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CIRENAICA

di Ettore ANCHIERI - Pietro ROMANELLI - Enciclopedia Italiana - II Appendice (1948)
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CIRENAICA (X, p. 425)

Ettore ANCHIERI
Pietro ROMANELLI

Divenuta, il 9 gennaio 1939, parte integrante del territorio italiano, fu travolta dallo scoppio della seconda Guerra mondiale, quando appena cominciavano a farsi sentire i benefici della colonizzazione italiana (la cui realizzazione più importante era stata la costruzione quasi ultimata dell'acquedotto del Gebel, poi andato distrutto nel corso delle operazioni).

Dal 1940 al 1942 la Cirenaica è stata campo di battaglia più volte percorso, in opposte direzioni, dalle forze italo-tedesche e dagli Alleati. Occupata una prima volta dagl'Inglesi nel gennaio-febbraio 1941, ripresa dagli Italo-Tedeschi nella primavera dello stesso anno, riperduta nel dicembre 1941-gennaio 1942, riguadagnata un'ultima volta nel febbraio 1942 (per i particolari v. africa: Guerra, in questa App.) la Cirenaica con la successiva controffensiva britannica, nel novembre-dicembre 1942, veniva definitivamente occupata dagli Alleati. Con il 1943 veniva istituita sul suo territorio un'amministrazione militare britannica, la quale si trovò immediatamente a dover risolvere gravi problemi dovuti alla paralizzata economia del paese, alle distruzioni causate dalla guerra ed alla evacuazione pressoché totale dei coloni italiani trasferitisi in Tripolitania per timore di rappresaglie da parte degl'indigeni.

È da notare come, pur dipendendo entrambe da un unico potere centrale, le amministrazioni militari della Gran Bretagna in Tripolitania e in Cirenaica (v. anche libia, in questa App.) presentino notevoli differenze: dove, ad esempio, in Tripolitania la moneta d'uso è la lira italiana, in Cirenaica è la piastra egiziana; e mentre in Tripolitania il codice penale italiano è ancora in vigore, nella Cirenaica la giustizia è regolata in base a proclami straordinarî. Ciò sta a dimostrare una maggior cura per l'indipendenza della popolazione cirenaica.

La confraternita senussita, che la campagna italiana del 1930-31 aveva praticamente estirpato dalla Cirenaica, visse infatti in esilio con suoi capi (in primo luogo sáied Muḥammad Idrīs as-Sunūsī) e numerosi gregarî fuorusciti, sino al 1940. Scoppiata la guerra tra l'Italia e la Gran Bretagna, Idrīs prese contatto con le autorità britanniche d'Egitto e d'intesa con queste organizzò un corpo speciale di milizie ausiliarie senussite, che, come ebbe a dichiarare A. Eden ai Comuni l'8 gennaio 1942, resero notevoli servigi nelle campagne libiche e del Deserto Occidentale del 1940-41. Nella prima occupazione britannica della Cirenaica, Idrīs rivolgeva un messaggio a quelle popolazioni esaltando la liberazione del paese dalla occupazione italiana. Nella stessa dichiarazione del gennaio 1942 Eden annunciava la decisione del Governo britannico, impegnatosi con i Senussi a che "in nessun caso dopo la guerra essi ricadessero sotto la dominazione italiana". Questa dichiarazione - successivamente confermata dal ministro degli Esteri E. Bevin - è stata il caposaldo di tutto il posteriore atteggiamento della Gran Bretagna per quanto riguarda la Cirenaica, vincolata a priori a una esclusione del ritorno dell'Italia su quel territorio. Il sáied Idrīs, considerantesi virtualmente rappresentante degli Arabi cirenaici, chiese nel 1946 di entrare a far parte in tale qualità della Lega Araba; e benché tale domanda non abbia sinora avuto seguito, la Lega stessa si è solennemente pronunciata per il ritorno della Cirenaica alla Senussia, entro un generale piano di indipendenza di tutta la Libia. La forma di questo progettato ritorno della Cirenaica ai Senussi non è stata però ancora definita. Sulla Cirenaica è stata anche avanzata da parte dell'Egitto una richiesta di modifica di frontiera sul litorale, nella zona di Bardia, e per l'oasi di Giarabub. Ma la sorte definitiva della Cirenaica, legata alla sistemazione della questione coloniale italiana, non è stata ancora (ottobre 1948) decisa.

Archeologia (X, p. 425).

L'esplorazione archeologica ha continuato regolarmente in Cirenaica fino a che gli eventi bellici l'hanno consentito, recando nuovi contributi alla conoscenza della storia e dell'arte della regione. Da Cirene (v. X, p. 435), dove ha lavorato soprattutto la missione di cui hanno fatto parte successivamente C. Anti, I. Gismondi, G. Oliverio, L. Pernier, l'esplorazione si è allargata dopo il 1935 a Tolemaide, dove hanno scavato G. Caputo, E. Paribeni e G. Pesce. Non è mancata, inoltre, qualche scoperta fortuita fuori dei maggiori centri monumentali, e per la prima volta altresì è stato affrontato il campo della preistoria, in cui per l'innanzi si erano avuti soltanto rinvenimenti sporadici e di superficie, di valore scientifico molto limitato. La guerra, dai cui pericoli erano state sottratte tempestivamente le opere d'arte mobili, trasferite in Tripolitania o in Italia, non ha fortunatamente arrecato danni notevoli ai monumenti né di Cirene né delle altre città antiche, ma solo qualche dispersione di oggetti di secondaria importanza in talune delle collezioni antiquarie minori.

