrutte. La città principale per popolazione e per sviluppo edilizio e civile è Bengasi, capitale della Colonia, l'antica Berenice, con 31.248 ab., dei quali 7900 metropolitani. La seconda per popolazione è Derna, auch'essa di origine antica ma di scarsa importanza sino agli ultimi tempi. La sua popolazione è oggi di 9219 ab., fra cui 700 Italiani. Viene quindi Tobruch, sulla costa della Marmarica, con un eccellente porto formato dalla sua profonda e ben riparata insenatura. Centri costieri minori sono Apollonia (Marsa Susa degli Arabi), l'antico porto di Cirene, con tante vestigia del suo fiorente passato (1000 ab.); Tocra, l'antica Tauchira o Teuchira, detta poi Arsinoe e quindi Cleopatris, pure con notevoli resti di antichità (430 abitanti); Tolmeta, l'antica Tolemaide, porto di Barce, piccolo scalo marittimo (350 ab.), sorto in prossimità delle rovine dell'antica città. Sulla costa sirtica i due modestissimi centri di sola importanza militare di ez-Zuetina, porto di Agedabia, e di el-Agheila, presso el-Mugtàa. Sulla costa della Marmarica, oltre Tobruch, il nuovo piccolo abitato di Bardia con buon porto naturale, cui la recente definizione del confine orientale della colonia ha dato una qualche importanza amministrativa e militare. Prima dell'occupazione italiana un solo centro urbano esisteva nell'interno della Cirenaica; quello cioè di el-Merg che i Turchi avevano fatto sorgere nel 1840 sul primo gradino dell'altipiano in prossimità dell'antica e distrutta città di Barce. Il piccolo abitato è oggi una civile e graziosa cittadina di 3680 ab., ribattezzata col classico nome di Barce, capoluogo del commissariato regionale del Gebel. Agl'Italiani si deve pure il sorgere di un nuovo centro presso le cospicue rovine dell'antica Cirene, di cui si volle conservare il nome. Le altre località segnate sulla carta come centri abitati non sono, in generale, che ridotte e presidî militari o zavie senussite, intorno alle quali si vanno fissando capanne e attendamenti d'indigeni. Nella regione sirtica è da ricordare Agedabia, che conserva il nome dell'antica città romana e araba che sorgeva più prossima alla costa. Centro politico, amministrativo, militare e commerciale di considerevole importanza, Agedabia conta oggi 600 ab.
Ordinamento politico e amministrativo. - La Cirenaica forma una colonia autonoma il cui ordinamento è attualmente stabilito dalla legge organica per la Tripolitania e la Cirenaica promulgata il 26 giugno 1927 e con le parziali modificazioni ulteriormente introdotte. Secondo la detta legge la colonia è retta da un governatore, che è a un tempo il capo delle forze armate della colonia stessa; con r. decr.-legge del 26 gennaio 1929 fu consentito che il governo di ambedue le colonie libiche fosse affidato a un solo governatore; nel qual caso per la Cirenaica funzionerebbe un vice-governatore, con quei poteri che il governatore credesse di delegargli. Disposizione che ebbe subito applicazione. Il governatore dipende dal Ministero delle colonie ed ha alla sua dipendenza un segretario generale e il comandante delle truppe. (Per le altre disposizioni legislative e amministrative comuni anche alla Tripolitania, v. libia).
Il territorio della colonia si divide in regioni o zone militari, circondarî o sotto-zone, e distretti; con a capo rispettivamente un commissario regionale, un delegato circondariale e un agente distrettuale. I capoluoghi che siano centri notevoli, sono sedi di municipio retto da un podestà, con una consulta municipale, di nomina governatoriale. Le popolazioni nomadi o seminomadi sono ripartite in tribù e sotto-tribù secondo le loro costituzioni. I rispettivi capi, nominati dal governatore su designazioni fatte secondo le regole tradizionali di ciascuna, sono responsabili dell'ordine e della sicurezza del territorio abitato, ed esercitano le facoltà e i poteri disciplinari consentiti dalle consuetudini di ciascuna.
La giustizia civile e penale è amministrata dalla magistratura ordinaria; i tribunali della Sciaria giudicano delle questioni relative allo statuto personale, al diritto successorio e alle pratiche religiose dei libici musulmani; lo stesso si dica (salvo il diritto successorio) per gl'israeliti e i loro tribunali rabbinici. L'ordinamento giudiziario, quale venne stabilito con r. decr. 25 ottobre 1928, pone la Cirenaica sotto la giurisdizione della Corte d'appello di Tripoli. Un tribunale regionale funziona a Bengasi, e sezioni di tribunale a Cirene e a Derna. Per quanto riguarda l'ordinamento amministrativo territoriale, le disposizioni più recenti hanno diviso la colonia nei tre commissariati regionali di Bengasi, da cui dipendono i circondarî di Tocra, el-Abiàr e Solùch; del Gebel, con capoluogo Barce e da cui dipendono i circondarî di Cirene e di Derna; e di Tobruch, con il circondario di Bardia; e nella zona militare di Agedabia con le sotto-zone di el-Agheila e di Gialo.
Nell'ordinamento ecclesiastico la Cirenaica, che fino al 1927 fece parte del vicariato apostolico della Libia, è costituita in vicariato apostolico indipendente affidato ai frati minori.
Bibl.: Per la Cirenaica prima dell'occupazione italiana e sino a tutto il 1913, v. Archivio bibliografico coloniale, Firenze 1915-21. - Fra le più notevoli pubblicazioni posteriori sulla Cirenaica propria, rimandando alle voci relative quelle sulle oasi interne, v. Ministero delle colonie, Itinerari della Cirenaica. Note ed appunti della missione Bodrero, Roma 1920; O. Marinelli e altri, La Cirenaica. Geografia-Economia-Politica, Milano 1922; E. De Agostini, Gli abitanti della Cirenaica, Bengasi 1922-23; Governo della Cirenaica - Ufficio studi, Bollettino geografico, 1926-1930; Camera di Commercio, Industria, e Agricoltura della Cirenaica, La Cirenaica, Bengasi 1928-30; Notiziario economico della Cirenaica, Bengasi 1928-1930; G. Stefanini, I possedimenti italiani in Africa, 2ª ediz., Firenze 1929; id. e A. Desio, Le colonie, Rodi e le isole italiane dell'Egeo, Torino 1928; Guida d'Italia del Touring Club Italiano, Possedimenti e colonie, Milano 1929; A. Teruzzi, Cirenaica verde, Milano 1931. - Per la cartografia: Istituto geografico militare, Carta topografica della Cirenaica, scala di 1 : 50.000, in 23 fogli, Firenze 1923; Governo della Cirenaica - Ufficio studi, Carta della Cirenaica, scala di 1 : 100.000 (in corso di pubblicazione); Carta dimostrativa della Cirenaica, scala di 1 : 400.000, in 7 fogli, 4ª ed., Bengasi 1929; Carta generale dimostrativa della Cirenaica, scala di 1 : 1.000.000, 4ª ed., Bengasi 1929. - In particolare per la parte geologica e morfologica v.: G. Stefanini, Struttura geologica della Cirenaica, in Rend. R. Acc. Lincei, XXX (1921); C. Crema, La "seghife", particolarità morfologica valliva dei dintorni di Tobruch, in Atti del IX Congr. geogr. ital., Genova 1924; H. W. Ahlmann, La Libye septentrionale, in Geographiska Annaler, 1928 (trad. italiana in Rapporti e monografie coloniali del governo della Cirenaica, s. 3ª, n. i, luglio 1930); G. Stefanini, Quadro compar. della serie geologica della Cirenaica con quelle delle altre parti dell'Africa settentrionale, 1921; C. Crema, Maestrichtiano in Cirenaica, in Rend. R. Acc. Lincei, s. v. XXXI (1922); A. Desio, Resultati scientifici della missione all'Oasi di Giarabùb (1926-27): La morfologia, la geologia, Roma 1928; La paleontologia (A. Silvestri, R. Zuffardi-Comerci, A. Desio, F. Cipolla, A. Chiarugi), ibid. 1929.
