File:Atlante_Geopolitico_2016_Vaticano_Mappa.jpgLo stato della Città del Vaticano è il più piccolo stato al mondo sia in termini di popolazione sia di estensione territoriale. La sovranità nel paese spetta alla Santa Sede, il vertice della Chiesa cattolica, in virtù di quanto sancito all’articolo 3 dei Patti Lateranensi, firmati nel 1929 tra questa e l’Italia. Lo stato della Città del Vaticano e la Santa Sede, quindi, sono due entità separate, entrambe soggetti di diritto internazionale, con il primo che funge da base territoriale e patrimoniale per garantire alla seconda l’indipendenza, l’autonomia e la sovranità necessarie alla sua attività e alla sua missione.
Dal punto di vista istituzionale il Vaticano è equiparabile a una monarchia assoluta, con il pontefice che, posto a capo della Santa Sede per via elettiva, ne detiene i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
In seguito alle dimissioni di Joseph Ratzinger, rassegnate il 28 febbraio 2013, i cardinali riuniti in Conclave hanno eletto come pontefice Jorge Mario Bergoglio, salito al soglio pontificio il 13 marzo 2013 con il nome di Francesco. Il suo pontificato è stato percepito come un cambio di direzione rispetto al passato, vista la sua particolare attenzione – e soprattutto il suo attivismo – verso i temi di politica internazionale e battaglie come la lotta alle disuguaglianze nel mondo.
Principale organo legislativo è la Pontificia commissione per lo stato della Città del Vaticano, mentre il Governatorato dello stato della Città del Vaticano – composto da soli cardinali di nomina papale – è incaricato della gestione amministrativa dello stato. Primo collaboratore del pontefice per il governo della Chiesa e responsabile delle attività politiche e diplomatiche della Santa Sede è il segretario di stato; una carica considerata alla stregua di quella del primo ministro dei sistemi repubblicani, ricoperta dal cardinale Pietro Parolin dal 15 ottobre 2013, che ha sostituito il cardinale Tarcisio Bertone, in ruolo dal 2006. Sebbene non abbia un proprio sistema di tassazione, il Vaticano gode di una serie di introiti economici che si basano, oltre che sui contributi previsti dalla convenzione con l’Italia, su investimenti internazionali, sulle offerte dei fedeli, sul patrimonio ecclesiastico e le rendite a questo connesse, e ancora sulle rimesse delle oltre 4600 diocesi di tutto il mondo. Il Vaticano batte moneta propria e dal 2000 ha stipulato un’unione monetaria con l’Italia, sancendo così la sua adesione all’euro. I cittadini dello stato della Città del Vaticano sono attualmente poco più di 800. La cittadinanza vaticana viene concessa ai cardinali residenti in Vaticano e a Roma, ai residenti stabili in Vaticano per ragioni di carica, dignità e impiego e a coniugi e figli di cittadini. Il Vaticano possiede anche propri organi giudiziari per i reati commessi da membri della curia e all’interno del suo territorio, tuttavia il rapporto tra la giustizia vaticana e quella italiana è dubbio, come è stato messo in luce dalla vicenda avvenuta nell’autunno del 2015 dei due cittadini italiani processati in Vaticano per aver rivelato informazioni sensibili su alcuni cardinali.
La sicurezza del Papa all’interno del palazzo apostolico e durante i suoi viaggi è garantita prevalentemente dallo storico corpo della guardia svizzera pontificia, fedele al papato dalla sua fondazione nel 1506, e che oggi si occupa di sorvegliare i palazzi papali e mantenere l’ordine durante le cerimonie religiose. Al corpo della gendarmeria dello stato della Città del Vaticano è invece affidato il mantenimento della sicurezza all’interno del territorio dello stato e nelle sue pertinenze extraterritoriali. In piazza San Pietro la gendarmeria vaticana si avvale della collaborazione di uno specifico organo di sicurezza della polizia di stato italiana: l’Ispettorato di pubblica sicurezza vaticano.
La personalità internazionale della Santa sede si esercita nei suoi diritti di diplomazia attiva e passiva. Le ambasciate estere dei 180 paesi con i quali il Vaticano intrattiene relazioni ufficiali sono accreditate presso la Santa Sede; inoltre, la sua rete diplomatica si è notevolmente ampliata nell’ultimo trentennio grazie soprattutto al pontificato di Papa Giovanni Paolo II, particolarmente significativo non solo per la cristianità, ma anche per le dinamiche politiche internazionali più generali. I numeri della diplomazia vaticana dimostrano l’attivismo della Santa Sede sotto la sua guida: dagli 84 paesi con i quali aveva pieni rapporti diplomatici nel 1978, si passò a 174 alla fine del suo pontificato. Ultimi aggiunti, durante il pontificato di Benedetto XVI, sono il Montenegro, gli Emirati Arabi Uniti, il Botswana, la Russia e il Sud Sudan. Di natura speciale, invece, sono i rapporti bilaterali tra la Santa Sede e lo stato di Palestina. La Santa sede intrattiene poi rapporti con organizzazioni internazionali quali le Nazioni Unite, l’Unesco, la Fao e l’Omc, e con organizzazioni regionali quali la Lega araba e l’Unione Africana. La Santa sede ha stabilito altresì relazioni con il sovrano ordine di Malta, l’Unione Europea e Taiwan, che vede proprio nel Vaticano l’unico stato europeo che ancora mantiene una delegazione ufficiale a Taipei. Per motivi differenti, la Santa Sede non ha invece relazioni bilaterali ufficiali con alcuni paesi, quali Cina, Arabia Saudita, Vietnam, Afghanistan e Corea del Nord.
