Città e produzione di cultura e creatività
La creatività è un fenomeno contagioso. Ha bisogno d’interazione, di analogia e di reciprocità. La forma città e le sue relazioni sembrano essere la migliore base per lo sviluppo delle industrie creative e culturali, perché le esternalità intellettuali di prossimità sono uno stimolo fondamentale sia per l’innovazione sia per la produzione di cultura. Produrre ‘cultura’, ossia «l’insieme della tradizione e del sapere scientifico, letterario e artistico di un popolo o dell’umanità intera» (G. Devoto, G.C. Oli, Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana 2014, 2013, ad vocem), sembra però quasi una missione impossibile. Eppure ogni giorno questo miracolo si avvera e nelle città di tutto il mondo si continua a conservare cultura e a produrne di nuova. In questo saggio si cercherà di capire come ciò possa avvenire, quali siano gli ostacoli e i mezzi per raggiungere un obiettivo così rilevante. In queste prime righe sembra utile partire da due caratteristiche costitutive di ogni cultura: l’essere definita dal binomio spazio-tempo.
La storia delle idee insegna che il legame tra cultura e territorio è non solo antico, ma profondo e teoreticamente fondato. Due sono i principali riferimenti. Da un lato il carattere idiosincratico e ubiquo della cultura, dall’altro il carattere universale e ubiquo della cultura digitale. Idiosincrasia significa specificità, peculiarità rispetto a un luogo e a un momento storico. Ogni fenomeno culturale nasce in un determinato luogo geografico e in una definita epoca o momento storico: Parigi come capitale della moda negli anni Cinquanta; il Rinascimento a Firenze nella seconda metà del Quattrocento.
Nonostante la nuova cultura tecnologica e virtuale possa sfuggire al binomio spazio-temporale, la città resta il centro di produzione ideale di cultura nel senso moderno, intesa cioè come produzione di beni e servizi delle industrie creative. Con un’eccezione, si potrebbe dire moderna, ossia il ruolo delle istituzioni che caratterizzano il territorio, prime fra tutte le regioni. Il loro contributo alla cultura e alla creatività delle città e del territorio si avverte chiaramente negli indirizzi delle politiche adottate: dagli anni delle ‘giunte rosse’ (le amministrazioni di sinistra succedutesi dal 1979 fino alla metà degli anni Ottanta) e dei contributi innovatori nel mondo dello spettacolo e della sua democratizzazione, al lavoro fortemente innervato di tecnologie dell’informazione e della comunicazione che apre la via alla trasformazione delle città in smart cities. Se la distinzione fra il concetto di regione come ente ben definito e quello di regione come territorio dai confini meno netti, che tende ad ampliarsi sino alla metaregione, ha un senso, è comunque a quest’ultima accezione che si farà riferimento nel descrivere il contrappunto tra cultura e creatività. D’altra parte le economie di prossimità, che tanta importanza hanno nel favorire lo sviluppo di una cultura e della creatività, sembrano attenuarsi nel passaggio dal quartiere al distretto, alla città e al territorio regionale. In questo senso, anche il concetto di regione-territorio come tradizione e identità è più evidente quanto più la dimensione del luogo favorisce relazioni di prossimità tra le persone.
A ben pensare nel mondo della cultura si contrappongono tre modelli di valorizzazione: quello orientato alla produzione, l’altro alla conservazione e infine quello orientato alla distruzione. Questa sembra essere una tricotomia esaustiva, perché in effetti una cultura può essere prodotta, conservata, ma anche distrutta.
Quando si considera la politica di produzione di cultura, l’ottica cambia radicalmente. Non si pone più l’enfasi sulle funzioni di tutela, valorizzazione, conservazione, gestione e fruizione del patrimonio culturale, consacrate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (d. legisl. 22 genn. 2004 nr. 42 e successive modificazioni), ma ogni attenzione e assistenza sono riservate alla catena di produzione del valore di un bene d’arte. La conservazione richiede principalmente competenze, mentre la produzione ha bisogno di creatività. La filiera di produzione di un bene d’arte è un concetto di politica economica che può essere illustrato delineando i ruoli e i compiti dei principali attori, pubblici e privati. Si può qui brevemente citare quattro fasi di questa filiera, dalle quali traspare il cambiamento di prospettiva e di responsabilità istituzionali.
La prima fase della produzione dei beni d’arte e di cultura riguarda la selezione degli artisti e degli attori della creatività. Gli strumenti istituzionali, dal mecenatismo al mercato, ai concorsi pubblici e alle accademie, sono spesso inadeguati alla dimensione internazionale e alla globalizzazione del mondo dell’arte e dell’industria culturale. La seconda fase è quella della creazione delle idee, essendo l’arte e la cultura un bene eminentemente intellettuale. La creatività non è una epifania, una rivelazione divina, ma un processo che si può riprodurre e trasmettere alle generazioni future. I mercati sono sedotti dalla creatività espressa dai beni, al punto da modificare le regole della concorrenza internazionale, che sempre più si fonda sulla qualità dei prodotti e sempre meno sui bassi costi di produzione. La fase della produzione è una complessa articolazione di attività coordinate. Costose strutture organizzative – si pensi agli enti teatrali e all’industria cinematografica – sono strumento di realizzazione delle idee degli artisti. La distribuzione delle opere d’arte è la terza, strategica fase della catena. Essa diventa sempre più importante e, insieme alla fase della concezione, guida l’intera filiera di creazione del valore. La creatività imprenditoriale è esposta sempre più alla sfida di logiche distributive innovative capaci di dare risposte alle preferenze dei consumatori. Infine, quella del consumo è la quarta fase, che richiama i temi della qualità e dell’allargamento o democratizzazione della domanda.
