CITTÀ
La definizione di Isidoro di Siviglia (Etym., XV, 2, 1), identificando la civitas nel vincolo associativo che lega gli abitanti e l'urbs entro le mura che circondano lo spazio abitato, lascia su due piani staccati c. di pietre e c. di uomini: una definizione che resta valida, nei testi e nelle immagini, per tutto l'Alto Medioevo.
Ancora nel mondo carolingio, epoca in cui continuarono invasioni e incursioni, la c. era sentita come protezione e rifugio per l'individuo bisognoso di sicurezza: essa venne rappresentata in maniera monotona, quasi un ideogramma che privilegia il cerchio vuoto delle mura. Ne è un esempio il dittico di Harrach con scene della Vita di Cristo (fine sec. 8°-inizi 9°; Colonia, Schnütgen-Mus.), in cui un identico esagono di mura, senza edifici o abitanti al suo interno, qualifica le due c. di Nazareth e di Betlemme, astratta collocazione topografica dell'annunciazione e della nascita di Cristo. L'aspetto convenzionale della raffigurazione si presta a marcare la partenza o l'arrivo di un viaggio - come per es. nella miniatura della Prima Bibbia di Carlo il Calvo, dell'846 ca., con il Viaggio di s. Girolamo da Roma a Gerusalemme (Parigi, BN, lat. 1, c. 3v) - o a tradurre in immagine c. simboliche, come la Gerusalemme celeste dell'Apocalisse o le c. di Gerusalemme e di Betlemme - di solito alla base dell'arco trionfale di tanti edifici sacri (per es. il mosaico del sec. 12° in S. Clemente a Roma) - quali inizio e fine dell'esperienza di Cristo e insieme simbolo delle due Chiese, ex gentibus ed ex circumcisione, che nel Messia si ricongiungono.Due eccezioni sono la rappresentazione delle c. di Ravenna e Classe nei mosaici della chiesa di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, di epoca teodoriciana, ma con pesanti interventi dopo il 527, e della c. di Verona in una miniatura del sec. 9°-10° (Verona, Bibl. Capitolare, CXIV, cc. 187v-188r, copia settecentesca dell'originale distrutto dopo il 1739). Nei mosaici è possibile rintracciare il programma ambizioso del sogno politico di Teodorico e della sua intensa volontà di restaurazione edilizia, sulla linea di un ripristino della grandezza dell'Impero romano e della c. eterna, in voluta contrapposizione all'impero bizantino. Nella miniatura la rappresentazione realistica di Verona, degli edifici principali (ognuno identificato dalla scritta), del fiume con il pons marmoreus e del theatrum (l'arena) di età romana, si giustifica ipotizzandola come una iniziativa personale del vescovo Raterio, che, costretto a lasciare definitivamente nel 968 per la terza volta la sua c., volle portarne con sé un ricordo per il tempo dell'esilio.Poiché, in generale, il sentimento che dominava gli uomini del Medioevo era la paura, lo spazio esterno delle c., non segnato dall'azione umana, era vissuto come spazio negativo, abitacolo dei demoni e delle forze del male: come una c. era infatti spesso rappresentato il paradiso terrestre, mentre sempre chiuso da steccati e da mura era il giardino medievale, a segnare il confine fra spazio ordinato e natura selvaggia (Frugoni, 1983, p. 11ss.). Inoltre ogni avvenimento violento, come le esecuzioni capitali - pur regolate da leggi, anche nel caso di quelle dei martiri -, avveniva fuori dalle rassicuranti mura: nell'affresco del Beato Angelico, nella Cappella Niccolina in Vaticano (1447-1450), una quinta di mura separa la Cacciata di s. Stefano dal suo Supplizio, consumato all'esterno della c. fra boschi e colline. L'uomo, incapace di trovare nella vita in comune sicurezza e conforto, si rivolgeva all'istanza suprema, a Dio, o a chi sulla Terra ne mediava e rendeva possibile il rapporto: luogo di riunione, perché edificio pubblico, era perciò la chiesa, spesso turrita, simbolo della c. (per es. bolla di Enrico IV, del 1065; Hannover, Niedersächsisches Hauptstaatsarch.), dove i cittadini, o meglio i fedeli, si raccoglievano sotto la guida del loro pastore. Un'iscrizione posta all'altezza della tribuna della chiesa di Corvey (885) reca: "Civitatem istam / tu circumda D(omi)ne et / angeli tui custo / diant muros eius". Proprio in un genere letterario preciso, le lodi delle c. (laudes civitatum), si può notare lo stretto rapporto che legava gli abitanti al vescovo, sentito come il vero protettore della c., il suo eroe, talvolta anche futuro santo. Il vescovo rappresentava dunque una figura stabile nella c., non legato al mutare degli indirizzi politici, con varie e importanti funzioni civili e religiose: la sua preghiera e la sua autorevole possibilità di intercessione presso Dio erano a disposizione della propria c., non solo durante la vita, ma anche dopo la morte, una volta divenuto membro della Gerusalemme celeste. Una ghirlanda di chiese circonda la figura del vescovo Annone nella miniatura della Vita Annonis, del 1183 ca., che ne loda la prodigiosa attività edilizia (Darmstadt, Hessische Landes- und Hochschulbibl., 945, c. 1v) e spesso con il modellino della sua c. è rappresentato il vescovo patrono (per es. nel dossale del 1393 che ritrae il vescovo s. Geminiano con la c. nel grembo; San Gimignano, Mus. Civ.). Un tale concetto di c., intesa come comunità di fedeli riuniti intorno al proprio vescovo, favorì una nuova presa di coscienza che trasformava il semplice abitante (incola) in cittadino (civis). In questa forma di religiosità civica, al vescovo patrono si sostituì gradatamente il santo o la santa patrona, in genere scelti tra santi locali e all'incirca contemporanei ai loro devoti, santi decretati tali dal favore popolare, tendente a mettere in ombra quelli di più antica devozione.Con l'evolversi delle istituzioni politiche che privilegiavano la partecipazione degli abitanti alla vita urbana, influenzandola attivamente, con il sorgere cioè dei comuni in Italia, l'aspetto protettivo del potere religioso si attenuò a favore di un'ideologia laica che emerse gradualmente, evidenziata per es. dalla nuova concezione del tempo, della fama e della rivalutazione del lavoro diversificato, in un apprezzamento della vita non necessariamente posta sullo sfondo dell'eternità. Geniale manifesto della nuova concezione della c. è il grande affresco dipinto da Ambrogio Lorenzetti (1338-1339) nel Palazzo Pubblico di Siena per incarico dei Nove, raffigurante gli effetti del Buono e del Cattivo Governo (nelle fonti medievali descritto come la Pace e la Guerra). L'allegoria delle due forme di governo e i contrapposti effetti che ne derivano in c. e in campagna costituiscono il primo esempio su larga scala di un'ideologia rappresentata, dato che il dipinto deve leggersi come un manifesto politico teso a propagandare il potere dei Nove. Nel Buon Governo, Siena è mostrata nell'operosità concorde e articolata dei suoi abitanti e nel catalogo dei suoi edifici più belli - con una forte sottolineatura di quelli civili - in perfetta interazione con il territorio che la circonda, compreso il possesso di uno sbocco al mare, rimasto storicamente un sogno proibito. La campagna fertile e abbondante di grano e di corsi d'acqua è il luogo dove si dispiegano simultaneamente tutte le attività agricole dell'anno, dall'aratura alla raccolta delle messi, per mostrare al meglio tutti i doni che la natura offre, se sollecitata da un intenso lavoro. Le strade, ben tenute, sono percorse incessantemente da carovane di mercanti, a mostrare la floridezza dei commerci e la sicurezza dei percorsi, dove non si devono temere assalti di briganti. Una realtà perfetta, verosimile ma non realistica, che dipinge in un registro ottimistico e imperioso insieme (la Securitas nel cielo addita un impiccato) una situazione esistente solo nella politica propagandistica dei Nove, dato che dalle cronache risultano invece rivolte e carestie. Situazione opposta è nella rappresentazione della c. e della campagna del Cattivo Governo, dove regna Tyrannide e dove l'egoismo del singolo trionfa a danno del bene di tutti. Si lavora solo a fabbricare armi, cioè strumenti di distruzione, la campagna è desolata e popolata di incendi, la gente uccisa, le donne violentate. Al posto di Securitas sorvola il cielo scuro Timor, un'orrida vecchia con la spada sguainata, pronta a portare il terrore e la morte. L'affresco di Ambrogio Lorenzetti è l'esempio più articolato di un genere di rappresentazione di c. ben definito, che continuò ancora fino al sec. 15°; l'immagine deve corrispondere alla duplice istanza di una raffigurazione verosimile della c. immediatamente riconoscibile e al tempo stesso simbolica, rinviando, a seconda del contesto, ai grandi modelli della Gerusalemme celeste, di quella terrena, di Costantinopoli, di Roma antica (Rinaldi, 1989).
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Lo sviluppo urbano nell'Europa medievale è estremamente complesso, non solo per il fatto che le caratteristiche delle c. di ogni paese si sono manifestate in tempi diversi, ma soprattutto perché, anche all'interno di ciascun paese, ogni c. ha avuto la sua individualità. Ridurre ad unum il fenomeno sarebbe fuorviante. Purtuttavia, al fine di fornire una rapida informazione sulle principali linee di sviluppo del fenomeno, si indicano qui solo gli ambiti territoriali nei quali è stato prevalente un peculiare tipo di formazione e di trasformazione urbana, con la raccomandazione di considerare che le generalizzazioni, necessarie alla sintesi, non rispecchiano esattamente situazioni reali che possano essere considerate 'campione'.
Nel sec. 5° non tutta l'Europa era urbanizzata: la grande ondata di urbanizzazione antica aveva riguardato, oltre alla penisola ellenica, i luoghi di più antica romanizzazione (la penisola italica, la penisola iberica, la Gallia fino al Reno, la Dalmazia, le Isole Britanniche), mentre l'Europa settentrionale, centrale e orientale avrebbe dovuto attendere ancora qualche secolo prima di conoscere quello sviluppo urbano che a S e a O era un patrimonio ormai antichissimo.Il problema della continuità fra c. antica e c. medievale è stato al centro della discussione storiografica per molti decenni: se la crisi che determinò la fine dell'impero avesse provocato delle lacerazioni insanabili, sì da dover considerare la c. medievale un organismo del tutto nuovo, o se invece vi sia stato un processo di trasformazione durante il quale le esperienze del passato erano state determinanti, attualmente è una questione superata. Infatti, così come per ogni altro aspetto della storia, la crisi tardoantica, le invasioni germaniche, gli spostamenti di popolazioni che si verificarono in Europa determinarono profondi mutamenti, ma non giunsero mai a provocare una frattura irreversibile. Tra fasi di ristagno e ritardi, alternate ad altre di accelerazione e sviluppo, i vecchi municipi - con le loro curie e una società complessa in cui, nella gestione della vita locale, erano determinanti le famiglie economicamente più forti e di più antica tradizione - continuarono a essere degli elementi propulsori, la cui importanza si consolidò quando divennero nucleo della diocesi, in quanto i vescovi avevano l'obbligo della residenza urbana, proprio perché l'organizzazione ecclesiastica aveva necessità di quei servizi che solo la c. poteva offrire. Si constata quasi ovunque una continuità fisica fra la c. antica e quella medievale, ma mutarono con il tempo profondamente le funzioni: da centro politico e religioso offerto all'aristocrazia fondiaria del territorio, nel Medioevo la c. diventò prevalentemente mercantile e artigiana, nettamente separata da una campagna dominata e sfruttata.La crisi tardoantica si fece comunque sentire in maniera molto forte: soprattutto in Italia molte c. furono abbandonate, mentre altre divennero delle c. 'retratte', conobbero cioè un restringimento della superficie abitata rispetto a quella dell'età romana. Ne è testimonianza - oltre ai risultati copiosi dell'archeologia - il celebre passo di s. Ambrogio (Ep., XXXIX, 3; PL, XVI, col. 1146) che definì gli antichi municipi situati sulla via Emilia dei semirutarum urbium cadavera, mentre a Roma, a Milano, a Treviri le antiche fortificazioni risultarono troppo grandi rispetto alle necessità abitative dell'Alto Medioevo. Di altre c. invece venne obliterato il tessuto antico e sorse un nuovo agglomerato a esso tangente: Bonn, Spira, Magonza e altre c. fra Mosa, Reno e Mosella, ma anche Modena nella pianura padana, spostarono il loro baricentro urbano andando a coagularsi attorno al centro religioso più importante, sorto quasi sempre sulle tombe dei santi particolarmente venerati e quindi presso i cimiteri, i quali per disposizione legislativa non potevano che essere suburbani. Anche nelle c. 'retratte' il ruolo della chiesa cattedrale e dell'episcopio, insieme con quello degli edifici pubblici collocati all'interno delle fortificazioni, fu determinante nel mantenere il baricentro della c. nel suo luogo originario, per divenire in seguito il punto di partenza del nuovo sviluppo.Nonostante la disaffezione dell'aristocrazia terriera per la vita cittadina e il suo trasferimento per la maggior parte dell'anno nelle residenze di campagna, centri delle loro aziende agricole (villae), i sovrani goti, visigoti e franchi collocarono i loro funzionari nelle c., valutando positivamente la complessità della società urbana e apprezzandone l'organizzazione dei servizi. Non sono molto numerose le fonti, ma un po' ovunque si riscontra la presenza dei viri honorati, che costituivano l'élite cittadina. Alla curia e al defensor civitatis erano demandati compiti di controllo del mercato, di sorveglianza dei pesi e delle misure, di amministrazione della giustizia penale, tutte funzioni che in Italia in età longobarda sarebbero passate ai duchi e nelle terre dell'impero in età franca e carolingia ai conti e ai vescovi.Nel 711 i musulmani omayyadi iniziarono la conquista della penisola iberica, che aveva conosciuto una forte urbanizzazione in età romana, soprattutto al Sud e all'Est. L'invasione musulmana provocò forti lacerazioni nella società che si era stabilizzata durante il regno visigoto. Le popolazioni cristiane del Centro si ritirarono nella zona pirenaica, poco popolata e priva di interesse economico, tanto che non fu occupata dai musulmani. Le c. iberiche divenute musulmane conobbero un grande sviluppo: centri religiosi, culturali ed economici, nel sec. 10° erano le più grandi e popolate c. dell'Europa. Si valuta che Córdova, capitale del califfato, avesse una popolazione superiore al mezzo milione di abitanti.Dopo la conquista degli Anglosassoni nelle Isole Britanniche alcune c. romane furono abbandonate e i loro abitanti si ritirarono nelle campagne, tornando a un sistema di vita autoctono che le legioni romane avevano tentato di modificare. Altre c. invece, di tradizione più solida, furono fortificate dagli Anglosassoni; nel sec. 7° Londra era un emporio commerciale e mercanti anglosassoni frequentavano i mercati del continente. Le c. britanniche furono anche la meta dei missionari che evangelizzarono le isole.
