Vedi VATICANO, Citta del dell'anno: 1966 - 1997
VATICANO, Città del
Lo Stato della Città del V. è sorto in base ai presupposti giuridici che furono creati dal trattato dell'11 febbraio 1929 fra l'Italia e la Santa Sede (cosiddetti Patti Lateranensi entrati poi a far parte integrante della Costituzione Repubblicana Italiana del 1° gennaio 1948). Il territorio formante un enclave del territorio italiano, risulta costituito dalla Piazza e dalla Basilica di S. Pietro, dai Palazzi Vaticani con annessi edifici comprendenti le raccolte artistiche, i parchi e i giardini e da alcune piazze e strade (km2 0,44 con circa 1000 abitanti). Preminenti sono in esso, per estensione e importanza, le raccolte artistiche e monumentali, sicché l'intero Stato si trova, dall'anno 1960, iscritto nel "Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale" (Convenzione dell'Aja 14 maggio 1954).
I monumenti paleocristiani e le necropoli pagane esistenti nella Città del V. sono stati descritti sotto la voce roma, del cui ambito topografico antico fanno parte. Qui si dànno notizie relative alle raccolte artistiche per le parti che rientrano nei limiti cronologici (fine del VI sec. d. C.) di questa Enciclopedia.
Musei di antichità, - I Musei Pontifici di Antichità costituiscono un complesso sviluppatosi da singole raccolte, create lungo l'arco di quattro secoli. La Raccolta delle Sculture Classiche fu costituita al principio del '500 da Giulio II e arricchita di grandi capolavori dai suoi successori Leone X e Clemente VII. Nel '700 nacquero, sotto Benedetto XIV, il Museo Vaticano Cristiano (primo Museo di Arti Minori annesso alla Biblioteca, 1756) e la Galleria Lapidaria; poi, sotto Clemente XIII (1767), il Museo Profano della Biblioteca (secondo Museo di Arti Minori).
I Musei Cristiano e Profano furono disposti nei locali che occupano tutt'ora, mentre la Galleria Lapidaria era sistemata in origine nella parte del Corridoio Bramantesco adiacente al "Belvedere". Dopo la costituzione di questi "Musei" tipicamente settecenteschi, il Papa successivo, Clemente XIV, prese a progettare una sede adatta ed adeguata all'importanza e consistenza della raccolta di sculture in rapido aumento grazie alle scoperte archeologiche nello Stato Pontificio e agli acquisti da lui fatti. Cosi nel 1770, Clemente XIV fondò il Museo Clementino, dal quale, dopo la sua morte (1774), il successore Pio VI mosse nella realizzazione di un nuovo grandioso museo di sculture: il Museo Pio-Clementino, il nucleo più ricco dei Musei Vaticani di scultura antica. Ma per far fronte alla massa di opere che continuavano ad affluire ai Palazzi Vaticani, e per rispondere al crescendo dell'interesse, ormai destato, sia per esse che per la creazione di musei nel senso moderno della parola, Pio VII volle aggiungere un nuovo museo: il Museo Chiaramonti, fondato nel 1807. A Pio VII si deve anche la costituzione del Medagliere della Biblioteca Vaticana.
Con l'avvento al Pontificato di Gregoiio XVI ebbe inizio un nuovo periodo di fervido interesse per le antichità e l'attività museale, in seguito al quale le Raccolte Pontificie si arricchirono dei tre Musei Gregoriani, due dei quali nuovi non soltanto per gli ambienti, ma soprattutto per gli oggetti ivi raccolti, il Gregoriano Etrusco (1837) ed il Gregoriano Egizio (1839). A questi seguirà poi, nel 1844, il Museo Gregoriano Lateranense Profano. A Gregorio XVI si deve anche la sistemaziohe delle pitture antiche romane nella Saletta delle Nozze Aldobrandine (v.), appartenente alla Biblioteca.
Pio IX completò i Musei Lateranensi del famoso Museo Cristiano, assolutamente unico nel suo genere e valore. Nel 1963 fu deciso da Papa Giovanni XXIII di trasferire i Musei Lateranensi in Vaticano. L'edificio che li accoglierà è attualmente in costruzione. Fra gli incrementi avuti nel nostro secolo sono da citare: per la collezione di scultura gli importanti rilievi della Cancelleria (1939; v. Museo Scultura Antica); per il Museo Etrusco la Raccolta Guglielmi (1937; v. Museo Etrusco); per il Museo Egizio la Collezione Grassi (1953; v. Museo Egizio).
(H. Speier)
1. - Museo Egizio. - Sito al primo piano del palazzo che chiude a N il Cortile di Belvedere, formando il grande emiciclo denominato Nicchione della Pigna, fu inaugurato l'8 febbraio 1839 alla presenza di Papa Gregorio XVI che ne aveva promossa la creazione. Ordinatore della raccolta fu il barnabita Luigi Ungarelli, uno fra i primi orientalisti italiani, che accettò e applicò il metodo dello Champollion nella retta interpretazione della scrittura geroglifica egiziana. Le sale furono decorate con soggetti egittizzanti su disegni del cav. De Fabris, allora Direttore Generale dei Musei Pontifici. Tale decorazione, che comprende anche alcune iscrizioni neogeroglifiche dettate dall'Ungarelli, costituisce un esempio di ambientazione tipico nella museografia del secolo scorso. Il Museo Gregoriano Egizio comprende due grandi sale destinate alla statuaria, l'emiciclo in cui si trovano esposti stele, sarcofagi e rilievi, e quattro salette per gli oggetti più piccoli.
La statuaria permette la visione particolare dei tipi di monumenti che ornavano gli isei della capitale e le ville suburbane del periodo imperiale. Si tratta sia di statue del periodo faraonico, sia di statue di età ellenistica e romana che ricalcavano schemi e canoni tipici della plastica dell'antico Egitto. La singolare raccolta vaticana si rivela appunto come documentazione di un gusto e di una cultura legati alla diffusione della religione isiaca in Roma. I fondi che contribuirono alla formazione del museo sono essenzialmente tre: antico fondo capitolino, trasferito in Vaticano nel 1838, comprendente sculture trovate negli Orti Sallustiani, nell'Iseo Campense e nel Canopo di Villa Adriana; antico fondo vaticano, formatosi da acquisti fatti sotto Clemente XIV e Pio VI; fondo vaticano recente dovuto ad acquisti sotto Pio VII, Leone XII e Gregorio XVI. Gli incrementi successivi, durante il pontificato di Leone XIII, furono modesti; notevole invece la donazione, sotto Pio XII da parte della vedova Grassi, di un'importante collezione di oggetti faraonici e dell'Egitto ellenistico.