Il modello della conservazione dei beni culturali ha accumulato troppi difetti, che ne appesantiscono il funzionamento e la spinta innovativa. Il sistema in vigore ha infatti sovvertito l’ordine di priorità rispetto alla produzione di arte e cultura: rivolto alla valorizzazione del passato in sé, è intrinsecamente conservatore; è una lobby politico-culturale per cui più si decentra e più diventa preda della politica locale, mentre più si centralizza e più si allontana dai cittadini; rappresenta, infine, un modello molto parziale di cultura, quella musealizzata e istituzionalizzata. Il modello della conservazione è obsoleto soprattutto perché crea sinergie solo con pochi altri settori economici o parte di essi. Ci si riferisce innanzitutto al turismo, alla piccola impresa di restauro o edile, alla società d’informatica qualificata nella catalogazione, all’editoria specializzata e poco altro. Si tratta di legami forti in un tessuto debole.
Ben altro è il valore sistemico della produzione di cultura. Attraverso la formazione e selezione di artisti, designer e altri mestieri creativi essa alimenta il mercato del lavoro di tutto il sistema Italia e ne riqualifica il segmento più strategico, quello chiamato ‘la classe creativa’ (Florida 2002). Con il concepimento di nuove idee e la loro realizzazione, la cultura si estende a un mondo produttivo in enorme crescita a livello mondiale. Il cuore di questa nuova attenzione alle industrie culturali sono le città che le ospitano.
Che il patrimonio culturale costituisca una risorsa per lo sviluppo economico è una considerazione ormai largamente condivisa. Ovviamente il capitale o patrimonio culturale va valorizzato con opportune scelte strategiche, altrimenti non dà frutti. In molti casi il valore è il risultato della rivitalizzazione di risorse rimaste inattive, di musei non ammodernati, di scavi archeologici abbandonati all’incuria, di teatri mal gestiti. Destinatari ideali di questa opzione sono il consumo di cultura e il turismo culturale. Tuttavia, se si osservano le politiche culturali delle grandi città si nota che una impercettibile tendenza, un clinamen, ha opacizzato il modello della produzione di cultura e reso il pubblico dei consumatori arbitro delle principali scelte strategiche. Si parla molto di più del nuovo allestimento di un museo che di una nuova composizione musicale, si snocciolano i numeri dei visitatori alle mostre d’arte, suggerendo successi commerciali risicati, e si dimentica che la moda o la gastronomia sono una delle industrie più importanti e dinamiche del Paese. A lungo andare questa tendenza che sacrifica la produzione al consumo può rivelarsi negativa e si cercherà di spiegare il senso di un cambiamento di direzione sempre più storicamente necessitato e il nuovo ruolo delle industrie creative e culturali. La conservazione ha diversi significati:
a) di tutela e protezione legale, come pubblico servizio; grazie a essa si sottrae l’arte alla legge del mercato e agli interessi privati, si toglie dal mercato l’opera d’arte restituendola alla comunità e al pubblico;
b) di difesa contro la pauperizzazione di un territorio, attuata attraverso la mobilità della proprietà delle opere (divieto di esportazione) oppure attraverso la pressione della rendita urbana e dello sviluppo;
c) di mantenimento dell’integrità originaria dell’opera (restauro e manutenzione);
d) di buona gestione e valorizzazione adeguate dell’opera d’arte, al fine di poterla mostrare ai visitatori e ai conoscitori;
e) di produzione di un bene pubblico e in particolare di formazione di identità collettiva; il modello di conservazione, che normalmente guarda al passato, può al tempo stesso essere forward looking, cioè proiettato verso il futuro, perché rafforza l’identità storica di un popolo e mantiene vivo il valore del patrimonio culturale accumulato, che diventa a sua volta input per nuovi processi creativi;
f) di utilizzo e rafforzamento della cooperazione internazionale: contro i mercati illegali, i falsi, le riproduzioni non autorizzate e per regolare la restituzione delle opere d’arte.
La distruzione di cultura è una politica negativa che annovera ben noti esempi. Si pensi ai conflitti religiosi, per es. al bombardamento delle statue del Buddha di Bamiyan in Afghanistan nel 2001 o alla devastazione dell’Abbazia di Cluny ai tempi della Rivoluzione francese, oppure ai conflitti politici, come la guerra che oppose Stati Uniti d’America a Iraq nel 2003 e che portò al saccheggio del Museo nazionale di Baghdad. Sono però altrettanti segni di distruzione l’inquinamento ambientale e la devastazione irreversibile del paesaggio. Le politiche ex ante, come quelle perseguite dagli Scudi blu delle Nazioni Unite per limitare i ‘disastri culturali’, si sono rivelate spesso inefficienti, mentre le politiche ex post hanno più probabilità di successo, soprattutto attraverso l’applicazione di tecnologie (dalla chimica alla ingegneria civile) e conoscenze per la ricostruzione.
Firenze è stata indubbiamente una delle città creative del 15° secolo. In quegli anni molti artisti di chiara fama avevano bottega o lavoravano nella città e per la città. Le botteghe costituivano una rete e una grande risorsa culturale. In ognuna di esse molti giovani creativi lavoravano a fianco del maestro, che era insegnante e guida artistica, ma anche responsabile ultimo delle commissioni ricevute.
Tuttavia in altri contesti la densità artistica è stata il risultato di forme diverse di aggregazione. Nella New York degli anni Sessanta, dell’espressionismo astratto e della pop art, per es., la creatività nasceva dalla interazione tra artisti, galleristi e collezionisti in condizioni di prossimità spaziale. Se a questo quadro si aggiunge la creatività musicale di John Cage (1912-1992), il Living theatre di Julian Beck (1925-1985) e Judith Malina, il fermento dei movimenti di liberazione e uno stile di vita assolutamente libero e creativo, si ha una prima approssimativa immagine di che cosa possa essere stato a New York un contesto di atmosfera creativa. Nella Pechino degli anni Ottanta il magnete dell’agglomerazione della cultura contemporanea fu la destinazione agli artisti di spazi organizzati per la produzione e comunicazione delle loro opere, come racconta la storia della Factory 789 (Santagata 2007). Nella Parigi dell’inizio del 20° sec. elemento di aggregazione furono le comunità che si riconoscevano nella successione delle avanguardie: cubismo, futurismo, dadaismo, fauvismo e surrealismo.
