Cistercensi
L'Ordine, fondato a Cîteaux da Roberto di Molesme nel 1098, si propose di attuare un rinnovamento della vita monastica attraverso il ritorno alla primitiva regola di s. Benedetto e il recupero del lavoro manuale, dedicato soprattutto al dissodamento di terre incolte, che doveva rappresentare l'unico mezzo di sostentamento della comunità, anche se ben presto esso finì con l'essere svolto soprattutto dai conversi. Un'altra novità, che si manifestò entro la metà del sec. XII, fu rappresentata dall'acquisizione di terre già messe a coltura e dall'ampliamento delle attività produttive, che compresero anche l'allevamento, lo sfruttamento dei boschi, la produzione del sale, l'artigianato e il commercio.
L'Ordine ebbe rapida espansione, prima in Francia e poi in tutta Europa, grazie anche alla popolarità di s. Bernardo, abate di Clairvaux (1115-1153), il quale spinse per una sua partecipazione più attiva alla vita religiosa e politica del tempo. Molti monaci parteciparono così in qualità di cappellani e predicatori alla terza e alla quarta crociata, alla crociata contro gli albigesi (1209-1229) nella Francia meridionale e alle spedizioni di Luigi IX di Francia. Intanto si era già provveduto a fissare i rapporti tra le prime fondazioni e quelle che da esse trassero origine, stabilendo, con la Carta Caritatis del 1119, che il governo dell'Ordine fosse affidato al Capitolo generale formato dagli abati di tutti i monasteri e che esso, presieduto dall'abate di Cîteaux, si riunisse annualmente.
Il misticismo cistercense e la volontà di vivere in semplicità e povertà si tradussero anche nel carattere austero e privo di decorazioni della loro architettura. I primi dirigenti dell'Ordine avevano dato indicazioni precise: rifiutando lo sfarzo delle chiese cluniacensi, proibirono la costruzione di campanili di pietra, la pavimentazione ornamentale, i dipinti sugli altari; non erano ammessi affreschi e sculture né capitelli istoriati; i metalli preziosi erano limitati al vasellame liturgico; il materiale costruttivo, povero e di basso costo, doveva essere reperito in loco. S. Bernardo, che con la sua Apologia ad Guillelmum Abbatem (1125) rese ancora più radicali queste prescrizioni, contribuì alla creazione di un nuovo stile, tipicamente cistercense, fondato sull'uso della luce (che penetrava copiosa all'interno degli edifici attraverso le grandi finestre dalle vetrate non istoriate) in funzione mistica e sull'equilibrio armonico delle proporzioni architettoniche. Le chiese, solitamente a tre navate con presbiterio, cappelle absidali e transetto quadrato, non prevedevano spazi riservati ai fedeli, perché non erano aperte al pubblico; il coro dei monaci si estendeva a partire dal transetto lungo il braccio ovest, il resto era riservato ai conversi. Nulla è rimasto dell'antica fabbrica di Cîteaux, ma è comunque possibile ricostruire l'aspetto delle abbazie cistercensi grazie al buono stato di conservazione di alcune di esse: Fontenay in Borgogna, Silvacane in Provenza, Poblet in Catalogna, Morimondo e Chiaravalle della Colomba in Val Padana. Gli insediamenti cistercensi, che sorgevano per lo più nelle vallate, spesso accanto ai corsi d'acqua, erano in genere cinti da mura, lungo le quali si aprivano locali di servizio, come la foresteria e la cappella per le donne e per i visitatori non ammessi all'interno. Gli ambienti riservati ai monaci e la sala capitolare si organizzavano attorno al chiostro centrale, che confinava con il lato nord della chiesa.