Per la flora cfr. A. Mangini, Appunti sulla vegetazione della Cirenaica e sulla sua utilizzazione agraria, Firenze 1921; R. Pampanini, Prodromo della flora della Cirenaica, 1930. - Sull'antropologia v.: V. Giuffrida Ruggeri, Alcuni dati retrospettivi, ecc., in Archivio per l'antropologia e la etnologia, XLIV, Firenze 1914, p. 255 segg.; A. Mei, Gli abitanti della Cirenaica, Roma 1914; N. Puccioni, Antropologia cirenaica: alcuni dati preventivi, ecc., in Rivista delle colonie italiane, Roma 1929, III, pp. 340-346; G. Sergi, Africa, antropologia della stirpe camitica, Torino 1897; per le tribù e i gruppi cittadini: E. De Agostini, Le popolazioni della Cirenaica, Bengasi 1922-23.
Storia.
Antichità. - Le condizioni politiche non hanno consentito finora di esplorare sistematicamente il territorio per ricercare le testimonianze dell'uomo preistorico. Alcuni oggetti litici raccolti hanno permesso di riconoscere tracce probabili del paleolitico antico (moustériano), del paleolitico superiore (lamelle di selce e di quarzite) e della industria ateriana. Nell'oasi di Auenàt, che fa parte della Cirenaica odierna, non però di quella antica, esistono graffiti rupestri dello stile boscimano, che probabilmente appartengono al paleolitico superiore. Numerose cuspidi di frecce ad alette trovate ad er-Règima e anche a el-Fueihàt, presso Bengasi, un'ascia levigata di pietra verde, ancora inedita, scoperta nel Uadi Belgadìr, a Cirene, attestano l'esistenza della civiltà neolitica nelle sue varie facies. In generale si può dire che la civiltà della Cirenaica in quella remota epoca non si differenziasse da quella del resto dell'Africa settentrionale, dal Marocco all'Egitto. È pure certo che popolazioni antiche abitarono in grotte e caverne naturali, di cui parecchie sono ancora conservate nelle pareti dei uidian. Ma l'importanza della Cirenaica deriva quasi esclusivamente dall'essere diventata una delle più ricche colonie doriche, e dai monumenti che la civiltà greca e il dominio romano vi hanno lasciato. I Terei, che verso la metà del sec. VII a. C. fondarono Cirene, trovarono il paese abitato da Libyes. Con questa denominazione gli scrittori Greci indicavano tutta la popolazione dell'Africa settentrionale; ma Erodoto, che quasi certamente fu a Cirene verso la metà del sec. V, e poté attingere ivi le notizie, ci dà il nome delle tribù della Cirenaica. Nella Marmarica vi erano gli Adirmachidi, che confinavano con l'Egitto, e quindi i Giligami. A sud di Cirene vi erano gli Asbisti, e a occidente di questi gli Auschisi, il cui territorio era a sud di Barce, e giungeva fino a quello di Euesperide (Bengasi). A nord di Barce, verso la costa in cui è Tocra, aveva sede la tribù poco numerosa dei Bacali. A O. degli Auschisi, cioè tra Euesperide e la Sirte, erano i Nasamoni, che occuparono anche il territorio prima occupato dalla tribù dei Psilli, scomparsi al tempo di Erodoto (IV, 173) in seguito a una terribile siccità. Con le indicazioni di Erodoto concordano nelle linee generali quelle di Diodoro, di Strabone e di Plinio. Il geografo Tolomeo (IV, 4,6) ci dà un numero maggiore di tribù, ma forse qualcuno di quei nomi indica suddivisioni delle tribù numerate dagli storici anteriori.
I Libî erano nomadi, e le loro abitazioni erano capanne. Sulle credenze religiose dei Libî, Erodoto (IV, 188) riferisce che immolavano vittime al sole e alla luna, e il rito sacrificale era questo: tagliavano un orecchio alla vittima e lo gettavano sulla loro abitazione, quindi torcevano il collo dell'animale. Si nutrivano di carne e di latte di pecora; non mangiavano, però, la carne di bue, che forse era stato un animale sacro come in Egitto. Erodoto dice pure che le donne di Cirene - certamente libiche della tribù degli Asbisti, perché matrimonî di greci di Cirene con donne libiche erano legittimi come consta, oltre che da dati storici, dalla costituzione di Cirene (v.) testé scoperta - non mangiavano carne di vacca per rispetto alla dea Iside, di cui osservavano scrupolosamente i digiuni e le feste. Le donne di Barce poi non mangiavano neppure la carne suina, perché anche il maiale doveva essere un totem per la tribù degli Auschisi. Al tempo d'Erodoto, e certo anche prima, i Libî sotterravano i morti, e merita d'essere notato che i Nasamoni, cioè la tribù della Cirenaica che ebbe minore contatto con l'elemento greco, seppellivano i morti seduti, anzi avevano cura di mettere l'agonizzante in quella posizione, perché, dopo spento, così si irrigidisse, in una posizione che ricorda quella che hanno gli scheletri nelle tombe dell'età neolitica ed eneolitica. Presso alcune tribù le donne erano comuni a tutti, mentre presso altre vi era la poligamia; in tutte pare che i figli appartenessero alla tribù. Ai bambini all'età di quattro anni venivano bruciate con lana non sgrassata le vene alla sommità del capo e qualcuna alle tempie, per impedire l'effusione della pituita, e a questa operazione veniva attribuita la perfetta salute di cui godevano. I Libî confinanti con l'Egitto, gli Adirmachidi, "vestivano come gli altri Libî"; v'era quindi uniformità nel vestire in tutte le tribù. Dai monumenti egiziani si rileva che essi portavano un lungo manto di lana a colori screziati, aperto al lato sinistro e annodato sulla spalla, capelli lunghi e inanellati, e un copricapo, una specie di berretto rotondo con coprinuca assai ampio: gli uomini hanno segni di tatuaggio sulle gambe e sulle braccia, e una barbetta a punta. I capi portano penne di struzzo sulla testa. Le armi sono l'arco e le frecce di canna con punta di selce tagliente e, più di rado, aguzza. Le donne portano un anello di rame a ciascun piede e capelli accuratamente inanellati, come vediamo nelle teste della Libia in monete e monumenti di Cirene. I monumenti egiziani ci fanno apparire il popolo libico assai battagliero, e fin dai tempi più antichi i re dell'Egitto o debbono combattere tribù libiche o assoldano mercenarî tra esse per le loro spedizioni asiatiche. Del resto una prova di quelle loro qualità è data anche dalle lunghe lotte che dovettero sostenere i coloni greci per quasi un secolo (v. Cirene) per consolidare il loro dominio. Per quanto i Libî della Cirenaica conducessero una vita semplice, pure sembra, dagli oggetti tolti ad essi dagli Egiziani, che fossero ad un grado di civiltà non inferiore a quello degli altri popoli della costa settentrionale del Mediterraneo. Tutte queste popolazioni parlavano una stessa lingua, certo con grandi varietà dialettali; avevano una scrittura il cui alfabeto è, ad eccezione di lievi diversità, quello oggi usato dai Tuareg e conservato in alcune brevi iscrizioni (J. Halévy, Les inscriptions libyques). In Cirenaica non sono state trovate epigrafi libiche, ma alcuni blocchi di monumenti greci e romani portano marche di scalpellino, costituite da un segno dell'alfabeto libico.