La serie delle statue di età faraonica si apre con un interessante prodotto della statuaria della XI dinastia. Si tratta della testa in arenaria dipinta del re Mentḥotpe che reca in capo la corona dell'Alto Egitto. La grande statuaria del Nuovo Regno è documentata da un esemplare di notevole qualità e stile, proveniente dagli Orti Sallustiani: la statua in granito grigio raffigurante la regina Tuia, madre di Ramesses II. La figura, solidamente impiantata secondo il canone della persona stante su plinto, è ispirata ad una dignità maestosa e austera. Dello stesso periodo il museo conserva, purtroppo mutila, una statua su trono del faraone Ramesses II. Alla produzione dei periodi saitico e persiano va ascritta una serie di statuette di sacerdoti inginocchiati o stanti in atteggiamento naoforo, scolpiti in basalto o granito. Tali monumenti, più che per il valore estetico sono importanti dal punto di vista documentario ed epigrafico. Il più noto fra essi viene denominato per antonomasia il Naoforo Vaticano. Si tratta della statuetta di un sacerdote di Sais, Udjaḥarresne, sulla cui lunga veste appare riportata una iscrizione di notevole interesse storico relativa al periodo dell'invasione persiana dell'Egitto al tempo di Cambise. Il titolare fu un "collaboratore" passato al servizio della Persia. La statuaria che conclude il periodo faraonico è presente con una superba coppia di leoni giacenti su plinto, che ripetono lo stesso schema rovesciato, secondo un canone poco frequente. Le iscrizioni permettono la datazione del monumento al regno di Nectanebo I (XXX dinastia). Dello stesso sovrano si conserva un torso acefalo in granito. All'età tolemaica appartengono tre grandi statue in sienite, provenienti dagli Orti Sallustiani. Una raffigura Tolemeo II Filadelfo, un'altra Arsinoe Il Filadelfo e una terza, non interamente compiuta, un'altra regina. Le tre statue si uniformano al canone egizio della figura stante su plinto con una gamba avanzata, ma risentono di una impostazione più libera che si compiace di sottolineare particolari anatomici salienti. I visi sono trattati come maschere stilizzate che tentano di esprimere serenità. L'interesse di tali sculture, sicuramente datate dalle leggende geroglifiche, consiste nel fatto che permettono un fondato studio comparativo con opere coeve o molto vicine nel tempo, prive di iscrizioni. La statuaria egittizzante di età romana comprende un nucleo di opere provenienti in gran parte dal Canopo di Villa Adriana. Sono stanche e talora goffe ripetizioni di archetipi appartenenti a un mondo già lontano, vissuto di riflesso. Isis è presente sia nell'iconografia classica di dea-madre che allatta il figlioletto Ḥorus, sia nel canone più recente, stante, attestato in epoca tolemaica, sia nella forma contaminata di Iside-Fortuna, con cornucopia. Osiride appare come la figura di un sovrano; Anubis, a testa canina, con gli attributi soliti di Mercurio. Il dio Nilo compare secondo un antico schema affermatosi nel periodo alessandrino, con attributi virili e femminili. Elemento di spicco è una statua in marmo pario raffigurante Antinoo rappresentato come sovrano egizio, di cui esistono repliche altrove: esempio tipico di contaminazione di forme classiche ed egizie dissolte in un contesto irrazionale.
Le stele e i rilievi della raccolta vaticana, pur documentando sufficientemente i principali cicli produttivi legati all'evoluzione dei tipi e delle forme, non rivestono un interesse spiccato. Si segnala, per l'importanza documentaria, una stele commemorativa della regina Hashepsowe e una stele sepolcrale con un singolare testo funerario.
Notevole della Collezione Grassi la raccolta dei bronzetti raffiguranti divinità o animali sacri. Alcune statuine di gatti rivelano un modellato particolarmente elegante.
La serie delle casse per mummia dipinte si presenta ricca per varietà di tipi. Fra di esse un esemplare del Nuovo Regno che mostra riprodotta sul fondo una scena di adorazione composta con equilibrio e vivo senso cromatico.
Bibl.: O. Marucchi, Catalogo del Museo Egizio Vaticano, Roma 1902; G. Botti-P. Romanelli, Le sculture del Museo Gregoriano Egizio, Città del Vaticano 1961; D. Faccenna, Terrecotte greco-egiziane del Museo Egizio Vaticano, in Rend. Pont. Acc., XXIX, 1956-7, p. 181 ss.
(S. Bosticco)
2. - Museo Gregoriano Etrusco. - La fondazione di questo museo, avvenuta il 2 febbraio 1837 sotto Gregorio XVI, segnò il naturale riflesso dell'intensa fioritura di studî e scavi etruscologici dei primi decennî del secolo scorso: esso infatti riuniva oggetti di provenienza etrusco-laziale, in gran parte vulcente, scavati nel breve intervallo fra il 1826 ed il 1836, ad eccezione di alcuni cimeli - per lo più vasi - conservati da tempo nella Biblioteca Vaticana. Di pochi mesi più recente fu l'acquisto del nucleo Regolini-Galassi, il più insigne della collezione, rinvenuto nel 1836 in una tomba orientalizzante della necropoli del Sorbo a Cerveteri. Altri fondi da citare sono la Collezione Falcioni di Viterbo, acquistata nel 1900 e formata da oggetti di varia età e origine, e la raccolta di vasi buccheri e bronzi, anch'essa prevalentemente vulcente, donata a Pio XI nel 1935 dal marchese A. B. Guglielmi.
Posto dapprima in poche sale del secondo piano dell'edificio costruito da Pio IV a N del Cortile del Belvedere - all'allestimento intesero P. E. Visconti, V. Camuccini, G. Valadier, il Thorwaldsen, ecc. - il museo nacque come istituzione scientifica per opera di B. Nogara, nel 1920; il materiale Regolini-Galassi fu studiato e disposto da L. Pareti nel 1947; nel 1955 iniziarono radicali trasformazioni grazie alle quali fu acquisito al museo il piano superiore del palazzetto di Innocenzo VIII, furono isolate le antichità romane dalle etrusche e riuniti in due salette adiacenti gli originali greci un tempo sparsi nelle varie sale di scultura, quando non addirittura nei magazzini. Nella Sala I sono esposti i monumenti in pietra ed i sarcofagi, nella II il materiale Regolini-Galassi, nella III i bronzi, nella IV le urne in pietra, nella V la Raccolta Guglielmi, nella VII preziosi, nella Ville terrecotte; i vasi greci, italioti ed etruschi occupano le sale XIV-XVII.