La Santa Sede, infine, gode di autonomia – ma non di sovranità – su un territorio maggiore rispetto a quello del solo stato di città del Vaticano. Le zone extraterritoriali, appartenenti formalmente al territorio italiano ma nelle quali la Santa Sede gode di speciali privilegi, raggiungono un’estensione di oltre 10 km2. Tra queste, vi è il centro di trasmissione di Radio vaticana a Santa Maria di Galeria.
Approfondimento
La sera della sua elezione, il 13 marzo 2013, il cardinale argentino Jorge Bergoglio si presentò alla folla come un Papa ‘periferico’, scelto «quasi alla fine del mondo». Il tema delle ‘periferie’ è poi effettivamente divenuto uno dei motivi conduttori del suo Pontificato. Si tratta tuttavia di una metafora che va ben oltre una banale accezione geopolitica, vale a dire un riferimento, generico e impreciso, al ‘Sud del mondo’. Ben più profondamente, secondo il Papa, la Chiesa deve «uscire da se stessa» e «andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali»; altrimenti essa rischia una strutturale sconnessione dai processi, ambivalenti e contraddittori, che caratterizzano l’età globale.
Questa ‘uscita’ dal centro ha delle implicazioni ermeneutiche fondamentali, poiché permette di re-interpretare la stessa globalizzazione da una prospettiva non egemonica. Dietro le quinte della storia ufficiale della modernizzazione c’è una narrazione alternativa ed esperienziale delle vicende umane e sociali, che consente di comprendere la fenomenologia e le cause della marginalità. La Chiesa, come comunità di credenti, deve avere «la capacità di curare le ferite», in una dimensione di vicinanza, di prossimità.
Sarebbe tuttavia superficiale voler rintracciare le radici del discorso di Francesco sulle periferie in alcuni antecedenti tipicamente latino-americani, e in particolare nella teoria della dependencia elaborata, negli anni Settanta e Ottanta del Novecento, da intellettuali come Andre Gunder Frank, Samir Amin, Fernando Henrique Cardoso. Per tali autori, il sottosviluppo è causato da una divisione del lavoro globale governata dai paesi industrializzati, che assegna al ‘terzo mondo’ il ruolo di riserva di prodotti di base (agricoli, forestali, estrattivi), tagliandolo fuori dal circuito dell’innovazione e della diversificazione.
Analogamente, solo apparente è la risonanza del concetto di periferia in Papa Francesco con la teoria di Immanuel Wallerstein dell’‘economia-mondo’, che suddivide il globo in aree centrali, semi-periferiche e periferiche; le crescenti tensioni che ne derivano producono instabilità politica e sociale, causando una crisi globale e un cambiamento rivoluzionario.
La visione delle periferie di Francesco è più ampia e forse più realistica. Da una parte, la periferia non è solo una realtà economica e storica, assumendo anche momento che essa implica anche una caratterizzazione simbolica nella distribuzione del potere mondiale; dall’altra, essa è un’anomalia strutturale nella prospettiva integrativa del mondo, che non viene riassorbita dal processo globale, rischiando anzi di solidificarsi e di rendere permanenti le condizioni di esclusione e di marginalizzazione di buona parte della popolazione mondiale.
Più vicina alla concettualizzazione di Bergoglio è la categoria dell’espulsione, così come articolata da Saskia Sassen. Si tratta di una pluralità di situazioni quali l’impoverimento della classe media nei paesi ricchi, lo sfratto di milioni di piccoli agricoltori nei paesi poveri a causa dell’acquisto massiccio di terra da parte di investitori stranieri, le pratiche industriali distruttive della biosfera, l’aumento della popolazione carceraria nei paesi occidentali come metodo di gestione del ‘surplus sociale’, il moltiplicarsi di campi profughi. Per Sassen, l’espulsione di massa che è in atto su vasta scala segnala una trasformazione sistemica del capitalismo globale.
Ciò posto, va precisato che la visione di Papa Francesco non è dicotomica o dialettizzante, come nelle concezioni neo-marxiste delle contraddizioni del capitalismo globale; e non è nemmeno omologante come nella globalizzazione liberale. Bergoglio concepisce il mondo nei termini di quello che potrebbe essere definito come pluralismo connettivo: «Il modello – si legge nella ‘Evangelii Gaudium’ - non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità».
Da questo punto di vista, si potrebbe dire che Bergoglio ha ‘de-colonizzato’ il concetto di periferia.
di Pasquale Ferrara