Sul Gebel bengasino C. Petrocchi ha esplorato stratigraficamente la grotta di Hàgft et-Téra, rilevandone materiale del paleolitico medio negli strati più bassi e superiore in quelli più alti: i resti di animali associati testimoniano il passaggio da un periodo di clima asciutto ad altro di maggiore piovosità. La limitata ampiezza dell'esplorazione e la mancanza di confronti con altre località della regione rendono per ora arrischiata qualsiasi definizione della cultura riconosciuta e i suoi eventuali rapporti con le altre culture coeve africane ed euro-africane, con le quali tuttavia presenta innegabili elementi di parentela.

L. Di Caporiacco e P. Graziosi hanno condotto un accurato lavoro di rilevamento e di studio delle incisioni e delle pitture rupestri del massiccio di el-Auenàt: le prime (soprattutto a Càrcur Talàh) presentano sia figure di animali selvaggi, probabilmente le più antiche, sia figure di uomini e animali domestici; le altre (‛Ain Dòua) bovini, uomini armati di arco, capanne. Evidenti sono i rapporti sia con l'arte della Spagna orientale, sia con quella dei Boscimani dell'Africa meridionale. D'altro lato il problema cronologico ed etnico di queste manifestazioni artistiche va messo in relazione con quello delle altre manifestazioni analoghe recentemente pure rilevate in gran parte sia nel Fezzan, sia nel sud-algerino.

A Cirene l'ampliamento delle esplorazioni nell'area fra la spianata del santuario e la parete di roccia da cui sgorga la fonte di Apollo, nonché verso l'accesso del santuario da levante, ha messo in luce un importante complesso monumentale in stretta relazione con la fonte, e quello che era l'ingresso dell'area sacra in età preromana. Questo era costituito da un propileo a quattro colonne doriche, analogo a quello di età romana, ma situato alquanto più ad oriente: la riduzione dell'area del santuario deve essere verosimilmente posta in relazione con la costruzione delle terme, che una iscrizione fa adesso risalire a Traiano (98 d. C.). Una strada metteva ai propilei preromani e un'altra, poco più a sud, tagliata nella roccia (la cosiddetta strada di Batto), conduceva direttamente alla fonte. Tutta la roccia avanti e ai lati di questa, mostra un singolare complesso di bacini, nicchie, vaschette, mentre altre vasche sono nell'area triangolare compresa tra la parete rocciosa e il muro di delimitazione del santuario, e più ad oriente: è tutto un complesso, parte di carattere strettamente sacro, parte anche utilitario, alimentato, pare, da un'acqua indipendente da quella della fonte sacra; un'epigrafe ricorda l'opera del proconsole C. Clodio Vestale, del tempo di Augusto, e l'epiteto di Augusta dato all'acqua.

Ulteriori precisazioni si sono avute, mercé le nuove ricerche, intorno a tutti gli edifici maggiori e minori del santuario; del teatro si è riconosciuto che in età romana, forse nel III sec. d. C., fu adattato ad anfiteatro, riducendo la cavea delle gradinate più basse ed ampliando, ad un piano superiore dell'originario, l'orchestra in modo da trasformarla in arena di forma ellittica.

Nel quartiere dell'agorà l'esplorazione ha mosso da questa verso sud-est, in direzione del recinto rettangolare cui si dava il nome di Cesareo. A destra della strada, che lungo il suo lato settentrionale era in età romana decorata di figure di cariatidi su piedistalli, è stata messa in luce una grande casa, adorna di mosaici (uno dei quali ha nel centro, dentro un'ampia spirale a treccia, la figura di Anfitrite su cavallo marino, e agli angoli le quattro stagioni), che un'iscrizione prova avere appartenuto a Tib. Claudio Giasone Magno, sacerdote di Apollo della fine del II sec. d. C. Più in là si ha, ancora a destra, un piccolo teatro, forse del III sec. d. C., e a sinistra il cosiddetto Cesareo. Di esso non si conosceva finora, e imperfettamente, che la linea generale di contorno. Lo scavo ha rivelato trattarsi di un vasto e grandioso complesso che copre un'area di circa 7800 mq. Esso è costituito da un recinto o piazza quadrangolare (m. 82,50 × 94,50) chiusa esternamente da un muro, cui si addossa all'interno un portico a colonne doriche: due propilei, di quattro colonne ciascuno, davano accesso al recinto, uno sul lato orientale, l'altro su quello di mezzogiorno: sul primo un'iscrizione ricorda la restituzione dell'edificio da parte di M. Sufenas Proculus, personaggio già noto del tempo di Tiberio; sul secondo era l'epigrafe tarda che ha dato il nome dell'edificio: [p]orticus C[ae]saris. Nel mezzo dell'area recinta è un piccolo tempio, che taluno suppone dedicato a Bacco, ma che più probabilmente si deve pensare sacro al culto imperiale; addossata invece al lato lungo di nord-est è un'aula absidata di forma e carattere basilicale: è dubbio se essa sia tutta, nel suo aspetto attuale, coeva al recinto. Il quale, per aver subìto restauri già al tempo di Tiberio, deve essere certamente anteriore a questo: può essere che debba riportarsi all'età di Augusto e sia sorto come centro religioso e civile della provincia romana. È comunque singolare la sua pianta, che prelude a quella del Foro Traiano di Roma: lo stile architettonico e il gusto della decorazione sono ancora quelli dell'età ellenistica. Dell'edificio sono stati rialzati lunghi tratti del muro perimetrale e del portico interno, nonché i propilei d'accesso. Obliqua ad esso, verso nord-ovest, è un'altra piccola sala teatrale di età romana.