In questo paragrafo si cercherà di tracciare gli aspetti essenziali che contribuiscono al successo di specifici ambiti di creatività e che, per accumulazione successiva, offrono la massa critica che rende il concetto di atmosfera creativa un fenomeno concreto e produttivo di valori culturali ed economici. L’atmosfera creativa diventa allora un modello o progetto di geografia economica. Combina cultura, dimensione spaziale e iniziative imprenditoriali locali, avvalendosi dell’analisi delle reti per descrivere le relazioni tra gli attori e il territorio. Le reti, infatti, costituiscono una modalità tipica della struttura di relazioni sul territorio finalizzate a un dato scopo. Sono la base su cui si sviluppa il capitale sociale, ossia un sistema di relazioni che rappresenta un valore in sé, facilitando la circolazione di idee e la creazione di fiducia e cooperazione.
L’atmosfera creativa è un fenomeno congenito a ogni grande fase di sviluppo culturale nel tempo e nello spazio. Dall’Atene di Pericle alla Firenze rinascimentale fino alla Berlino del 21° sec. è il frutto di un’intensa circolazione d’idee su prodotti, stili, espressioni artistiche, bisogni dei consumatori, innovazioni tecnologiche, modelli di business, design industriale e ricerca della qualità.
Essa è il segnale di una massa critica intellettuale prodotta dal combinarsi di diversi fattori. Gli osservatori attenti del fenomeno delle città creative, come Hippolyte-Adolphe Taine (1865), Peter Hall (1998) e Gunnar Törnqvist (1983 e 2012), sottolineano tutti l’importanza di un fattore di coagulazione. Taine parla di un «artistic milieu» che produce una «temperature morale». Secondo Törnqvist, il «creative milieu», ossia l’atmosfera creativa di un luogo, si manifesta grazie a quattro componenti fondamentali: l’intenso scambio di informazione tra persone, l’accumulazione di conoscenze, l’acquisizione di competenze insieme con il know-how in specifiche attività e, infine, la capacità creativa degli individui e delle organizzazioni nell’utilizzare le tre sopraelencate capacità e risorse.
La formazione e l’addensamento dell’atmosfera creativa è quindi un processo cumulativo che richiede tempo a causa della necessità di sviluppare competenze, conoscenze e propensione alla sperimentazione da parte degli attori coinvolti. Quando il sistema delle idee raggiunge una massa critica, l’atmosfera creativa diventa operativa e visibile ed è in grado di autoalimentarsi grazie alla produzione di esternalità positive, all’attrazione di talenti esterni al territorio e ai vantaggi competitivi che offre all’industria e al terziario locali. Le grandi città creative sono facilmente individuabili nella storia degli ultimi secoli: Atene, Firenze, Parigi, Mumbai. Ciascuna si esprime ed eccelle nel momento in cui ha espresso il massimo di creatività e di massa critica. Come è noto ciascuna si è specializzata in qualche campo creativo. Per es., Atene nella filosofia, storia, scultura e architettura di templi e teatri; Firenze nella pittura e architettura di chiese e palazzi.
Lo studio monumentale di Peter Hall (1998) sulle città creative offre, con il suo straordinario quadro internazionale, un modello applicabile a tutte le aree del mondo, per la vasta gamma di fattori che evidenzia alla base della dimensione creativa. Pur rivelando molte carenze e alcune forzature, l’analisi di Hall sottolinea che la produzione di eccellenza di beni creativi è spesso localizzata in aree urbane e non riguarda solo l’arte, ma anche la cultura tecnologica, e, infine, che il mondo urbano creativo è riflessivo e concerne le forme e la dinamica dello sviluppo delle città. Gran parte degli esempi citati da Hall mostrano una dinamica comune che dura una o due generazioni. Una nuova cultura nasce cioè da una forte spinta creativa ed è spesso il prodotto congiunto degli sforzi di un gruppo di creatori che si concentrano in uno stesso luogo e appartengono a una stessa generazione, cui fanno riferimento per mentalità, usi e costumi. Questo porta a dire che le città creative producono beni e servizi di tipo generazionale e collettivo. Con i conseguenti problemi di incertezza per quanto riguarda il passaggio tra generazioni e la garanzia del mantenimento di un tasso elevato di creatività. L’incognita riguarda dunque la successione generazionale. È infatti logico attendersi che la nuova e innovativa schiera di creatori sviluppi le sue idee secondo un’iniziale forte progressione. Le nuove idee si rivelano, si diffondono e creano proseliti: è la fase del successo e della rapida fama. Poi tutto si assesta, la ripetitività prende il sopravvento, una certa stanchezza intellettuale si sovrappone allo scatto iniziale, allo slancio della prima ora. Quindi viene la fine della vita. Il ciclo si chiude, i maestri scompaiono: è il momento del ricambio generazionale. Nel corso della loro vita hanno creato uno stile, immagini, oggetti e modi di esistere: sarà capace la nuova generazione di ripeterne il successo? Purtroppo non ci sono garanzie automatiche. In altri termini non è possibile garantire un tasso sociale costante di creatività. La nuova generazione può essere migliore, eguale o peggiore della precedente. Il passaggio generazionale diventa allora cruciale. Che fare? Al di là delle consuete risposte in termini di formazione accademica e sul campo, di attrazione di talenti anche dall’estero e di intervento pubblico su strutture che fanno crescere la creatività dei giovani, può essere utile citare due situazioni esemplari. La prima è quella in cui i giovani entrano presto nel mondo creativo e gli artisti anziani continuano a essere attivi: si tratta di una condizione favorevole al mantenimento o all’aumento del tasso sociale di creatività. L’altra, che rappresenta il caso peggiore, è quella in cui i giovani entrano tardi e i più anziani sono quasi inattivi; tale situazione va monitorata attentamente e deve essere evitata il più possibile. Il modello dell’atmosfera creativa mette, dunque, l’accento sulla continuità/discontinuità generazionale e sulla sua evoluzione instabile. L’emergere con la creatività dei beni generazionali è una delle notevoli conseguenze della produzione di beni creativi e culturali a livello locale.