Si ammette da taluni (Gsell, Histoire ancienne de l'Afrique du Nord, I, p. 368, n. 2) che i Fenici avessero rapporti e forse anche fattorie commerciali sulla costa della Cirenaica; monumenti o prodotti fenici non sono stati però rinvenuti finora in Cirenaica, mentre abbondano in Tripolitania. Comunque il compito d'incivilire il paese e di portarlo ad un'alta prosperità spettava alle popolazioni elleniche. Né fa meraviglia che, data la posizione geografica della Cirenaica, arditi navigatori Greci, per azioni di pirateria o di commercio, conoscessero ben presto quelle sponde sulle quali scendevano ripidi i declivî dei terrazzi, rivestiti di una vegetazione rigogliosa. Una testimonianza di tale conoscenza l'abbiamo nell'Odissea (XIV, v. 293 segg.). Più frequenti diventarono certo tali rapporti verso la metà del sec. VII, quando il re d'Egitto Psammetico, per liberare il suo paese dalla sovranità d'Assiria, formò un esercito composto in gran parte di mercenarî greci, ai quali poi permise di stabilirsi alla foce del Nilo. I rapporti dovettero essere più frequenti specie con le isole meridionali dell'Egeo, tra le quali Tera, l'odierna Santorino, e Cirene fu appunto una colonia di Terei, cui poi si aggiunsero altri coloni del Peloponneso. Giunti a Cirene verso la metà del sec. VII, essi lottarono per quasi un secolo con l'elemento indigeno, prima di consolidarsi. Da alcuni miti locali parrebbe che già prima del 1000 a. C. alcune famiglie di popolazione predorica fossero giunte in Cirenaica direttamente dal Capo Tenaro. Ma dagli autori più antichi e autorevoli, ad esempio Erodoto, si rileva che i Terei, venendo in Libia, non incontrarono che popolazioni libiche. Del resto la popolazione di Tera trae origine da Sparta. La fondazione della nuova colonia si ritiene della metà del sec. VII a. C., ed essa, intorno al 575 a. C., era già così forte da poter debellare il re d'Egitto, Apries.
Poco dopo sorsero le altre città; Barce (v.), dove è l'odierna elMerg, circa il 560; Teuchira (odierna Tocra; v. arsinoe) una colonia marittima di Barce, del cui territorio faceva parte; Euesperide (Bengasi), chiamata nell'età tolemaica Berenice (v.), esisteva nel 510 a. C.; Tolemaide (Tolmeta), come Apollonia (v.), non ebbe un nome proprio che nell'età ellenistica, perché prima era solo il porto di Barce. Alla fine del sec. VI dunque la colonizzazione greca della Cirenaica era già compiuta nei suoi capisaldi. Le città dal principio e per un certo tempo costituirono stati autonomi e anche in lotta. Più note ci sono le lotte fra Cirene e Barce, nelle quali s'intromisero anche i re di Persia per mezzo dei loro governatori e viceré d'Egitto, e terminarono con l'annientamento di Barce, che alla fine del sec. VI aveva perduto ogni importanza politica. Sulla Cirenaica e sulla dinastia dei Battiadi, che dalla fondazione della Colonia, con varie vicende regnava su Cirene, premeva la preponderanza persiana. La Cirenaica venne, così, a far parte della satrapia dell'Egitto, e fu anche sottoposta a tributo. Dopo le guerre persiane, rinvigorito lo spirito democratico, anche la dinastia dei Battiadi fu rovesciata. Cirene e le altre città della Cirenaica si costituirono in libero governo e autonome. Questo periodo è quello del maggiore splendore della Cirenaica, celebre per la sua ricchezza. Già Pindaro ed Erodoto ne fanno cenno. Assai poco sappiamo sulle vicende della Cirenaica nei decennî che seguirono la caduta dei re. Nella guerra fra Atene e Sparta le città della Cirenaica non intervennero; tuttavia esse, di popolazione prevalentemente dorica, dimostrarono la loro predilezione per Sparta nel 413, quando navi spartane trovarono rifugio sulle coste della Cirenaica. In questa circostanza abbiamo anzi una prova che la lotta con l'elemento indigeno continuava almeno ai margini della zona colonizzata. Quelle navi, dirette in Sicilia, passando davanti ad Euesperide (Bengasi), avendo saputo che questa città era assediata dai Libî del territorio circostante, la liberarono. Nel 331 Cirene si sottomise ad Alessandro il Grande, e quasi certamente le altre città ne seguirono l'esempio. A quell'epoca risale il nome di Pentapoli, che indica certo in origine una federazione (Κοινόν) delle cinque città più importanti. Queste anzi da allora in poi non vengono ricordate se non in stretta connessione con gli avvenimenti di Cirene nelle lotte per il dominio della ricca città e della regione, lotte fra i membri della famiglia dei Tolomei d'Egitto e dei loro seguaci, favorite ora dall'una ora dall'altra fazione. Conquistata da Tolomeo di Lago, la Cirenaica rimase poi sempre, salvo brevi interruzioni, sotto il dominio tolemaico, fino all'età romana. Dopo Tolomeo Evergete I, Tolomeo Filopatore, negli ultimi decennî del sec. III a. C. riunì sotto il suo scettro l'Egitto e la Cirenaica, e ciò durò fino a quando nella contesa fra i fratelli Tolomeo Filometore e Tolomeo Evergete II, detto Fiscone, Roma, diventata ormai la potenza predominante nel Mediterraneo, riuscì a far assegnare la Cirenaica a Tolomeo Fiscone. Questi, che dopo la morte del Filometore aveva anche dominato in Egitto, morì nel 117 a. C., e lasciò in eredità la Cirenaica ai Romani, per concessione dei quali deve essere stata governata dal figlio naturale di lui, Tolomeo Apione, fino a quando questi morì senza eredi nel 96 a. C. Ciò è ora documentato da un'iscrizione recentemente scoperta, la quale corregge un errore in cui si era caduti fin qui, e cioè che il testamento fosse stato fatto dall'Apione. Sotto i Tolomei la Cirenaica godette un notevole benessere. Le città della costa specialmente ebbero incremento e, o presero il nome dal re, come il porto di Barce, il quale da allora si chiamò Tolemaide, o mutarono il proprio in quello di una principessa, come Euesperide in Berenice, Teuchira in Arsinoe. Durante il regno dei Tolomei, specie dei primi, avvenne un grande afflusso d'israeliti in Cirenaica.
