Ciro
. La figura di C. il Grande, fondatore dell'Impero persiano, è inserita da D. in Mn II VIII 6 nella serie dei re che non riuscirono a estendere il loro dominio oltre certi limiti, in contrapposizione a Roma che nell'antichità fu la sola a sottomettere al suo Impero tutti i popoli della terra, secondo la meta che si era prefissa (Deinde Cirus, rex Persarum, temptavit hoc: qui, Babilone destructa imperioque Babilonis ad Persas translato, nec adhuc partes occidentales expertus, sub Tamiride regina Scitharum vitam simul et intentionem deposuit).
La prospettiva di D. è storicamente inesatta, perché in effetti C. non aveva avuto mire sull'Occidente e aveva invece fondato e consolidato in Oriente il più grande Impero mai esistito, includendovi con rapide conquiste la Media (555 a.Cr.), la Lidia (546 a.Cr.), le città greche della Ionia, le regioni a est della Persia fino al fiume Iassarte, e la Babilonia (539 a.Cr.).
Intorno al personaggio era fiorita ben presto la leggenda, e la tradizione medievale si basava appunto su fonti in cui l'elemento leggendario prevaleva su quello storico. Così era ben nota la favola relativa alla morte di C., riportata da Orosio (II VII 6), ma già citata da Erodoto (I 214), secondo la quale Tamiri, regina degli Sciti, sconfitti i Persiani e sdegnata contro il loro re, che disprezzando superbamente le sue rimostranze le aveva ucciso il figlio, aveva ordinato di mozzare il capo di C. e di gettarlo in un otre pieno di sangue, dicendo " Satia te sanguine quem sitisti ". Di qui l'inserimento di C. tra gli esempi di superbia punita scolpiti sul pavimento della prima cornice e la menzione del suo nome in Pg XII 56, al centro della terzina in cui D. riporta, parzialmente in parafrasi, l'episodio narrato da Orosio: Mostrava la ruina e 'I crudo scempio / che fé Tamiri, quando disse a Ciro: / ‛ Sangue sitisti, e io di sangue t'empio '.