La costituzione dell'impero all'inizio del sec. 9° diede vita a una certa omogeneità di istituzioni, che risentirono anche di consuetudini locali non prive di conseguenze. Nell'area italiana - musulmana in Sicilia, bizantina e longobarda al Sud, con al Centro lo Stato della Chiesa in fase di organizzazione - solo le terre del regno longobardo, conquistato da Carlo nel 773, entrarono a far parte dell'impero. L'elemento principale per comprendere l'evoluzione delle c. dell'Italia centrosettentrionale nei secoli successivi è il ruolo svolto dai vescovi, che come è noto erano eletti dal clero e dal popolo ed esprimevano quindi le istanze locali nella maniera più diretta. Come nelle altre terre dell'impero, i sovrani carolingi utilizzarono l'autorità vescovile per esercitare uno stretto controllo sull'aristocrazia laica. Fra i conti franchi, funzionari pubblici a cui era demandata l'amministrazione dell'intero comitato, e i vescovi, portatori delle esigenze cittadine, ben presto si manifestarono dei forti contrasti, che nelle c. italiane si risolsero con la graduale emarginazione del conte nelle campagne e l'assunzione dei poteri comitali in c. e nel suburbio da parte dei vescovi, in forza di privilegi regi che sono risultati essere non sempre e non ovunque autentici, ma che allora diedero legittimità ai loro governi.Anche nelle c. dell'antica Gallia si manifestarono contrasti fra conti e vescovi, ma la funzione militare svolta dai conti, soprattutto nelle regioni particolarmente esposte alle invasioni normanne, finì con dare maggior peso politico al conte rispetto al vescovo, tanto che in alcune regioni la carica di conte divenne ereditaria anche sulla città. Mentre nell'antico regno longobardo i vescovi governavano su tutta intera la c. ed estendevano il loro dominio su fasce di suburbio che si andavano sempre più ampliando, nelle c. franche i vescovi si arroccarono nelle cattedrali e negli episcopi, nei loro possessi urbani, per i quali avevano ottenuto privilegi di immunità che difesero costituendo delle zone giurisdizionali separate anche fisicamente da quelle del conte (Marsiglia, Narbona, Nîmes, Arles, Avignone). Tale complesso di circostanze finì con l'accentuare il declino delle c., reso anche più grave dal fatto che i re franchi non elessero mai una c. a capitale, come era stata Pavia per i Longobardi, prediligendo di risiedere presso i grandi monasteri e le basiliche suburbane - che si dotarono presto di insediamenti di supporto e servizio - a cui avevano fatto ampie donazioni e che destinarono a luogo della loro sepoltura. Clichy nel sec. 8° e Saint-Denis (dove si svolgeva anche un'importante fiera) nel sec. 9° furono più rilevanti di Parigi, così come Saint-Médard e Saint-Remi attirarono i sovrani piuttosto che Soissons e Reims. La mancanza di una sede fissa della capitale tolse impulso anche a quelle c. in cui per un breve periodo si era fermata la corte. Solo Aquisgrana parve assumere un ruolo di capitale: immaginata da Carlo Magno come una grande abbazia (sul modello di Lorsch o di San Gallo), con un abitato di servizio attorno, non ebbe però il tempo di svilupparsi, come non lo ebbe Compiègne, che Carlo il Calvo costruì a imitazione di Aquisgrana. Con la crisi dell'impero carolingio si affievolirono il potere centrale e l'autorità sovrana, con la conseguenza che in Francia aumentò il potere dei conti sulle c., mentre in Italia si rafforzò quello dei vescovi.Le vicende dello sviluppo urbano dell'Europa settentrionale e centrale furono legate alle necessità di difesa del territorio nei confronti dei movimenti di popolazioni provenienti da E, con la costruzione di luoghi fortificati a cui vennero presto concessi diritti di mercato. Nella Pomerania, nella Moravia, nella Polonia furono le solide e robuste costruzioni (castra), talvolta anche in legno, a cui era aggregato - ma fisicamente separato - un suburbio artigianale di uomini dipendenti dal signore del castello, che con i secoli successivi, non prima del sec. 12°-13°, diventarono delle c. dipendenti dal sovrano o dai signori locali, grazie allo sviluppo favorito dalle correnti di traffico mercantile. Insediamenti castellari furono all'origine anche delle c. russe, le più importanti delle quali nel sec. 10° erano Kiev e Novgorod.Nelle regioni costiere del Baltico, degli stretti e del mare del Nord si manifestarono altre forme di insediamento del tutto nuove rispetto all'urbanizzazione antica, quali furono il Wik e il Burg. In genere i termini servivano a designare insediamenti sorti fuori dalle mura delle c., o piccoli agglomerati indipendenti e fortificati, prevalentemente abitati da artigiani e mercanti, cioè coloro che fornivano i servizi alle c., sedi dell'autorità pubblica laica o ecclesiastica. Molti Wike e Burgen, ai quali si aggiunsero anche i portus, crebbero autonomamente con funzione di empori commerciali, di residenza di quei mercanti che dallo sviluppo delle forti monarchie del Nord e dall'incremento demografico, per quanto lento, dell'Europa centro-orientale avevano tratto grandi vantaggi. A partire dal sec. 9° ebbero questa origine, fra le altre, Bruges (Vicus Brutgis) e Anversa (Vicus Antwerpis). Le grandi correnti del traffico settentrionale erano punteggiate dai Wike e dai portus di Birka, presso l'od. Stoccolma, Haithabu (Schleswig), Amburgo, Dorestad (olandese Duurstede) sul Lek alla confluenza con il Reno, Quentovic alla foce del fiume Canche (Pays-du-Nord), da cui si dipartivano poi i commerci verso Londra e l'Occidente. A parte Amburgo, in origine insediamento castellare (Hammaburg), tutti gli altri ebbero una vita assai breve, quasi effimera: fra i secc. 9° e 10°, dopo aver conosciuto anche l'organizzazione a scopo di mutua assistenza dei mercanti in gilde, scomparvero e le loro funzioni passarono ad altri Wike, nuovi e vicini. Le ragioni di tanta fragilità vanno cercate nel fatto che tali insediamenti erano privi di difese e della complessità delle funzioni svolte dalle c.: la mancanza di edifici pubblici collettivi, di una solida organizzazione ecclesiastica e soprattutto delle tradizioni urbane di vita comunitaria, che davano coesione e solidarietà agli abitanti, ne decretò l'abbandono alle prime difficoltà.A conclusione di questa prima parte della storia delle c. europee non si può non accennare alla tesi storiografica presentata da Pirenne (1925), secondo la quale la decadenza delle c. occidentali, a favore di quelle settentrionali, fu dovuta alla chiusura dei traffici commerciali del Mediterraneo in conseguenza delle conquiste musulmane. Oggi tale tesi è superata: la decadenza delle c. risale infatti a epoca precedente e la ripresa era già iniziata nel periodo dell'espansione musulmana nel Mediterraneo. Anche se con ritmi lenti, a partire dal sec. 7°, nonostante periodi e località in cui si manifestarono crisi molto gravi, come durante l'espansione normanna nel mare del Nord, quella slava a oriente e le incursioni ungare in Italia e in Germania, le c. mutarono aspetto, funzioni e composizione sociale, riprendendosi dalla crisi e trasformandosi. Inoltre proprio in Italia, terra di c. antiche, nell'Alto Medioevo nacquero e si svilupparono c. che subito mostrarono grandi capacità organizzative e istituzionali, pur non avendo tradizioni municipalistiche romane, quali Venezia e Ferrara.
Nel sec. 11° lo sviluppo economico, la migliorata produttività delle campagne per il perfezionamento dei sistemi e degli strumenti di coltivazione, l'incremento demografico determinarono in tutta l'Europa lo sviluppo delle vecchie c. con consistenti fenomeni di inurbamento delle campagne e un profondo mutamento della società urbana.In generale la grande fase di urbanizzazione dell'Europa, al di là della linea dell'antico limes romano e nella penisola iberica via via riconquistata, avvenne proprio a partire dal sec. 11°, con la fondazione di c. ex novo, a opera di signori locali e di sovrani, che concessero diritti di mercato e franchigie che ne favorirono il popolamento. Le poblaciones in Spagna, le salvitates nella Francia sul Camino de Santiago, ma anche le villeneuves e le bastides, le fondazioni dei duchi di Brabante, dei re normanni (Inghilterra), degli Zähringer (Friburgo), degli Hohenstaufen (Alsazia, Svevia), degli Schaumburg (Lubecca) ebbero lo scopo, oltre che di favorire e diffondere il popolamento, di presidiare il territorio e incrementare i mercati.L'Italia, terra di antichissima urbanizzazione, non conobbe un simile fenomeno di fondazioni di città. L'incremento demografico invece rinvigorì e ampliò le vecchie c., che continuarono ad attrarre, per le prospettive economiche che offrivano, non pochi proprietari liberi del contado. Tale attrazione era esercitata in particolar modo dalle c. dell'Italia centrosettentrionale, che, a differenza di quelle d'Oltralpe, non furono mai infeudate e dove i vescovi tenevano saldamente il governo, con l'appoggio delle famiglie più potenti, destinatarie dei feudi vescovili. L'interferenza dell'autorità pubblica e dei governi centrali nell'elezione dei vescovi, che ebbero poteri temporali sempre più ampi, fu fenomeno diffuso non solo in Italia, ma anche in Francia, dove però l'autorità vescovile rimase più debole e comunque assicurò sempre alla Corona il controllo della città.La lotta per le investiture in Fiandra e in Germania si manifestò con lo schieramento delle c. a favore ora del partito filoimperiale, ora di quello avverso. Divenute così fattori politici di rilievo, esse ne conseguirono anche dei vantaggi, che, però, né allora né dopo superarono mai la sfera della gestione della vita municipale.Nelle c. dell'Italia centrosettentrionale la lotta per le investiture ebbe risvolti di tipo politico-sociale. Nonostante la scomunica decretata da Gregorio VII, i vescovi simoniaci di nomina imperiale poterono continuare a restare nelle loro diocesi e governare le c., poiché avevano l'appoggio dell'élite cittadina destinataria dei feudi vescovili. Lo sviluppo economico però a poco a poco determinò un notevole cambiamento della società urbana, ampliando notevolmente con l'inurbamento il ceto dei proprietari-possessori terrieri che in c. si dedicarono alla produzione e al commercio. L'ultimo trentennio del sec. 11° fu caratterizzato da tensioni sociali urbane che si fecero sempre più forti, talora manifestando il disagio con l'adesione di una parte della popolazione a forme ereticali e giungendo anche a scontri violenti (Piacenza, Milano). Sul finire del secolo, anche in conseguenza della predicazione della prima crociata, a cui parteciparono scomunicati e ortodossi - sospendendo in funzione di un nuovo obiettivo le tensioni urbane -, la società si andò ricomponendo ed espresse un nuovo e originale sistema di governo, il Comune. Tale organismo di tipo collettivo fu espressione di una società particolarmente caratteristica delle c. italiane, dove, al contrario delle c. nordiche, isolate e assediate da una feudalità potente, non si ebbe mai un esasperato contrasto fra l'aristocrazia laica e le forze sociali urbane. Infatti in essa convivevano sia l'aristocrazia, che aveva interessi cittadini, sia il ceto mercantile, che era allo stesso tempo anche proprietario terriero, sia il gruppo dei professionisti del diritto (giudici, notai, giuristi), numericamente meno consistente ma in molte occasioni determinante.In tutta Europa si manifestarono, seppure in tempi diversi, forme di organizzazione della vita pubblica urbana basate sull'associazione fra gli abitanti della c. legati dal vincolo del giuramento e con vari livelli di autonomia, determinati dal potere centrale o dai signori territoriali: solo in Italia però si giunse alla costituzione di entità statali del tutto autonome.
Nel periodo compreso fra le origini dell'organizzazione autonomistica e la pace di Costanza (1183), che risolveva i rapporti fra i comuni e l'impero, si sviluppò il Comune consolare, dal nome dei magistrati che collettivamente lo reggevano, dando esecuzione alle deliberazioni che venivano prese dall'assemblea generale del popolo prima e dai consigli poi.I comuni italiani riuscirono ad attribuirsi i diritti pubblici, a conquistare, a difendere e a mantenere la più ampia autonomia nei confronti del governo centrale, che avrebbe dovuto essere l'impero. Anche nelle c. della Germania sudoccidentale fino a Lubecca la debolezza del potere centrale favorì il costituirsi delle autonomie cittadine con governi di tipo consolare, ma solo nel sec. 13° e comunque in forme molto diverse da quelle italiane, che restano pur sempre un fatto del tutto caratteristico e ineguagliato. In Francia la Corona garantì alle c. forme di autonomia, ma assai limitate, dando impulso però alla crescita urbana con la concessione di privilegi che favorirono la borghesia cittadina, la quale con Filippo il Bello poté anche partecipare alle assemblee del regno come terzo stato, ma con scarso rilievo politico.A parte Norimberga, che riuscì ad avere giurisdizione su un piccolo territorio, solo i comuni italiani conquistarono il territorio circostante - generalmente corrispondente alla diocesi - e quelli più vitali riuscirono anche a sottomettere i vicini più deboli. Furono delle vere e proprie c.-stato, in grado di provvedere - almeno per un certo tempo - al proprio rifornimento annonario, con una struttura organizzativa estremamente complessa, che cominciò a manifestarsi con la costruzione dei palazzi comunali, sede degli organi di governo, degli uffici e degli archivi.Nel generale sviluppo delle c. europee larga parte ebbero le associazioni professionali. Ovunque, fuorché in Italia, la borghesia costituiva tutta intera la società cittadina e quasi sempre ebbe il significato di ceto mercantile-artigianale: le gilde ebbero sempre e solo scopi protezionistici e di assistenza, senza mai diventare strumento di governo. Anche le Hansen (associazioni di mercanti aventi la medesima meta geografica), furono dei potenti strumenti di penetrazione economica che indirettamente condizionarono le scelte politiche dei sovrani, ma senza giungere mai alla partecipazione diretta alla vita pubblica.Gli organi cittadini che amministravano quella parte di attività che i sovrani o i signori loro concedevano erano assai semplici, costituiti da un consiglio e da un borgomastro, con poteri molto limitati. Nei comuni italiani la complessità sociale, manifestata anche attraverso la doppia organizzazione corporativa, professionale e territoriale, si rispecchiava nella complessità degli organi di governo, le cui sfere di competenza erano quelle proprie di ogni stato di diritto. Dopo la pace di Costanza nei comuni italiani il potere esecutivo e giudiziario fu affidato ai podestà, quasi sempre forestieri, professionisti della politica e dell'amministrazione, che si muovevano da una c. all'altra con il proprio seguito di giudici, cavalieri e addetti alla polizia, embrione di un apparato burocratico e politico-giudiziario, affiancato a quello amministrativo-finanziario, che si sarebbe sviluppato in età moderna. I podestà, entro i confini stabiliti dalla legislazione, avevano poteri discrezionali, controllati però a fine mandato dai sindaci designati dal Comune. Il potere legislativo invece era esercitato dai consigli cittadini, dai quali, negli ultimi decenni del sec. 13°, furono allontanate le famiglie aristocratiche - lupi rapaces, secondo la definizione della legislazione antimagnatizia bolognese -, completamente sostituite, nei comuni in cui si affermarono i governi popolari, dagli appartenenti alle corporazioni.Le c. d'Oltralpe non conobbero mai una legislazione così complessa come gli statuti comunali italiani, poiché i sovrani e i signori locali, detentori dei poteri pubblici delle c., preferirono la duttilità delle norme consuetudinarie a leggi scritte. A parte gli statuti concessi dai re aragonesi alla c. di Barcellona, applicati poi anche a Cagliari, dove però il livello dell'autonomia era limitato dal sovrano, solo i corpi legislativi delle c. italiane - di cui sono pervenute anche molte redazioni a breve distanza di anni le une dalle altre, segno della necessità di adeguare le leggi alle rapide trasformazioni - riguardarono sfere di competenza molto ampie: la vita politica all'interno dello stato, la politica estera, l'ordine pubblico, il diritto civile e penale, il rifornimento annonario, la protezione dell'economia, il controllo del mercato, la gestione urbanistica della città.Gli statuti comunali italiani consentono di seguire passo a passo le disposizioni che venivano prese dagli organi di governo per dare uno sviluppo ordinato alle c.: dapprima si trattò di deliberazioni che riguardavano singoli interventi, poi si andò verso una normativa più generale che riguardava la difesa del suolo pubblico dagli abusi, la concessione delle licenze edilizie, la salvaguardia del patrimonio edilizio, la gestione delle acque per l'igiene pubblica e per la produzione di forza motrice, lo smaltimento dei rifiuti, la salvaguardia delle acque potabili e dell'aria dall'inquinamento.Il costituirsi degli stati nazionali in Europa diede luogo allo stabilizzarsi della sede della monarchia e allo sviluppo delle c. capitali. Non si trattava più però, come nell'Alto Medioevo, di scelte temporali prive di continuità. Divennero capitali quelle c. che avevano tradizioni economiche e sociali ben collaudate e una consistenza demografica ragguardevole. Londra, Parigi, Barcellona presero ulteriore slancio dalla presenza della corte, che determinò un indotto di servizi e di committenza che ne favorì ulteriormente lo sviluppo. Ognuna delle c. italiane che visse l'esperienza comunale fu capitale; le più forti, poi avviatesi sulla strada della conquista di quelle più deboli, divennero il centro motore della costituzione di stati regionali (secc. 14°-15°), anche sulla spinta di governi oligarchici e di signorie che sostituirono i governi comunali.