La massa critica per l’atmosfera creativa La circolazione continua e crescente di nuove idee e di frequenti contatti e relazioni interpersonali, quando raggiunge una certa massa critica diventa sostenibile e si addensa in forme sociali e istituzionali che regolano il ritmo di vita, la produzione e il consumo di arte all’interno delle città creative. Queste forme possono essere di tipo giuridico, connesse alla tutela delle idee e delle tecnologie e al funzionamento dei mercati; di tipo politico e multiculturale, legate alla governance delle politiche per la cultura, alle credenze e ai costumi; di tipo artistico-estetico, e tutte coinvolte in una logica di mimetismo, adattamento di nuove idee e soluzioni, e di contagio creativo. Sono queste forme che, di fatto, accolgono e sviluppano il contributo dei nuovi talenti e che rendono visibili i fattori di competitività di un luogo a livello internazionale. Se si prende in esame un movimento artistico, per es., si vede che la sua forma è composta da idee che hanno raggiunto una massa critica minima condivisa e che sono in grado di attrarre e stimolare un numero crescente di artisti, designer e creativi in grado di potere agglomerarsi su un territorio cittadino e talvolta di quartiere. Questo si è verificato, per es., negli anni Sessanta a proposito dell’arte povera a Torino, dove una decina di artisti di grande qualità ha dato vita a un movimento che nelle proprie opere e rappresentazioni ha riconosciuto una sua massa critica in grado di trasformare la vita intellettuale italiana. La massa critica non può essere determinata in termini quantitativi ex ante, perché dipende dalla qualità delle relazioni, delle idee, delle strutture organizzative e si rivela soltanto ex post, quando le energie creative sono diventate proprietà endogena del sistema produttivo (Scott 2000). Nondimeno può essere ricercata favorendo lo sviluppo dei suoi elementi costitutivi. Di certo un elemento importante è la dinamica delle trasformazioni sociali in atto, spesso indotta da gruppi e classi di creativi che si sentono estranei alla storia precedente e che provocano una rottura con il passato e i suoi tradizionali paradigmi. Allo stesso tempo, la tecnologia diventa sempre di più una componente importante delle nuove forme di organizzazione sociale e produttiva. Come l’elettricità e il motore elettrico sono alla base della società industriale e delle sue strutture sociali, così le nuove tecnologie dell’informazione sono alla base della network society (Castells 1996). Lo sviluppo dei network e l’innovazione nelle ICT (Information and Communication Technologies) stanno creando nuove e grandi opportunità di comunicazione tra persone creative e modelli di business basati sulla collaborazione nella produzione di contenuti culturali. In tale ambito ogni talento o microimpresa diventa il nodo di una rete ad alta frequenza di scambi d’informazioni. Con lo specializzarsi delle attività si realizzano diverse reti comunicanti che creano un tessuto formidabile per scambiare dati estetici, tecnologici e commerciali. Il fattore trainante delle città creative sono le persone, prima delle tecnologie e delle innovazioni (Landry 2000): la loro intelligenza, i loro desideri, le loro motivazioni, immaginazione e creatività. Le energie creative diventano proprietà endogene del sistema produttivo (Scott 2000) sia in grandi sia in piccole realtà.
Gli esempi internazionali citati sembrano indicare che cultura e creatività si sviluppino solo nelle grandi città. In realtà il dato costitutivo non è tanto l’estensione del fenomeno, ma la sua densità. Il confronto tra Firenze e Bra, piccola città del Piemonte, mostra che la dimensione urbana non è determinante. Contano le opportunità, le tradizioni e l’imprenditorialità locale.