Roma, dopo la morte di Apione, non prese direttamente il governo della colonia, lasciando le città libere di governarsi come volevano, e si accontentò di prendere possesso, più nominale che reale, dei beni privati del re. Si è creduto che essa, per affermare il suo diritto, imponesse una tassa sul silfio, e che prova di questa tassa fossero le trenta libbre di silfio che nel 93 Cirene mandò a Roma. Ciò non è provato, e quella piccola quantità di silfio poteva essere il prodotto dei terreni, già proprietà privata del re. Le discordie intestine, le lotte non solo fra partiti, ma anche tra Greci e Israeliti, gettarono la città, ormai non avvezza a reggersi libera, nei disordini e Roma, forse anche perché le coste della Cirenaica erano diventate rifugio di pirati, nel 75 ridusse la Cirenaica a provincia, della quale primo governatore fu Lucio Cornelio Lentulo. Nella guerra civile fra Cesare e Pompeo, essa parteggiò per Pompeo; morto Cesare, venne assegnata a Cassio; dopo la battaglia di Filippi, passò ad Antonio, e dopo la battaglia di Azio, Ottaviano se ne impossessò facilmente. La sua ricchezza andò diminuendo perché scomparve, per l'ingordigia dei pubblicani, secondo Plinio, il silfio, la pianta che costituiva una delle ricchezze del paese. Un gravissimo colpo ebbe la Cirenaica dalle insurrezioni giudaiche; già al tempo di Augusto questi immigrati israeliti erano costituiti in comunità riconosciute, come a Berenice, ed erano stati fatti oggetto della benevolenza romana (cfr. Ios. Flav., Ant. Iud., XVI, 6, 51); ma l'indomabile loro spirito di rivolta esplose in due vaste sedizioni: la prima sotto Tito, dopo la presa di Gerusalemme, fomentata da un certo Jonathan, la seconda assai più grave negli ultimi anni del regno di Traiano (115-117). Contro di essi Traiano mandò il miglior suo generale, Marcio Turbone. Nel secondo anno del regno di Adriano, la Cirenaica era già pacificata, ma spopolata e immiserita. Adriano cercò di rimediare al male con qualche colonia di popolamento, come Adrianopoli, l'odierna Driana, a metà strada fra Bengasi e Tocra. Dai provvedimenti di quell'imperatore e dei suoi successori qualche beneficio trasse la colonia, perché, come attestano gli scavi in corso, essa godette d'una certa prosperità sotto gli Antonini. Ma la sua vita ci appare quella di una provincia e non certo delle più ricche. Il vescovo di Tolemaide, Sinesio, nativo di Cirene, ci fa un quadro veramente desolante delle condizioni della Cirenaica alla fine del sec. IV e al principio del V. Ai danni prodotti dai terremoti, dalle pestilenze e dalle invasioni di locuste, si aggiunsero le spoliazioni dei governatori mandati da Costantinopoli e le incursioni dei Berberi (nome con cui certo si indicavano i discendenti dei Libî), i quali ormai, non più trattenuti dalla forza, assaltavano e saccheggiavano le città mal difese. All'appressarsi di queste orde di predoni, gli abitanti abbandonavano le loro case e si rifugiavano nel castello o anche nella chiesa della città. Nell'effimero rinvigorimento dell'impero d'Oriente sotto Giustiniano, anche la Cirenaica ebbe qualche difesa. Non mancano anche nell'interno castelli bizantini. Giustiniano cinse Teuchira d'un validissimo muro, fatto con blocchi di edifici romani, forse abbandonati o più probabilmente distrutti dai terremoti che verso la fine del sec. IV funestarono la Cirenaica. Non abbiamo prove sicure che il cristianesimo si sia diffiuso per tempo (i disegni di pitture cristiane pubblicati dal Pacho, v. bibl., sono fantastici), e neppure è certo che qualche conversione di Ebrei di Cirene in Gerusalemme (Atti, XI, 10; cfr. II, 10 e Matteo, XXVII, 32) desse luogo a un vero apostolato, ché anzi manca ogni ricordo di lotte verificatesi per la diffusione del cristianesimo. Ad ogni modo dal sec. IV e fino alla conquista araba il cristianesimo ci appare abbastanza diffuso e le città della Pentapoli sono verso l'epoca di Teodosio altrettante sedi episcopali. Ecclesiasticamente queste sedi episcopali, e poche altre della regione, circa le quali si hanno dubbie notizie, dipendevano dal patriarcato di Alessandria. Il più insigne monumento cristiano, fra quelli finora conosciuti, è la basilica cristiana di Apollonia. Rovine di altre basiliche sono visibili, ma inesplorate, a Tolmeta, a Cirene e in altri luoghi; esse sono certo tutte anteriori alla conquista araba, cioè al 647. Trentun anni prima la Cirenaica era stata corsa e spogliata dalle bande del persiano Cosroe.
La colonizzazione greca ci si presenta assai diversa dalla romana. L'estensione di quella ci è data dalla presenza di tombe di forme prettamente greche: tombe a camera scavate nella roccia, in forma di sarcofago, di tempio o di mausoleo, le troviamo solo in una zona costiera da Bengasi a Derna, limitata nell'interno dalle città di Barce, Messa, Cirene, el-Gubba, Mara, Morazig. I coloni greci quindi hanno fissato la loro dimora lungo la costa e nel primo e secondo grande terrazzo. È certo che essi ebbero rapporti stretti con gl'indigeni. I Greci non hanno assimilato la popolazione indigena, imponendo ad essa la propria civiltà. Abbiamo visto che nel 413 a. C., dopo circa due secoli e mezzo, Euesperide era assediata dai Libî ad essa più vicini; un documento importantissimo, la costituzione dì Cirene della metà del sec. III, riconosce diritti civili ai figli di Greci e di donne libiche di tutta la Cirenaica (Riv. di Filol., 1928, p. 186 segg.) e sappiamo che fin dalla fondazione della colonia era consentito che i Greci sposassero donne libiche; ma quel riconoscimento dimostra appunto che anche nella seconda metà del sec. III i Libî vivevano a sé e non facevano parte delle città e non avevano diritti politici. Non si deve escludere però che pure i Libî entrassero e permanessero nelle città e vi esercitassero commerci e industrie, e neppure che i Greci avessero beni e commerciassero nei centri di popolazioni libiche. In alcune città, ad es. a Messa, e nella stessa Cirene, i recinti di pietre ritte, probabilmente resti di abitazioni libiche certo assai tarde, si trovano appena fuori dalla cinta di mura. Quella forma di colonizzazione non poteva dare molta sicurezza al paese, e già sotto i Tolomei, cominciarono a sorgere qua e là castelli, alcuni dei quali, come quello di Beni Gdem, il più grande della Cirenaica, appaiono dell'età ellenistica. Più numerosi sono i castelli dell'età romana, talvolta assai piccoli, per pochi uomini e le loro famiglie. Quei castelli romani, come nel resto dell'Africa e nell'Asia, diedero sicurezza e tranquillità. Ve ne sono fino nel predeserto, e le loro rovine, facilmente riconoscibili, sono designate dagl'indigeni col nome di qaṣr, che si ritiene una corruzione di castrum.
Oltre questi castelli, nella Cirenaica, monumenti veri e proprî non ne troviamo fuori che nella zona occupata dai Greci, ad eccezione dei recinti di pietre ritte, più abbondanti entro e presso la zona occupata dai Greci, e sulla cui destinazione molto si è discusso, propendendosi ora a ritenerli addirittura un tipo di costruzione, per i più svariati usi, non escluso quello dell'abitazione. Fa eccezione la grotta di Slonta, chiamata dagl'indigeni at-taṣwīrah, a un'altezza sul mare di m. 759 circa, nella quale è un rilievo interessante; vi è rozzamente scolpito un animale non bene riconoscibile, forse un maiale, tra le cui zampe sono alcune teste; sotto, in una fascia, molte figure di uomini; era una grotta di culto libico e probabilmente potrebbe connettersi con l'accenno certamente degno di fede di Erodoto (IV, 186) da cui si può dedurre, come sopra è stato accennato, che un tempo il maiale era animale sacro. Ma i rozzissimi rilievi ci sembra per tecnica risentano gl'influssi dell'arte romana. I monumenti greci fuori della città di Cirene, sono costituiti da tombe numerose e montuose, specialmente intorno a Cirene e a Messa. Le più belle e interessanti sono camere sepolcrali scavate nella roccia, con prospetti architettonici e di varie epoche, dal sec. VI al II a. C., in forma di templi di nobili proporzioni e con eleganti partiti architettonici, o di mausolei circolari e rettangolari, come il grande sepolcro ad ovest di Tolmeta, che si ritiene del periodo tolemaico. Della rete stradale che Roma distese anche nella Cirenaica, rimangono pochi avanzi visibili; il più meridionale è il tratto presso Sira, a sud di Cirene; altri tratti affiorano qua e là, come a Messa e a Taurguni, a ovest di Cirene, e, tra Cirene e Apollonia, a Lamluda e ad el-Gubba a sud-est di Cirene. Di epoca romana sono pure le numerose cisterne e conserve d'acqua di varia forma e grandezza, che s'incontrano qua e là, oltre che nelle immediate vicinanze dei resti d'un castello. Alcune di queste conserve d'acqua con vòlte a botte di perfetta opera sono grandiosissime; la maggiore è quella di es-Safsàf, a 8 km. a sud-est di Cirene, costituita da una fossa lunga mille piedi, larga quasi 27, scavata nella viva roccia e coperta con vòlta di tutto sesto in pietre squadrate (Notiz. Arch., I, p. 85 segg.). L'acqua piovana che cadeva sopra una larga platea rocciosa e confluiva nel cisternone, per mezzo d'un acquedotto di cui rimangono pochi pilastri, era portata a Cirene, quando non bastavano le sorgenti. Presso quel cisternone è una fitta selva di pietre ritte, che si è constatato appartenere a numerosi frantoi per olio. Resti di centri abitati sono ancora visibili qua e là: i più importanti sono a Mgerness, Lamluda (= Limniade) Zauia Tert, el-Gubba, Mara, ad est e a sud-est di Cirene. Ma le città vere, oltre Cirene e Barce, sono sulla costa: Apollonia, Ficunte, Tolemaide, Teuchira ed Euesperide. Presso Euesperide la leggenda colloca il giardino delle Esperidi. Certo, Tolemaide e specialmente Apollonia avevano un buon porto, di cui restano solo miseri avanzi. Ottimo porto naturale, però scarso di acqua, era Naustatmo, dove è oggi Marsa el-Hilàl, protetto dal promontorio omonimo (Ras el-Hilàl). V. anche gli articoli sulle singole città.
