MINERVINI, Ciro Saverio (Minervino)
– Nacque a Molfetta il 17 ag. 1734 da Ignazio e Annamaria Tottola. Dei suoi primi anni di vita si hanno poche ma precise notizie. Alla sua nascita, i Minervini, di origine nobiliare, avevano cinque figli: Vito, il primogenito, Olimpia, Corrado, Santa e Vittoria. Le consuetudini familiari destinarono il giovane M. al percorso della carriera ecclesiastica, verosimilmente considerata come la via più agevole per accedere agli studi superiori e a una professione intellettuale. Il M. fu istruito presso il seminario dei padri gesuiti di Molfetta, dove rimase all’incirca fino all’età di venti anni studiando teologia, filosofia, lettere, scienze e canto gregoriano. Nel medesimo istituto egli maturò la vocazione religiosa e prese gli ordini sacri. Incoraggiato dallo zio materno, don Mauro Giuseppe Tottola – all’epoca primicerio della cattedrale di Molfetta – nel 1755 il M., probabilmente anche dietro consiglio del vescovo C. Orlandi, si trasferì a Roma per completare gli studi e uscire dal ristretto ambiente pugliese.
Il soggiorno romano, durato quasi sette anni, rappresentò per l’abate M. un cruciale momento di crescita intellettuale e personale. A Roma egli ampliò la propria formazione giuridica conseguendo la laurea in utroque iure, si dedicò allo studio delle lingue e della storia naturale e collaborò con autorevoli rappresentanti della società civile e religiosa che gli consentirono d’intessere numerose amicizie. Frequentando alcuni esponenti dell’intellettualità romana entrò a fare parte del circolo culturale presieduto dal cardinale M. Spinelli e da monsignor A. Cesarini; al cospetto del loro cenacolo egli avrebbe recitato «varie sue dissertazioni» (Soria, 1782, p. 426).
Poco più che ventenne, il M. cominciò a Roma anche l’esercizio della professione legale, fu segretario di Rota e assistente di monsignor D. Giordani, all’epoca patriarca di Antiochia e vicegerente di Roma. Grazie a questi uffici strinse prestigiose relazioni con diversi porporati; fra le più importanti vi fu quella con il cardinale G.V. Ganganelli, il quale, anche dopo l’ascesa al soglio pontificio con il nome di Clemente XIV, «proseguì a contestargli benignamente e più volte la sua [amicizia] per lo canale del nominato vicegerente Giordani» (Soria, 1782, p. 426). Rapporti amicali ebbe anche con Stefano Borgia, segretario di Propaganda Fide.
Assai incline agli studi, il M. trovò a Roma una città ricca di opportunità e stimoli culturali, che non sempre però poté soddisfare; fu lui stesso, in una sua opera del 1765 – Memoria pel ceto dei secolari della città di Molfetta (Napoli) – a esprimere il rammarico per non aver potuto consultare presso la Biblioteca apostolica Vaticana il codice greco e quello latino della costituzione federiciana De rebus stabilibus Ecclesiis non alienandis.
Nel 1761 il M., per motivi non chiari, si trasferì a Napoli dove indubbiamente poteva seguire con maggiore attenzione i «domestici affari» (Soria, 1782, p. 426) senza dovere rinunciare all’approfondimento degli studi. Forse non fu estraneo alla sua decisione il pensiero di poter meglio intercedere presso le autorità del Regno per soddisfare gli interessi della sua città natale e dei suoi concittadini: come è documentato da alcuni studi, a Napoli il M. sollecitò con premura l’assegnazione di contributi in denaro per migliorare le strutture del seminario di Molfetta, riadattarne il refettorio e la biblioteca e riordinarne il museo. L’incontro con il fervore intellettuale partenopeo della seconda metà del Settecento gli permise di raggiungere una piena maturità culturale e scientifica. Aperto a un concetto di riformismo monarchico mosso da necessità giuridiche, culturali e morali, inizialmente il M. concentrò i suoi studi soprattutto sul sistema economico-ecclesiologico, argomentando contro l’acquisizione dei beni materiali da parte della Chiesa. Con un metodo di ricerca storico-statistico e con il supporto di un’ampia cultura giuridica – d’altronde comune agli economisti napoletani dell’epoca – condensò questi suoi studi in due importanti opere del 1765: la citata Memoria pel ceto dei secolari della città di Molfetta e il Della natura laicale dei pretesi benefizi chiesastici della città di Molfetta (Napoli). Le idee e le elaborazioni concettuali espresse nei volumi chiarivano le sue posizioni giurisdizionaliste, procurandogli plausi e notorietà dentro e fuori il Regno: Bernardo Tanucci lo ebbe nella schiera dei suoi collaboratori per la lotta anticurialistica; Antonio Genovesi lodò la sua metodologia d’indagine; il marchese Léon Guillaume du Tillot, ministro del Ducato di Parma, a tre anni dalla pubblicazione delle opere, gli offrì la cattedra di diritto pubblico dell’Università ducale, alla quale, tuttavia, il M. preferì rinunciare.