Modelli ed esperienze: Firenze La domanda che ricorre più frequentemente è: come si costruisce e si lancia una città creativa? Gli esperti danno risposte molto caute: il processo è inatteso, nei suoi tempi e nei suoi risultati. In ogni caso, non ci sono scorciatoie. Un modo indiretto di affrontare il problema consiste nel tentare di misurare la densità e intensità di attività creative e generalizzare alcune tendenze. Per quanto le verifiche empiriche siano estremamente arbitrarie e limitate dall’assenza di informazioni di dettaglio, un giudizio generale potrebbe riassumersi in questa constatazione: nel Rinascimento italiano si può calcolare la presenza, in città creative come Firenze, di circa 928 artisti di vari settori, dalla ceramica alle fusioni in metallo nel periodo compreso tra il 1480 e il 1561 (Comanducci 1934; Guerzoni 2006). Tenendo conto che negli stessi anni la popolazione ammontava a 90.000 abitanti circa, se ne può ricavare che nella Firenze rinascimentale la densità degli artisti era di circa uno ogni 100 abitanti, o 103 ogni 10.000 (inclusi anziani e bambini). Un tale indice di concentrazione suggerisce non solo l’esistenza di molte relazioni fra artisti, ma anche la presenza di numerosi committenti e collezionisti. Molti artisti avevano relazioni di parentela con altri artisti. E come oggi ci sono nuovi attori quali i curatori di mostre o i direttori dei musei, allora molti uomini di cultura lavoravano nelle commissioni che dovevano scegliere le opere vincitrici dei bandi della città. Se poi si prendessero in considerazione altre reti culturali, come quelle dei filosofi, dei letterati, dei musici e degli architetti, si potrebbe facilmente valutare l’importanza che aveva, nel caso in questione, l’atmosfera creativa, origine e sostegno di una grande produzione di capitale sociale. Nella Venezia di fine Rinascimento (1530-1657) erano registrati pubblicamente 1415 artisti (Guerzoni 2006; Favaro 1975; Montecuccoli degli Erri 2003). Considerando che la popolazione in quel periodo raggiungeva la cifra di 120.000 abitanti circa, se ne può desumere che erano attivi in città circa 1,2 pittori ogni 100 abitanti (oppure 118 per ogni 10.000). Anche qui si è in presenza di un forte indicatore di atmosfera creativa che trasforma la città in un centro internazionale di produzione artistica e innovativa. Secondo altri studi, le cui stime sono a volte molto discordanti, diverse città europee vissero l’esperienza di un’alta concentrazione di artisti. Neil De Marchi e Hans J. van Miegroet (Handbook of the economics of art and culture 2006, pp. 114 e segg.) affermano che tra il 1470 e il 1764 molte altre città raggiunsero e superarono la concentrazione di un artista ogni 1000 abitanti: Bruges, Anversa, Malines, Haarlem, Parigi, Amsterdam e Roma. Fare confronti con la situazione attuale comporta un buon livello di arbitrarietà e richiede cautela nella interpretazione dei dati. Sempre restando nel campo della pittura, e usando una fonte come Art Diary 2011, a Firenze nel 2011 si contano 2,6 artisti ogni 10.000 abitanti, e a Venezia 7 ogni 10.000. Detto diversamente, per raggiungere gli indici di concentrazione artistica del Rinascimento, Firenze dovrebbe attrarre, oggi, 3850 artisti, mentre una Venezia depopolata dovrebbe attirarne 870. Cifre inimmaginabili per le stremate amministrazioni locali. Ovviamente i mercati artistici sono molto cambiati. Sono, per es., notevolmente aumentati quelli che si chiameranno i microservizi per le imprese artistiche, ossia le gallerie d’arte, i curatori, i critici, le scuole e accademie, i media, i musei. Nondimeno, attrarre 3850 artisti a Firenze, o 870 a Venezia, significa, rispettivamente, moltiplicarne il numero per quaranta volte e per venti. Ci vorrebbero, per es., a Firenze 150 case d’artista, con 25 pittori ciascuna. In conclusione, un obiettivo di politica culturale insostenibile. Come si vede si tratta di cifre difficilmente raggiungibili senza adeguate politiche pubbliche locali.
Modelli ed esperienze: Bra, piccola città creativa Bra è un comune italiano di circa 30.000 abitanti. Secondo dati censuari, negli anni 1981-2001 l’occupazione nel settore della produzione è rimasta ferma, mentre in quello dei servizi la crescita è stata del 281%. Dalla seconda metà del 20° sec. la città ha mostrato una chiara tendenza verso le attività creative. Le più importanti sono: cibo e gastronomia, design industriale e culturale ed eventi. Fra le attività legate al cibo e alla gastronomia si annovera Slow food, che nasce a Bra nel 1986, fondata da Carlo Petrini. Oggi in Italia ci sono 35.000 membri e 410 filiali locali, chiamate condotte. Nel 1989, è diventata un’associazione internazionale. Presente in 122 Paesi, Slow food conta 48.000 soci e 800 convivia. Ogni sito è coordinato da un convivium di leader, che si occupano di corsi, degustazioni, cene, viaggi, promozione di campagne locali, per consentire progetti comuni, come gli orti scolastici, e per favorire la partecipazione agli eventi più importanti organizzati da Slow food a livello internazionale. La missione dell’associazione è quella di educare il gusto, proteggere la biodiversità e le produzioni alimentari tradizionali, promuovere un nuovo modello alimentare rispettoso dell’ambiente, delle tradizioni e delle identità culturali, creando una rete virtuosa di relazioni internazionali e una maggiore condivisione di conoscenza. I presidi, che sono circa 200 in Italia e 90 nel resto del mondo, aiutano le piccole produzioni e le eccellenze che rischiano di scomparire. Si ricorda inoltre l’Università di Scienze gastronomiche, sorta per iniziativa di Slow food e della Regione Piemonte, che è stata istituita con d.m. 15 apr. 2005, la cui vocazione è legata al cibo e alle tradizioni gastronomiche del territorio. Fra le fiere gastronomiche spicca Cheese, che raccoglie ogni anno i produttori di formaggi di qualità provenienti da tutto il mondo. Durante i quattro giorni della fiera sono organizzati laboratori del gusto, dove gli attori della supply chain del formaggio si incontrano e mettono a confronto le loro esperienze. Infine, va menzionata Baratti & Milano, una famosa fabbrica di cioccolato e caramelle (nata nel 1858) che, attiva da più di 150 anni, rappresenta l’alta gamma della produzione dolciaria piemontese.
Nel settore industriale emerge poi una società in particolare, che ha collaborato con i più importanti designer industriali italiani nel corso degli anni Settanta. Questa azienda, dedita al design e ai laminati plastici, ha lavorato per il movimento postmoderno del design italiano, il Gruppo Memphis (Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Andrea Branzi, Aldo Cibic, Michele de Lucchi, Arata Isozaki, Shiro Kuramata, Marco Zanini). Nel corso degli anni ABET LAMINATI ha migliorato i suoi prodotti con la ricerca di nuovi decori e textures in grado di suscitare curiosità, emozioni e nuove ispirazioni. In cinquanta anni di attività, ABET LAMINATI ha sempre dato una grande importanza alle richieste aziendali e ai cambiamenti culturali e ha continuato a investire risorse in tecnologia e creatività, lavorando sull’immagine del prodotto, al fine di fornire beni originali e diversi. Nel corso degli anni, ha quindi conseguito premi prestigiosi: nel 1987, il Compasso d’oro per Diafos, il primo laminato trasparente con decorazioni 3D, nel 1990 il Premio europeo di design e, nel 2001, il Compasso d’oro alla carriera.