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La storiografia si è in questo secolo più volte cimentata nel tentativo di formulare una definizione della c. altomedievale, che si adattasse a fenomeni diversi, come i centri tardoromani della Gallia meridionale o per es. le fondazioni ottoniane. Una lettura che consideri la c. come qualcosa di più che un semplice agglomerato, più o meno cospicuo, di persone deve tuttavia tener conto del sistema socio-economico su cui si basa ogni forma di vita associativa. Le analisi di Pirenne (1925) e Weber (1950) sulla genesi e lo sviluppo del fenomeno urbano nel Medioevo si soffermarono proprio sull'accumulo e trasformazione delle ricchezze caratteristici delle c., viste come società di consumatori dei prodotti agricoli della campagna circostante. Il rapporto tra nascita di un centro urbano e incremento del commercio, concepito da Pirenne in termini di rigorosa causalità, è stato tuttavia ridefinito e comunque limitato ad aree cronologiche e geografiche ben precise (per es. le Fiandre). La presenza di un mercato fisso, di una fiera, di traffici commerciali intensi, come anche della cinta muraria e dell'autorità vescovile, furono tutti elementi fortemente caratterizzanti ma non imprescindibili di una c. altomedievale.La frammentarietà delle fonti documentarie, la difficile interpretazione di quelle narrative e la mancanza per i centri abitati di informazioni paragonabili a quelle fornite dai poliptici per le grandi aziende agricole hanno stimolato l'analisi delle evidenze archeologiche. Si è per es. tentato (Lot, 1945-1953) di valutare la consistenza demografica di alcune c. del Basso Impero, punto di partenza per uno studio sui secoli successivi, attraverso l'estensione della superficie delimitata dalla cinta muraria; le dimensioni di Treviri (ha 285) e di Nîmes (ha 275) spiccano in questo elenco nei confronti di c. come Colonia (ha 86), Marsiglia (ha 28), Narbona (ha 15) e Autun (ha 10), che pure ebbero grande rilevanza. Questi dati non tengono tuttavia conto che in alcuni centri la popolazione era ancora insediata in vasti suburbi mentre in altri esistevano già all'interno del perimetro murario sacche di disabitato destinate spesso a superficie agricola; fu forse proprio questa forma di ruralizzazione a garantire la sopravvivenza di molte c. tardoantiche (Doehaerd, 1971).L'esodo di buona parte delle classi agiate - che a partire dal sec. 4° si trasferirono nel contado dove potevano garantirsi un'esistenza più sicura all'interno di villae fortificate -, le invasioni e la generale depressione demografica spopolarono indubbiamente le c. modificandone la struttura sociale e determinando una forte contrazione dell'abitato. Una felice eccezione è rappresentata da Parigi, che con i suoi 20.000-30.000 abitanti (Roblin, 1951) fu sempre la principale c. del regno franco e i suoi sobborghi rimasero popolati anche quando furono fortificati solo gli ha 10 dell'isola.Pur essendo espressione di una società demograficamente molto debole, le c. tuttavia continuarono per l'Alto Medioevo a costituire sia un luogo dove abitato e popolazione erano più concentrati che altrove sia un polo di attrazione sociale.La coscienza della peculiarità dell'esperienza civica risulta infatti evidente in autori come Gregorio di Tours, il quale si stupisce che Digione, definita castrum, non possa essere considerata c. malgrado la presenza del vescovo, la cinta fortificata e la ricchezza del territorio (Hist. Fr., III, 19; MGH. SS rer. Mer., I, 1884, p. 129). Ancora nel sec. 7° Isidoro di Siviglia distingueva la c. come "moltitudo hominum societatis vinculo adunata" (Etym., XV, 2; PL, LXXXII, col. 536). Già s. Agostino d'altronde aveva ispirato la sua c. divina ai valori di quella terrena, vista come modello di convivenza civile fondata su un vincolo di concordia (Fasoli, 1974, p. 32). A partire dal sec. 9° rinacque come genere letterario il panegirico illustrante le glorie della c. o il suo primato sui centri vicini, a testimoniare il consolidarsi di una nuova consapevolezza storica nella c. altomedievale (Bischoff, 1959, p. 625).Le stesse invasioni non interruppero ovunque quelle attività che distinguevano la vita urbana: Salviano per es. nel sec. 5° continuava a parlare delle c. come luoghi di perdizione dove la gente disertava le chiese per assistere al teatro e al circo, malgrado centri come Magonza, Colonia e Treviri avessero già perduto i luoghi deputati a tali generi di spettacolo (De gubernatione Dei, VI-VII; PL, LIII, coll. 107-146). D'altra parte, anche i primi sovrani merovingi si adeguarono alla tradizione antica: Teodoberto (533-547) fece svolgere dei giochi nell'anfiteatro di Arles (Doehaerd, 1971), mentre Chilperico I (561-584) edificò circhi a Parigi e a Soissons.Malgrado il ruolo preminente svolto dai monasteri, anche nelle c. si assistette per tutto l'Alto Medioevo a un'attività di conservazione e promozione della cultura e del sapere. In un quadro di ingenti distruzioni e vastissime perdite, condizione necessaria per la sopravvivenza del materiale librario fu il passaggio di tale materiale dalle biblioteche delle grandi famiglie a quelle che si andavano costituendo intorno alla cattedrale. A Lione per es. una biblioteca capitolare esistette ininterrottamente a partire dal 6° secolo. Dalle sottoscrizioni si ha inoltre notizia di codici eseguiti in alcune c. merovinge dove attivi scriptoria si andavano affiancando alle raccolte. L'accumulo di codici nel sec. 8° in c. come York o Canterbury dimostra la crescente attenzione a questo aspetto. Anche l'ideale ottoniano di c. vescovile era permeato di tali valori, come dimostra l'esempio di Bamberga che, quando nel 1007 divenne diocesi, ricevette un fastoso corredo di libri liturgici (Bischoff, 1959).Accanto alle biblioteche anche le scuole continuarono, seppure in forma ridotta, una qualche attività. Delle molte descritte da Ausonio di Bordeaux o testimoniate ancora agli inizi del sec. 5° (Riché, 1957), ben poche ne sopravvissero nei due secoli successivi in Gallia, in Italia e in Spagna. I primi sintomi di una ripresa si avvertirono alla metà del sec. 8°, quando alcuni centri (per es. Metz) anticiparono quella rinascita che si realizzò poi sotto la spinta di Carlo Magno. Malgrado la scarsità delle fonti è quindi possibile ipotizzare, come anche le iscrizioni sembrerebbero testimoniare, che le c. rimasero luoghi dove l'alfabetizzazione era maggiore e dove esisteva anche un'attività culturale e una circolazione libraria autonoma rispetto ai centri monastici.Il lascito della c. tardoantica a quella altomedievale è caratterizzato anche da una forma di continuità che assunse valenze e durata diversissime a seconda delle varie aree geografiche. A tale proposito Pirenne (1925), basandosi proprio sulla sostanziale continuità della vita urbana e dei commerci, sostenne che non furono le migrazioni dei Germani a interrompere l'unità del mondo romano, bensì le invasioni degli Arabi, che turbarono quegli equilibri che rendevano ancora il bacino del Mediterraneo una via relativamente sicura. Anche se le linee portanti di questa tesi sono state sottoposte successivamente a un severo vaglio critico (Capitani, 1990), non se ne può negare la validità in alcuni casi specifici. In Spagna per es. la cesura fu realmente segnata dalla caduta del regno visigoto nell'8° secolo. Fino a questa data infatti centri come Barcellona e Toledo non solo sopravvissero ma addirittura accrebbero la loro importanza economica.Cesura e continuità rispetto all'Antico costituiscono i due termini entro cui si mosse la c. europea dal 5° all'8° secolo. A una continuità piuttosto debole, limitata principalmente alla scelta del sito geografico, caratteristica dell'area danubiana, fa riscontro la Gallia sudoccidentale, dove la c. rimase un luogo giuridicamente tutelato e distinto e in centri come Bordeaux la struttura tardoromana funzionò fino all'8° secolo. Nella regione tra il medio corso del Reno e della Mosella, invece, le civitates, che, contratte e fortificate, erano divenute molto simili ai castra, sia per la posizione lungo i corsi d'acqua - ormai più sicuri della rete viaria - sia per le ridotte dimensioni dell'abitato (più facilmente difendibile), furono restaurate e costituirono i nuclei di molte c. medievali. In quest'area centri quali Namur, Coblenza, Andernach e Boppard conservarono, del tutto o in parte, la fisionomia antica (Ennen, 1972).Particolarmente significativi furono sulla Mosella i casi di Metz, Toul e Treviri, che mantennero una forte popolazione gallo-romana e un'articolata struttura sociale, compreso un ceto inferiore e un'aristocrazia di ascendenza senatoria, entrambi tipicamente urbani. Specialmente Treviri mostrava, malgrado la contrazione demografica, una straordinaria continuità dell'abitato fino all'882, quando, in seguito al passaggio dei Normanni, si fortificò la zona intorno al duomo, modificando la rete stradale romana giunta fino ad allora.La cristianizzazione e l'insediamento di nuove popolazioni furono senza dubbio elementi di stravolgimento e riqualificazione del tessuto urbano. Ma anche laddove il baricentro della c. si spostò verso i nuovi sobborghi (Magonza, Spira) o i nuovi luoghi di culto (Colonia, Maastricht) - spesso dedicati a martiri locali - ciò avvenne con gradualità, richiedendo nel caso di Bonn quasi quattro secoli.In questa fase la sede vescovile divenne il perno anche urbanistico dell'abitato e del suo sviluppo futuro; non costituì certo un'eccezione il caso di Colonia, dove l'odierno duomo sorse sul luogo della cattedrale tardoantica.Il vescovo quindi, assumendo l'autorità che un tempo competeva alle cariche civili, diventava il garante della sopravvivenza e quasi il simbolo stesso della c. altomedievale. Egli infatti risiedeva in una sola c. e la sua presenza fu sufficiente per elevare al rango di c. una modesta villa come Liegi (Ennen, 1972). È sintomatico a tale proposito che nella prima metà del sec. 8° i pontefici Gregorio III e Zaccaria esortassero s. Bonifacio a non fondare, evangelizzando la Turingia e l'Assia, episcopati in piccoli centri o comunque dove non fosse una folla di credenti (MGH. Epist., III, 1892, pp. 278-280, 302-305), affinché il titolo di diocesi, intimamente legato a una realtà di tipo urbano, non venisse sminuito.Anche i sovrani in molti casi risiedettero stabilmente nei vecchi centri abitati, occupando spesso i luoghi fisici del potere, come municipi e palazzi reali, restaurandoli e assicurandone la sopravvivenza (per es. Bordeaux, Tolosa, Ginevra, Colonia). Questa concezione stanziale dell'esercizio del potere, eco dell'antico concetto di capitale, si perpetuò per tutta l'epoca merovingia e s'interruppe solo con i dinasti carolingi, che ricominciarono a vagare per le varie sedes principales del regno.La continuità con il passato, tanto più vincolante quanto più la cultura urbana era radicata nella regione, non deve tuttavia oscurare i caratteri originali della c. nell'Alto Medioevo, epoca in cui, se molto fu distrutto, molto fu anche ricostruito o costruito ex novo (Peroni, 1974, p. 679). In effetti, a partire dal sec. 6°, la morfologia della c. cambiò e il mutamento più evidente riguardò l'aspetto delle strade, che, pur disponendosi ancora all'interno del reticolo antico, divennero più anguste e irregolari, evolvendo verso quella curvilineità che caratterizza molte c. sviluppatesi tra il sec. 8° e il 9°; tale fenomeno, dovuto in principio a un peggioramento della qualità architettonica, divenne in seguito frutto di precise scelte formali, motivate da tradizioni preromane sopite ma mai completamente cancellate dall'urbanistica romana (Guidoni, 1991).Un caso di forte caratterizzazione locale nella continuità degli insediamenti è costituito dall'Inghilterra, dove le campagne di scavo condotte dal secondo dopoguerra e il modesto sviluppo che alcuni centri ebbero nel Tardo Medioevo restituiscono un quadro di estremo interesse. Una romanizzazione superficiale e di durata relativamente breve aveva lasciato la regione disseminata di castra più che di c. vere e proprie; il recupero del rigido reticolo viario caratterizzò quindi fin dal primo momento gli insediamenti anglosassoni. La ripresa di schemi e tradizioni antiche, come quella dei trattati di gromatica, comportò nei secoli successivi l'abbandono di una maglia ortogonale indifferenziata a favore di due assi privilegiati, intesi in termini rigorosamente cristiani come crux viarum. Dunque se i due assi principali spesso coincidono con quelli del castrum romano (per es. Chichester, Gloucester, Exeter), altrettanto non si può dire per le vie secondarie, sfalsate e ad andamento non rettilineo, che costituiscono in molti casi il prodotto di ripopolamenti successivi (Guidoni, 1978, p. 126ss.). Questa disposizione appare meno evidente a Canterbury e a York, dove le numerose fasi che, a partire dal sec. 7°, si sono succedute hanno determinato una croce di strade interrotta a N dalla cattedrale. L'importanza e il precoce sviluppo di un centro come York sono testimoniati poi, oltre che dalla presenza di numerose comunità di mercanti stranieri, anche dalla ricostruzione della struttura difensiva romana, che forse già alla metà del sec. 7° venne rinforzata da torri in pietra (Biddle, 1974). Sviluppatasi nel sec. 9°, Winchester costituisce invece un interessante esempio di c. organizzata su una high street da cui si dipanano con uno scarto più o meno accentuato le strade laterali; il mancato attraversamento della via principale da parte di quelle secondarie, oltre a sottolinearne la centralità, crea una dimensione dilatata dell'abitato (Guidoni, 1991, p. 137ss.). Un fenomeno interamente autoctono inoltre fu quello della fondazione di castelli che ospitavano le truppe e spesso anche le zecche (burhs), ai quali in molti casi si affiancò un mercato, e che costituirono quelle entità che, definite boroughs, furono all'origine di molte c. anglosassoni.Anche nel periodo di massimo splendore la struttura della società carolingia non divenne mai essenzialmente urbana e il centro di amministrazione del potere non fu tanto la residenza del sovrano quanto la sua persona. La forte egemonia vescovile nelle c. scoraggiò anche la nobiltà, che preferì risiedere nel contado. È interessante osservare a tale proposito che i principali palazzi dei re carolingi si trovavano tutti nelle terre di loro proprietà (per es. Herstal, Ingelheim, Quierzy, Attigny). La presenza della corte in queste località non significò necessariamente la loro evoluzione in c.; alcune, come Ingelheim, non lo furono mai, mentre Aquisgrana lo divenne solo quattro secoli più tardi (Pirenne, 1925). Sia in quest'ultima sia a Francoforte - divenuta sede principale di Ludovico il Germanico, che vi risiedette in numerose occasioni (Brühl, 1958) - fu il palazzo a costituire il nucleo intorno al quale si sviluppò nei secoli successivi l'abitato.Anche nei centri urbani gli edifici costruiti dai monarchi evidenziano più la volontà di esprimere un'ideologia imperiale, attraverso l'utilizzo di strutture architettoniche fortemente evocative, che la ricerca di soluzioni urbanistiche connesse allo spazio circostante; i palazzi dunque, ma anche le abbazie compatte e fortificate, si connotano già come c. autonome. È infatti una società dove il simbolo ha un ruolo fondamentale e, come osservato da Fichtenau (1949), una porta, una torre e una chiesa sono sufficienti a rappresentare una città. Non bisogna tuttavia ritenere il sec. 9° un periodo di degenerazione delle c. e le autorizzazioni di vescovi e sovrani ad abbatterne le fortificazioni vanno interpretate più alla luce della loro inutilità, visto il clima di relativa pace, che come un sintomo di abbandono (Doehaerd, 1971).A partire dal sec. 7° si diffusero nelle regioni centrosettentrionali quegli empori commerciali che, citati nelle fonti come vici (Wike), costituirono, rispetto alla continuità delle c. tardoantiche, uno degli elementi originali e caratterizzanti di aggregazione urbana nell'Alto Medioevo. Tra i più noti sono Quentovic sulle rive della Canche (Francia settentrionale), attestato tra il 670 ca. e l'864, Duurstede sul Lek (Olanda), decaduto alla fine del sec. 9°, Birka sul lago Mälar (Svezia), attivissimo fino allo scorcio del sec. 10°, e Haithabu (Germania), che conobbe un periodo di notevole prosperità fino agli inizi del sec. 11° (Fritz, 1974; Jankuhn, 1974). Questi insediamenti, punto di incontro di mercanti frisoni, danesi, normanni, slavi e scandinavi, da semplici luoghi di sosta, con edifici in legno disposti lungo un'unica via, divennero ben presto sedi di una popolazione stanziale e socialmente articolata. Per coloro che praticavano commerci sulle lunghe distanze avere una residenza stabile in un Wik significava entrare a far parte del ceto dei mercanti di professione che costituivano la classe egemone di queste comunità. Non mancavano tuttavia frequentatori occasionali o periodici - venuti anche da molto lontano - che spesso vi possedevano un magazzino e contadini che regolarmente mettevano in vendita i prodotti in esubero. Tuttavia la parabola di questi centri fu in molti casi estremamente breve e generalmente compresa nell'arco di due secoli. Lo spostamento delle rotte commerciali e le incursioni normanne e vichinghe sancirono spesso il tramonto di un Wik e l'ascesa di un altro, a volte in un sito molto vicino. Le cause tuttavia più profonde della precarietà di queste c. sono state ricondotte (Dhondt, 1962; Ennen, 1972) allo scarso radicamento nel territorio e alla disaffezione della popolazione, spesso immigrata da aree remote, al proprio luogo di residenza. Furono dunque i vici che si appoggiavano a centri già popolati (per es. Namur, Tournai, Metz, definiti in età carolingia portus) ad avere maggiori possibilità di durata. La continuità fu