Bibl.: P. Della Cella, Viaggio da Tripoli di Barberia alle frontiere occidnetali dell'Egitto, 3ª rist., Città di Castello 1912; R. Pacho, Voyage dans la Marmarique, la Cyrénaïque, ecc., Parigi 1827-29; E. W. e H. W. Beechey, Proceedings of the expedition to explore the Northern Coast of Africa, Londra 1828; H. Barth, Wanderungen durch die Küstenländer des Mittelmeeres, Berlino 1849; G. Hildebrand, La Cirenaica e il suo avvenire, trad. it. di A. Tomei, Roma 1912; G. Haimann, Cirenaica, 2ª ed., Milano 1911; E. Ghislanzoni, Notizie archeologiche sulla Cirenaica, in Notiziario arch. Min. colon., I, 1915, p. 65 segg.; II, 1916, pp. 153 segg., 163 segg., ecc.; R. Norton, From Bengasi to Cyrene, in Bull. of the Arch. Inst. of America, Norwood 1911, p. 57 segg.; id., The ruins at Messa, ivi, p. 135 segg. - Per le monete: D. Robinson, Catalogue of the Greek coins of Cyrenaica, Londra 1925; S. Aurigemma, Campagne libiche della Missione arch. ital., in Boll. soc. geografica, II, Roma 1913, pp. 997-1024. V. anche cirene.
Età musulmana. - Nel 21 dell'ègira, 642 d. C., gli Arabi sotto la guida di ‛Amr ibn al-‛Āṣ, avendo già conquistato parte dell'Egitto e occupato Alessandria, fecero un'incursione in Cirenaica, probabilmente con lo scopo di riconoscere il paese e preparare future spedizioni verso l'ovest, scopo non disgiunto, come al solito, da quello della razzia. La regione apparteneva nominalmente all'impero bizantino, ma in realtà era in mano delle popolazioni berbere indigene, in mezzo alle quali dovevano trovarsi residui dell'elemento coloniale, che già nei secoli precedenti era diminuito di numero per le molte persone perite nei torbidi interni, e in parte si era anche allontanato, non trovandosi più in condizioni di vita propizie. Il grosso degl'invasori giunse alla città di Barce, mentre uno dei luogotenenti di ‛Amr, ‛Oqbah ibn Nāfi‛, faceva una punta fino a Zawīlah, seguendo verosimilmente la carovaniera che dal nord della Cirenaica porta ad Augila e di qui, attraverso le oasi della Sirtica, fino al Fezzān. I musulmani, imposto agli abitanti un tributo annuo di 13.000 dīnār d'oro (il dīnār è di gr. 5,25 d'oro), qualificato come gizyah, cioè come imposta personale dei non musulmani, se ne tornarono in Egitto; dalla città (Barke, Βάρκη) che avevano occupata e che aveva importanza come nodo carovaniero, gli Arabi chiamarono Barqah tutta la regione, mentre l'uso popolare degl'indigeni odierni restringe quella designazione (dialettalmente Barga) alla zona costiera a sud di Bengasi. Negli scrittori arabi si trova anche il nome Anṭābulus, dal greco Πεντάπολις.
L'incursione accennata fu seguita, a breve distanza di tempo, da un'altra spedizione che portò alla conquista di Tripoli (22 ègira, 643 d. C.), e poi da una serie di campagne che, pur in mezzo a logoranti resistenze e a frequenti ribellioni degl'indigeni Berberi, diedero all'impero arabo tutta l'Africa settentrionale e determinarono l'islamizzamento di questa. Così la Cirenaica, che sino allora era vissuta in pieno nelle civiltà mediterranee, fu attratta nell'orbita spirituale dell'oriente e in essa rimase anche politicamente per quasi 13 secoli. Dalla conquista fino a tutto il periodo della maggiore potenza dei califfi ‛Abbāsidi (v.), la regione, connessa con l'Egitto, fu in possesso del califfato, anche in qualche occasione in cui il resto della Berberia, come ad esempio dopo la battaglia di Tahūdah in Algeria, ove cadde lo stesso ‛Oqbah ibn Nāfi‛ (53 èg., 683 d. C.), sfuggì al dominio degli Arabi. In seguito, e cioè durante il sec. IX d. C., iniziandosi il decadimento e la scomposizione dell'impero musulmano, specialmente col formarsi d'una quantità di principati indipendenti o quasi indipendenti dal califfato, la Cirenaica subì tali nuove vicende e seguì le sorti dell'Egitto per la sua vicinanza e la sua antica connessione col suo governo. Quindi, a partire dall'ultimo quarto del sec. IX d. C., fu successivamente sottoposta (sebbene talvolta solo di nome) ai Ṭūlūnidi, agli Ikhshīdidi, ai Fātimidi, agli Ayyūbidi, ai Mammalucchi Baḥriti e ai Mammalucchi Burgiti. Infine, quando i Turchi ottomani conquistarono l'Egitto e la Tripolitania e stabilirono la loro supremazia sulla Tunisia e sull'Algeria (sec. XVI), entrò a far parte dell'impero ottomano.
Alcune fonti arabe, come Ibn Ḥawqal, al-Bakrī, al-Idrīsī, Ibn Khaldūn, ecc., parlano della Cirenaica dei primi secoli della conquista araba come di paese in cui si svolgevano (almeno in qualche punto) attivi traffici e fioriva l'agricoltura. Si attribuisce quindi comunemente all'invasione delle orde dei Beduini Benī Hilāl, e Benī Sulaim, che in tutta l'Africa settentrionale portò gravi sconvolgimenti, il decadimento della penisola. Ibn Khaldūn ricorda che il territorio di Barqah "è ora cambiato in un deserto per la rovina delle sue città e dei suoi villaggi" e che, mentre prima vi prosperava l'agricoltura, gli Arabi nomadi la devastarono tanto "che il paese fu cambiato in deserto". Occorre però tener presente che nelle altre regioni dell'Africa settentrionale, che pur subirono gli effetti dell'invasione hilāliana e altre vicende disastrose, si sviluppò tuttavia, coi germi delle antiche civiltà e col nuovo lievito portato dai conquistatori arabi, una notevole cultura musulmana di cui restano ampie tracce nella storia delle scienze e nell'architettura: così nel Marocco, in Algeria, in Tunisia, e nella Tripolitania. Per spiegare come la Cirenaica musulmana, di fronte a quella greco-romana, non sia stata che rovina e deserto, bisogna ammettere che lo spopolamento degli antichi centri coloniali fosse anche maggiore di quanto le fonti storiche presentano, e che le genti berbere della regione (Lawātah e altre), in confronto di quelle dell'ovest che fondarono in epoca antica e nel Medioevo parecchi stati con una loro cultura in parte originaria in parte importata, fossero assai più povere di doti spirituali, sicché, distrutti i centri greco-romani, siano ripiombate nella barbarie. Di più gli Arabi considerarono la Cirenaica come terra di passaggio, e probabilmente nulla fecero per rialzare le sorti di questa regione che, già notevolmente decaduta nonostante quanto risulterebbe dalle citate fonti arabe, fu ancor peggio ridotta dall'invasione hilāliana e dalle posteriori vicende. Durante il dominio turco, interrotto nel 1123 èg., 1711, dal sorgere della dinastia dei Caramanli (v.), e ristabilito il 1251 èg., 1835, solo le regioni costiere o più prossime alla costa dipendevano direttamente dalle autorità governative, mentre l'interno era in gran parte abbandonato a sé stesso. Tale stato di cose favorì nella seconda metà del sec. XIX e in quello attuale l'incremento della confraternita dei Senussi, che avevano costituito nell'interno della Cirenaica quasi un loro stato, infranto poi dall'occupazione italiana.