Nel settore degli eventi si può menzionare Cinema corto in Bra, il festival internazionale dei cortometraggi, che la città ha organizzato dal 1996. La grande attenzione per il talento e la creatività è una garanzia di qualità: molti produttori di brevi filmati sono ora leader nel settore della cinematografia. Per una città di 30.000 abitanti gli esempi citati sono indicativi di una buona atmosfera creativa che pervade svariati settori. La sua comparsa non sembra richiedere grandi dimensioni. La riflessione collettiva è un fattore che sollecita creatività e trova nella piccola città le motivazioni e il passo verso il successo delle imprese e dei servizi creativi e culturali.
È il momento di distinguere due concetti alla base di molta analisi sull’economia della cultura e del territorio: i distretti culturali (Santagata 2002; Santagata, in Handbook of the economics of art and culture, 2006) e l’atmosfera creativa (Atmosfera creativa, 2012). I primi sono sostanzialmente delle impalcature per una produzione ad alto tasso di creatività e una distribuzione internazionale dei prodotti culturali; la seconda è un contesto specifico che favorisce la nascita di idee, invenzioni e innovazioni; un contesto che facilita l’innovazione di prodotto e l’accesso a nuove regole di distribuzione internazionale dei beni. I distretti sono un veicolo che porta al successo commerciale, l’atmosfera si respira come un bene comune libero.
Un distretto culturale è un’esperienza economica e sociale generata da due fenomeni: quello della localizzazione delle attività produttive, descritto da Alfred Marshall (1842-1924), e quello della natura idiosincratica (peculiare, unica) della cultura e dei beni culturali. Molti casi di studio confermano il ruolo positivo dei distretti culturali per lo sviluppo economico locale (Scott 2000; Santagata 2002; Santagata, in Handbook of the economics of art and culture, 2006; Libro bianco sulla creatività, 2009). Una delle caratteristiche più significative di un distretto è l’interdipendenza delle sue imprese, la sua ‘atmosfera industriale‘. Frequenti contatti favoriscono lo scambio di input specializzati; continue e ripetute transazioni consentono all’informazione di circolare liberamente. Nei distretti è più facile trovare controparti, verificare la qualità dei beni e servizi e firmare contratti standard. Il distretto industriale culturale appartiene ai modelli di crescita endogena e si fonda sulla presenza di piccole imprese, su speciali condizioni sociali e culturali, su specifiche forme di regolazione sociale locale (Industrial districts and inter-firm cooperation in Italy, 1990). Successive riflessioni hanno allargato il concetto sino quasi a ricondurlo alla logica di una agglomerazione urbana di industrie e servizi culturali, in un modello distrettuale evoluto, in cui molte filiere si confrontano e si mescolano. In tale modello l’aspetto prioritario è l’emergere di una regione creativa multipolare.
I modelli di sviluppo economico sono profondamente cambiati negli ultimi decenni attraverso l’imporsi di una nuova nozione di sviluppo, che, prevalentemente fondata sull’uomo e sulla realizzazione dei suoi progetti di vita, si contrappone a una visione strettamente economica centrata sulla crescita del reddito nazionale (Prodotto interno lordo, PIL) e della produzione di beni. In questo nuovo approccio, la cultura, la qualità dei beni e la creatività diventano fattori fondamentali. Cultura e creatività sono state da sempre funzionali a generare beni e idee che nella storia hanno prodotto valore simbolico, estetico, economico e sociale, ma solo negli ultimi anni si è iniziato a enfatizzare il ruolo dei fattori intangibili per lo sviluppo economico e sociale (Scott 2000; Throsby 2010).
La letteratura in tema pone l’accento su una concezione più elaborata di benessere e sviluppo umano e segna la via per un’applicazione di nuovi modelli nei contesti nazionali e regionali. Se l’uomo, la sua cultura e la sua creatività stanno diventando il nuovo centro analitico del paradigma dello sviluppo economico mondiale, anche a livello locale si assiste a un’analoga ricentralizzazione delle strategie e dei modelli di sviluppo. Incorporare la cultura e la creatività in un modello locale significa infine rispettare la grammatica della sostenibilità, ossia lavorare pensando alle future generazioni, non solo in termini di infrastrutture e risorse culturali che saranno loro trasmesse, ma anche in termini di equità e difesa della diversità culturale.