Altro edificio fatto oggetto di ricerche è il cosiddetto "grande tempio" sulla collina orientale: è ormai riconosciuto con sicurezza che esso era dedicato a Zeus Olimpio, come del resto i rinvenimenti della famosa testa e di un'epigrafe dedicatoria di età romana facevano già supporre. Esso era notevole per le sue dimensioni (m. 69,65 × 31,80), che lo avvicinano, più che ai templi della Grecia propria, a quelli dell'Asia Minore e della Sicilia; aveva otto colonne di m. 8, 94 di alt. sui lati minori e 17 sui lati lunghi; l'ordine era, come di solito, il dorico: fu probabilmente costruito nel secondo venticinquennio del V sec. a. C., ma, come tutti gli altri edifici della città, restaurato dopo la rivolta giudaica dall'architetto Aurelio Rufo.

Dei risultati degli scavi eseguiti a Tolemaide, a quanto detto in XXXIII, p. 796, si può solo aggiungere la notizia della scoperta a nord-est dell'agorà di una grande e ricca casa, con due peristilî, esedre e ambienti decorati di mosaici e pitture, che, per le analogie che dimostra con le case di Delo e le più antiche di Pompei, si può attribuire, nella sua costruzione iniziale, ad età ellenistica (II-I sec. a. C.): essa continuò tuttavia ad essere abitata in età romana. Sono stati pubblicati da G. Caputo i bassorilievi con le Menadi orgiastiche, copie di una creazione attribuita a Callimaco.

Pochi saggi iniziati a Teuchira hanno fatto riconoscere tratti del reticolato stradale, case di tarda età e resti di due basiliche cristiane; durante la guerra furono aperte alcune tombe.

Tra le scoperte fortuite si ricorda quella della grotta di Asgfa sul Gebel, nella quale sono conservate pitture con scene di guerrieri in lotta in mezzo ad un ricco e complesso intreccio di elementi vegetali: trattasi di opera piuttosto tarda (fine III sec. d. C.).

Bibl.: Per le scoperte più recenti: Guida della Libia del TCI, Milano 1937; Arch. Anz., 1938, col. 730 segg.; 1941, col. 207 segg. Per la preistoria: C. Petrocchi, Ricerche preistoriche in Cirenaica, in Africa Italiana, VII (1940), p. i segg.; L. Di Caporiacco e P. Graziosi, Le pitture rupestri di Ain Dona (el-Auenat), Firenze 1934. Per l'età classica: Docum. ant. dell'Africa Italiana - Cirenaica; vol. I e II; G. Oliverio, La stele di Tolomeo Neóteros re di Cirene, Bergamo 1932; id., I conti dei demiurgi, ivi 1933; id., La stele dei nuovi comandamenti e dei cereali, ivi, 1933; id., Il decreto di Anastasio I su l'ordinamento politico-militare della Cirenaica, ivi 1936 (i singoli volumi contengono, oltre al testo principale che dà loro il titolo anche molte altre iscrizioni della regione); L. Pernier, Il tempio e l'altare di Apollo a Cirene, Bergamo 1935; L. Vitali, Fonti per la storia della religione cirenaica, Padova 1932; F. De Visscher, Les édits d'Auguste découverts à Cyrene, Lovanio-Parigi 1940; P. Romanelli, La Cirenaica romana, Verbania 1943. Nella stessa collezione della Storia della Libia, di cui fa parte questo volume, è stata ristampata nel 1940 l'opera classica di J. P. Thrige, Res Cyrenensium, con trad. di S. Ferri; G. Caputo, Lo scultore del grande bassorilievo con la danza delle Menadi in Tolemaide di Cirenaica, Roma 1948; G. Pesce, Il grande tempio in Cirene, in corso di pubblicazione nel Bull. Corr. Hell.

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