V. tavv. CIX-CXIV.
La guerra coloniale in Cirenaica. - Si rimanda alla voce italo-turca, guerra per quanto riguarda le operazioni militari in Cirenaica prima della pace di Losanna (18 ottobre 1912). Dopo la pace di Losanna l'opera di sottomissione della Cirenaica trovò, a causa della ostilità delle popolazioni, mantenuta viva dalla Senussia e dal comando turco, maggiori ostacoli che in Tripolitania anche perché la contiguità della Cirenaica all'Egitto permetteva ai musulmani d'oltre confine di alimentare la ribellione con un attivo contrabbando. Il governo italiano non si cullò nella speranza di risolvere la situazione con trattative, e quando giunse il momento opportuno, ritardato alquanto dalle preoccupazioni internazionali per gli avvenimenti balcanici, ordinò una vigorosa azione militare per muovere alla conquista dell'interno. Le forze nemiche, comandate da Enver bey e costituite in maggioranza da beduini inquadrati da soldati e ufficiali turchi, erano raccolte in tre grossi campi fronteggianti le tre basi da noi fino allora occupate: Bengasi, Derna e Tobruch. Il governo della Cirenaica decise di agire cominciando dalle due prime per procedere alla conquista dell'altipiano.
La conquista dell'altipiano. - Le operazioni ebbero inizio dalla base di Bengasi: dopo la battaglia delle Due Palme, questa piazza s'irradiava intorno alla città con una serie di forti e di ridotte per una fronte di circa 8 km. Il nemico era accampato a Benina, circa 12 km. più ad est. Il 13 aprile 1913 il generale D'Alessandro, comandante la 2ª divisione, prendeva d'assalto il campo di Benina, distruggendolo, e nei giorni seguenti, superata un'ulteriore resistenza nemica a er-Règima, salendo sul Gebel el-Achdar proseguiva nell'inseguimento dei turco-arabi verso est e il 26 raggiungeva l'importante nodo carovaniero di el-Abiàr. Il 29 aprile una colonna della stessa divisione, procedendo da el-Coefia lungo il litorale, occupava Tocra. Il 4 e 5 maggio la 2ª divisione prese contatto a Gerdes con la 4ª (Tassoni) che era frattanto sbarcata a Tolmeta e che il giorno 19 aveva occupato el-Merg; il gen. Tassoni rivolgendosi quindi verso sud-est e internandosi sull'altipiano, si spinse verso Sira e Slonta, sulla via di Derna (16-19 maggio). Ma l'azione sfortunata del 16 maggio a Sidi el-Garbàa, fermò l'avanzata vittoriosa del Tassoni, che fu costretto a cambiare obiettivo e a rivolgere la sua azione verso el-Ghegab, ove batté i ribelli il 19 maggio, e quindi su Cirene, donde raggiunse di nuovo il mare a Marsa Susa.
Sidi el-Garbàa ed Ettangi. - L'azione militare nel settore occidentale, magnificamente concepita ed eseguita dalle divisioni 2ª e 4ª, avrebbe potuto dare rilevanti vantaggi politici e territoriali e determinare forse una rapida sottomissione di tutto il Gebel el-Achdar se non fosse intervenuto l'insuccesso di Sidi el-Garbàa, nella zona di Derna. Ivi le truppe del gen. Mambretti, disposte su tre colonne, il 16 maggio 1913 uscirono dalle ridotte e puntarono verso Sidi el-Garbàa, in direzione del campo nemico di Ettangi. Il ciglione di Sidi el-Garbàa venne brillantemente conquistato dalla colonna centrale, ma la colonna di destra, separata da quella da un profondo uadi, venne improvvisamente accerchiata e messa in rotta, determinando la ritirata generale.
L'entusiasmo prodotto fra gli arabo-turchi da quella vittoria, attribuita alla presenza fra i combattenti del gran senusso Aḥmad ash-Sharīf, indusse costui a proclamare apertamente la guerra santa, mentre fino allora si era prudentemente guardato dal compromettersi. Ad attenuare i nefasti effetti dell'insuccesso fu decisa, da parte italiana, la distruzione del campo nemico di Ettangi. Il gen. Salsa, nuovo comandante della piazza di Derna, formò due forti colonne laterali collegate fra loro da una più piccola centrale; il 19 giugno il nemico fu costretto a ritirarsi e a sgombrare il campo di Ettangi, dopo aver distrutto i suoi magazzini.
La lotta contro la Senussia. - La vittoria di Ettangi, se infranse la barriera che stringeva Derna e permise il collegamento con la divisione Tassoni, non valse a frenare la nuova ondata di ardore bellicoso suscitata dall'intervento della Senussia; le tribù disposte a sottomettersi, o già sottomesse, ripresero le armi e la guerriglia infuriò dovunque rendendo precaria, per la difficoltà delle comunicazioni, la situazione dei presidî avanzati, soggetti a frequenti attacchi, fra i quali specialmente grave fu quello di es-Safsàf (1° luglio 1913). Questo stato di cose meritava una pronta reazione. I nuovi campi ove si erano raccolti i ribelli erano dislocati a Zauia el-Faidia, a S. di Cirene, e a Zàuiet Àsgafa, nella zona di el-Merg; a s. di Tobruch persisteva indisturbato il campo nemico di el-Mdàuar. Il primo fu sorpreso il 5 luglio dal gen. Tassoni e occupato; il secondo venne attaccato e disperso il 13 luglio dal col. Fioretti e il 29 successivo dal gen. D'Alessandro. Frattanto il gen. Salsa, imbarcate a Derna parte delle truppe, sbarcava a Tobruch e, col concorso di quel presidio, attaccava il 18 luglio e disperdeva il campo di el-Mdàuar. Nell'agosto poi il gen. D'Alessandro estendeva l'occupazione della zona di Bengasi verso S. occupando Solùch e Ghemines.
Sull'altipiano tuttavia il frazionamento dei ribelli in numerosi gruppi, la loro mobilità, l'estensione del territorio su cui erano disseminati, le difficoltà del terreno impervio facevano sì che alle nostre colonne non era possibile conseguire se non risultati parziali, per quanto brillanti; e i nemici, battuti da una parte, riapparivano da un'altra aggressivi e molesti. Nella zona di el-Merg essi si erano di nuovo raccolti nella conca di Tecnis, donde il 18 agosto tentarono un attacco contro el-Merg, senza successo. Il generale Torelli, comandante di quel presidio, il 15 settembre mosse contro i ribelli, li attaccò e il giorno dopo li disperse, cadendo eroicamente durante l'azione.