Il modello di sviluppo locale centrato sulla atmosfera creativa (AC), tenta di individuare ambiti e strumenti specifici di crescita locale fondati sulla creatività e la cultura. Il punto di forza è la costruzione di un’atmosfera in grado di avvolgere e guidare le nuove forze dello sviluppo locale nei settori a elevata produzione di qualità e cultura e di favorire le condizioni per il dispiegarsi di vantaggi reciproci, positivi e condivisi dagli agenti di questo nuovo mondo industriale e commerciale. L’atmosfera creativa si fonda essenzialmente sulle relazioni tra i vari attori delle filiere produttive che si esprimono sotto forma di reti. Tali reti rappresentano la forma più flessibile e coerente con la grammatica della creatività; esse costituiscono la trama dell’atmosfera creativa e, in sintesi, si sviluppano intorno a tre livelli principali di azione: i sistemi locali della creatività; le fabbriche della cultura; i microservizi per le imprese dei settori creativi e culturali. La maggior parte dei sistemi culturali, e in particolare quelli delle industrie del contenuto e della cultura materiale, si basano su prodotti caratterizzati da un alto grado di proprietà intellettuale, ma sono facilmente riproducibili e scalabili. Si pensi, per es, a prodotti culturali legati ai media come i film, i libri, la musica, o a prodotti del design, dove il costo di produzione del supporto è inferiore ai costi di creazione del contenuto. Cercheremo ora di descrivere le principali relazioni tra gli attori e tra questi e il sistema di atmosfera creativa. Iniziamo con la descrizione delle relazioni relative al formarsi di una AC, che considereremo come un bene intangibile il cui valore dipende dal livello e intensità dei flussi di idee e informazione tra i membri di una comunità. L’atmosfera creativa dipenderà dalle principali caratteristiche della rete dei produttori locali. Nell’equazione AC = f(N, AR, PL, CC), N rappresenta la dimensione del sistema culturale e può essere misurata dal numero di addetti delle fabbriche della cultura, dei sistemi locali di produzione e dei microservizi per le imprese. Il sistema esprime AC in modo positivo solo al di là di una soglia minima di agglomerazione. AR è appunto il tasso di agglomerazione, misurato dal rapporto tra il numero degli addetti in un dato campo culturale e la popolazione di un’area di riferimento. Questo indicatore cattura la densità dell’atmosfera creativa in termini di probabilità di sviluppare una relazione con un individuo creativo e mostra un’influenza positiva su AC. Per es., in una città in cui si hanno 10 creativi o artisti ogni 100 abitanti (AR=0,1), la probabilità di avere relazioni con un attore creativo è maggiore rispetto a un luogo in cui AR=0,0001 (ossia 10 artisti ogni 100.000 abitanti). PL e CC descrivono le caratteristiche di rete del sistema. PL è il grado di separazione globale della rete e potrebbe essere quantificato dalla lunghezza media del tragitto che misura il numero medio di intermediari tra tutte le coppie di attori nella rete. Più è basso PL, più denso è il network. CC rappresenta il coefficiente di addensamento degli attori, che misura la frazione media dei collaboratori di un attore i quali sono anche collaboratori di un altro. In base all’esperienza pratica di molte reti, e in particolare dei social network, i nodi tendono a creare gruppi fortemente connessi, caratterizzati da una densità di legami relativamente alta. Entrambe le variabili influenzano l’atmosfera creativa secondo una relazione a forma di U capovolta. Fino a un certo valore l’atmosfera creativa cresce quanto più gli attori culturali si addensano, ma, oltre una certa soglia, legami forti e densi influenzano negativamente la capacità degli individui, a causa dell’emergere di informazioni ripetitive e non creative. A questo punto si possono prendere in esame più da vicino le innumerevoli reti della creatività che come abbiamo detto si articolano fondamentalmente su tre livelli di azione.
I sistemi locali della creatività. L’atmosfera creativa è il risultato di una rete di protagonisti che interagiscono frequentemente e si autosostengono a vicenda. Questa rete può essere misurata mediante diversi tipi di indicatori, come quelli di densità, di distanza dei nodi, di diversità o di entropia. Più la rete è densa di nodi, più le relazioni e i contatti sono frequenti e la sua crescita non genera disordine, maggiore è la sua vocazione a sostenere l’atmosfera creativa. Mediante la struttura e le dinamiche di tre principali sistemi, si può analizzare con maggiore precisione l’atmosfera creativa: i sistemi della cultura materiale, che racchiudono il mondo della moda, del design industriale e dell’enogastronomia; i sistemi delle industrie dei contenuti, comprendenti media, pubblicità e software; i sistemi del patrimonio culturale, con musei e monumenti, arte contemporanea, spettacolo dal vivo, paesaggio e architettura (Libro bianco sulla creatività, 2009). La nozione di sistema non si focalizza semplicemente sulla struttura e la dinamica economica di un gruppo di attività, ma studia anche la struttura sociale e istituzionale che avvolge gli imprenditori e i produttori di un determinato ambito. Questo aspetto è fondamentale per rilevare la presenza di atmosfera creativa all’interno dei sistemi locali. In questa prospettiva, il Cultural center for policy research di Hong Kong ha sviluppato un indice di creatività che si fonda sull’individuazione e misurazione del capitale sociale e delle dotazioni istituzionali. In effetti, la presenza di una ricca dotazione di capitale sociale e la struttura istituzionale, ossia la fiducia, la reciprocità, la cooperazione e la ricchezza di reti, costituiscono una base sostanziale per la costruzione di una sovrastruttura di atmosfera creativa.
L’insieme dei sistemi crea un mercato del lavoro ricco di profili professionali specializzati: designer, architetti, stilisti, pubblicitari, direttori di musei, compositori musicali e artisti. Per il suo carattere fortemente intellettuale e flessibile questo mercato del lavoro è poco strutturato e ha molte posizioni precarie. La conseguente tensione produce esternalità positive non solo per un mercato del lavoro flessibile e articolato, ma anche relativamente alle informazioni sul mercato degli approvvigionamenti e di sbocco dei prodotti e dei servizi locali. Le esternalità si irradiano da tutte le parti del sistema e riguardano il mercato del lavoro, le informazioni sulle tecnologie e le innovazioni, i segreti dei mercati di sbocco delle merci, la capacità istituzionale, centrata, fra l’altro, sulla produzione di relazioni tra regioni, province, aree metropolitane, comuni grandi e piccoli, comunità montane, pro loco e sulla produzione di capitale sociale. Più in una città si sviluppano i sistemi creativi, più la sua atmosfera raggiunge la massa critica necessaria per avere crescita sostenibile e competitiva. Un imprenditore culturale si identifica innanzitutto con l’innovazione. L’economista Joseph Alois Schumpeter (1883-1950) coniò il termine distruzione creatrice per indicare il ruolo cruciale che svolgono le innovazioni nello scompaginare i mercati ed eliminare le imprese legate al passato. La personalità e l’intuizione dell’imprenditore, la sua visione del mondo e le sue conoscenze sono in questo senso determinanti.