La questione dei benefici ecclesiastici non fu l’unico argomento ad attrarre la sua attenzione. Con passione e rigore scientifico, egli condusse studi di storia dell’agricoltura, di geografia, numismatica e mineralogia. La varietà dei campi d’indagine rifletteva la sua vivacità intellettuale; le ricerche, condotte sempre con lodevoli risultati, contribuivano a renderlo uno dei protagonisti più attivi della cultura partenopea del tempo e a inserirlo nel novero degli studiosi più apprezzati del Regno. Nel 1775, la sua Illustrazione d’un soldo d’oro longobardico coniato in Firenze (Napoli) riscosse particolare plauso, tanto che gli fu accordato l’onore di potere dedicare il manoscritto al re; nel 1778, l’opuscolo Dell’etimologia del Monte Volture. Lettera al signor abate d. Domenico Tata (ibid.) – anticipazione del Saggio della religione dei pagani e delle loro favole sacerdotali, in realtà non pubblicato – lo rese noto anche ai più insigni cultori di lettere. Con l’opera sul Monte Volture, peraltro, il M. dava seguito a una serie di studi filologici e geografici – inaugurati nel 1768 con l’Origine e corso del fiume Meandro (Napoli) – volti a provare, tra le altre cose, l’identità di una storia italiana e, per tale motivo, poi apprezzati da V. Cuoco (Rizzo, 2005, p. 452; Ferreri, 2007, p. 264).
Come era accaduto a Roma, anche a Napoli lo spessore scientifico e la stima guadagnata presso i settori più influenti dell’intellettualità cittadina consentirono al M. di ottenere importanti incarichi e funzioni. Dal 1773 al 1779 lavorò al fianco di Matteo Scalfati e Francesco Conforti nel collegio della Nunziatella, ricoprendo la carica di vicedirettore e occupandosi degli insegnamenti di storia sacra e profana, di cronologia e geografia. Quando, nel 1779, si volle dare all’istituto una diversa regolamentazione, il M. lasciò tali cariche, suggerendo comunque alcune linee statutarie per il nuovo ordinamento. Nello stesso anno fu iscritto fra i trenta soci pensionisti della neoistituita Reale Accademia delle scienze e belle lettere di Napoli per la sezione della storia medievale; in tale veste si adoperò negli anni successivi per migliorare le competenze e le professionalità dell’istituto e sottrarlo alle eccessive ingerenze del potere politico (Chiosi, 1992, pp. 135 s.). Al cospetto della stessa Accademia il 7 maggio 1781 lesse la sua Dissertazione circa l’origine dei Goti (ora pubblicato in L. Sada, I beni di S. Maria di Banzi in Molfetta in un memoriale inedito di C.S. M. a Bernardo Tanucci nel 1766, in Studi di storia pugliese in onore di Giuseppe Chiarelli, Galatina 1976, pp. 139-157) e, l’anno seguente, lo scritto Indagini e considerazioni sulle correnti del mare Adriatico.
Tra il 1780 e il 1781 lo status di socio pensionista fu accordato al M. pure dall’Accademia di Fossano, in Piemonte, e da quella dei Fisiocritici di Siena, a ulteriore conferma della considerazione ch’egli riscuoteva ormai anche fuori dal Regno. Gli incarichi ottenuti e i vari riconoscimenti, benché accompagnati da una rendita annua di circa 600 ducati – proveniente da alcuni oliveti di proprietà, siti in località S. Martino, nel suo paese d’origine – non evitarono al M. periodi di difficoltà economiche.
Nella corrispondenza con l’amico Giuseppe Ciaccheri, sacerdote e bibliotecario de La Sapienza di Siena, nel 1782 il M. lamentò una situazione di ristrettezza finanziaria, aggravata dalla responsabilità di dover provvedere al mantenimento della famiglia, composta da una sua sorella e dai suoi figli (Luise, 2001, p. 256). Sempre al Ciaccheri, nel 1786, confessò di aver messo momentaneamente da parte i suoi studi per lavorare come «paglietta» e «aspergersi di polvere forense […] per tirare innanzi un nipote» (ibid., p. 257). Neppure i momenti di difficoltà economica, tuttavia, gli impedirono di accrescere con continuità la sua collezione di archeologia, geologia e storia naturale, e soprattutto di ingrandire la propria biblioteca, ricca di numerosi manoscritti, molti dei quali poi ceduti al concittadino Giuseppe Maria Giovene e successivamente donati al seminario di Molfetta.