Nella zona di Cirene i dispersi di Zauia el-Faidia si erano trasferiti presso Sidi Ràfaa, minacciando le comunicazioni con el-Merg; il generale Vinai, succeduto al Tassoni, li assalì il 26 settembre e occupò il 27 il marabutto e la vicina Zauia el-Beda. Nella zona di Derna i dispersi di Ettangi si erano raccolti a Bu Scimàl intercettando le comunicazioni con Cirene. Il 6 ottobre il gen. Vinai piombò anche su quel campo e lo distrusse completamente. Con questo ciclo di operazioni vennero distrutti i campi organizzati dai Turchi, che rimpatriarono in gran parte attraverso l'Egitto; lo stesso Enver bey accorse in Turchia, impegnata nella guerra balcanica; venne così a mancare ai ribelli la direzione tecnica, ma il sopraggiungere della stagione invernale, limitando l'attività delle nostre truppe, permise alla Senussia di ricostituire bande armate e di concentrarle in nuovi campi per contrastare la nostra occupazione. Alla fine del 1913, assunto il governo della Cirenaica dal gen. Ameglio, questi si accinse al non lieve compito di pacificare la colonia. Nella regione di Cirene i ribelli si erano raccolti a Zauia el-Argùb ed a Slonta, località che vennero occupate dal gen. Cavaciocchi nella seconda metà di febbraio. Contemporaneamente nella regione di Bengasi due colonne, al comando del generale Ferri, rastrellarono la pianura fra il Gebel e il mare spingendosi fino a Zauia Msus, che fu distrutta. Le due colonne, una per via di terra, l'altra per mare si portarono quindi su Agedabia che il 16 venne rasa al suolo e poi abbandonata. Ma alla fine di marzo si rese manifesta la necessità di occuparla stabilmente poiché i ribelli vi erano ritornati, essendo quello l'unico luogo della regione provvisto di numerosi pozzi: il 15 aprile la località venne perciò occupata stabilmente dalle truppe del generale Cantore.
Alla metà di aprile i ribelli erano costretti a ritirarsi nel versante meridionale del Gebel centrale, di dove tuttavia non desistevano da attacchi improvvisi contro le carovane e contro i nostri presidî più avanzati, onde fu deciso di andarli a snidare nei loro nuovi rifugi: essi furono successivamente snidati e cacciati da Gasr Tecasìs (26 aprile), Zàueit en-Naiàn (27 aprile) e el-Lesga (30 aprile). Nel Sud bengasino una forte colonna al comando del gen. Cantore, dopo alcuni scontri, piombava il 7 luglio sulla Zauia el-Gtafìa cacciandone i ribelli, e il 18 disperdeva completamente il campo senussita di Saùnnu.
Alla metà del luglio tutti i principali campi ribelli della Cirenaica occidentale e centrale potevano dirsi distrutti e la resistenza ridotta a piccole azioni di brigantaggio, ma i dispersi elementi si erano andati in parte raccogliendo nella Cirenaica orientale, a el-Chaulàn, ed in Marmarica, nel Defna: due colonne, partite da el-Ghegab e da el-Gubba, puntarono su el-Caulàn ove si congiunsero cacciandone dopo vivo combattimento i ribelli. Nel Defna, situato presso l'incerto confine egiziano, non si volle agire per ragioni di opportunità, data la delicata situazione internazionale del momento. La pacificazione della Cirenaica era quindi a buon punto e la chiusura della frontiera orientale sarebbe stata forse decisiva per la cessazione delle ostilità, se gli avvenimenti mondiali non avessero arrestato la nostra opera.
Gli avvenimenti in Cirenaica durante la guerra mondiale. - La ribellione, alimentata incessantemente dal contrabbando, continuò pertanto attiva, se pure molto frazionata. Periodo di guerriglia dunque, dall'agosto del 1914 in poi (specialmente sull'altipiano centrale, ove si verificarono in gran numero piccoli fatti d'arme); alimentata anche dal fatto che i ribelli erano incoraggiati dalla notizia della dilagante rivolta in Tripolitania. Per prudenza, e in conseguenza del rimpatrio di parte delle forze, vennero sgombrati dagl'Italiani, nella seconda metà del 1915, alcuni dei presidî più esposti (Maraua, Slonta, Agedabia, Zuetina, Tecnis, el-Gsur, Ain Mara, el-Abiàr, Martuba). Il ripiegamento avvenne indisturbato, anche perché i senussiti, come si è detto, si erano concentrati presso la frontiera orientale, costituendo un campo presso Sollum donde ricevevano aiuti senza ostacoli da parte degl'Inglesi che, pur di tenersi amico il senusso Aḥmad ash-Sharīf, gli riconobbero anche potestà sovrana su alcuni territorî. Ma gli ufficiali turco-tedeschi, sbarcati dai sottomarini a Porto Bardia, riuscirono ciò nonostante a indurre il senusso ad attaccare gl'Inglesi per dar la mano alle forze turco-tedesche che dalla Palestina puntavano al canale di Suez.
Così al principio del 1916 i senussi attaccarono e presero Sollum e Matruh; ma la pronta reazione degl'Inglesi li ricacciò dall'Egitto. Dopo la sconfitta, il cugino di Aḥmad ash-Sharīf, Mohammed Idris, venne ad accordi (el-Àcroma, aprile 1917) secondo i quali s'impegnava a sospendere le ostilità e ad opporsi a un'avanzata dei Turco-Tedeschi da Misurata, ricevendo in compenso viveri ed armi. La Cirenaica rimase da allora, almeno in apparenza, tranquilla.
Gli avvenimenti del dopoguerra in Cirenaica. - Dopo la guerra, in conformità di quanto era stato fatto in Tripolitania, anche in Cirenaica fu concesso uno statuto, che la Senussia non accettò se non a prezzo di forti somme e di concessioni d'ogni genere, sanzionate nell'accordo di er-Règima del 25 ottobre 1920. Dopo un anno però la Senussia non aveva ancora ottemperato all'unica condizione a noi favorevole impostale dall'accordo, lo scioglimento dei campi armati; non vi era altra soluzione che romperla con la setta. Ma ciò non avvenne, e un nuovo sterile accordo sanzionò lo stato di fatto (Bu Màriam, ottobre 1921). Un ministro d'Italia si recò in quel tempo, insieme col governatore delle colonie, in pellegrinaggio alla tenda del Senusso (che poco prima, durante un suo viaggio in Italia, era stato accolto con onori principeschi alla capitale e altrove) e le popolazioni e la Senussia stessa interpretarono tali atti per debolezza. Strinsero pertanto legami coi capi ribelli tripolitani (che offrirono a Idrīs l'emirato anche su quella regione) e in base al piano concertato con questi cominciarono le aggressioni e gli atti di brigantaggio, prodromi di una rivolta generale. Tale era la situazione quando avvenne la marcia su Roma e l'assunzione del potere da parte dell'on. Mussolini.
La riconquista della colonia. - Uno dei capisaldi del programma del nuovo governo, tendente alla rinascita nazionale, era quello di ristabilire il prestigio della nazione e l'autorità dello stato là dove erano stati intaccati ed avviliti. In Cirenaica la via da seguire era chiara: annientare l'equivoco senussita e disperdere coloro che su di esso speculavano; e a ciò si accinse il nuovo ministro delle Colonie, on. Federzoni.
Posto a capo della colonia un governatore militare, il gen. Bongiovanni, nel marzo 1923 vennero occupati di sorpresa i campi armati senussiti (el-Àcroma, el-Mechili, el-Chaulàn, Slonta, Tecnis, el-Abiàr) ed il 21 aprile, comprovata la connivenza di Idrīs (che frattanto era fuggito in Egitto) coi ribelli tripolitani, furono dichiarati decaduti tutti i precedenti accordi fra il governo e la confraternita e ordinata la rioccupazione di Agedabia, capitale dell'emirato, ove i senussi si erano affrettati a raccogliere le sparse forze. Il 21 aprile le nostre truppe, avanzando su più colonne, conversero su Agedabia, che fu occupata, per quanto i ribelli riuscissero a sfuggire alla stretta dileguandosi in varie direzioni. Nei giorni che seguirono si fecero ricognizioni a largo raggio in tutto il territorio meridionale e sud-occidentale; sventuratamente, per la mancanza della più elementare prudenza, a Bir Bilàl e a Marsa el-Brega, due nostri distaccamenti furono sorpresi e annientati dai ribelli.