Le fabbriche della cultura. Sono i luoghi di produzione di beni e servizi, che animano le città e i territori creativi. Sono le imprese che costituiscono l’elemento trainante e l’eccellenza della produzione dei sistemi locali della creatività. Queste fabbriche, veri e propri hub della creatività, sono spesso il motore dell’innovazione nei sistemi locali, la riserva delle conoscenze tacite e i nodi di connessioni globali tra differenti sistemi locali. In esse si sviluppano le relazioni industriali e il marketing. In queste fabbriche si accentua la distinzione tra comunità di episteme (Creplet, Dupuoet, Vaast 2003) che, essendo basate sulla conoscenza scientifica, presiedono alla guida strategica e creativa di un complesso industriale, e le comunità delle pratiche, che producono gestione e marketing quotidiani. Le due comunità costituiscono veri ceti creativi, dove si accumulano saperi artistici, tecnologici e manageriali. Sono l’haut de gamme, l’alta qualità del mercato del lavoro. Il ruolo degli imprenditori è cruciale nel trovare una sintesi tra episteme e pratiche e nel determinare il successo delle fabbriche della cultura. Senza imprenditori non c’è iniziativa di mercato, senza mercato non ci sono posti di lavoro, né redditi, né sviluppo locale. Per questo motivo, il sistema di imprenditoria culturale alimenta la produzione di ogni bene o servizio e contribuisce a generare e diffondere l’atmosfera creativa. Le fabbriche della cultura sono gli attori principali cui fanno riferimento i sistemi locali della creatività.
I microservizi alle imprese per la creatività. Il modello che si sta costruendo prevede un terzo livello di azione, costituito da attività in grado di garantire la sostenibilità al livello produttivo delle fabbriche della cultura e favorire l’atmosfera creativa nei sistemi locali. In effetti, si tratta di un vasto comparto di servizi o microservizi che si estende dalle più tradizionali versioni dell’arts and crafts ai servizi offerti nel campo degli audiovisivi, del patrimonio culturale e della cultura materiale variamente provvisti di input tecnologici e di tipo comunicativo. I microservizi si concentrano sugli anelli della filiera produttiva e il loro studio è necessario per capire le interazioni tra attività disaggregate, ma fortemente interconnesse nella creazione di beni e servizi culturali. Essi sono in genere input intermedi del processo produttivo e stanno a monte della impresa finale, che offre il servizio ai consumatori. Nella logica della flessibilità organizzativa postfordista i microservizi sono il frutto di una disintegrazione verticale della filiera o della comparsa di nuovi bisogni industriali. In ogni settore di produzione culturale è infatti possibile individuare una molteplicità di attività che caratterizzano la filiera produttiva e che contribuiscono all’output finale. Le attività di questi servizi sono ad alta intensità di lavoro e quindi è plausibile che richiedano un investimento minimo di start-up. Alcune risorse sono ad accesso libero sulla rete, o richiedono applicazioni specifiche che costituiscono le competenze tecniche degli imprenditori fondatori. Nel loro insieme i microservizi definiscono la tessitura dei settori creativi e, anche grazie alle loro forti interrelazioni, da un lato intrecciano legami stabili di mercato e, dall’altro, favoriscono crossfertilization e circolazione a costi quasi nulli dell’informazione. I microservizi costituiscono la struttura che rende sostenibili la creatività e la cultura, perché ne fissano la localizzazione e i relativi vantaggi in un territorio. Lo spazio entro cui operano le fabbriche della cultura si completa con una gamma di offerta ampia e articolata che, data la facile identificazione delle imprese con i loro proprietari, vuol dire anche la disponibilità di un vasto ed esaustivo mercato del lavoro locale.
Le carriere dei giovani talenti non sono lineari e mostrano, soprattutto agli inizi, momenti paralleli di sviluppo. L’ipotesi organizzativa è che le attività relative ai microservizi siano svolte da piccole imprese e da microimprese, che traggono origine da fasi speciali della carriera degli addetti alle varie industrie culturali e creative. Il giovane che vuole impegnarsi nella cinematografia, per es., può rimanere ‘legato’ al mestiere specializzandosi in servizi di nicchia. Quello che una volta gli aspiranti artisti trovavano nell’insegnamento nelle scuole o nelle lezioni private, oggi è rappresentato dai microservizi locali. I giovani talenti sono attratti dalla presenza di un’atmosfera creativa di buon spessore, ma dopo un primo impatto romantico questa deve anche rivelare attività accessibili, correlate e indispensabili per il successo del settore. I microservizi costituiscono cioè la base empirico-quantitativa essenziale per l’accoglimento dei giovani talenti in un dato territorio.
Nella città l’uomo nasce e vive. Nella città pensa e produce. La forma-città si è rivelata come la migliore organizzazione delle attività umane e la più sicura difesa dai nemici, come un serbatoio di cultura e una fonte inesauribile di creatività. L’atmosfera creativa è lo stadio superiore di una città che ha bisogno a ogni generazione di ricostruire una massa critica attraente e di valore almeno costante. Nella città si produce cultura, ciò che, in termini manifatturieri e di servizi, vuol dire qualità e crescita nei mercati. La cultura accumulata da una generazione di per sé non è garanzia di successo per la seguente, ma deve essere trasmessa. Questa è una conclusione obbligata del modello dell’atmosfera creativa, che mostra la via verso la crescita delle industrie culturali e dell’innovazione.
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