in alcuni casi anche topografica e per es. a Magonza i mercanti nei secc. 10°-11° abitavano le stesse vie dei loro antichi predecessori; mentre a Colonia, precocemente frequentata dai Frisoni, si formò un borgo che venne incluso già nella prima metà del sec. 10° all'interno della cinta muraria (Lopez, 1955).A partire dalla seconda metà del sec. 9°, le frequenti incursioni di Normanni, Vichinghi, Saraceni e Ungari provocarono una rifortificazione dei vecchi centri abitati e, nelle regioni di più debole urbanizzazione, la fondazione di nuovi castelli, come quelli di Enrico I l'Uccellatore lungo l'Elba e in Boemia. Molte c. che conobbero nei secoli successivi un'intensa fioritura (per es. Gand, Bruges, Magdeburgo) trassero la loro origine dai mercati che si andarono affiancando alle nuove fortezze e conservarono per lungo tempo nell'impianto urbanistico traccia dei due poli che determinarono il loro sviluppo.Nelle regioni a E del Reno, al castello (v.) e all'insediamento mercantile si aggiunse il vescovado quale elemento per la formazione di una c.; il caso di Amburgo, saccheggiata dai Vichinghi nell'845, suggerisce tuttavia come questi tre elementi fossero connessi ma al tempo stesso indipendenti. Il castello eretto a difesa della chiesa venne infatti distrutto e la sede vescovile portata a Brema, mentre il Wik non solo sopravvisse, ma conobbe nei decenni successivi un'importanza crescente (Ennen, 1972).Anche se causarono la scomparsa degli empori più esposti, come Quentovic e Duurstede, le invasioni misero in contatto regioni lontanissime e, concentrando la popolazione all'interno di luoghi fortificati, rilanciarono il ruolo della c. come soluzione abitativa privilegiata nei momenti di crisi; questa crescita demografica costituì poi una delle premesse alla ripresa economica e alla nascita dei nuovi suburbi nel sec. 11° (Doehaerd, 1971).Anche nell'Europa orientale l'incastellamento e l'attività mercantile sembrano aver costituito in questi anni le cellule germinali di uno sviluppo urbano che, seppure con qualche ritardo, ricalcò le modalità delle regioni centrali della Germania. Nella Grande Moravia per es. insediamenti come Mikulčice e Staré Mĕsto (presso Uherské Hradištĕ) dovevano essere nel sec. 9° piazze commerciali importanti, con fortificazioni, vari edifici religiosi e un'articolata struttura sociale. Sulla rotta che da Ratisbona conduceva a Cracovia e a Kiev, Praga, generata dai due centri fortificati di Vyšehrad e di Hradčin - probabilmente il più sviluppato -, contava sicuramente nel sec. 10° un castello, vari sobborghi, edifici in pietra e almeno due mercati. Piuttosto diffusi dovevano essere poi nella regione i castelli con terrapieno dove viveva, in situazione privilegiata, una popolazione numericamente ridotta: a questi centri facevano riferimento villaggi agricoli e attività artigianali qualificate (Ennen, 1972; Hensel, 1977).Anche la Polonia presenta un quadro simile e le prime fortificazioni, erette nei secc. 6°-7° come residenze signorili, segnarono il passaggio da un'organizzazione sociale di tipo tribale a una suddivisa in classi. Il piccolo castrum di Biskupin, risalente ai secc. 8°-9°, mostra l'esistenza di un borgo limitrofo abitato da fabbri, vasai e produttori di pece. Castello, mercato e suburbio, dove si svolgeva un'attività artigianale qualificata, costituirono dunque ancora una volta gli elementi propulsivi; località come Opole, Wolin, Poznań e Gniezno già nel sec. 10° dovevano infatti possedere una struttura socio-economica di tipo urbano, anche se alcuni di questi suburbia, per es. Breslavia e Gniezno, decaddero e divennero vere e proprie c. solo in epoca moderna. Le campagne di scavo hanno mostrato come questi insediamenti si disponessero preferibilmente lungo fiumi o laghi e solo eccezionalmente in luoghi elevati e venissero quindi fortificati mediante canali e cinte in legno e terra, realizzate con notevole perizia. A questi castelli - Wolin e Gniezno risalgono al sec. 9° - si affiancava l'abitato, caratterizzato da vie strette e case di legno; la residenza del signore spesso si trovava in un castrum separato. Più difficile invece è l'indagine di quei centri come Cracovia, Chełmno e Toruń, che conobbero nei secc. 13° e 14° un grande sviluppo urbano (Gieysztor, 1957).A partire dal sec. 10° si assistette con crescente rapidità alla diffusione di centri abitati in territori, come la Russia, che non avevano conosciuto, a eccezione forse di Kiev, alcuna forma di urbanizzazione e per i quali è da escludere qualunque fenomeno di continuità. È dunque ancora oscuro se l'origine delle c. in quello che i Variaghi definirono Gardariki ('paese delle c.') sia da attribuire a influenze esterne - slave, scandinave - o a stimoli autoctoni. Le campagne archeologiche hanno suggerito nel caso di Novgorod un possibile sviluppo direttamente da un insediamento rurale (Gieysztor, 1959; Dejevsky, 1977). Nel sito sono state infatti individuate ben tre comunità agricole che si fusero probabilmente intorno al sec. 10°; allo scorcio dello stesso secolo si fa risalire anche l'insediamento del vescovo, mentre per la fondazione della cattedrale, dedicata come quella di Kiev alla santa Sofia, si sarebbe dovuta attendere la prima metà del secolo successivo (Dejevsky, 1977; Hensel, 1977).Gli Ottoni dimostrarono fin dai primi anni della loro ascesa un rinnovato interesse nei confronti della c., ormai divenuta grande produttrice di ricchezza. La loro azione politica fu improntata, in c. come Magdeburgo, alla concessione di privilegi statutari al ceto mercantile, pur tenendo conto dell'ormai consolidato potere dei vescovi all'interno delle mura. Se in centri come Bruges, Gand e Limburg il nucleo fortificato è costituito dal castello comitale - che includeva comunque il Capitolo - a Verdun per es. l'altura fortificata sulla Mosa ospitava la residenza vescovile, mentre sull'altra riva si disponeva l'insediamento commerciale, anch'esso fortificato. A Worms invece fu il vescovo che, intorno all'anno Mille, fece restaurare la cinta per richiamare in c. la popolazione che si era allontanata non sentendosi protetta dalle mura in rovina (Vita Burchardi, 6; MGH. SS, IV, 1841, p. 835).Gli interventi urbanistici ottoniani furono tuttavia segnati (Guidoni, 1991) anche da una forma di monumentalizzazione, caratterizzata dalla disposizione di chiese lungo direttrici che, intersecandosi, richiamavano la forma simbolica della croce; il perno era costituito dalla cattedrale, spesso collegata a vista - mediante assi stradali privilegiati - con gli altri edifici religiosi della c. (per es. Goslar, Bamberga, Hildesheim, Utrecht).Fu questa un'ulteriore tappa di quel processo di cristianizzazione che, iniziato in età paleocristiana con la costruzione di cappelle sopra le porte urbiche e di martyria all'esterno - trasformando quindi il recinto urbano in recinto sacro -, costituì l'elemento originale e qualificante della c. altomedievale rispetto a quella tardoantica.
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Lo studio delle c., nel caso a sé costituito dall'Italia fra il sec. 6° e il 10°, deve considerare tre diverse situazioni oggettive: c. con continuità di vita, c. abbandonate nel periodo in questione e, al contrario, nuove c. fondate. Per le prime il problema della continuità deve essere affrontato nell'ottica dell'insediamento demico, ovvero del tessuto urbanistico, ovvero ancora delle funzionalità istituzionali dell'amministrazione tardoantica (Carile, 1983); naturalmente in questa sede interessa l'impianto urbano nella sua manifestazione materiale. Delineare i fenomeni di persistenza e/o di mutazione nell'impianto urbanistico classico della c. è compito complesso e assai difficile per oggettiva carenza di fonti sia letterarie sia archeologiche e monumentali.La storiografia recente ha tentato, sulla base privilegiata dei nuovi dati acquisiti attraverso le ricerche di archeologia urbana, sviluppatasi in particolar modo nelle regioni settentrionali, di proporre modelli che dal caso singolo potessero assumere valore di norma generale. Ma pur nell'oggettività del dato archeologico le interpretazioni storiche hanno assunto inizialmente posizioni diametralmente opposte (La Rocca Hudson, 1986a; 1986b; Brogiolo, 1987) e non sono mancati gli inviti a una maggiore prudenza nel processo di generalizzazione di singole situazioni (Wickham, 1988b; Guidoni, 1991; Cantino Wataghin, 1992). Da un lato si è sostenuta una continuità di forme di vita urbana nei secoli in questione, dall'altro è stata rispolverata da parte degli archeologi per l'Alto Medioevo la locuzione 'secoli bui', in una visione di rovina e di accentuata ruralizzazione della città. Sono peraltro da evidenziare tentativi di affrontare il problema globalmente e su un piano di maggiore oggettività (Wickham, 1981; Heers, 1984; Ward-Perkins, 1984; Guidoni, 1991).È convinzione diffusa che, a partire dal sec. 4° e con maggiore intensità nei decenni delle guerre greco-gotiche (535-553) e in quelli immediatamente successivi, entri definitivamente in crisi il sistema urbano classico: tale affermazione può ritenersi giusta, nei limiti però di un fenomeno a lunga durata e con molteplici varianti da c. a c. come conseguenza dell'accertato elemento caratterizzante e determinante la forma urbis nell'Alto Medioevo, cioè l'individualità e la peculiarità di ogni singola costruzione; ogni c. quindi si definisce con un proprio aspetto urbanistico, senza peraltro giungere a decretare la fine delle c. come centri demografici, ovvero come centri con chiare caratteristiche urbane (Wickham, 1981; 1988a).Come nella valutazione storica del periodo dal sec. 4° al 7° (Mazzarino, 1980), così anche nello studio della c. devono essere riconosciuti due aspetti condizionanti e operanti nel passaggio dall'Antichità al Medioevo: la trasformazione religiosa e sociale a seguito della penetrazione del nuovo credo cristiano e la presenza sul suolo italico dei popoli delle migrazioni (Pani Ermini, 1988; 1992a). Questi due aspetti si traducono sul piano urbanistico nell'inserimento degli edifici a carattere cristiano nel tessuto preesistente e nel duplice rapporto di distruzione e di ricostruzione da parte delle nuove classi dirigenti germaniche. L'avvio al processo di mutazione del paesaggio urbano fu dato dall'edificazione di chiese, oratori e monasteri che si sostituirono, inizialmente e il più delle volte, alla proprietà privata e quindi, a partire dal sec. 5° sempre in maggior misura, agli edifici di carattere pubblico, mantenendo, segnatamente nella prima fase e nella maggioranza dei casi, inalterato il reticolo stradale; tale processo è maggiormente apprezzabile nelle c. sedi di diocesi, anche per la posizione di autorità e di prestigio che man mano i vescovi erano venuti ad acquisire e che portò in seguito all'assorbimento di funzioni pubbliche da parte delle massime autorità religiose, con un fenomeno tipico del 6° secolo. In tali centri il complesso episcopale divenne frequentemente il maggior fattore poleogenetico nella formazione della c. medievale (Testini, Cantino Wataghin, Pani Ermini, 1989).La discesa oltre le Alpi dei Visigoti e la presa di Roma nel 410 a opera di Alarico dettero inizio alle distruzioni, a volte accertate dalla documentazione archeologica delle opere di ricostruzione intraprese nei centri colpiti (Lusuardi Siena, 1984). Nella marcia attraverso il Picenum alla volta di Roma si ha notizia della distruzione di Urbisaglia, di cui Procopio di Cesarea, nel De bello Gothico (II, 16), vedeva unicamente i resti di una porta e della pavimentazione stradale; pure altri centri lungo il percorso dovettero essere duramente colpiti. A Roma, se su dati archeologici sono attestati restauri agli edifici pubblici del Foro, non altrettanto si può dire per le ricche dimore del Celio e dell'Aventino, saccheggiate e non più ricostruite: si venne a determinare in tal modo l'inizio della diversa destinazione delle due regioni che nei secoli dell'Alto Medioevo videro larghe parti del loro territorio destinate a impianti cultuali e monastici. Si è soliti attribuire ad Ataulfo (m. nel 415) le distruzioni documentate nelle c. liguri, ove si assiste a opere di restauro promosse forse da Costanzo III (370-421) nel quadro della riorganizzazione difensiva delle civitates maritimae tra Luni e Ventimiglia, ma si deve attendere il regno di Teodorico (493-526) per poter parlare di una politica di ristrutturazione dei sistemi difensivi e di restauro delle strutture urbane. Fonti letterarie e testimonianze archeologiche attestano che i programmi teodoriciani di restauro urbano furono rivolti essenzialmente al ripristino delle strutture di pubblica utilità, a cominciare dalle mura, dagli acquedotti, dalle terme, dagli edifici per spettacoli, oltre naturalmente alla ristrutturazione o costruzione ex novo delle sue sedi di rappresentanza.Sul piano più specificamente urbanistico è naturalmente a Ravenna che si colgono le maggiori trasformazioni: la creazione della civitas barbarica e del quartiere Gothorum, incentrato sul palatium e sul complesso episcopale ariano e sviluppatosi lungo la platea maior, resta il primo esempio in Italia di un nuovo impianto urbano a opera delle etnie germaniche regnanti. Restauri all'acquedotto da tempo in rovina, costruzione delle terme e di un palazzo in comunicazione con le mura per mezzo di un portico (Anonimo Valesiano, 71) e forse ampliamenti della cinta urbica sono testimoniati a Verona (Lusuardi Siena, 1984), come pure terme, anfiteatro e palazzo sono restaurati o forse in parte edificati ex novo a Pavia (Anonimo Valesiano, 71); a Parma sembrerebbero testimoniati restauri alle mura e ripristino del sistema di approvvigionamento idrico e a Milano - dove, come pure altrove, le manifestazioni pubbliche sopravvivevano e il circo, per es., era ancora in funzione (Cassiodoro, Variae, V, 25) - scavi archeologici recenti hanno testimoniato interventi di opere pubbliche con la costruzione di una strada nell'area della cattedrale di S. Tecla (Andrews, Perring, 1982). A Roma, infine, gli interventi relativi alle mura, agli acquedotti, alla Curia, agli edifici del Palatino, che Teodorico volle patrocinare, vengono a inserirsi in una realtà urbanistica che alla fine del sec. 5° registra notevoli variazioni sia nella destinazione d'uso degli edifici sia nella compagine stessa dell'abitato. Il fenomeno dell'inserimento dei complessi cultuali cristiani nel tessuto urbano conta all'epoca più di trenta unità e a queste viene a unirsi l'inizio dell'uso di seppellire entro le mura, in un mutato rapporto fra c. dei vivi e spazio destinato ai morti (Pani Ermini, 1992a).Si è soliti riconoscere nei decenni delle guerre greco-gotiche e negli anni immediatamente successivi a esse il periodo di maggiore crisi delle c.: ciò è vero sul piano della manutenzione delle opere pubbliche e su quello dell'edilizia in genere, con un'attenzione concentrata in molti casi unicamente sulle strutture di carattere militare. Sicché la c. nel sec. 6° è normalmente murata e le c. senza mura sono una rara eccezione (Ravegnani, 1983).Accanto al ripristino delle antiche cinte murarie si assiste in talune c. ad allestimenti di fortificazioni che interessano una ristretta parte dello spazio urbano, secondo scelte topografiche dettate dalle singole diverse situazioni urbanistiche: tra i casi individuati, per es., l'antica acropoli per Cuma e Ancona, la collina di San Pietro a Verona, l'area centrale per Firenze, le zone periferiche per alcuni centri della Sardegna. Il periodo iniziale di tale fenomeno va ascritto all'età gota e alcune di dette fortificazioni dovettero mantenere la loro efficienza sotto i Longobardi. Un certo numero di tali castra vanno intesi con carattere strettamente militare, con possibile funzione a volte di rifugio della popolazione nel momento del pericolo bellico, dettati da ragioni di economia e da necessità di rapido apprestamento, secondo quanto esplicitato nella legislazione giustinianea e ampiamente documentato nel programma di difesa applicato nell'Africa del periodo bizantino.Si è soliti considerare il periodo dalla metà del sec. 6° almeno sino a tutto il successivo come caratterizzato da una grave depressione economica che in sostanza sembra protrarsi sino all'arrivo dei Carolingi. I documenti del Codex traditionum Ecclesiae Ravennatis, a partire dagli ultimi decenni del sec. 7° e interessanti non solo Ravenna bensì anche Rimini, Senigallia, Osimo e Perugia (Cagiano de Azevedo, 1972), quelli di Lucca, con le prime attestazioni al sec. 8° (Belli Barsali, 1973), quelli di Roma, in numero assai limitato per tale periodo rispetto all'estensione dello spazio urbano, e gli altri sporadici delle rimanenti c. italiane consentono di conoscere accanto alla sussistenza di alcuni grandi complessi di età romana e all'edilizia di carattere religioso (chiese con strutture annesse, monasteri), mantenuta dai secoli precedenti, rinnovata o costruita ex novo, una limitata attestazione di domus private con caratteristiche altomedievali. Il paesaggio urbano sul piano dell'edilizia privata sembra acquisire una certa omogeneità nella generale povertà degli impianti: domus pedeplanae o solaratae con pochi ambienti, spesso con orto, corte e pozzo, anche in comproprietà con le unità abitative limitrofe, sostituiscono, frazionandole, le antiche proprietà urbane, mutando la compattezza edilizia che aveva distinto l'urbanistica di età classica con un tessuto a maglie irregolari caratterizzato da frequenti spazi non edificati, comprendendo in questi ultimi anche quelli destinati a uso funerario. L'esistenza in ambito urbano di orti e terreni coltivabili, di corti che separano la struttura abitativa dalla strada, è stata vista come una delle cause che hanno facilitato l'opera di alterazione o di interruzione dei percorsi viari, determinando nuovi aspetti urbanistici (Cagiano de Azevedo, 1974a). Infine, alla povertà degli impianti sopra ricordata contribuì senza dubbio il condizionante scadimento delle tecniche edilizie, con largo uso di materiale di spoglio, il cui prelievo era stato ufficializzato dai provvedimenti teodoriciani, e l'impiego del legno in particolare come elemento portante dell'edilizia privata e in misura certo maggiore di quanto i documenti letterari e archeologici testimoniano, legno naturalmente presente maggiormente nelle c. dell'Italia settentrionale che in quelle delle regioni meridionali.