Ciro
Re di Anzan, in Susiana (558 a.C.), si impadronì della Media (550) e in seguito di Babilonia (539), dando vita al primo grande impero persiano. Morì nel 528 avanti Cristo. Figura nota anche durante il Medioevo (Sancisi-Weerdenburg 1990), C. venne rivalutato dagli umanisti e anche su M. esercitò un’attrazione molto forte basata su due interpretazioni contrastanti. Da un lato C. viene infatti visto da M. come esempio di ‘umanità’:
Qualunque legge la vita di Ciro scritta da Xenofonte, riconosce di poi nella vita di Scipione quanto quella imitazione gli fu a gloria, e quanto, nella castità affabilità umanità liberalità, Scipione si conformassi con quelle cose che di Ciro da Xenofonte sono sute scritte (Principe xiv 15);
dall’altro lato come agguerrito fondatore di regni:
Ma, per venire a quegli che per propria virtù e non per fortuna sono diventati principi, dico che e’ più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili. [...] Bisognava che Ciro trovassi e’ persi malcontenti dello imperio de’ medi, ed e’ medi molli ed effeminati per la lunga pace. [...] Queste occasioni per tanto feciono questi uomini felici e la eccellente virtù loro fé quella occasione esser conosciuta: donde la loro patria ne fu nobilitata e diventò felicissima (Principe vi 7, 13, 15).
Secondo Christopher Nadon (2001) l’immagine di C. benigno proverrebbe da Ciropedia I 4 10, l’altra deriverebbe da Erodoto (Storie I 123-130). Erodoto lo presenta infatti come avversario dei Medi, che invece in Senofonte sono suoi alleati. Il C. ‘erodoteo’ sarebbe, almeno per il Principe, un modello da abbracciare, quello ‘senofonteo’ da respingere. Se un’ambiguità nel trattamento machiavelliano di C. nel Principe è ravvisabile, non è però ascrivibile alle due diverse tradizioni cui M. si sarebbe rifatto. La vicinanza formale tra Principe vi 13 e la sua fonte, il volgarizzamento della Vita di Cyro composto da Jacopo Bracciolini (Biasiori 2010-2011), è più forte dell’ambiguità contenutistica:
Cyro maravigliosamente si dolse con l’avolo, che sì tristamente lasciassino senza colpo di spada rubare e guastare il paese da nimici imbelli, effeminati e molli [...]. Era adunque necessario per vincere gli adversarii, che lui, stando sempre in ordine con le gente, si sforzasse trovare loro sproveduti e disordinati (Vita di Cyro, BNCF, cod. Magliabechiano XXIII 60, f. 18r, f. 28v).
La spiegazione dell’ambiguità non sta dunque all’inizio (Erodoto invece di Senofonte), ma alla fine, nel punto di vista di M., a cui non importava tanto lo scrupolo di esattezza filologica nella ripresa da un autore antico, quanto la volontà politica di mettere l’accento su una condizione di oppressione di un popolo da parte di un altro e sulla necessità della comparsa di un liberatore.
Una divergenza nella rappresentazione di C. si può ravvisare anche tra i Discorsi e il Principe. Nei primi egli appare come il fondatore di un regno grazie all’inganno:
Mostra Senofonte nella sua vita di Ciro questa necessità dello ingannare, considerato che la prima ispedizione che fe’ fare a Ciro contro al re di Armenia è piena di fraude, e come con inganno e non con forza gli fe’ occupare il suo regno. E non conchiude altro per tale azione, se non che a un principe che voglia fare gran cose, è necessario imparare a ingannare (Discorsi II xiii 4-5).
Ma C. era, allo stesso tempo, anche il modello idealizzato di coloro che «si sono immaginati republiche e principati [...] mai visti né conosciuti in vero essere» (Principe xv 4). Sul condottiero persiano pesava, infatti, il giudizio di Cicerone, secondo cui
Cyrus ille a Xenophonte non ad historiae fidem scriptus, sed ad effigiem iusti imperii
il famoso Ciro fu descritto da Senofonte non quale fedele testimonianza storica, ma come modello di un giusto esercizio del potere (Ad Quintum fratrem I i 23).