Mentre la cultura del Ferro è modestamente rappresentata da una serie di ossuarî biconici, urne a capanna (provenienti da Castelgandolfo) e vasetti d'impasto decorati a reticolo tipici dell'area etrusco-laziale, la successiva fase orientalizzante è riccamente documentata dal prezioso materiale Regolini-Galassi. Notevole il vasellame d'importazione orientale: una situla argentea intagliata a giorno su legno, una serie di tazze d'argento dorato cipriote istoriate a soggetti egittizzanti - e d'importazione o imitazione ellenica: un gruppo di skỳphoi argentei riconducibili ad originali ceramici protocorinzi ed a loro volta imitati, anche nella consistenza metallica, da un bell'esemplare di bucchero argentato. Un askòs di bucchero a corpo di volatile e a protomi equine con auriga documenta un filone più genuinamente locale della produzione dell'epoca nello sbrigliato accavallarsi di colpi di fantasia, insensibile al rapporto forma-funzione del vaso.
Fra i bronzi spiccano i lebeti con protomi di leoni e grifi, i grandi dischi figurati, gli scudi, i "grandi" bronzi: la biga, il carro, il trono. Il nucleo si completa infine con la fiaschetta di bucchero grigiastro con alfabeto-modello e sillabario, da Cerveteri, uno fra i più arcaici ed importanti documenti epigrafici etruschi esistenti.
La plastica ionico-etrusca è presente con una coppia di leoni in nenfro di provenienza tombale. Va poi citata la serie di grandi dischi bronzei convessi con maschere d'Achebo e protomi leonine, di probabile decorazione parietale funebre della fine del VI sec. a. C. Scarsamente rappresentata per questo periodo la pur fiorente plastica fittile, essa è presente per il successivo, d'impronta attica, con lo splendido cavallo alato d'acroterio laterale da Cerveteri, databile all'inizio del V sec. a. C. Di alcuni decennî più tardo è un sarcofago di travertino adorno di rilievi su tre lati. Nel Marte di Todi il museo possiede una delle poche statue bronzee conservateci dall'antichità (notevole anche per l'iscrizione umbra sulla corazza), eccellente opera provinciale tardo-classica. Due sarcofagi, dai lati raffiguranti cruente scene del mito greco, ci trasportano in pieno clima ellenistico, come pure una bella testa in nenfro, forse da un rilievo frontonale, in cui torsione del collo ed incavo delle orbite ricordano le opere più tipiche dell'ellenismo pergameno. Una serie di urnette in pietra databili fra il III ed il II sec. a. C. sono raccolte nella IV sala. Notevole infine, per numero e varietà di tipi, la serie di teste e profili fittili votivi, talvolta segnati d'intenti ritrattistici, del III-I sec. a. C., provenienti dall'area urbana di Caere.
Della bronzistica minore si conservano alcuni esemplari di vasellame geometrico a lamina sottile ornata da file di piccole borchie, un tripode vulcente della fine del VI sec., candelabri, bruciaprofumi, armi, statuette (famoso l'Aruspice con alto pileo e scritta dedicatoria) per lo più databili tra il VI ed il IV sec. a. C., e specchi: fra questi uno a rilievo di stile severo, con Eos e Kephalos, ed uno di età ellenistica rappresentante Calcante in atto di esaminare il fegato di un animale. Infine, componente eccezionale di una serie quantitativamente modesta è la cista ovale vulcente con fregio a sbalzo raffigurante un'amazzonomachia di ascendenza iconografica chiaramente ellenistica.
La collezione di vasi greci è di notevole livello qualitativo, frutto della selezione operata dalla Commissione Consultiva di Antichità e Belle Arti in applicazione di quell'editto Pacca del 1820 che limitava il commercio antiquario e dava alle collezioni pubbliche diritti di prima scelta. Particolarmente notevoli: una tazza laconica raffigurante il supplizio di Prometeo ed Atlante; la celebre idria ceretana con Ercole ed Alcioneo, di scuola ionica e produzione probabilmente locale. La produzione attica a figure nere inizia con un grande dìnos ancora permeato d'influenze corinzie e culmina con l'anfora celeberrima di Exekias (v. anche vol. i, fig. 1127; iii, fig. 680). Un capolavoro è anche, per l'originalità dell invenzione, l'anfora con lamento funebre (di Eos su Memnone?) (v. vaticano 350, pittore del). La collezione comprende inoltre quattro tipiche anforette nicosteniche ed alcune tazze "ad occhioni" dello stesso ceramista; tre anfore dalla forma e dai dettagli ornamentali manieristicamente elaborati del Pittore Affettato; numerose tazze di miniaturisti e due grandi tazze "bilingui" raffiguranti, all'interno l'una Dioniso e l'altra un cacciatore, all'esterno atleti e musici fra occhi e palmette. Fra i documenti più significativi della tecnica a figure rosse si ricorda l'anfora del Pittore di Kleophrades con Ercole e Atena da un lato e scena di kòmos dall'altro; tre tazze del Pittore di Brygos, tre tazze di Douris e della sua cerchia (Giasone esce dalle fauci del mostro della Colchide, Edipo e la Sfinge, Ercole nella navicella del Sole) entro il medaglione dell'interno; e ancora l'idria del Pittore di Berlino con Apollo sul tripode alato, figurante come "nasiterna di primo grado di squisita bellezza" al primo posto della prima lista di oggetti fatti pervenire dal Camerlengato al Maggiordomo dei Sacri Palazzi per l'allestimento del Museo Etrusco. Ancora, tra i cimeli più rari l'anfora ad anse tòrtili del Pittore di Achille ed il cratere policromo con Hermes che porge il piccolo Dioniso al vecchio Sileno, degli ultimi decennî del V sec. a. C.
È infine da citare la ricca collezione di buccheri Guglielmi, (notevole il vasetto con iscrizione e fregi figurati leggerissimamente incisi nella lucente superficie del bucchero fine), e la raccolta di vasi italioti recentemente studiata e ordinata dal Trendall, della quale basti menzionare tre colossali crateri àpuli a volute, della metà del IV sec. a. C.
Fra gli oggetti dell'Antiquarium notevoli le lastre fittili in rilievo policromo di decorazione templare, la serie di lampade che va da esemplari ellenistici a prodotti d'età imperiale e cristiana, un gruppo di vetri di analoga datazione da cui si stacca per età (II sec. a. C.), tecnica (fusione), qualità e conservazione una coppa imparentata alla produzione megarese; anche di quest'ultima, e della produzione aretina che ne deriva, si conservano alcuni esemplari fra i quali quello firmato da C. Popilius. Infine alcuni frammenti bronzei di statue, tra cui un ritratto tardo-repubblicano a mezzo busto e due frammenti di una statua colossale di Nettuno dai porto di Civitavecchia.