È opinione convinta che unicamente con l'avvento del periodo carolingio si assista nelle c. italiane a opere di generale ripristino e all'attuazione di progetti urbanistici su larga scala. Esemplare in tal senso è il caso di Roma, ove, a cominciare dal pontificato di Adriano I (772-795), durante il quale il piano urbanistico di fatto si attuò come un grande cantiere di restauro, se si eccettuano i pochi interventi che incisero sul volto della c. e sulla sua organizzazione spaziale, si assistette a una sistematica ripresa dell'attività edilizia rivolta non solo ai complessi di carattere religioso, bensì anche al ripristino delle strutture pubbliche, comprese quelle difensive. Tale piano trova la sua maggiore attuazione nella costruzione della civitas Leoniana, iniziata dal pontefice Leone III (795-816) e di fatto eseguita più tardi da Leone IV (847-855). Il programma di committenza papale diretto a portare a compimento illam civitatem riguarda in effetti unicamente l'erezione delle mura per fortificare una realtà insediativa già esistente, ma si pone come fenomeno di notevole rilevanza nel processo di trasformazione dell'urbs classica e di passaggio all'assetto medievale (Pani Ermini, 1992a). Un fenomeno, quello della urbanizzazione dei borghi sorti ai limiti delle c. romane, in relazione nella maggioranza dei casi a santuari martiriali di larga frequentazione nei pellegrinaggi altomedievali, che risulta ancora non sufficientemente valutato sul piano urbanistico. I casi, per es., di Ostia con la costituzione della Gregoriopoli e di Lucca con il borgo di San Frediano si pongono come due diversi fenomeni nel processo di mutazione dell'impianto urbano: se nel primo caso è lecito pensare alla costituzione di una cittadella fortificata, ultima fase di vita della c. romana, nel secondo caso si assistette a un ampliamento dello spazio abitato, del tutto simile a quanto era avvenuto per Roma.In generale è possibile affermare che, a lato di una sufficiente conoscenza delle singole costruzioni o ristrutturazioni del periodo carolingio, mancano a tutt'oggi letture sistematiche delle eventuali mutazioni sul piano urbanistico.Circa il fenomeno dell'abbandono dei centri urbani in Italia tra i secc. 6° e 10°, sulla base del censimento di Schmiedt (1978) sembra possibile riconoscere che più di un terzo delle c. romane non sopravvisse alla crisi economica, agli attacchi militari, alle distruzioni operate da calamità naturali. La conseguenza in taluni casi fu la creazione di nuovi centri: esempio emblematico rimane la laguna veneta con la fondazione di Torcello, di Murano, di Rialto, di Iesolo, di Caorle, di Eraclea, di Malamocco, di Chioggia. Al 604 sembra potersi attribuire l'erezione del castrum Ferrariae, comunque noto dai documenti a partire dal sec. 7° e confermato da dati archeologici, con un ruolo di scalo fluviale in un punto di passaggio obbligato all'interno della pianura Padana (Uggeri Patitucci, 1974). In altri casi si assiste allo spostamento in luoghi più sicuri da fenomeni di inondazione e maggiormente difendibili sul piano militare, forse già a partire dal sec. 9°, se a tale epoca è possibile attribuire la fondazione della nuova Otricoli medievale sul colle prospiciente la pianura lungo il Tevere, ove sorgeva l'Ocriculum romana, la cui sopravvivenza è attestata almeno sino al 7°-8° secolo. Ragioni esclusivamente militari indussero nell'854 il pontefice Leone IV a fondare a solo la c. che avrebbe preso dal suo committente il nome di Leopoli, per assicurare un rifugio agli abitanti di Centumcellae sotto la minaccia saracena. La ricerca in corso potrà chiarirne tra l'altro il piano urbanistico. Nei medesimi anni, in particolare nell'856, venne fondata la nuova c. di Capua con un impianto di cui è stata riconosciuta l'originalità anche se furono condizionanti i resti della romana Casilinum. Il disegno urbano si impernia su un asse centrale rettilineo, la via maior o platea, sul quale si innestano 'a baionetta' le vie trasversali: tale innesto sfalsato, presente parzialmente anche sui due assi laterali, deve essere considerato il principale elemento innovativo (Guidoni, 1991). È stata inoltre proposta la presenza all'interno delle sue mura di almeno due aree racchiuse da un recinto difensivo: il castrum episcopi e il palatium (Guidoni, 1991). Complessi fortificati nell'ambito della c. sono documentati anche a Roma.Nel corso del medesimo secolo sono testimoniati ampliamenti negli insediamenti creatisi nei secoli precedenti: fra i molti, l'esempio di Venezia, con le nuove provvidenze difensive, la cinta murata verso E e lo sbarramento con una catena del Canal Grande all'altezza dell'accesso a Rialto - un medesimo accorgimento era stato operato a Roma sul Tevere dal pontefice Leone IV come difesa contro i saraceni -, con la trasformazione del castellum bizantino in palatium, con la costruzione delle chiese ducali di S. Marco e di S. Teodoro e forse con l'erezione della torre cittadina (Guidoni, 1991), costituisce senza dubbio un modello per individuare anche nelle altre c. possibili interventi di riassetto e consolidamento degli impianti urbani.Nelle c. italiane, al termine del periodo esaminato, è infine da valutare, segnatamente per i centri meridionali della penisola, l'apporto che sul piano urbanistico dovette recare la presenza araba, in modo particolare nella nuova concezione non solo delle strutture portanti della c. (mura, porte, strada principale, mercato, edifici pubblici, ecc.) bensì soprattutto della distribuzione della rete stradale ad andamento radiale e secondo i tre modelli principali della sharī'a, la grande via urbana, del darb, la via secondaria, e dello zuqāq, il vicolo cieco (Guidoni, 1991).
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Nei territori soggetti ai Longobardi si assistette, tra i secc. 4° e 7° - quando, nell'Oriente bizantino come nell'Occidente barbarico, si verificò una crisi dell'urbanesimo classico, fenomeno di lunga durata che si manifestò con tempi e intensità differenti nelle varie regioni dell'impero e che in Italia toccò il fondo tra la guerra greco-gotica (535-553) e la metà del secolo successivo -, anche al superamento, nella distribuzione delle sedi del potere civile, dell'organizzazione municipale romana, con due scelte apparentemente contraddittorie: il raggruppamento di più municipi nello stesso ducato (per es. Friuli, Tuscia, Spoleto e Benevento) e la spartizione degli antichi territori municipali a favore di alcuni centri minori, quei castra ereditati dal periodo precedente, assurti al rango di civitates. L'estensione dell'appellativo di civitas potrebbe indicare che la c. era allora sentita soprattutto come centro di potere e di difesa, indipendentemente dalla sua dimensione e dal numero degli abitanti, e riflettere l'adeguamento verso il basso, per dimensioni e aspetto materiale, della maggior parte delle c. antiche.Accanto al potere civile e militare nelle c. si mantenne, con poche eccezioni, quello dei vescovi: in molti casi la persistenza come istituzione della civitas, in centri privi di altre autorità civili, sembrò derivare proprio dalla presenza dei vescovi (Castagnetti, 1989, p. 7), la cui giurisdizione si era consolidata tra i secc. 4° e 5° (Picard, 1988).La funzione militare nei secc. 6°-7° appariva comunque prioritaria e le mura furono l'elemento essenziale che distingueva le c. dall'insediamento circostante. La maggior parte delle cinte difensive, che risalivano all'epoca romana, rimase in uso per tutto l'Alto Medioevo: si deve perciò ammetterne una costante manutenzione. In età gota per i restauri delle mura aureliane a Roma (507-511) fu necessario ripristinare il portus Licinii, presso il quale fu smistata una fornitura di venticinquemila laterizi (Cassiodoro, Variae, I, 25); quelle di Verona furono rinnovate probabilmente per comprendere il nuovo palazzo eretto sulla collina periferica di San Pietro, e anche a Pavia si provvide a restauri o ad ampliamenti (Anonimo Valesiano, 71). Al sec. 6° sono datate, per tecnica costruttiva ed evidenza archeologica, le torri di rinforzo della cinta di Como (Lusuardi Siena, 1984, p. 514) e le mura a salienti triangolari di Aquileia (Buora, 1988, pp. 343-348).Per l'età longobarda sono rammentate solo la costruzione, per iniziativa del re Pertarito (671-688), di una porta nelle mura di Pavia (Paolo Diacono, Hist. Lang., V, 36) e, un secolo più tardi, le fortificazioni di Benevento e Salerno a opera del duca Arechi II (758-787; Erchemperto, Hist. Lang., 25; Schmiedt, 1968, pp. 879-885). Per Verona si ha infine una notizia, peraltro tarda, di manutenzioni da parte dell'autorità ducale (Codice diplomatico veronese, nr. 147).L'importanza delle difese cittadine tuttavia fu sottolineata dal fatto che su di esse era basata, almeno nel primo periodo di dominazione, la strategia difensiva dei Longobardi (Settia, 1989): incapaci di controllare l'intero territorio e di bloccare le incursioni nemiche sulle linee di confine, si rinchiudevano nelle c., opponendo una difesa passiva alle incursioni di Bizantini, Franchi e Avari. Anche più tardi, quando si sarebbe tornati a proporre una difesa attiva alle chiuse alpine, le mura continuarono a essere lo strumento fondamentale di difesa; Carlo Magno conquistò Pavia (773-774) solo dopo dieci mesi di assedio (Lib. Pont., I, pp. 495-496).Quale fosse l'aspetto della c. all'interno delle mura è argomento di discussione per l'inadeguatezza delle fonti scritte, mentre quelle archeologiche, utilizzate in tutta la loro potenzialità soltanto nell'ultimo decennio, forniscono per ora modelli parziali.Il Medioevo ereditò una c. già in crisi: provò il sacco e le distruzioni delle scorrerie dei barbari (per es. Roma nel 410 per mano dei Visigoti e Aquileia nel 450 a opera degli Unni di Attila); subì le conseguenze di crisi economiche a scala regionale; vide la demolizione di molti edifici pubblici (templi, luoghi di spettacolo, terme) che segnavano il paesaggio urbano, ma che erano divenuti ormai desueti per il radicale cambiamento di credo religioso, mentalità e costumi.Tuttavia fino alla metà del sec. 6° le c., almeno nell'Italia annonaria (Ruggini, 1961), erano ancora un centro di economia di mercato; alcune si trovavano in condizioni peggiori rispetto al periodo precedente, ma altre, come Milano, Roma, Ravenna e Verona, erano ancora popolose e fiorenti: a esse l'amministrazione gota dedicò una cura assidua, sviluppando nel solco della tradizione antica una politica urbanistica, giustamente celebrata dalle fonti contemporanee (Cassiodoro, Variae, I, 6; Chronica, 1339; Anonimo Valesiano, 59, 71, 73). Ravenna si arricchì di splendidi edifici di culto (Deichmann, 1969-1976): venne ristrutturato il palatium (Anonimo Valesiano, 71), nel 502-503 si riparò l'acquedotto, guasto almeno da trentacinque anni (Cassiodoro, Chronica, 1342; Anonimo Valesiano, 71) - la notizia è confermata dai bolli: D(OMINVS) N(OSTER) REX THEODERICVS CIVITATI REDDIDIT (Maioli, 1988) -, presso il porto di Classe venne costruito un nuovo quartiere commerciale, con magazzini che si affacciavano da un lato sul porto canale, dall'altro su una strada lastricata (Maioli, 1983). Nei sobborghi, in Insula (S. Maria di Palazzolo), nel 493, venne eretto un palazzo fortificato a pianta quadrangolare con ambienti distribuiti attorno a un cortile centrale che rimase in uso fino al sec. 9° (Bermond Montanari, 1972).A Verona Teodorico restaurò l'acquedotto da molto tempo rovinato, fece inoltre costruire le terme e il palazzo, collegato alla porta della c. da un portico (Anonimo Valesiano, 71); per questi lavori vennero recuperati materiali dalla demolizione di edifici pubblici, per es. il tempio che chiudeva a N la piazza del foro (Cavalieri Manasse, Thompson, 1987). Anche a Pavia, c. di ridotte dimensioni, ma saldamente fortificata (Procopio di Cesarea, De bello Gothico, II, 12) e per tal motivo destinata a divenire un centro di primaria importanza, vennero costruiti (o forse soltanto rinnovati) le terme, l'anfiteatro e il palazzo (Anonimo Valesiano, 71); l'anfiteatro venne poi nuovamente restaurato da Atalarico (526-534; Panazza, 1953, n. 10). Milano prima dell'eccidio del 539, che secondo Procopio (De bello Gothico, II, 21) avrebbe causato la morte di trecentomila cittadini maschi, era dopo Roma la c. più importante dell'Occidente per dimensioni, abitanti e prosperità (De bello Gothico, II, 6); per la posizione costituiva un avamposto contro i Germani e gli altri barbari. Vi si organizzavano ancora giochi nel circo, cui provvedeva un tribunus voluptatum nominato dall'amministrazione gota (Cassiodoro, Variae, V, 25). Non mancavano le opere pubbliche, come la costruzione di una strada lastricata, nelle vicinanze della basilica di S. Tecla, documentata da recenti scavi in piazza Duomo (Andrews, Perring, 1982).Le altre c. compaiono più raramente nelle fonti scritte. È noto per es. che a Parma nel 527 si restaurò l'acquedotto e vennero riattivate le fogne (Cassiodoro, Variae, VIII, 29-30).Ancora meno si sa delle condizioni delle c. tra la metà del sec. 6° e gran parte del successivo. Nell'editto di Rotari (643), riservato alla popolazione longobarda ma certamente riflesso di condizioni economiche più generali, vi è cenno ai magistri commacini (Edictus Rothari, 144-145), maestranze edili specializzate, ma non vi compaiono né artigiani né commercianti. Vi si trova invece una puntuale regolamentazione delle attività legate all'agricoltura, all'allevamento e alla caccia. L'immagine è quella di una società ruralizzata. Non sorprende perciò che le sole costruzioni di quel periodo, note dalle fonti, siano la basilica di S. Giovanni e il palazzo, fatti erigere da Teodolinda nella sua residenza estiva di Monza (Paolo Diacono, Hist. Lang., IV, 21-22).L'organizzazione urbanistica e i tipi edilizi possono essere delineati, per ora in modo assai parziale e limitatamente a singoli quartieri di alcune c., ricomponendo le testimonianze anzitutto attorno al problema della sopravvivenza delle infrastrutture urbane e degli edifici antichi.Strade pavimentate in pietra sono ricordate nelle descrizioni poetiche di Milano (739 ca.) e di Verona (800 ca.; Versus de Verona, 1960); gli scavi urbani hanno peraltro restituito, a Bologna come a Brescia, a Milano come a Roma, solo livelli stradali sterrati, indizio che i selciati, se ancora esistevano, erano un fatto eccezionale, degno di essere ricordato in un panegirico. La continuità del reticolato stradale romano (Lucca, Pavia, Piacenza e in gran parte Verona; Ward-Perkins, 1988, fig. 6) è generalmente ritenuta un sintomo di continuità di vita urbana. In linea generale essa indica il mantenimento della proprietà pubblica sulle strade, ma non prova la persistenza del tessuto edilizio urbano, come hanno dimostrato alcuni scavi a Brescia (Brogiolo, 1989) e a Bologna in piazza Maggiore. Una indubbia continuità delle infrastrutture è invece testimoniata per Pavia, dove la rete fognaria romana è rimasta in gran parte in uso fino a oggi (Tomaselli, 1978).Per gli acquedotti non si hanno prove di una generalizzata persistenza. A Brescia nel sec. 8° era ancora in uso il condotto esterno alla c. che portava acqua a dei molini; il fatto che ne venne concesso l'uso alle monache del monastero urbano di S. Salvatore (Codice diplomatico longobardo, nr. 39) suggerisce tuttavia che non lo si considerava più di pubblica necessità.Alcuni palazzi regi sopravvissero alla crisi della c. (Brühl, 1974). In quello di Pavia il cronista Agnello (Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, 94) poteva ancora ammirare nell'838 il mosaico con l'immagine del re Teodorico sedentem super equum. Un mosaico simile era conservato, fino alla fine del sec. 8°, nel palazzo di Ravenna. Il palazzo di Verona è raffigurato in una rappresentazione della c., variamente datata tra i secc. 8° e 10° (Verona, Bibl. Capitolare, CXIV, cc. 187v-188r, copia del sec. 18°). Il palazzo palatino a Roma venne mantenuto in efficienza dall'amministrazione bizantina almeno per tutto il sec. 7° (Ward-Perkins, 1984, p. 167).Anche un certo numero di edifici di culto paleocristiani si è conservato sino a oggi, sia nelle c. bizantine (in particolare a Roma e Ravenna) sia in quelle longobarde (a Milano soprattutto); molti altri furono riedificati solo a partire dal Tardo Medioevo. In generale tuttavia la conservazione dell'edilizia religiosa, favorita dalla persistenza delle istituzioni ecclesiastiche e da motivi devozionali, è l'aspetto più diffuso della continuità architettonica del mondo antico.La manutenzione degli edifici e la costruzione di altri, che ne imitavano la qualità architettonica, richiedevano (ed è questo il secondo parametro attorno al quale organizzare le informazioni) una sopravvivenza delle tecnologie costruttive dell'età classica, testimoniata sia dalle fonti scritte sia dagli edifici altomedievali superstiti. I magistri commacini, di cui si è fatto cenno, costruivano sia in opera romanense, vale a dire di tradizione romana, in buona muratura con coperture in laterizi, sia in opera gallica, utilizzando materiali più precari, soprattutto il legno, con coperture straminee o in scandole (Memoratorium de mercedibus commacinorum, V; Monneret de Villard, 