Il giudizio fece epoca, tanto che lo si trova ripetuto in quasi tutte le edizioni senofontee tra 15° e 16° secolo. Poggio Bracciolini, per es., scrisse che il principe creato da Senofonte era di un tipo qualis numquam fuit, quemadmodum sapiens Stoicorum, qui adhuc nusquam est repertus («quale non esistette mai realmente, come il sapiente degli Stoici, che finora non s’è mai visto da nessuna parte», P. Bracciolini a Bartolomeo Fazio, 23 nov. 1447, in Id., Lettere, a cura di H. Harth, 2° vol., 1984). Anche questa ambiguità deve essere spiegata attraverso le modalità concrete con cui M. gli si accostò. Mostrandosi consapevole che gli scrittori antichi erano costretti a scrivere «copertamente» (Principe xviii 5), M. lesse Senofonte come autore di un messaggio a due livelli, uno esoterico e uno essoterico. Chi, come Scipione, di C. aveva riconosciuto solo l’affabilità e l’umanità aveva colto soltanto la parte estrinseca del pensiero di Senofonte e ne aveva pagato le conseguenze con la ribellione delle proprie truppe. Il lettore del Principe era invitato, invece, a leggere le storie in maniera più attenta al loro autentico significato politico.
M., inoltre, era ben consapevole che il C. delineato da Senofonte era un personaggio che univa in sé aspetti legati alla realtà storica e altri riconducibili alla creazione letteraria. È stato notato come M., quando fa parlare un personaggio di Livio, raramente mette in rilievo una dissociazione tra lo storico romano e il suo personaggio (Strauss 1958). C., invece, viene distinto nettamente da Senofonte, che ha gran parte nella rielaborazione del proprio personaggio (messa bene in luce dalla ripetizione del causativo «fe’ fare», «fe’ occupare», «fegli ingannare» nel passo di Discorsi II xiii 4-6).
Il riferimento a Senofonte e agli altri autori antichi non esaurisce però il problema della ricchezza di rimandi di cui è intessuto il C. machiavelliano. Il già citato paragone tra C. e gli altri liberatori dei loro popoli (Romolo, Teseo, Mosè) costituisce una ripresa e una radicalizzazione di un tema caro a Girolamo Savonarola: «né ancora Moisè che liberò il popolo ebreo dalla servitù degli Egizii, né Ciro che lo liberò dalla cattività di Babilonia furono perfetti e veri salvatori, ma solamente furono figura del vero salvatore» (G. Savonarola, Sermones in primam divi Ioannis epistolam secondo l’autografo, a cura di A. Verde O.P., E. Giaconi, 1998, p. 295). Nelle sue prediche del 1494, inoltre, Savonarola paragonò la discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII a «Ciro che viene contro Babillonia [...] per guastare quel che è male edificato e poi rinovarsi» (G. Savonarola, Predica VIII, 7 dic. 1494, in Id., Prediche sopra Aggeo, a cura di L. Firpo, 1965, p. 129). Quelle prediche di Savonarola avevano impressionato M., che se ne ricordò in un celebre capitolo dei Discorsi:
Donde ei si nasca io non so, ma ei si vede per gli antichi e per gli moderni esempli, che mai non venne alcuno grave accidente in una città o in una provincia che non sia stato, o da indovini o da rivelazioni o da prodigi o da altri segni celesti predetto. E, per non mi discostare da casa nel provare questo, sa ciascuno quanto da frate Girolamo Savonerola fosse predetta innanzi la venuta del re Carlo VIII di Francia in Italia (Discorsi I lvi 2-3).
Come gran parte dell’opera di M., anche la figura del re persiano emerge, insomma, da un fitto intreccio tra la «esperienza delle cose moderne» e la «continua lezione delle antiche» (Principe, Dedica, 2).
Bibliografia: Fonti: J. Bracciolini, Vita di Cyro, BNCF, cod. Magliabechiano XXIII 60 (prima ed. Firenze 1521).
Per gli studi critici si vedano: L. Strauss, On tyranny. An interpretation of Xenophon’s Hiero, New York 1948; L. Strauss, Thoughts on Machiavelli, Glencoe 1958 (trad. it. Milano 1970); H. Sancisi-Weerdenburg, Cyrus in Italy from Dante to Machiavelli. Some explorations of the reception of Xenophon’s Cyropaedia, in Achaemenid history V. The roots of the European tradition, ed. H. Sancisi-Weerdenburg, G.W. Drijvers, Leiden 1990, pp. 31-52; M. Martelli, Machiavelli e gli storici antichi. Osservazioni su alcuni luoghi dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Roma 1998; C. Nadon, Xenophon’s prince. Republic and empire in the Cyropaedia, Berkeley 2001; P.J. Rasmussen, Excellence unleashed. Machiavelli’s critique of Xenophon and the moral foundation of politics, Lanham 2009; L. Biasiori, Letture di Niccolò. Storia e fortuna di Machiavelli, tesi di perfezionamento discussa presso la Classe di Lettere della Scuola Normale Superiore di Pisa, a.a. 2010-2011 (consultabile sul sito della Biblioteca della Scuola Normale: http://biblio.sns.it).