Bibl.: Musaei Etruschi quod Gregorius XVI P. M. in aed. vat. constituit Monimenta..., I-II, Vaticano 1842; C. Albizzati, Vasi antichi dipinti del Vaticano, I-VII, Città del Vaticano 1924-1937; B. Nogara, Guide du Musée étrusco-grégorien du Vatican, Vaticano 1933; J. D. Beazley-F. Magi, La raccolta B. Guglielmi nel Museo Gregoriano Etrusco, I-II, Città del Vaticano 1939-1941; L. Pareti, La Tomba Regolini-Galassi, Città del Vaticano 1947; A. D. Trendall, Vasi Italioti ed Etruschi a figure rosse, I-II, Città del Vaticano 1953-1955; W. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom, I: Die Päpstlichen Sammlungen im Vatikan und Lateran2, Tubinga 1963, p. 469 ss.
(F. Roncalli)
3. - Museo di Scultura Antica. - La più anziana delle Raccolte Pontificie, quella delle sculture greche, romane e greco-romane, divenne anche la più vasta e la più importante. La sua vita incominciò nell'allora rettangolare Cortile adiacente al "Belvedere d'Innocenzo VIII", quando Giuliano della Rovere, eletto Papa (1503), portò con sé nel Vaticano la statua che adornava già la sua dimora cardinalizia a S. Pietro in Vincoli: l'Apollo, universalmente noto come l'Apollo del Belvedere appunto per la sua collocazione permanente nel Cortile del Belvedere. Questo cortile fu destinato in seguito all'Antiquario delle Statue. Presto Giulio II poteva aggiungere la Venus Felix, replica mediocre dell'Afrodite Cnidia con testa ritratto di epoca antonina, il Laocoonte, trovato nel 15o6, e l'Arianna addormentata, anch'essa trovata in quel periodo e chiamata allora "Cleopatra" a causa del bracciale in forma di serpente che porta al braccio sinistro. Da Leone X questa raccolta fu arricchita di altre famose statue, tra le quali le grandiose divinità fluviali, ispirate ad opere ellenistiche, ma eseguite in epoca imperiale romana: il Nilo, il Tigri e il Tevere (quest'ultimo rimasto a Parigi in seguito alle spoliazioni compiute da Napoleone). Dopo il breve periodo di chiusura dell'"Antiquario delle Statue" sotto Adriano VI, Clemente VII continuò ad ampliare la raccolta con un'altra replica della Cnidia - oggi nei Magazzini - di molto superiore alla Venus Felix, la quale però rimase per secoli la più celebre per aver fatto parte, fin dal principio, del famoso "Antiquario di Giulio II"; e soprattutto con il Torso del Belvedere (v.), già nelle collezioni dei Colonna, il quale fu immensamente ammirato da Michelangelo. Un fenomeno di grande interesse museologico che sembra accentuarsi in quel periodo di Clemente VII è il gusto per restauri integranti le statue antiche delle parti andate perdute. Uno dei primi monumenti cui toccò questa sorte dev'essere stato il Laocoonte (v.). Difatti è noto che Clemente VII, vista la copia in bronzo destinata ai re di Francia, completata delle parti mancanti, si rivolse a Michelangelo chiedendogli un valido restauratore che integrasse anche le statue dell'"Antiquario". Così il Montorsoli, allievo e aiuto di Michelangelo, fu raccomandato dal maestro e incominciò il suo lavoro con il Laocoonte e l'Apollo.
Sotto Paolo III il famoso Antinoo del Belvedere, statua di Hermes risalente ad un originale greco prassitelico (IV sec. a. C.), fece il suo ingresso nell'Antiquario delle Statue. Peraltro, Paolo III (1534-1549) come pure il suo successore Giulio III (1549-1555) dedicarono la loro attenzione più alle collezioni di famiglia che alla vecchia raccolta di Giulio II del Belvedere.
Nella seconda metà del '500, sotto l'influenza del severo spirito della Riforma Tridentina, l'Antiquario delle Statue non soltanto non destò più l'interesse dei Papi, ma per qualche tempo - sotto Paolo IV Carafa (1555-1559) - fu chiuso; alcune statue furono mandate al Campidoglio, (v. roma, Musei Capitolini) altre regalate ad eminenti personaggi dell'epoca. In tale stato di cose fu forse una buona fortuna per i celebri capolavori del Belvedere, che Pio IV (1559-1565) facesse chiudere da grandi sportelli di legno le nicchie del Cortile che li contenevano ("perché le cose rare e preciose debbono essere con diligentia et decoro conservate... acciò non sieno da huomini ignoranti o maligni... in parte alcuna offese". Gamucci, Antichità di Roma, 1565, p. 199). Intanto Pio IV arricchì il patrimonio vaticano di sculture antiche classiche in altre località, soprattutto nel suo "teatro" e nella sua "casina", e a lui si deve la sistemazione dei Nicchione bramantesco considerevolmente innalzato e diventato centro della facciata meridionale del nuovo edificio di Pirro Ligorio nel Belvedere. Pochi decennî dopo, la famosa Pigna dell'Atrio di S. Pietro troverà il suo posto entro il Nicchione, seguita poi dai due Pavoni che già nell'Atrio della Basilica l'avevano affiancata. Da essa prenderà il nome il cortile a N del Braccio Nuovo.
L'Antiquario delle Statue, però, era sotto la custodia dell'archiatra Pontificio Michele Mercati, direttore dell'Orto Botanico e, come studioso di mineralogia, gran conoscitore di Plinio e di tutto ciò che questi narra delle sculture antiche.