1920; Cagiano de Azevedo, 1974).In alcune c. altomedievali si conservarono dunque infrastrutture ed edifici di prestigio dell'età classica; accanto a essi se ne costruirono altri che ne imitavano il livello tecnologico, soprattutto dalla seconda metà del sec. 7°, quando artigiani e commercianti ricomparirono con più frequenza, sia nelle carte private sia nella legislazione longobarda.Le fonti del tardo sec. 7° per Lucca (la più ricca di documenti archivistici) e dell'età carolingia per Milano indicano che queste c. avevano almeno in parte una struttura urbana; tuttavia non è noto se per un'ininterrotta tradizione o per un recupero architettonico e urbanistico.Pochissimi sono infatti gli edifici di quel periodo conservati, quasi esclusivamente chiese di modeste dimensioni: in area longobarda S. Maria in Valle a Cividale e S. Salvatore a Brescia, che alcuni particolari architettonici fanno ritenere coevi (L'Orange, Torp, 1977-1979), S. Maria alle Cacce di Pavia, di cui si conserva solo qualche lacerto murario (Peroni, 1984), Santa Sofia di Benevento, a pianta centrale (Peroni, 1984). Nel monastero bresciano è fortunosamente sopravvissuta (Brogiolo, 1987) anche la facciata di un edificio del complesso monastico fondato da Desiderio (753), caratterizzata da un portico ad archi bardellonati e soprastanti trifore, incorniciati da lesene che contraffortano archi trasversali interni. Questi edifici vennero costruiti per una committenza di altissimo livello (ducale e regia) e possono essere considerati la massima espressione della tecnologia edilizia dell'età longobarda.Per definire compiutamente l'immagine della c. altomedievale italiana si deve prendere in considerazione anche un terzo parametro: la qualità dell'edilizia residenziale privata e la sua distribuzione nella c. in rapporto agli spazi inedificati. Anche per questo, in base alla natura delle fonti e alla qualità delle strutture, si può distinguere la prima fase della dominazione longobarda dal periodo successivo, con la speranza che il rapido accrescersi delle testimonianze archeologiche consenta presto un'articolazione ancora più puntuale.A Verona in via Dante esiste un esempio di continuità di abitazioni private. Gli edifici che occupavano in parte la carreggiata di una strada romana furono costruiti, probabilmente in età gota, con materiali di recupero legati con terra e pochissima malta; rimasero in uso fino al sec. 12°, pur con successive sopraelevazioni del pavimento e rifacimenti strutturali. All'interno dell'isolato, almeno fino al sec. 8°, l'area era invece stata abbandonata e ruderi di "muri romani sporgevano da cumuli di macerie coperte di vegetazione" (Hudson, 1989, p. 344).Edifici simili vennero edificati anche su parte del lastricato del foro, e ciò è un indizio che la proprietà pubblica non veniva rispettata. Il collasso dell'organizzazione urbana a Verona fu provocato da un grave incendio, probabilmente quello degli anni 585-587, ricordato da Paolo Diacono (Hist. Lang., III, 23), che distrusse almeno una parte della città. I crolli degli edifici lasciati in sito e la formazione di nuovi livelli d'uso su riporti causarono un "brusco e notevole rialzo dei livelli di occupazione" (Hudson, 1989, p. 339).Anche a Bergamo, nell'area a N della Bibl. Civ. A. Mai, è stata documentata la continuità funzionale dei perimetrali di un edificio romano, pur con livelli pavimentali in semplice battuto, posti a quote di poco superiori rispetto a quelli della domus (Poggiani Keller, 1990).A Brescia si conosce abbastanza dettagliatamente l'evoluzione insediativa nei quartieri orientali della città. In età gota, nel sito dell'od. via Alberto Mario, dopo una fase di degrado di una domus romana, lungo la strada venne costruito un grande edificio con l'impiego, come a Verona, di materiale di recupero (Brogiolo, 1988). Dopo la distruzione per incendio, continuò a essere utilizzato un ambiente per tutto il sec. 6°; quindi l'intera zona venne ridotta a coltura e in tale condizione rimase fino al 12° secolo. Nell'area del monastero di S. Salvatore, che occupava un'intera insula romana, prima della costruzione degli edifici monastici vi fu un uso degradato di alcuni ambienti di una grande domus. Seguì una fase (fine sec. 6°-prima metà 7°) caratterizzata da edifici lignei, di cui finora ne sono stati scavati una decina: due capanne - con struttura portante costituita da pali agli angoli e pareti in frasche rivestite d'argilla - sono simili a quelle scavate in Transilvania (Bóna, 1976, p. 30), una terza aveva muretti a secco con pali portanti distribuiti lungo le pareti; una palizzata in legno, posta sulla strada, chiudeva un cortile, nel quale sono state trovate tracce di attività fusoria. Gli altri edifici all'interno dell'insula avevano struttura più complessa: alcuni perimetrali lignei si impostavano sui muri della domus ancora conservati in alzato per m. 1 ca.; altri erano costruiti ex novo con materiale di recupero legato con argilla; altri ancora erano di ramaglia rivestita di argilla; la struttura portante di questi edifici era costituita da pali lignei, inseriti nelle murature e, negli edifici di maggiore ampiezza, disposti sull'asse a sostegno del colmo del tetto, che era in paglia. La diversità nella dimensione e nelle caratteristiche costruttive fa ipotizzare che fossero abitati da persone di differente ceto sociale, forse uomini liberi accanto a servi. Il tipo pannonico delle capanne più povere, le molte centinaia di frammenti di ceramica a stampiglia e a stralucido e il fatto che sorgevano su terreno fiscale dipendente dalla corte regia suggeriscono infine che si trattava di un insediamento longobardo.Strutture edilizie lignee, ampi spazi urbani destinati all'agricoltura, crescita disordinata e talora rapidissima dei livelli d'uso sono le caratteristiche che accomunano molti siti urbani: a Milano come a Mantova, a Modena come a Concordia, a Ventimiglia come a Feltre. Le cause per questo fenomeno sono molteplici, tutte però congetturali: una grave crisi demografica, acuita dagli effetti della guerra greco-gotica e della conquista longobarda; l'eliminazione dei ceti più abbienti (Paolo Diacono, Hist. Lang., II, 31) che vivevano nelle grandi domus urbane; il mutamento di abitudini e di mentalità. Gli effetti furono rapidi: distruzioni provocate da eventi traumatici e da crolli per abbandono o mancata manutenzione lacerarono il tessuto urbano della c. tardoantica.
Bibl.:
Fonti. - Procopio di Cesarea, De bello Gothico, in id., Opera omnia, a cura di J. Haury (Bibliotheca scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana), II, Leipzig 1905; Codice diplomatico veronese dalla caduta dell'impero romano alla fine del periodo carolingio, a cura di V. Fainelli (R. Deputazione di storia patria per le Tre Venezie. Monumenti storici, n.s., 1), I, Venezia 1940; Codice diplomatico longobardo, a cura di C. Brühl (Fonti per la storia d'Italia, 64), III, 1, Roma 1973; Anonymi Valesiani pars posterior, a cura di T. Mommsen, in MGH. Auct. ant., IX, 1892, pp. 249-339: 259-262, 314-328; Cassiodoro, Chronica, ivi, XI, 1894, pp. 109-161; id., Variarum libri XII, a cura di A.J. Fridh, in Corpus Christianorum Lat., XCVI, 1973, pp. 1-499; Edictus Rothari, a cura di F. Bluhme, in MGH. LL, IV, 1868, pp. 1-90; Grimoaldi sive Liutprandi Memoratorium de mercedibus commacinorum, ivi, pp. 176-180; Paolo Diacono, Historia Langobardorum, a cura di L. Bethmann, G. Waitz, in MGH. SS rer. Lang., 1878, pp. 12-187; Erchemperto, Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, ivi, pp. 231-264; Agnello di Ravenna, Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder-Egger, ivi, pp. 265-391: 337; Versus de Verona, versus de Mediolano civitate, a cura di G.B. Pighi, Bologna 1960.
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La crescita demografica e urbanistica che accompagnò l'apogeo della civiltà medievale europea segnò profondamente i caratteri delle c., sia dei numerosi centri fondati ex novo (v. Bastide; Città nuove; Terrenuove fiorentine) sia dei centri esistenti, in parte di origine antica, interessati da fasi di espansione.La nuova forza di attrazione esercitata dalle c. sulle campagne fece sì che, soprattutto nelle regioni dove era più forte l'indipendenza politica, i centri urbani vivessero un lungo periodo di crescita, assorbendo l'immigrazione dei territori circostanti e dotandosi di nuove attrezzature difensive e di monumenti religiosi e civili (ulteriori cinte di mura, nuove cattedrali, piazze e palazzi pubblici). Una legislazione locale sempre più autonoma e dettagliata sostituì, a livello della singola unità urbana e dell'area di sua pertinenza, le leggi generali sopravvissute dall'età antica e le norme puramente indicative emanate nell'Alto Medioevo dalle autorità statali: emersero regole sempre più precise ed efficaci per la manutenzione e la pulizia degli spazi pubblici, per la lotta contro gli abusi e le attività inquinanti, per la dotazione di servizi e per l'attività urbanistica vera e propria.La vastità dei fenomeni di nuova urbanizzazione non consente di trattare con esauriente attenzione l'urbanistica in ogni suo aspetto. Limitandosi qui a quelle tematiche che più agevolmente possono raggrupparsi intorno al concetto di progettazione, decoro, estetica urbana - sintetizzabile in qualche modo nel concetto di arte di progettare la c. -, è utile una suddivisione del periodo in successione cronologica per meglio evidenziare gli sviluppi della tecnica e le prevalenze culturali di diverse c. e regioni nei differenti periodi. Un'esclusiva articolazione per temi, come quella che più comunemente viene seguita (per es. le mura, le piazze, i monumenti pubblici) rischierebbe infatti di appiattire tendenze e innovazioni fortemente dinamiche di tre secoli di urbanizzazione.Il panorama urbano che i paesi europei offrivano all'inizio del secondo millennio era ancora fortemente caratterizzato dal prevalere delle potenze islamica e bizantina e, di riflesso, dal peso preponderante che le grandi c. portuali mediterranee avevano nei confronti dei centri più interni. Le metropoli del mondo occidentale erano ancora Costantinopoli e Córdova; da pochi decenni era stata fondata la c. del Cairo; ma a partire dal sec. 11°, sotto la spinta delle repubbliche marinare e della Reconquista spagnola, l'equilibrio si ruppe a favore delle c. e degli stati cristiani. I nuovi flussi commerciali stimolarono il consolidamento della rete di vie d'acqua e di terra e dalla lotta per il possesso dei luoghi più favorevoli al commercio e all'esazione dei pedaggi (porti, ponti, valichi) scaturirono nuovi equilibri.Se le c. erano ancora generalmente sotto la tutela politica dei vescovi, nei centri più attivi e popolati cominciarono a manifestarsi tentativi sempre più riusciti di autogoverno, sotto la veste consolare tendente allo sfruttamento diretto di ogni tipo di risorsa e alla liberazione da ogni vincolo economico e giuridico nei confronti sia dell'autorità ecclesiastica sia di quella civile. Erano all'avanguardia i comuni italiani, e tra questi Milano in particolar modo, e le c. delle Fiandre, che già alla fine del sec. 11° erano in gran parte governate dal c.d. patriziato che si alternava al potere consolare. La ribellione all'impero (distruzione dei palazzi imperiali per es. di Milano, Parma e Pavia) e la prima formazione di un contado, cioè di un territorio politicamente, giuridicamente ed economicamente dipendente dalla c., qualificavano i comuni dell'Italia settentrionale, dove si consolidò un tipo urbano caratterizzato dalle grandi opere religiose, cattedrali e chiese romaniche, e dal moltiplicarsi delle dimore signorili, le torri.L'intensa attività costruttiva nell'edilizia pubblica e privata si svolse dapprima all'interno delle strutture urbane altomedievali, generalmente compatte e anguste, adattissime alla difesa per i caratteri labirintici dell'impianto ma poco suscettibili di modifiche, se non mediante estese distruzioni; ancora nel sec. 11° costituivano valida difesa le cinte murarie di età romana, che solo in pochi grandi centri erano state oltrepassate da borghi esterni o già ampliate nel secolo precedente. Anche i pochi documenti scritti che si riferiscono alle c. hanno l'impronta tradizionale delle laudes altomedievali, in sintonia con un gusto estetico che privilegiava ancora la preziosità del materiale e del colore rispetto all'armonia e all'equilibrio dello spazio, la ricchezza alla razionalità.Fu tuttavia la grande rinascita dell'architettura religiosa europea, la fase del Romanico, a influenzare profondamente anche l'aspetto cittadino, soprattutto in quei centri - come le repubbliche marinare - nei quali la prosperità commerciale consentiva in questo periodo non più facilmente raggiunti livelli di investimento nella costruzione della propria immagine; è così che Pisa, Venezia, Amalfi e Genova vissero tra il sec. 11° e il 12° la fase decisiva anche dal punto di vista dell'assetto urbanistico, trasmesso alle epoche successive. Sono c. che si avvantaggiarono delle conquiste maturate nel sec. 11° ai danni di quelle islamiche, islamizzate o bizantine della penisola iberica e dell'Italia meridionale (conquistata dai Normanni), nelle quali da allora in poi si costituirono nuclei stabili di mercanti provenienti da settentrione e fu resa impossibile ogni autonomia comunale.Nelle c. tolte all'Islam la cattedrale venne a sostituire la moschea e ciò diede un ulteriore decisivo impulso a una localizzazione centralizzata del massimo edificio religioso nelle c. cristiane; d'altra parte la tolleranza religiosa ancora evidente fino a tutto il sec. 12° rese possibile a Palermo come a Córdova e a Toledo una sostanziale continuità materiale tra edifici sacri islamici e cristiani, oltre a un'evidente contaminazione nel campo dell'architettura e della decorazione.Più che a nuove tendenze urbanistiche il sec. 11° deve la sua decisiva rilevanza all'affiorare, in un mondo in espansione sempre più accelerata, delle tendenze già consolidate e applicate: dalla persistenza degli antichi tracciati romani agli schemi d'impianto cruciforme - di tradizione altomedievale occidentale - e a strade parallele - di tradizione bizantina e monastica -, agli impianti labirintici connotati da vicoli ciechi della civiltà islamica. Ma un nuovo modo di concepire la c., nel suo rapporto con l'ambiente e con la storia, stava già affermandosi e diffondendosi con forza nell'Europa continentale: la c. opera della comunità insediata, costruita a imitazione della natura, cioè tendenzialmente e volutamente esclusa dalla sfera dell'artificio che connota le creazioni umane. La formazione e il consolidamento delle strade ad andamento curvilineo interne all'abitato, quasi a imitazione delle ramificazioni di fiumi e canali, furono un fenomeno di amplissima diffusione che caratterizzò un'intera fase della civiltà urbana europea, quella che, corrispondente grosso modo al periodo romanico, coincise con il primo momento di forte espansione e di prima riformulazione delle regole della vita cittadina.Questa rete di vie mai rette e ad andamento costante, delimitate da pareti non parallele e tra loro raccordate da spazi concavi o convessi, si distingue dalle successive stratificazioni e dagli ampliamenti duecenteschi e trecenteschi e in alcune c., per es. a Palermo, può considerarsi come frutto del primo riassetto urbanistico dopo la riconquista della c. islamica.La rinascita dell'economia e della cultura europea che caratterizzò in Italia la prima età comunale si riflesse su gran parte delle c.; il nuovo slancio costruttivo, che si riassunse nell'edificazione delle grandi cattedrali romaniche e della prima età gotica, venne guidato ancora in gran parte dall'autorità vescovile e dagli antichi e nuovi ordini religiosi. L'amministrazione civile passò in molti casi dall'autorità imperiale ed ecclesiastica alle organizzazioni comunali, che gettarono le basi per un controllo sempre più effettivo e capillare dell'organismo urbano e del suo spazio territoriale. Il Comune consolare promosse i primi consistenti e programmati ampliamenti della cinta muraria (per es. Firenze, Bologna, Pisa, Genova), passo fondamentale per contrastare efficacemente i nemici esterni e affermare l'indipendenza dello Stato cittadino, e pose in atto ogni possibile strategia per estendere il controllo pubblico sulle aree urbane e sui terreni extraurbani necessari all'ulteriore estensione dell'abitato. Nel corso delle lotte contro Federico Barbarossa si definì la politica indipendentistica di decine di c. dell'Italia centrosettentrionale nelle quali, all'interno del tessuto edilizio estremamente compatto e dominato dalle torri delle principali famiglie del patriziato feudale, si faceva strada il sistema delle proprietà e degli spazi comunali.Allo scopo di incentivare l'estensione urbana, premessa indispensabile per ribaltare il rapporto demografico e urbanistico tra c. e campagna, i comuni favorirono l'immigrazione controllata, stabilendo con un sistema di patti e convenzioni con i principali esponenti della feudalità l'obbligo di risiedere nella c. e di costruirvi una casa; obbligo esteso anche, tra i secc. 12° e 13°, ai contadini abitanti del contado. Si crearono così le premesse per un forte incremento demografico e quindi per un'ulteriore spinta all'urbanizzazione che caratterizzò, in modo ormai ampiamente generalizzato, il Duecento. Anche sul piano legislativo già nel sec. 12° si stabilirono i principi statutari che regolavano la proprietà pubblica urbana e si promossero, come nel caso di Genova, operazioni di rilievo degli spazi esistenti destinati alle attività mercantili, mentre in altri casi vennero progettate nuove piazze di mercato (per es. a Brescia). L'estensione delle c. e la modernizzazione delle attrezzature commerciali comportarono la costruzione