Nei primi decenni del Duecento l'Ordine contava circa cinquecento abbazie, di cui poco meno della metà in Francia e una cinquantina in Germania, Inghilterra e Spagna. Intorno al 1250 l'Italia ne aveva altrettante, ma di esse una trentina erano di recente fondazione, essendo sorte nel corso della prima metà del secolo. È incerto se le prime fondazioni cistercensi in Italia meridionale abbiano avuto luogo già al tempo di Ruggero II di Sicilia, ma fu senza dubbio lui a porne le premesse. Dopo le vicende che lo avevano visto per motivi di opportunità politica schierato dalla parte di Anacleto II contro il legittimo pontefice Innocenzo II e che gli avevano attirato le dure critiche di s. Bernardo, favorire i Cistercensi poteva essere un segno dell'avvenuta riconciliazione con la Chiesa e con l'Ordine. In ogni caso la presenza dei Cistercensi in Calabria non va più indietro degli inizi del sesto decennio del sec. XII, quando è attestata l'esistenza alle pendici della Sila dell'abbazia di S. Maria della Sambucina, filiazione di Casamari. Le altre fondazioni importanti appartengono agli anni del regno di Guglielmo II (1166-1189); ma fu al tempo di Enrico VI e di Costanza d'Altavilla, e ancor di più negli anni del regno di Federico II, che si moltiplicarono le donazioni e le concessioni di privilegi da parte di sovrani ed esponenti dell'aristocrazia feudale.
La protezione accordata da Federico II ai Cistercensi nei suoi domini è dimostrata già dal numero dei diplomi emanati a loro favore: ben centoquarantuno nei soli anni 1220-1250, destinati a venti monasteri. Inoltre lo Svevo espresse in più occasioni la sua stima nei loro confronti. Nel 1215 si rivolse a loro con gli appellativi di athletae Christi e excelsae columnae Ecclesiae, chiedendo di sostenere con la preghiera il suo progetto di liberazione della Terrasanta, e nel 1218 definì il loro Ordine umbraculum Jesu Christi, promettendo la sua protezione e sollecitandoli affinché continuassero a pregare per il mondo, per la cristianità e per i suoi avi.
Obiezioni sono state mosse tuttavia dalla critica più recente alla tesi del presunto rapporto privilegiato di Federico con l'Ordine. La tesi si fonda sul coinvolgimento, ben documentato, degli architetti cistercensi nei suoi progetti edilizi, ma soprattutto sulla tradizione per cui l'imperatore avrebbe vestito per due volte l'abito cistercense: nel 1236, quando visitò la tomba di s. Elisabetta a Marburgo, e nel 1250 sul letto di morte. Era costume bizantino che i sovrani fossero sepolti con un abito monastico, e che lo Svevo abbia scelto quello cistercense è tramandato da un testimone oculare, Matteo Paris. Con maggiore cautela andrebbe invece valutata la testimonianza di Cesario di Heisterbach relativa al primo episodio, poiché, essendo egli priore di un'abbazia cistercense, poteva essere interessato a celebrare il proprio Ordine. Inoltre non si è mancato di notare come, nonostante l'imperatore si fosse servito di molti monaci cistercensi non solo come chierici, ma anche per missioni e incarichi vari (la cancelleria fu diretta negli anni immediatamente successivi all'incoronazione imperiale del 1220 dall'abate Giovanni di Casamari), questo non avvenne mai a discapito di esponenti di altri Ordini. In ogni caso questi rapporti non coinvolsero l'istituzione nel suo complesso, ma solo singoli suoi esponenti.
Alle stesse conclusioni si perviene se si considera il numero dei vescovi monaci che ressero le diocesi del Regno di Sicilia in età sveva: ben ottantuno, di cui ventiquattro cistercensi. Di essi però non meno di dodici, vale a dire la metà, sono attestati dopo la morte di Federico II (1250), per cui la loro nomina non può essere attribuita al suo sostegno. Sembra inoltre che negli ultimi anni della sua vita egli fosse in rapporti piuttosto freddi con l'Ordine, al quale evidentemente rimproverava di aver appoggiato la decisione del concilio di Lione (1245) in merito alla sua deposizione: cosa che non mancò di sorprendere il cronista Matteo Paris, dalle cui parole pare di poter dedurre che fino a quel momento i Cistercensi avevano sostenuto la causa dell'imperatore.
fonti e bibliografia
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