Il sec. XVIII vide, fin dall'inizio, ritornare la vita nella Raccolta del Belvedere con Clemente XI, il quale fece ripulire curare e proteggere le sculture e abbellire l'ambiente. Ma decisiva per i musei fu l'ascesa al Pontificato di Clemente XIV. Egli volle approfittare delle ottime occasioni d'acquisto di statue antiche che in quell'epoca intorno al 1770 si offrivano a causa della messa in vendita di celebri collezioni principesche romane; si assicurò così gran parte della Collezione Mattei; le statue già appartenenti al medico di Paolo III, fra le quali il Meleagro di Skopas (copia da originale del IV sec. a. C.), poste in vendita dal Monastero di S. Cosimato, ed altre. Non essendovi posto per tutte queste opere né al Campidoglio, né nella Biblioteca, il Papa probabilmente ebbe assai presto l'idea di istituire un nuovo museo nei locali già esistenti intorno al Cortile - trasformato per l'occasione in ottagono da Simonetti - quelli cioè all'estremità del Corridoio Bramantesco ad E, quelli del Palazzetto di Innocenzo VIII a N, e la Stanza del Torso ad O. Alla morte di Clemente XIV (1774), questo primo complesso con le statue già al loro posto era in gran parte allestito. La scritta monumentale Museum Clementinum posta (nel 1773) sopra il nuovo ingresso al Cortile ormai "Ottagono", aperto in fondo al Corridoio Bramantesco, indica chiaramente che qui incomincia un "museo" vero e proprio. Il successore di Clemente XIV, Pio VI, continuando la generosa impresa - alla quale egli stesso molto aveva già contribuitò come tesoriere di Clemente XIV - affidò agli architetti M. Simonetti e G. Camporesi la costruzione di nuovi grandiosi edifici, espressamente destinati ad assolvere alla funzione di museo di scultura antica classica - fatto nuovo questo nella secolare storia delle collezioni vaticane. I nuovi edifici collegano il Museum Clementinum al Corridoio occidentale mediante il nuovo monumentale ingresso dei "Quattro Cancelli" (opera del Camporesi, terminata nel 1790). Il complesso del Museo Pio-Clementino consta dunque, al pianterreno, di 14 sale e, al piano superiore - raggiungibile tramite la splendida Scala Simonetti - della Sala della Biga (sopra i Quattro Cancelli) e della lunga Galleria dei Candelabri che si estende sopra il Corridoio occidentale. Pio VII, appena tornato dall'esilio cui le tumultuose vicende degli anni dell'occupazione francese l'avevano costretto - come già il predecessore Pio VI - desideroso di ricostituire le raccolte vaticane dopo le asportazioni napoleoniche e di ampliare il Museo di Scultura, fondò nel 1807 il Museo Chiaramonti. Sempre partendo dall'antico nucleo del Cortile delle Statue esso si estende nel Corridoio del Bramante come Galleria Chiaramonti e Galleria Lapidaria; venne poi arricchito da una nuova ala, il Braccio Nuovo (1822) destinato a statue e busti di speciale pregio - capolavoro dell'architetto R. Sterne, uno dei modelli dei musei monumentali classicheggianti di moda nell'Europa del principio dell'800.
I criterî secondo i quali i varî oggetti venivano disposti erano in primo luogo decorativi, intesi a raggiungere l'armonia fra monumenti e architettura, talvolta con il predominio di quest'ultima. Nel Braccio Nuovo, invece, forse più che nelle altre sale, è messo l'accento sulla individualità delle opere esposte. Sale con sistemazione "decorativa" dei monumenti si alternano con sale "a tema": Sala delle Muse, degli Animali, dei Busti, ecc.: i criterî di cronologia e di stile non avevano ancora il significato e l'importanza che oggi hanno per noi. Perciò la disposizione non ne ha tenuto conto, e così le opere le più svariate di stile e epoca si trovano una accanto all'altra. Cronologicamente le sculture conservate nei Musei Vaticani appartengono alle epoche dal V sec. a. C. fino al V sec. d. C. Soltanto rarissimamente le definizioni cronologiche possono essere precise, a causa del complesso carattere delle sculture classiche provenienti dal suolo romano, le quali "quando non siano opere originali greche, o di artisti o marmorari romani (ritratti, rilievi storici, sarcofagi, ecc.) sono copie romane di opere di artisti greci. Talvolta però il copista romano ha attinto per lo stesso lavoro a più modelli (cosiddetto "pasticcio"), o piuttosto si è ispirato al modello adattandolo alle esigenze del proprio compito come, per esempio nei ritratti interi dove teste-ritratto maschili o femminili sono state collocate su corpi adattati, desunti da modelli" (Magi). Gli originali greci minori sono oggi riuniti nelle due Salette degli Originali Greci. Fra essi si trovano le sculture classiche più antiche dei Musei Vaticani: la testa di Atena, da acrolito, opera forse di Pythagoras da Reggio, di stile severo; la stele funeraria di un giovane atleta; tre frammenti del Partenone; un frammento di rilievo con cavaliere: tutti del V sec. a. C. Altre opere importanti dello stesso secolo, ma in copie romane: il Discobolo di Mirone (Sala della Biga); tre delle famose Amazzoni delle quali gli originali stavano ad Efeso: la fidiaca (Galleria delle Statue), la policletea e quella di Kresilas (Braccio Nuovo). Di questo ultimo scultore esiste la copia d'un altro celebre lavoro nella Sala delle Muse: il ritratto di Pericle (v.). La fine del V sec. è rappresentata da una delle Cariatidi dell'Eretteo sull'acropoli di Atene (Braccio Nuovo), ed il transito dal V al IV sec. dal Discoforo di Naukydes, scolaro di Policleto (Sala della Biga). Repliche di opere dei più famosi scultori del IV sec. sono: il Meleagro scopadeo (Sala degli Animali); l'Apollo Sauroctònos e l'Afrodite Cnidia di Prassitele (Galleria delle Statue, Gabinetto delle Maschere) l'Apollo del Belvedere ed il Ganimede di Leochares (Candelabri II); il ritratto di Platone di Silanion (Sala delle Muse); e per la fine del IV sec. l'Apoxyòmenos di Lisippo. Del III sec.: la Tyche di Antiochia di Eutychides, scolaro di Lisippo (Candelabri IV); la statua di Demostene (v.) (Braccio Nuovo); il Vecchio Pescatore d'arte alessandrina (Candelabri IV). Per l'ellenismo più inoltrato da ricordare: l'Arianna Addormentata (Galleria delle Statue); i frammenti di repliche del gruppo Pasquino (Sala dei Busti); il Persiano Combattente, di arte pergamena (Candelabri VI); il Nilo (Braccio Nuovo); soprattutto i due originali ellenistici: il Laocoonte ed il Torso del Belvedere.