di nuovi ponti (per es. a Pisa), strade e porti.Se le estensioni urbane del sec. 12° erano ancora caratterizzate da modelli naturalistici e tendevano nella conformazione del tessuto viario a non differenziarsi rispetto alla c. antica, nella progettazione dei maggiori complessi religiosi cominciò a realizzarsi una nuova tendenza monumentale.La cattedrale, anche se quasi sempre si configurava come elemento singolo e dominante, riusciva a sintetizzare simbolicamente il significato architettonico e territoriale della c. nei confronti dell'ambiente circostante; il suo cantiere riassumeva e in molti casi monopolizzava ogni slancio costruttivo, costituendo a sua volta una sintesi concreta e visibile della qualità urbana e della qualità dei cittadini.In contrapposizione con questa tendenza, presente nelle c. dell'Europa continentale e dell'Italia padana, si fece strada una diversa concezione che puntava su una maggiore integrazione del monumento in complessi architettonici articolati e in grado di creare stabili rapporti spaziali. Nacquero così le connessioni spaziali tra la chiesa e il palazzo, come a Venezia, premessa indispensabile per la creazione di nuove piazze pubbliche, mentre si rinnovò con più meditati effetti monumentali il tradizionale accostamento assiale tra chiesa e battistero. L'isolamento degli edifici ecclesiastici in una assialità sacrale - isolamento materiale o concettuale rispetto al tessuto cittadino - trovò la sua massima realizzazione nel complesso del campo dei Miracoli di Pisa, il cui completamento duecentesco, ospedale e Camposanto, fa da cornice e da sfondo alla sistemazione precedente dei tre edifici del duomo, del battistero e del campanile. Questo complesso, di significato interamente religioso, a testimonianza di una prevalente potenza vescovile, si qualifica come uno dei massimi raggiungimenti di un'estetica urbana volta a celebrare il monumento architettonico nella sua purezza volumetrica e nella sua preziosità materiale. Se nella disposizione spaziale i tre edifici sono connessi reciprocamente solo sul piano dello schema simbolico-astrologico delle tre stelle della costellazione dell'Ariete (inizio dell'anno pisano), sul piano figurativo ciascuno di essi rinvia a un modello di c. celeste dove la materialità della costruzione viene nascosta e trasfigurata dal rivestimento marmoreo, distaccandosi nettamente nei confronti della c. terrena della residenza e della quotidianità.Allo stesso principio si ispirarono più semplicemente le superfici lapidee, scandite però secondo precisi moduli proporzionali, dell'architettura sacra fiorentina dei secc. 11°-12°: una riflessione esatta e densa di conseguenze sulla possibilità di definire astrattamente le qualità di uno spazio sottratto alla casualità e al disordine dell'ambiente urbano.Con il Duecento si fece sempre più decisa l'azione delle c., che sia pure in misura diversa riuscirono a raggiungere un massimo di autonomia rispetto ai poteri territoriali e a imporsi più o meno chiaramente sulle campagne. La situazione era molto diversificata, ma anche dove il vescovo e le principali famiglie feudali mantenevano gran parte delle loro prerogative la forte crescita economica, che vide in prima linea mercanti e artigiani, consentì agli organi cittadini un periodo di ampia autonomia. Nell'Italia comunale questa autonomia raggiunse livelli di completa indipendenza statutale, che nel campo urbanistico si realizzò in normative specifiche e in programmi sempre più efficaci relativi alle opere pubbliche, alle trasformazioni interne e agli ingrandimenti delle città. Già con il decreto edilizio di Vicenza (forse del 1208) si è di fronte a una minuziosa regolamentazione degli interventi necessari al miglioramento delle vie cittadine, allo scopo di favorire il transito dei carri. Ma nei decenni successivi ogni c. sviluppò, all'interno della propria legislazione, una serie di provvedimenti specifici sempre ispirati al controllo pubblico di strade e piazze e alla limitazione degli abusi privati; si cercò di impedire la costruzione di annessi alle case, aggettanti oltre la linea della facciata (per es. ballatoi, balconi), di far demolire le scale esterne, di evitare lo scarico delle acque direttamente sulla strada.La maggiore preoccupazione dei comuni sembrò quella di tenere le vie interne sgombre e percorribili, impedendo occupazioni abusive del suolo, strettoie, interruzioni e privatizzazioni dei percorsi principali e secondari. Quest'azione condusse gradualmente anche all'intervento di rettifica e di allargamento del filo stradale, di eliminazione di ogni possibile chiusura entro l'ambito urbano: una garanzia, questa, richiesta dalla politica comunale contro le tendenze isolazioniste degli antichi complessi nobiliari.Sul piano della progettazione urbanistica, il Comune si dedicò in modo prioritario all'edificazione della propria sede, in posizione il più possibile centrale, al suo diretto collegamento con le porte cittadine, all'estensione della c. e quindi alla costruzione di nuove mura. Tra i principali esempi della prima metà del Duecento si può citare la piazza Maggiore di Bologna, frutto di una sistematica operazione di esproprio e demolizione condotta nel centro della c.; vi prospetta il palazzo del Comune, a sua volta contiguo al palazzo del Podestà, straordinario edificio quadripartito sovrapposto a una croce di strade, su cui insiste la torre civica con la campana, sintesi architettonica dell'intero organismo urbano.Contemporaneamente il Comune bolognese progettò una nuova grande cinta urbana poligonale, sull'esempio di quella della vicina Reggio Emilia, che sarebbe stata completata solo nel secolo seguente.Tra le estensioni programmate possono essere citate quella di Massa Marittima, molto regolare ed esemplificata sulle c. nuove, quella di Gubbio, realizzata sulle aree già appartenenti al monastero benedettino di S. Pietro, e quella di Brescia, programmata nel 1237 nel pieno della contesa tra i comuni della seconda Lega Lombarda e Federico II. Quest'ultimo intervento, documentato nei minimi dettagli e caratterizzato da un'eccezionale maturità tecnica, si iscrive nell'ambito della cultura milanese, la più avanzata nella prima metà del Duecento in campo europeo. Nella metropoli lombarda venne costruito il complesso fortificato del Broletto Nuovo, collegato da grandi percorsi stradali alle sei porte principali.Una vera e propria svolta nella storia delle c. europee si verificò quando, a partire dalla prima metà del Duecento, cominciarono a inserirsi nel tessuto urbano i conventi dei nuovi Ordini mendicanti: dapprima Francescani e Domenicani, poi Agostiniani, Carmelitani, Serviti e altri ordini minori.Si tratta di un fenomeno che consolidò e incrementò il peso della c. rispetto alla campagna e che, per la sua capillare diffusione, si presenta come una caratteristica comune dell'urbanistica duecentesca e trecentesca, indipendentemente dalle variabili del potere politico-istituzionale. La c. europea del Tardo Medioevo dovette la propria immagine fortemente unitaria sia alla presenza centralizzante della cattedrale e della sede comunale sia alla definizione del recinto fortificato; ma la sua articolazione policentrica, la sua complessità urbanistica e il suo assetto monumentale furono fortemente condizionati dai complessi degli ordini, collocati solitamente in posizione periferica all'interno delle mura. L'ubicazione dei nuovi conventi era determinata ovunque da necessità oggettive, prima fra tutte la distribuzione tra le rispettive aree di raccolta delle elemosine. Questo fattore suggeriva il massimo reciproco distanziamento, regolato d'altra parte fin dai primi tempi da bolle pontificie, e favoriva in molti casi soluzioni spaziali estremamente controllate e funzionali anche ai rapporti con le istituzioni ecclesiastiche e civili. Un solo convento si sarebbe posizionato in luogo periferico rispetto all'antico nucleo ma presso la porta principale; due conventi si sarebbero disposti in aree diametralmente opposte; tre conventi avrebbero occupato i vertici di un triangolo avente per baricentro il centro cittadino; quattro conventi avrebbero riproposto l'antico schema della 'croce di chiese'; cinque o più conventi si sarebbero situati ai margini dell'abitato, regolarmente distanziati tra loro all'interno delle mura. Il numero dei conventi, come è stato dimostrato da Le Goff (1970), era proporzionale all'importanza economica e demografica di ciascuna c. e la politica di insediamento, pur nelle innumerevoli varianti ed eccezionalità locali, si presentava con una straordinaria unità, dovuta all'organizzazione internazionale degli ordini e alla reciproca complementarietà.Gli schemi di posizionamento, se in linea generale rispondevano a precise necessità funzionali e normative, assai spesso, e nelle situazioni culturalmente più avanzate, divenivano veri e propri schemi progettuali, misurati con precisione e realizzati tenendo conto delle specificità locali. Così nell'Italia comunale si sviluppò l'impianto triangolare che ha ai suoi vertici le chiese di Francescani, Domenicani e Agostiniani e nel baricentro il palazzo o la piazza del Comune, la loggia dei mercanti o la sede della più importante corporazione artigiana (per es. Firenze, Siena, Perugia, Cortona). In altri casi si trova in posizione centrale la cattedrale, segno di un determinante e persistente potere vescovile (per es. Teramo, Bologna, Colmar in Alsazia).In Toscana e in Umbria, dove la presenza mendicante fu più incisiva, i comuni contribuirono alle costruzioni conventuali con offerte annuali in denaro o in mattoni; si consolidò così un'alleanza tra comuni e ordini che qualche volta determinava contrasti con il sistema vescovile e parrocchiale e che comunque favoriva l'integrazione, evidente ovunque, tra gli ordini e le principali famiglie mercantili. Sul piano urbanistico sono ancora da ricordare le strade di collegamento tra i conventi e il centro cittadino e soprattutto le grandi piazze per la predicazione, di solito antistanti la facciata, destinate nel tempo a consolidarsi come centri periferici alternativi alla piazza pubblica centrale.In molte c. europee nel sec. 13° si consolidarono gli spazi pubblici destinati al commercio, alle adunanze politico-militari e alle manifestazioni religiose. Gli edifici a carattere prettamente commerciale - i loggiati coperti, i grandi complessi di botteghe delle corporazioni artigiane più ricche - si concentrarono in alcune aree dove la presenza mercantile era più forte e dove la 'piazza grande' si caratterizzava soprattutto per questa presenza (per es. Ypres in Belgio).Anche il palazzo comunale nasceva normalmente come sala coperta sovrapposta ai portici destinati a mercato o in stretta correlazione con i granai pubblici; ne scaturì una tipologia estremamente varia, dove risulta frequente la permeabilità degli spazi a terra e l'isolamento, al primo piano, dei saloni dei consigli e degli uffici e, ai piani superiori, delle abitazioni dei reggitori della città.La struttura tipica del broletto lombardo consiste in un semplice salone rettangolare sovrapposto a portici, che ha una faccia laterale sulla piazza pubblica e che, dal lato opposto, delimita il cortile interno. Nel caso di Padova il grande edificio comunale, costruito nella prima metà del sec. 13°, delimita e separa le due piazze parallele delle Erbe e della Frutta; il piano terreno, che funge anche da sottopasso, era occupato da botteghe.Questa distinzione tra la destinazione del piano terreno e quella del primo piano è tipica di gran parte delle c. medievali ed è anche propria delle abitazioni private. I frequenti sovrapassi (di quelli privati le norme statutarie regolano la minima altezza) rappresentavano nel caso dei palazzi pubblici dell'Italia centrale piuttosto la regola che l'eccezione: il palazzo comunale o addirittura il salone sovrapposto alla sede stradale avevano il significato di una presa di possesso della c., di un potere esercitato in una forma ostentata e spesso grandiosa per i suoi esiti monumentali (per es. palazzo pubblico di Fabriano), ma sempre anche funzionale al controllo militare dell'area centrale.Nella forma della piazza pubblica si cercava di dare il massimo risalto agli edifici più rappresentativi, sia isolandone il più possibile il perimetro sia favorendone la visione tridimensionale nelle vedute di spigolo; nell'arredo di questi spazi centrali si inserirono le prime fontane pubbliche (per es. Viterbo, Perugia, Siena), opere d'arte destinate a impreziosirne il significato collettivo e simbolico. Tuttavia solo più tardi, nel sec. 14°, il complesso piazza-palazzi pubblici fu concepito, anche per l'esigenza di un maggior controllo politico e militare sulla cittadinanza e sui suoi rappresentanti, come isolato dal contesto urbano. Così molte piazze vennero recintate e fortificate per difendere il potere assoluto e sempre più 'esterno' delle signorie da ogni possibile ribellione, come si verificò a Parma, a Vicenza e in molte altre c. dell'area comunale.In concomitanza con la forte espansione demografica che, in campo europeo, toccò il suo massimo tra i secc. 13° e 14°, molte c. costruirono una nuova e più ampia cinta difensiva e promossero, al suo interno, la sistemazione di nuove aree residenziali. Pur nell'estrema varietà delle situazioni, si osserva come i nuovi quartieri, ormai di impianto sempre più regolare e programmato, sorgessero di solito su terreni ceduti da enti ecclesiastici che, ancora più frequentemente, procedevano direttamente alla lottizzazione, conservando quindi la proprietà dei suoli o anche delle case. Si formarono così patrimoni immobiliari destinati a durare per secoli, che, mentre garantivano le rendite necessarie alle istituzioni ecclesiastiche cittadine, contribuirono alla conservazione della struttura urbana medievale fino all'età moderna.L'autorità comunale - con carattere di indipendenza politica o funzioni prevalentemente amministrative - controllava l'attività urbanistica e l'equilibrio complessivo della c., intervenendo sulla viabilità e sugli spazi pubblici ma anche sui caratteri dell'edilizia privata. Tra gli esempi che si possono citare è importante per dimensione quello di Parigi, dove la c. due-trecentesca si consolidò con una serie programmata di lottizzazioni, poi racchiuse nella grande cinta muraria di Filippo Augusto. Occorre invece riferirsi a Firenze per la qualità dell'intervento duecentesco e trecentesco progettato da Arnolfo di Cambio e riassumibile nell'ultima grandiosa cinta urbana iniziata nel 1284. La modernità dell'espansione fiorentina consisteva non tanto nell'efficace raccordo tra le parti nuove e la c. preesistente, quanto nell'adozione sistematica delle strade rettilinee, dei tridenti, degli isolati regolarmente suddivisi in lotti uniformi, nella connessione già prospettica tra gli spazi e i monumenti. In questo senso Firenze costituì, per ca. due secoli, un modello unico di riferimento valido per tutto l'Occidente: queste qualità tecniche innovative non si ritrovavano in altre c., dove comunque (per es. Assisi) l'espansione venne accuratamente programmata in termini funzionali complessivi.Caratteri diffusi erano, oltre all'estensione dell'area urbanizzata, l'allargamento e la rettificazione della viabilità interna principale, il collegamento tra i diversi poli monumentali, il forte rinnovamento edilizio a opera delle istituzioni pubbliche e dei privati. La ricchezza della c. europea degli ultimi secoli del Medioevo si evidenzia ancor più per la capacità di controllo reciproco tra le diverse componenti urbane, ciascuna tendente a imporsi sulla scena ma sempre sullo sfondo di un progetto complessivo coerente e condiviso da tutti.
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Nell'età di Giustiniano l'impero era ancora concepito come un vasto mosaico di città. Il Synékdemos, un manuale composto da Ierocle poco dopo il 500, ne enumera ben novecentotrentacinque, pur non comprendendo ancora quelle dell'Italia e dell'Africa, prossime alla riconquista. La maggior parte di questi centri urbani non era di origine bizantina; si trattava di c. di fondazione ellenistica, se non ancora più antica, che in genere avevano raggiunto la loro configurazione più ampia nel corso del periodo imperiale. Delle precedenti strutture esse conservavano di norma i connotati fondamentali, riconoscibili nel tracciato ortogonale delle strade, nelle mura, negli edifici di servizio e in quelli destinati agli spettacoli. L'unico elemento indiscutibilmente originale era rappresentato dalle fondazioni religiose che, nel corso dei secc. 4°-5°, si erano fatte spazio nelle maglie della c. antica, divenendo i poli maggiori della sua nuova topografia cristiana. Chiese grandi e piccole, complessi episcopali e monasteri vennero così a inserirsi dinamicamente nel tessuto preesistente, determinando non solo la creazione di nuovi nuclei monumentali, ma definendo spesso percorsi urbani alternativi a quelli ereditati dalla Tarda Antichità. Strettamente legate all'edilizia ecclesiastica sono anche la nascita e la diffusione di strutture caritative e assistenziali - ospedali, ricoveri per mendicanti (ptochotrophéia), case per anziani (gerokoméia), ostelli per pellegrini (xenodochéia) -, alla cui realizzazione contribuì largamente l'autorità vescovile, che andava gradualmente assumendo, accanto allo Stato, un ruolo di primo piano nella committenza delle opere pubbliche.In questo quadro, che resta largamente improntato a caratteri di continuità con l'urbanistica antica, il fenomeno forse più innovativo, che distingue le c. protobizantine dai coevi centri dell'Occidente, è quello dei monasteri intra muros: istituzioni religiose, ma anche vere e proprie strutture economiche destinate a influire in modo determinante sul nuovo volto dell'urbs christiana.
