Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Se è vero che nel corso del Seicento la città vede ridimensionato il suo ruolo politico rispetto alle nuove formazioni statali, l’evoluzione economica ne riconferma in larga misura, anche se in forme diverse, il ruolo propulsivo in quest’ambito.
Città, campagna, industria
La storiografia recente ha molto insistito sulla perdita di centralità della città in Europa durante l’Età moderna. Quella che era stata la forza traente e una delle creazioni specifiche della civiltà dell’Occidente medievale, in concomitanza con il sorgere e il consolidarsi delle monarchie nazionali, sembra aver smarrito la sua funzione e la sua capacità innovativa.
Dal punto di vista economico, del commercio, della finanza e della manifattura, le città europee mantengono però una posizione centrale. Se è vero che quella tra città e campagna “è una divisione del lavoro sempre da ricominciare”, come ha scritto Braudel, anche nel periodo moderno questa divisione del lavoro è pur sempre a vantaggio dei centri urbani.
La novità forse più importante rispetto ai trascorsi medievali si ha nel settore industriale: l’indebolimento delle corporazioni artigiane e la preminenza assunta dalla figura del mercante imprenditore si accompagnano infatti in molte zone europee al trasferimento di diverse attività produttive dalla città alle campagne.
Questa ruralizzazione di parte della produzione industriale non deve però trarre in inganno: questo processo è infatti pur sempre promosso e controllato da operatori economici residenti nei centri urbani. La cosiddetta protoindustrializzazione presuppone un ampliamento dei mercati e solo il mercante imprenditore residente in città dispone dei capitali e delle conoscenze del mercato necessari per organizzare la produzione su vasta scala di beni industriali, soprattutto tessili, nelle campagne.
Occorre notare inoltre come questo trasferimento dell’industria in zone rurali interessi solo alcune fasi dei processi di lavorazione e alcuni prodotti. In genere in campagna si producono beni di largo consumo e che non richiedono una particolare qualificazione: è il caso delle tele di lino o dei tessuti di lana di minor pregio.
Per quanto riguarda i prodotti più sofisticati, come i tessuti di seta, i tessuti di lana più fine, le lavorazioni metallurgiche più raffinate e le varie forme di artigianato artistico, questi continuano a essere prodotti entro le mura cittadine. Anche i centri urbani italiani in declino conservano per tutto il secolo un primato a livello europeo in certe produzioni che richiedono un’altissima specializzazione: si pensi alla vetreria veneziana, a certi velluti genovesi o ai tessuti auroserici milanesi.
Inoltre, spesso solo alcune fasi della lavorazione vengono affidate a lavoratori residenti in campagna, come del resto era già avvenuto anche in epoca medievale. Non sempre questa scelta è dettata da ragioni economiche, cioè dal minor costo della manodopera rurale: spesso all’origine vi sono necessità tecniche, come nel caso dell’industria metallurgica legata alla disponibilità di fonti d’energia sotto forma di legname e acqua.
Città e mercati
Ancora più che per il suo ruolo “industriale”, la città è economicamente caratterizzata dalla sua funzione commerciale, dall’essere luogo di mercato.
È infatti il punto di riferimento per il territorio immediatamente circostante: gli abitanti delle campagne sono infatti costretti a ricorrere ai mercati o alle botteghe cittadine per tutte quelle necessità che non possono essere soddisfatte dai piccoli mercati settimanali dei borghi rurali.
La città è un mercato importante anche per gli stessi prodotti agricoli del contado. La preminenza della città sulla campagna, che si manifesta in privilegi fiscali, giurisdizionali e annonari, oltre che con la sempre più capillare penetrazione della proprietà della terra da parte dei cittadini, determina un afflusso forzoso di prodotti agricoli nel mercato urbano. Nei momenti di difficoltà gli stessi contadini sono costretti a farvi ricorso.
Le città sono inoltre i nodi di una rete interregionale e internazionale di scambi. Sono soprattutto le fiere stagionali a catalizzare questi circuiti commerciali a medio e vasto raggio.
Naturalmente le merci che possono affrontare i costi elevatissimi di trasporto sono quelle più pregiate, anche se una caratteristica di questo periodo è proprio l’ampliamento dei traffici dei beni di largo consumo.
Non tutte le città partecipano nella stessa misura al grande commercio. La maggior parte dei centri urbani europei rimane sostanzialmente confinata nel ruolo di piccola capitale regionale, legata a un retroterra ristretto. Al vertice della gerarchia urbana i posti sono ovviamente limitati. Il controllo dei traffici più remunerativi è la posta in gioco di un conflitto aspro dal quale, nei primi decenni del secolo, emerge vincitrice Amsterdam alla quale andrà progressivamente affiancandosi Londra.