Per gli originali romani si risale al III sec. a. C. con il sarcofago di Scipione Barbato (Atrio del Torso) e al II sec. a. C. con l'iscrizione di L. Mummio (Gabinetto dell'Apoxyòmenos). Nella seconda metà del I sec. a. C., soprattutto nel periodo augusteo, cominciano gli innumerevoli monumenti ed opere d'arte specificamente romani: i rilievi storici i Vicomagistri ed i grandi rilievi domizianei del Palazzo della Cancelleria; la monumentale Base della Colonna Antonina con l'apoteosi di Antonino Pio e Faustina; moltissime are votive: alcune con i Lari, di epoca augustea; l'Ara Casali con le scene della fondazione di Roma, II-III sec. d. C.; e are funebri (per esempio di un architectus armamentarii imperatoris C. Vedennius Moderatus, I sec. d. C., Galleria Chiaramonti); gli spesso splendidi ritratti di personaggi romani che vanno dal I sec. a. C. al IV sec. d. C.: Giulio Cesare (Sala dei Busti); Cicerone (Galleria Chiaramonti); soprattutto l'Augusto di Prima Porta, Adriano e Filippo l'Arabo (Braccio Nuovo); la testa di uomo barbato del V sec. (Galleria Chiaramonti) i numerosi sarcofagi a rilievo, eseguiti nel corso di tre secoli, varî per forma, stile e temi rappresentati: quello con battaglia di amazzoni, II sec. (Cortile Ottagono); quello di Metilia Acte, datato al 161-170 d. C., col mito di Alcesti; quello con la famosa veduta di un porto (Cortile Ottagono) e quello di un bambino "letterato" (Candelabri I), gli ultimi due del III sec. d. C.; i due grandiosi sarcofagi costantiniani di porfido provenienti da Santa Costanza. Una divinità locale, etrusco-romana, è raffigurata nella Giunone Sospite di Lanuvio, II sec. d. C. (Sala Rotonda). Tra i mosaici si ricordano quelli con le maschere dalla Villa Adriana del II sec. e quelli grandiosi con scene marine da Otricoli e da Scrofano del III sec. d. C.
Bibl.: G. B. - F. Q. Visconti, Il Museo Pio Clementino, 7 voll., Roma 1782-1807; F. A. Visconti, G. A. Guattani, A. Nibby, Il Museo Chiaramonti, Roma 1808; E. Pistolesi, Il Vaticano Descritto, Roma 1829-38; A. Michaelis, Geschichte des Statuenhofes im Vatikanischen Belvedere, in Jahrbuch, V, 1890, pp. 5 ss.; W. Amelung, Die Sculpturen des Vatikanischen Museums, I, II, Berlino 1903-1908; G. Lippold, Die Sculpturen d. Vatikanischen Museums, voll. III, i e III, 2, Berlino 1936-1956; B. Nogara, Guide dei Musei e Gallerie Pontificie, I, Guide du Musée de Sculpture du Vatican, Vaticano 1933; id., I Mosaici antichi... nei Palazzi Pontifici, Milano 1910; G. Kaschnitz-Weinberg, Sculture del Magazzino del Museo Vaticano, Vaticano 1937; F. Magi, I Rilievi Flavî della Cancelleria, Vaticano 1945; B. Nogara, Origine e sviluppo dei Musei e Gallerie Pontificie, Roma 1948 (- Vaticano, a cura di G. Fallani e M. Escobar, p. 535 ss., Firenze 1946); Guida Breve Generale dei Musei e Gallerie del Vaticano, del Laterano e della Biblioteca Vaticana, Vaticano 1948; C. Pietrangeli, Il Museo Clementino, in Rend. Pont. Accad., XXVII, 1951-2, p. 87 ss.; F. Magi, I Musei e le Gallerie Pontifice. Triplice Omaggio a Sua Santità Pio XII, vol. II, 1958, pp. 117 ss.; C. Pietrangeli, Scavi e Scoperte di Antichità sotto il Pontificato di Pio VI, Roma 1958; W. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom4, (H. Speier), vol. I, Tubinga 1963.
Scala dei Rilievi Assiri. - Degna di nota una piccola, ma rara, collezione di rilievi assiri dal IX al VII sec. a. C., ed alcuni monumenti palmireni del II e III sec. d. C.
Bibl.: A. Pohl, Die neugefundenen assyrischen Reliefs und Inschriften der Vatik. Museen, in Orientalia, XVI, 1947, pp. 459 ss.
(H. Speier)
4. - Museo Gregoriano Profano (già Museo Profano Lateranense). - Esso deve la sua fondazione a Gregorio XVI. Questo Papa resosi conto del fatto che un ingente numero di oggetti antichi classici, rinvenuti, acquistati o ricevuti in dono, come la statua di Sofocle, nella prima metà del sec. XIX, non trovavano più posto nelle Sale e nei Magazzini Vaticani, già affollati, decise di ospitare questi monumenti nell'ormai restaurato Palazzo Lateranense. Ivi trovò posto anche una cospicua raccolta di calchi di celeberrime sculture classiche (per esempio quelli del Partenone regalati dal re d'Inghilterra e quelli del tempio di Egina, dono del re di Baviera). Le 14 sale del pianterreno furono, quindi, destinate ad un nuovo museo di scultura, al quale altre due sale vennero aggiunte da Pio IX per contenere gli oggetti trovati durante gli scavi eseguiti a Ostia per sua iniziativa (1857). Una ingente collezione epigrafica comprendente migliaia di iscrizioni provenienti nella massima parte da Ostia e da Roma si è formata fin dal 1900. Sotto Benedetto XV (1914-1922) il museo subì una sistemazione completamente nuova che rimase in vigore fino al momento del trasferimento in Vaticano nel 1963. L'edificio che lo accoglierà è attualmente in costruzione (1966).
Ricordiamo come esemplari di arte greca due repliche del Marsia ed una della testa di Atena del gruppo mironiano ed il rilievo a tre figure di Medea con le Peliadi (da originali del V sec. a. C.); l'unica replica esistente dell'imponente statua di Sofocle, quella della statua colossale di Posidone e la delicatissima testa di una Musa, forse un originale greco - tutti e tre capolavori del IV sec. a. C.; d'epoca ellenistica l'interessante e spesso discusso rilievo di un poeta comico. Grande è il numero di monumenti romani di ogni genere, sia d'architettura - una intera sala è dedicata soltanto a capitelli e fregi architettonici - sia di scultura: grandiosi sarcofagi specialmente ricchi di rappresentazioni mitologiche (fra le quali l'unica fin'ora conosciuta di Edipo) e monumenti funebri. Tra quest'ultimi eccelle il sepolcro degli Haterii con un complesso di circa 40 fra sculture, are, pilastri, frammenti architettonici: ricordiamo il rilievo con cerimonie di un funerale ed il pilastro "delle rose". Ricchissima la raccolta dei ritratti abbracciante le epoche dall'augustea fino al IV sec. d. C. - tra essi il gruppo di statue-ritratto di personaggi della casa imperiale giulio-claudia, trovato negli scavi a Cerveteri (intorno al teatro romano), insieme ad altre sculture, iscrizioni ed al cosiddetto Trono di Claudio - e la statua di Dogmazio con iscrizione databile al 326-333 d. C. Dei rilievi storici si ricordi il grande fregio con un corteo imperiale e littori la cui parte superiore si trova al Museo Nazionale Romano. Folto il numero di are funerarie (per esempio il gruppo dal sepolcro dei Volusi) e di are votive: graziosa quella dedicata alla Pietas. Non mancano né mosaici importanti come i frammenti di quello firmato Heraklitos (v.) con la rappresentazione del pavimento di una sala da pranzo non spazzata (copia del mosaico ellenistico di Sosos, a Pergamo), o il mosaico gigantesco dalle Terme di Caracalla con gli atleti, o la nicchia con mosaico di Silvano; né mancano pitture: fra queste i dipinti sepolcrali ostiensi provenienti dagli scavi di Pio IX; su uno di essi si vede il mito di Orfeo e Euridice nell'Ade, raramente rappresentato nell'arte funebre romana del III sec. d. C. Tra i monumenti rinvenuti ad Ostia sono di speciale interesse una statua di Attis sdraiato del II sec. d. C. ed un'urna cineraria di M. Modio Massimo, Archigallo, cioè sacerdote di Cibele; interessante, inoltre, un gruppo di tubi di condutture in terracotfa ed in piombo con iscrizioni che li datano rispettivamente ai periodi di Adriano, di Marco Aurelio e di Lucio Vero.