L’entusiasmo con cui il M. arricchiva la propria raccolta di volumi e di oggetti da collezione rifletteva l’avidità con cui egli ricercava informazioni storiche, letterarie, artistiche e naturalistiche. Tale passione lo indusse ad ampliare sempre più la cerchia dei propri conoscenti, cercando chi condividesse i suoi desideri letterari e scientifici e scambiando spesso con essi articoli e doni librari. Dalla capitale coltivò le relazioni con la schiera dei pensatori riformisti, a cui d’altronde apparteneva, e influì non poco sulla formazione dei suoi concittadini o conterranei che giungevano a Napoli per approfondire i loro studi. Tra gli altri, ebbe come discepoli i molfettesi Giovene, naturalista e storico, e Giuseppe Saverio Poli, fisico; profondi furono anche i suoi contatti con il filosofo e botanico Vitangelo Bisceglia di Terlizzi e con il vescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro. Al pari di questi e di altri letterati e uomini di scienza, il M. era l’esempio del contributo di intelligenze che le province offrivano alla capitale e al Regno; intelligenze impegnate a promuovere o, all’inverso, contrastare i mutamenti del loro tempo, ma in ogni caso chiamate a fare i conti con gli scenari aperti dalla Rivoluzione francese e dai suoi echi europei. Pur vivendo appartato le vicende del 1799, il M. non si sottrasse a tali confronti. Nelle concitate fasi che precedettero e seguirono la proclamazione della Repubblica napoletana, rimase sempre a Napoli, conservando la propria fedeltà verso lo Stato monarchico e il governo dei Borbone ma riuscendo, malgrado ciò, a evitare persecuzioni e angherie. Le vicende di quella stagione non mutarono i suoi convincimenti, orientati verso una politica di riforme emanata dall’alto e non conquistata dal basso con misure radicali. Ancorato a tale idea, il M. attese fiducioso la caduta della Repubblica e il ritorno al trono di Ferdinando IV; successivamente, per celebrare la restaurazione del sovrano e manifestargli la sua rinnovata accoglienza, ideò una medaglia – conservata presso il Museo di San Martino a Napoli. Un altro medaglione lo aveva ideato già nel 1797, in occasione delle nozze del principe ereditario Francesco di Borbone con l’arciduchessa d’Austria Maria Clementina.
Ormai settantenne, nel 1804 M. entrò a fare parte di una giunta della Reale Biblioteca di Napoli, incaricata di sovrintendere all’ordinamento dell’istituto e del suo governo (Guerrieri, 1974, p. 15). Fu questo l’ultimo suo incarico: il M. morì il 21 maggio 1805 a Napoli.
Opere. La produzione del M. fu ampia e di varia natura, ma quasi tutti i suoi manoscritti andarono perduti. Nel 1838, la Biografia degli italiani illustri compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata a cura di E. De Tipaldo, Venezia 1838 (VI, pp. 406-409), indicava come consultabili i manoscritti del M. presso la biblioteca di Vincenzo Volpicella a Napoli; ma nel 1904, C. Villani, in Scrittori ed artisti pugliesi antichi, moderni e contemporanei (Bari 1904, p. 625) dichiarava i testi dispersi. Oltre ai saggi già indicati, la produzione del M., inedita o andata perduta, comprendeva: Notizie storiche delle scarpe e calze usate dagli antichi; Storia del Regno di Napoli dalla venuta de’ Longobardi fino agli Angioini; Indice delle monete e delle medaglie fuse ovvero battute nelle regioni che ora formano il Regno di Napoli; Illustrazione del frammento dell’elogio di Murdia inciso in marmo rinvenuto nelle vicinanze di Roma che si possiede dal Marchese Rondanini; Dissertazione della connessione delle antiche lingue d’Italia con le orientali ed in particolare con le indiane; Dissertazione del viaggio d’Ulisse dall’isole Eolie alle spiagge degli Osci; Dissertazione de’ vari cambiamenti dell’orbe terracqueo e delle loro cause; Saggio della religione de’ pagani e delle loro favole sacerdotali; Memorie della Chiesa e vescovi della Civita di Penne; Memorie cronologiche della chiesa e vescovi di Molfetta; Memorie degli scrittori della storia naturale del Regno di Napoli.
Fonti e Bibl.: F.A. Soria, Memorie storiche critiche degli storici napolitani, II, Napoli 1782, pp. 426-430; G.B. De Tommasi, Biografia degli uomini illustri nel Regno di Napoli ornata dei loro rispettivi ritratti, VIII, Napoli 1822, pp. 5-8; A. Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, Modena 1830, pp. 289 s.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 222; Opere di G.D. Romagnosi riordinate ed illustrate da A. De Giorgi, II, 1, Milano 1844, p. 441; G. Guerrieri, La Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, Napoli 1974, p. 15; G. De Gennaro, L’abate C.S. M., economista e storiografo pugliese del XVIII secolo, Napoli 1975; A. Lucarelli - M. Proto, La Puglia nella Rivoluzione napoletana del 1799, Manduria 1988, p. 498; E. Chiosi, Lo spirito del secolo: politica e religione a Napoli nell’età dell’illuminismo, Napoli 1992, pp. 135 s.; F. Luise, Circolazione libraria tra Siena e Napoli nella seconda metà del XVIII secolo, in Archivio stor. per le province napoletane, CXXI (2003), pp. 224-258; A. Andreoni, Omero italico: favole antiche e identità nazionale tra Vico e Cuoco, Roma 2003, pp. 103 ss.; F. Tessitore, Qualche osservazione su Cuoco storico, in Filosofia e storiografia. Studi in onore di Girolamo Cotroneo, a cura di F. Rizzo, Soveria Mannelli 2005, p. 452; L. Ferreri, La questione omerica dal Cinquecento al Settecento, Roma 2007, pp. 263-265.
G. Palamara