Le operazioni sull'altipiano. - Questi due episodî sfavorevoli ebbero una ripercussione dannosa; fra il 22 agosto e il 5 settembre, si svolse nella sirtica orientale una serie di azioni tendenti a ristabilire la situazione; ma i ribelli, per la difficoltà di mantenersi a lungo in quella zona, in parte si trasferirono nella regione meridionale del Gebel ove i capi dei ribelli e particolarmente ‛Omar el-Mukhtār, contavano di giovarsi dell'appoggio di quelle popolazioni, che meno facilmente noi avremmo potuto sostenere o punire a causa del vasto frazionamento di esse; si ebbero infatti in quella regione defezioni di cabile già sottomesse e frequenti molestie da parte dei campi ribelli che si erano intanto ricostituiti e ricominciò la guerriglia in condizioni analoghe a quelle accennate relativamente agli anni 1913 e 1914. Fu così iniziata la dura campagna di repressione consistente nel rastrellamento sistematico della parte più impervia dell'altipiano (territorio degli Auaghìr, degli Abìd e dei Bràasa). Le operazioni, condotte regolarmente ogni anno nella stagione più propizia, localizzarono la resistenza dei ribelli in talune zone dell'altipiano centrale, tanto che non ne furono ostacolate le operazioni nelle Sirte per la sutura della Cirenaica con la Tripolitania e quelle per l'occupazione dei territorî del Sud fino al 29° parallelo (1928-29) di cui è detto più avanti. Nel giugno 1929 i ribelli del Gebel, ridotti a mal partito, ricorsero ancora una volta all'adusata farsa della pseudo-sottomissione; ancora una volta le autorità italiane benignamente abboccarono; ma per fortuna il giuoco durò poco: alla resa dei conti, la consegna delle armi, il trucco fu presto smascherato e la lotta energicamente ripresa (novembre 1929). Al principio del 1930 il nuovo vice-governatore della Cirenaica, gen. Graziani, iniziò l'attuazione d'un programma di grandi misure politico-militari per estirpare la ribellione dalle radici: alla fine di maggio vennero soppresse le zavie senussite, centri di propaganda, di organizzazione e d'appoggio morale e materiale della dissidenza, confiscandone i vasti terreni annessi. Nel mese di settembre poi, tutte le cabile nomadi dell'altipiano vennero costrette a sloggiare coi loro armenti e vennero raccolte in campi di concentramento predisposti lungo la costa, in modo da isolare gli armati ribelli e privarli delle principali fonti di rifornimento di viveri e di munizioni, sopprimendo nello stesso tempo ogni possibilità di equivoco fra sottomessi e dissidenti e il vecchio giuoco delle sottomissioni fluttuanti. L'energica opera del gen. Graziani non mancherà di produrre a non lunga scadenza il risultato atteso: la pacificazione definitiva della più promettente fra le nostre colonie.
Le operazioni alla frontiera orientale e l'occupazione di Giarabub. - La sistemazione della frontiera orientale venne iniziata nel 1924 con provvedimenti intesi a impedire il contrabbando proveniente dall'Egitto a favore dei ribelli, sia occupando materialmente talune località presso la frontiera stessa, sia intensificando il servizio di sorveglianza, sia svolgendo trattative diplomatiche con l'Egitto per la definizione del confine; conclusesi queste col trattato del 6 dicembre 1925, che ci riconosceva il possesso dell'oasi di Giarabub, questa veniva occupata stabilmente nel febbraio 1926 da una forte colonna partita da Porto Bardia.
Le operazioni nelle Sirti e l'occupazione delle oasi del 29° parallelo. La sutura della Cirenaica con la Tripolitania mediante l'occupazione della vasta regione sirtica appariva necessaria per armonizzare fra loro le operazioni di pacificazione delle due colonie, fino allora condotte in modo indipendente in ciascuna di esse, e talvolta con criterî non concomitanti; inconveniente del quale avevamo già subite le conseguenze in passato, in quanto era stato causa non ultima dell'abbandono del Fezzan.
Le operazioni, deliberate nel dicembre 1926, furono effettuate dal gennaio al maggio 1928: il disegno operativo comprendeva, in un primo tempo, le operazioni per l'occupazione della catena delle oasi esistenti sul 29° parallelo nord (Giofra, Zella, Marada, Augila, Gialo); poi le operazioni per effettuare, lungo l'arco sirtico, la sutura fra le due colonie e concludere col consolidamento del nostro effettivo dominio politico-militare in tutti i territorî a settentrione del 29° parallelo nord. La sorpresa di er-Rahèiba (primavera del 1927) e il contegno preoccupante dei Mogarba Raedàt, ribelli residenti nel tratto settentrionale della vasta zona da sottomettere, indussero a invertire l'ordine di successione delle operazioni, concetto più prudente di quello precedente, ma meno redditizio giacché lasciava alle formazioni avversarie ampia libertà di accettare o di rifiutare il combattimento e comunque di ripiegare verso il sud, sottraendosi facilmente al nostro inseguimento.
Alla fine di dicembre 1927 le truppe della Tripolitania erano radunate alla base di Bueràt el-Hsun; quelle della Cirenaica, divise in due colonne, una ad Agedabia e l'altra a el-Agheila. Il 1° gennaio 1928 veniva dichiarato dai due governi lo stato di guerra e le colonne dei due corpi muovevano ai loro primi obiettivi sotto il comando del gen. di divisione Cicconetti. Le operazioni di sutura fra le due colonie si svolsero in due fasi; la prima terminò la sera del 13 gennaio con la congiunzione a Merduma delle truppe delle due colonie; contemporaneamente cessava il comando unico. Nella seconda fase fu effettuato dalle truppe della Cirenaica il disarmo dei Mogarba e il rastrellamento del territorio compreso fra i meridiani di el-Agheila e di Agedabia (25 gennaio-5 febbraio). Vennero quindi iniziate le operazioni di secondo tempo; mentre le truppe della Tripolitania, al comando del gen. Graziani, occupavano le oasi della Giofra (12-14 febbraio) e di Zella e, battuti i ribelli a Tagrift (25 febbraio), raggiungevano il 3 marzo en-Nofilia, in Cirenaica le truppe, muovendo da el-Hasciàt il 18 febbraio su due colonne, al comando del gen. Mezzetti, raggiungevano Gasr es-Sahabi, donde il 21 ripartivano per Augila che occupavano il 24. Il 25 veniva occupata Gialo, il 26 el-Aseila, mentre il 28 uno squadrone meharisti, partito il 20 febbraio da Giarabub, giungeva a Gialo. Il 10 marzo le truppe del generale Mezzetti muovevano da Augila in direzione dell'oasi di Marada che occupavano la mattina del 18 marzo. Stabilito nei giorni successivi il collegamento, a mezzo di autocolonne fra Marada ed el-Agheila apparve opportuno anche effettuare la saldatura fra la occupazione di Marada e quella di Sella, e rastrellare il territorio della regione sirtica centrale e occidentale, completando così il disegno generale delle operazioni; il 4 maggio, a malgrado della stagione avanzata, truppe delle due colonie al comando del gen. Mezzetti, formate su cinque colonne, rastrellarono fra il 4 e il 16 maggio la regione sirtica centrale e orientale, mentre dal 17 al 30 maggio colonne delle truppe tripolitane rastrellavano la Sirtica occidentale ed occupavano stabilmente Tagrift.
Le operazioni per l'occupazione dei territorî a nord del 29° parallelo erano un notevole passo avanti nell'occupazione integrale di tutto il territorio libico fino agli estremi confini, condizione sine qua non perché la Libia potesse dirsi veramente dominata e pacificata. Infatti nel 1930 le truppe della Tripolitania riconquistarono completamente i territorî del Fezzan, e il 24 gennaio 1931 è stata definitivamente occupata l'oasi di Cufra.
Bibl.: A. Gaibi, Manuale di storia politico-militare delle Colonie italiane, Roma 1928; G. Mondaini, Manuale di storia e legislazione coloniale del Regno d'Italia, I, Roma 1927; Rivista Coloniale, Roma 1924-27; O. Ralz, Le operazioni libiche sul 29° parallelo Nord, Roma 1928.