Bibl.: R. Garrucci, Monumenti del Museo Lateranense, Roma 1861; O. Benndorf-R. Schöne, Die Antiken Bildwerke des Lateranensischen Museums, Lipsia 1867 O. Marucchi, Guida del Museo Lateranense Profano e Cristiano (Musei e Gallerie Pontifice, IV), Roma 1922; A. Giuliano, Catalogo dei Ritratti Romani del Museo Profano Lateranense, Vaticano 1957.
(H. Speier)
5. - Museo Pio Cristiano già Museo Lateranense Cristiano. - In seguito all'istituzione della Commissione di Archeologia Sacra avente "lo speciale incarico di dirigere gli scavi delle Catacombe e di tutelarne la conservazione" Pio IX fondò il Museo Cristiano Lateranense destinato ad accoglierne quei monumenti che non si potessero lasciare sul posto. Il Papa affidò a P. Marchi S. J. e G. B. De Rossi il compito di ordinare il materiale trovato e di allestire il nuovo museo, il primo del genere e costituente tutt'ora un unicum. Esso comprende due sezioni principali: sculture e sarcofagi da un lato e la ricchissima raccolta d'iscrizioni dall'altro. La prima, costituita da pezzi in genere raccolti nelle chiese di Roma, contiene soprattutto opere dal III al V sec. d. C. tra cui la nota statuetta del Buon Pastore e la preziosissima raccolta di sarcofagi, dal repertorio iconografico cosi ricco e significativo sia per l'espressione del pensiero cristiano sia per lo sviluppo nelle forme della nascente arte cristiana. Ricordiamo le scene pastorali con il Buon Pastore e una figura di Orante sui sarcofagi di Via Salaria (n. 181) e di Via Prenestina (150) del III sec.; la scena di Vendemmia con tre figure di Buon Pastore (IV sec.); i sarcofagi con scene dal Vecchio Testamento: per esempio quella con l'impressionante Passaggio del Mar Rosso (iii) del IV sec. (interessante anche per il modo in cui sono usati schemi pagani di rappresentazioni di battaglie), la fronte di sarcofago con episodî della vita di Giona ed altri dal Vecchio Testamento cui si aggiunge la Risurrezione di Lazzaro. Grandioso il sarcofago dei "due fratelli" con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento distribuite su due piani intorno alla conchiglia centrale con i ritratti dei "due fratelli" ivi sepolti (IV sec.). Tra i sarcofagi con episodî della vita di Gesù si ricordino i primi rappresentanti il Presepio - dove compaiono i Re Magi e Giuseppe è raffigurato giovane e imberbe (per esempio n. 185 del IV sec.); sarcofagi con al centro il monogramma di Cristo e scene dalla Passione (171) del IV sec.; infine la fronte di sarcofago detta del pasce oves meas con la singolare scena pastorale raffigurante Cristo e gli Apostoli davanti ad ognuno dei quali sta - quasi "attributo" - una pecora (IV sec.). La sezione preziosissima delle iscrizioni cristiane raccolte per lo più dalle chiese di Roma comprende, secondo la classificazione del De Rossi, XXV reparti suddivisi come segue: iscrizioni da monumenti pubblici del culto cristiano, iscrizioni sepolcrali, fra cui notevoli quelle con date certe, iscrizioni con simboli ed emblemi, con frasi singolari; quindi un gruppo disposto secondo il luogo di provenienza. Esse vanno dal I sec. d. C. fino ai tempi medievali. Famoso è il frammento del cippo di Abercio, vescovo di Geropoli nella Frigia, dell'epoca di Marco Aurelio; moltissime altre iscrizioni sono di grande valore per la storia e la vita della prima età del cristianesimo.
Bibl.: J. Ficker, Die Altchristlichen Bildwerke des Laterans, Lipsia 1890; O. Marucchi, Guida del Museo Cristiano Lateranense, Roma 1898; id., I Monumenti del Museo Cristiano Pio Lateranense, Milano 1910.
(E. Josi)
6. - Il Museo Sacro della Biblioteca Apostolica Vaticana. - Fondato nel 1756 da Benedetto XIV, aveva lo scopo di testimoniare l'evoluzione dell'espressione della fede cristiana nelle arti minori. Secondo i criterî vigenti nell'epoca, gli oggetti provenienti dalle catacombe considerati di ispirazione cristiana, furono collocati nel Museo Sacro, mentre gli altri, di diversa provenienza, furono disposti nel Museo Profano, facente parte anche esso della Biblioteca Vaticana. La consistenza del Museo Sacro era all'inizio costituita semplicemente da alcune raccolte private come quelle del Card. Carpegna, del Senatore F. Buonarroti, e dello studioso F. Vettori, il quale fu il primo conservatore per nomina pontificia. Il primo conservatore nel senso moderno fu G. B. De Rossi, che curò l'unificazione delle collezioni e la loro sistemazione secondo criteri più rigorosamente scientifici e compilò anche il primo inventario. Nel 1907 il Museo Sacro fu arricchito del tesoro del Sancta Sanctorum, fatto trasportare e collocare qui dalla Cappella di S. Lorenzo alla Scala Santa per volontà di Pio X. Nel 1936 Pio XI, seguendo precedenti disposizioni di Pio IX, ordinò che tra tutti gli oggetti trovati negli scavi condotti dalla Pont. Commissione di Archeologia Sacra, venisse operata un'accurata selezione di quelli più significativi per l'arricchimento delle collezioni del Museo Sacro. La sistemazione secondo i criterî scientifici più rigorosi, iniziata durante il periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale, è attualmente nella fase definitiva.
Le Collezioni. Gli oggetti, secondo il criterio in vigore sin dalla fondazione, sono divisi in gruppi secondo i tipi del materiale: bronzi e altri metalli, terrecotte, stoffe, vetri, avori e osso, smalti, ecc. Tra gli oggetti di metallo sono lampade e altri oggetti in bronzo provenienti dalle catacombe, una interessante collezione di croci medievali in bronzo e il famoso tesoro di reliquiarî e vasi rinascimentali provenienti dalla Chiesa di S. Cecilia a Roma.
Nel gruppo dei vetri sono: la collezione più ricca del mondo dei vetri dorati (202 esemplari) provenienti dalle catacombe romane, con ritratti, scene pagane, scene del Vecchio e Nuovo Testamento, scene di culto ebraico, tutti databili al III-IV sec. d. C.; un gruppo di vetri incisi, per la maggior parte piatti e vasi, provenienti dagli scavi di Ostia e di Porto, donati a Pio IX dal Principe Alessandro Torlonia nel 1866, e altri vetri comuni romani provenienti dalle catacombe. Notevole anche la raccolta di opere di glittica romana, di falere e di oggetti in cristallo di rocca.
La collezione degli avorî contiene, oltre che statue e altri oggetti trovati nelle catacombe, alcuni noti esemplari di coperture di codici, come per esempio, quella di Lorsch (Cod. Pal. lat. 50, sec. IX) e quella di Rambona (sec. X). Tra gli smalti conservati nel Museo Sacro, sono da annoverare le statue di Cristo e di cinque apostoli e pezzi ornamentali che facevano parte dell'altare della Confessione di S. Pietro, eretto da Innocenzo III; questi smalti provengono da Limoges.
Il tesoro del Sancta Sanctorum, conservato nella Cappella di S. Lorenzo alla Scala Santa fino al 1903 e trasportato nella Biblioteca Vaticana nel 1905, consta di ciò che è rimasto del tesoro "ufficiale" dei papi al Laterano: famosi reliquiarî e esemplari di stoffe antiche, come, per esempio, la croce-reliquiario smaltata, donata da Pasquale I, con la sua teca d'argento e rispettivo cuscinetto in seta; una teca lignea orientale dipinta del sec. XI circa; due piccoli pannelli dipinti con le immagini di Pietro e Paolo, e una collezione importante di stoffe sassanidi dei secoli VI-VII, di tuniche paleocristiane e di brandea, alcuni ancora con tracce di balsamo e di sangue.
Bibl.: R. Kanzler, Gli avorî dei Musei Profano e Sacro della Biblioteca Vaticana, Roma 1903; C. R. Morey, Gli oggetti di avorio e di osso del Museo Sacro Vaticano, Città del Vaticano 1936; W. F. Stohmann, Gli smalti del Museo Sacro Vaticano, Città del Vaticano 1936; W. F. Stohlmann, Gli smalti del Museo Sacro Vaticano, Città del Vaticano 1942; C. R. Morey, The Gold-Glass Collection of the Vatican Library, Città del Vaticano 1959.
(G. Ferrari O. S. B.)
7. - Biblioteca Vaticana, pitture antiche. - Tutti gli antichi dipinti, di rinvenimento più o meno casuale, affluiti col tempo alle collezioni pontificie, furono collocati nel 1838, sotto Gregorio XVI, nella saletta del Museo Sacro della Biblioteca sita al primo piano dell'edificio costruito da Paolo V nel 16o8 e detta già "del Sansone" dal soggetto degli affreschi del soffitto di G. Reni: fanno eccezione i frammenti dalla casa di Numisia Procula presso Tor Marancia, murati nella Galleria dei Candelabri; inoltre alcuni dei dipinti ostiensi, rinvenuti tra il 1865 ed il 1869 nel corso degli scavi ripresi da Pio IX, conservati nel già Museo Lateranense. La sala, precedentemente adibita ad accogliere la raccolta delle stampe e a tale scopo restaurata da Pio VII, fu restaurata una seconda volta sotto Pio IX ed infine radicalmente rinnovata nel 1962 per iniziativa del Card. Albareda, allora Prefetto della Biblioteca Vaticana.
Il monumento più antico della collezione è il fregio parietale con scene dell'Odissea, da un edificio tardo-repubblicano scoperto nel 1840 sull'Esquilino: esposto per qualche tempo al Museo Capitolino, fu donato a Pio IX nel 1853. Esso rappresenta episodî del viaggio di Ulisse ambientati in uno scenario visibile oltre una mezza parete cui è addossata una doppia serie di pilastri (v. paesaggio). Si tratta assai probabilmente di una copia romana della prima metà del I° sec. a. C. da originale ellenistico (un frammento dello stesso fregio è al Museo delle Terme).
Di alcuni decennî posteriore è l'affresco delle Nozze Aldobrandine (v.) che dà il nome alla sala. Rinvenuto nel 1604-1605 sull'Esquilino, conservato fino al 1811 in un apposito padiglione dei giardini della Villa Aldobrandini, nel 1818 fu acquistato da Pio IX e posto prima nella II, poi nella III sala dell'Appartamento Borgia; portato nella sala del Sansone, come già detto, nel 1838, nel 1962 fu restaurato e staccato dal blocco di opus reticulatum su cui si trovava.
È poi da citare la serie delle "eroine" di Tor Marancia, ereditata dal Museo Pio-Clementino nel 1823 dalla Duchessa di Chiablese nella cui tenuta fuori Porta S. Sebastiano era stata ritrovata: essa raffigura personaggi femminili tragici del mito greco ed esemplifica lo sfruttamento continuato da parte di modesti decoratori romani d'età tardo-imperiale di quadri ellenistici celebri (v. vol. v, fig. 427, s. v. Myrra).
Infine la piccola raccolta si completa con alcuni dei citati dipinti ostiensi: le due processioni di fanciulli, da una casa privata, e la nave con facchini, da una camera tombale (di cui un altro affresco è al già Museo del Laterano), che si collocano entro il filone più vivo della pittura romana del II-III sec. d. C.
Bibl.: X. Barbier de Montault, La Bibliothèque Vaticane et ses annexes, Roma 1867, p. 126 s.; B. Nogara, Le Nozze Aldobrandine, i Paesaggi con scene dell'Odissea e le altre Pitture murali antiche conservate nella Biblioteca Vaticana e nei Musei Pontifici, Milano 1907; Musei e Gallerie Pontificie, Guida delle Gallerie di Pittura, Roma 1925, pp. 56-60; Guida e breve generale ai Musei e alle Gallerie di pittura del Vaticano, del Laterano e della Biblioteca Vaticana, Città del vaticano 1948, p. 111; W. Helbig, Führer durch die öffentlichen Sammlungen klassischer Altertümer in Rom4, I, nuova ediz. aggiorn., Tubinga 1963, p. 353 ss.
(F. Roncalli)