Le fonti scritte e la documentazione archeologica attestano con chiarezza che nel corso del sec. 6° la fitta rete delle c. antiche non solo continuava a essere abitata, ma era oggetto di costanti cure da parte dello Stato, che provvedeva sia a vigilare sulla manutenzione dell'esistente sia a finanziare i nuovi interventi architettonici. Il ruolo guida assunto in questo campo dall'autorità imperiale affondava le radici nella crisi delle istituzioni municipali, che, non disponendo più con la larghezza precedente di mezzi economici per le opere pubbliche, determinarono un vuoto di potere nella gestione della città. Il fenomeno emerge in negativo anche dalla legislazione giustinianea. Da un lato, infatti, le autorità locali vengono rimproverate per lo scarso riguardo posto alla conservazione del patrimonio edilizio (Claude, 1969, p. 150), dall'altro si ha cura di specificare quale sia il genere di costruzioni che è lecito realizzare con i fondi pubblici: segno esplicito di un controllo sempre più severo esercitato dallo Stato sulla gestione del denaro municipale (Spieser, 1989, p. 104). Non va dunque escluso che sia proprio una chiara presa di coscienza di questa nuova situazione di fatto a gettare le basi di quell'organica politica edilizia che - su ampia base territoriale - emerge dall'operato degli imperatori del sec. 6°, da Anastasio (491-518) a Giustiniano (527-565).Sul piano urbanistico l'impronta forse più significativa di questo programma è quella che resta nelle regioni del limes orientale (dall'Armenia al mar Rosso), dove i due sovrani avviarono e portarono energicamente avanti un progetto di ristrutturazione difensiva che aveva la sua spina dorsale non solo nelle fortificazioni, ma in una vera e propria catena di città.I primi interventi documentati, tra loro quasi contemporanei, furono condotti in Mesopotamia e riguardarono un grande centro tardoantico sul Tigri, Amida (od. Diyarbakır), e una c. di nuova fondazione, Dara, eretta come avamposto militare a pochi chilometri dal confine con l'impero persiano. Nel caso di Amida (v.), le mura, che avevano molto sofferto durante l'assedio di Kawādh del 502, furono sottoposte da Anastasio a un rifacimento totale nei settori nord e ovest. La c. tuttavia non subì alcuna riduzione e mantenne intatte le dimensioni della fine del sec. 4°, con il suo vasto abitato suddiviso in quadranti da una struttura viaria cardo-decumanica ancora parzialmente leggibile.Senz'altro più interessante dal punto di vista urbanistico è Dara, un sito che purtroppo non è stato mai sottoposto a una sistematica indagine archeologica, ma che conserva ancora senza alterazioni di rilievo la sua compagine originaria. Come attestano le cronache di Giosuè Stilita e Zaccaria di Mitilene, la c. sorse in tempi brevissimi, durante un periodo di tregua (504-506), con funzione strategica in contrapposizione alla testa di ponte persiana di Nisibis (de' Maffei, 1985). Oltre che sulle finalità dell'intervento, in questo caso le fonti forniscono dati importanti anche sulle operazioni che precedettero la fondazione: la scelta del sito, ricco d'acqua e protetto dai monti; gli accordi presi da Anastasio con il vescovo Tommaso; l'acquisto delle terre necessarie dalla diocesi che ne era proprietaria, quella di Amida. Più rilevante di ogni altra è però una notizia di Zaccaria, che riferisce dell'invio, da parte del sovrano, di un architetto che portò con sé uno skáriphos, con ogni probabilità una bozza del piano della c., elaborato a Costantinopoli sulla base delle informazioni raccolte. L'insediamento - per gran parte in rovina - si stendeva su tre piccole colline, attraversate dal fiume Cordes e chiuse da una cinta muraria con perimetro grosso modo ovoidale. L'altura a N culminava nella torre Erculea, una struttura d'avvistamento oggi completamente perduta, e non va dunque escluso che vi si trovasse una sorta di cittadella. La sede del potere religioso e amministrativo era invece concentrata sulla collina occidentale. Qui è ancora visibile - benché ridotto alle sole sottostrutture - un poderoso edificio quadrangolare identificabile con il palazzo del duca (demósion), provvisto di una grande sala ipogea e di un ambiente absidato al piano terreno. Esso era affiancato a N dalla grande chiesa, forse eseguita in età giustinianea, mentre a O si dilatava lo spazio aperto dell'agorá. Le strutture edilizie di questa zona discendevano ripide verso il Cordes, sulla cui sponda destra correva una monumentale via porticata: una tipologia stradale di tradizione classica che è ancora largamente attestata nelle c. bizantine del 6° secolo. Dara rappresenta un campione prezioso anche per quanto conserva delle strutture di servizio e dell'arredo urbano. Molto significativa è innanzitutto la sistemazione del corso del Cordes, che in c. era canalizzato mediante poderose banchine di pietra ed era scavalcato da due ponti, di cui uno ancora visibile. In secondo luogo vanno menzionate le cisterne, soprattutto quella monumentale eretta ai piedi della collina nord, suddivisa in dieci unità voltate. Dopo i restauri del tempo di Giustiniano, che provvidero al rialzo della cinta urbica (527-531), la c. venne dotata anche di sofisticati impianti idraulici destinati a regolare il flusso del Cordes e a sfruttarne le acque a fini difensivi. All'ingresso del fiume entro le mura, dinanzi alla porta fluviale nordest, ne rendono testimonianza i resti di una diga in forma di 'crescente lunare' (Procopio, De Aed., II, 3, 19), che aveva lo scopo di contrastare la violenza stagionale delle acque. Dove il Cordes fuoriesce dalla c., a S, nella zona più vulnerabile sul piano difensivo, si trova invece traccia di un ulteriore dispositivo di sbarramento che, in caso d'assedio, permetteva di contenere le acque dentro l'antemurale per poi deviarle in un condotto sotterraneo che ne sottraeva l'uso al nemico. Per la pianificazione di questi lavori - a quanto risulta - furono impegnati i due maggiori architetti della capitale, Antemio di Tralle (v.) e Isidoro da Mileto il Vecchio, che ebbero in Crise d'Alessandria l'esecutore materiale dei loro progetti (Furlan, 1984).Professionisti di prim'ordine sono documentati in prosieguo di tempo anche in un altro importante centro del limes, ricostruito ex novo al tempo di Giustiniano: Zenobia sull'Eufrate (od. Ḥalabiyya). I nomi, riportati da Procopio (De Aed., II, 8, 25), sono quelli di Isidoro da Mileto il Giovane e di Giovanni da Bisanzio, il primo dei quali diresse nel 550 i lavori delle mura di Chalcis. La c. di Zenobia, che insiste sul sito di un precedente insediamento palmireno, è il risultato di due campagne edilizie cronologicamente molto ravvicinate (de' Maffei, 1990), condotte rispettivamente tra il 531 e il 540 e tra il 540 e il 550, conclusesi con l'allargamento della cinta a S e l'inclusione della sommità del colle nel perimetro delle difese. L'impianto, di forma pressoché triangolare, sale ripido verso l'alto culminando in una fortezza più o meno rettangolare. Le due porte maggiori, collocate a N e a S, sono congiunte da un cardo che a metà del suo percorso, sotto un tetrapilo, incrocia un decumano. Questa seconda strada, porticata come la precedente, sale alla c. alta fiancheggiando l'agorá. Il tracciato viario, a quanto risulta dalla porzione scavata (Lauffray, 1983), doveva svilupparsi in modo piuttosto regolare, compatibilmente con l'andamento della cinta muraria e l'asperità del terreno. Nel quadrante nord-est, vicino al fiume, erano collocate le terme e la palestra, mentre attorno all'agorá, in posizione centrale e dominante, erano le due chiese. Poco si sa purtroppo delle abitazioni, mentre rimane, ed è ben conservato, un ultimo edificio inserito a cavallo delle mura, quasi in cima alla cinta nord: si tratta di un corpo parallelepipedo, in cui era posta la sede del pretorio, un monumento dagli spiccati caratteri 'funzionalisti' che si presta a simboleggiare in modo perfetto le prerogative eminentemente militari di Zenobia.Una c. di maggiore estensione era invece Resafa (od. Ruṣāfa), un centro carovaniero posto lungo la strata Diocletiana a km. 35 ca. a S dell'Eufrate, legato principalmente al culto di Sergio, santo eponimo della Siria. Come ha dimostrato Karnapp (1976), le sue mura furono realizzate, già negli anni 526-527, dalle medesime maestranze che risultano attive poco più tardi a Zenobia. Il circuito, ancora in gran parte esistente, è articolato secondo il triplice sistema di difesa di origine costantinopolitana che era stato già adottato al tempo di Anastasio nei maggiori insediamenti mesopotamici (Amida, Dara). Qui tuttavia esso viene applicato a una struttura urbana quadrangolare che si ispira alla tradizione dei castra romani. Prima dell'intervento giustinianeo Resafa era dotata di una modestissima fortificazione, forse in mattoni crudi (Ulbert, 1989), che proteggeva l'abitato sorto attorno al santuario di S. Sergio; ma non si sa quale forma e quali dimensioni essa avesse. La maggiore regolarità nella distribuzione degli edifici che si osserva nell'attuale zona est ha fatto pensare che questa parte della c. possa corrispondere all'ampliamento effettuato sotto Giustiniano (Ulbert, 1989). Tuttavia gli scarsissimi dati disponibili sul tracciato viario non sembrano permettere per ora deduzioni di sorta, fatta eccezione per il tratto di strada che si diparte obliquo dalla porta nord, che è probabilmente pregiustinianeo. Procopio (De Aed., II, 9, 3-8) riferisce che a Resafa dovevano esservi vie porticate (stoái), ma finora non ne sono riemerse tracce. La presenza di ampie aree aperte è invece attestata all'esterno della basilica della Santa Croce ed è forse ipotizzabile anche presso la struttura ad absidi contrapposte del settore nord-est, che potrebbe corrispondere all'ingresso di un'agorá simile a quella di Zenobia. Tra gli edifici di carattere profano, quelli meglio conservati sono senz'altro le grandi cisterne della zona sud-ovest, legate a un complesso sistema idrico che aveva il suo punto di partenza in una diga extra muros lunga m. 500. Questa era predisposta per raccogliere l'acqua delle piogge invernali che da qui veniva convogliata in un canale e - dopo un passaggio in bacini di decantazione - andava a riversarsi nelle cisterne (Ulbert, 1988). Un discorso a sé richiedono invece le porte principali della cinta, specialmente la porta nord, preceduta da una corte rettangolare chiusa e provvista di un triplice ingresso inquadrato da arcate e colonne. Essa costituisce un corpo autonomo, aggettante dalla linea delle mura, che per la sua monumentalità va considerato uno degli ultimi esempi dell'architettura trionfale tardoantica.Nel 526 e nel 528 due violentissimi terremoti colpirono le c. della Siria e danneggiarono in modo molto serio i due maggiori centri di origine ellenistica della regione: Antiochia e Apamea (od. Qal'at al-Muḍīq). In quest'ultima - secondo Malalas e Procopio - il sisma avrebbe mietuto un numero altissimo di vittime: dalle duecentocinquanta alle trecentomila (Balty, 1989). Ciò nonostante, gli abitanti reagirono con molta energia, tanto che la c. - a quanto risulta - non solo non subì alcun restringimento nella sua superficie, ma fu oggetto di intense campagne di ripristino e di ricostruzione che non riguardarono solo le chiese (c.d. chiesa ad atrio, tetraconco e annesso complesso episcopale), ma anche le restanti opere pubbliche. Ciò emerge con chiarezza soprattutto da quanto gli scavi hanno messo in luce lungo la via porticata, che in questo periodo continuò a essere l'asse fondamentale della struttura urbana. In corrispondenza della c.d. chiesa ad atrio e all'altezza dell'agorá essa fu sottoposta non solo a un'accurata anastilosi delle colonne, ma anche a una sistematica campagna di ripavimentazione del fondo stradale, che dovette interessare tutto il settore centrale del suo tracciato. Inoltre l'innesto delle strade trasversali sull'arteria principale fu modificato con l'aggiunta di gradini che forse comportarono lungo questo tratto la delimitazione di una sorta di zona pedonale. Non va dunque escluso che i segni di progressivo abbandono leggibili in questa fase nella vicina agorá siano da riconnettere con la nuova sistemazione della via, alla quale sarebbero passate le funzioni dell'antica piazza pubblica (Balty, 1989). Sempre nello stesso periodo, poco più a S dell'ingresso laterale dell'agorá, fu installato sulla strada colonnata anche un tetrapilo, di cui sono tornate in luce le basi. Si tratta di un tipo di monumento che - lo conferma anche il caso di Zenobia - è ancora ben attestato, come creazione ex novo, per tutta l'età giustinianea. Accanto a questi interventi di carattere pubblico occorre ricordare anche l'intensa attività edilizia nei quartieri d'abitazione, dove numerose residenze signorili con vasti ambienti di rappresentanza, sorte tra i secc. 2° e 3°, furono restaurate e continuarono a essere in uso nel corso del 6° secolo.Come ad Apamea, anche ad Antiochia, negli anni immediatamente successivi ai due terremoti, la struttura urbana dovette conservare intatte le sue originarie dimensioni. Di fatto, il vero e proprio tracollo si ebbe dodici anni più tardi (540) con la presa della c. da parte dei Persiani di Cosroe, che misero a ferro e a fuoco tutto l'abitato, fatta eccezione per la grande chiesa e il quartiere di Kerateion. È solo a partire da questa data che ragioni di sicurezza imposero un restringimento dell'impianto antico e la costruzione di nuove mura, lungo le quali si provvide a deviare parzialmente il corso dell'Oronte per farlo funzionare come fossato.Tra gli interventi giustinianei condotti su c. antiche merita un'attenzione particolare il caso di Palmira, che conferma ancora una volta la larghezza dei provvedimenti urbanistici adottati dal sovrano nella zona siro-mesopotamica. Fino a tempi recenti infatti si era pensato che i lavori si fossero limitati a un generico e sommario restauro dell'esistente, che avrebbe comportato un sostanziale restringimento della cinta muraria. In realtà si trattò di un ben più coerente e vasto programma di riqualificazione del sito, che determinò una riorganizzazione generale del tessuto urbano tardoantico (Zanini, in corso di stampa). Nel 527, al momento in cui l'operazione ebbe inizio, Palmira era priva delle sue mura, abbattute da Aureliano nel 273-274 e mai più ricostruite. L'unico nucleo fortificato era il c.d. campo di Diocleziano, della fine del sec. 3°, collocato in posizione elevata all'estremità orientale dell'abitato. Il ripristino delle difese coincise dunque con un rifacimento globale della cinta sul tracciato già esistente, che non comportò alcuna contrazione, ma semmai un allargamento della superficie complessiva dello spazio cittadino. Lo conferma quanto accadde al campo di Diocleziano, che venne privato del muro frontale nord-sud e fu organicamente integrato al nucleo urbano. Questa grande operazione edilizia, che conferiva a Palmira un respiro monumentale forse superiore alle sue esigenze, comportò naturalmente anche una serie di interventi all'interno della c., che vide decisamente potenziata la sua facies cristiana. Tra questi va ricordata in primo luogo l'erezione a fundamentis di due basiliche (de' Maffei, 1988, pp. 36-38). Esse sorsero entro il nuovo quartiere bizantino sviluppatosi nell'area nord-ovest, organizzato secondo una fitta e regolare maglia di strade ortogonali, la cui impostazione potrebbe anche risalire per intero al tempo di Giustiniano. Il campo di Diocleziano e i principia, che forse subirono un parziale restauro, divennero invece la residenza del dux, mentre la via colonnata mantenne intatto - come ad Apamea - il suo ruolo di spina dorsale della città.Rispetto a quanto accade nelle regioni poste lungo il limes orientale, la situazione dell'Africa si presenta indubbiamente molto diversa. Se la riorganizzazione giustinianea dei territori tolti ai Vandali nel 533-534 fu certamente condotta all'insegna di una restauratio della vita urbana, quelle che operativamente finirono per prevalere furono le esigenze di carattere difensivo. A eccezione di Cartagine e Caesarea (od. Cherchel), che conservarono le grandi dimensioni del loro impianto tardoantico, le altre quindici c. di cui sono note le cinte murarie ebbero a subire tutte un restringimento del perimetro originario (Duval, 1983). Gli esempi meglio documentati archeologicamente sono in Tripolitania, a Sabratha e a Leptis Magna. In quest'ultimo caso, in particolare, l'impianto urbano venne ridotto, in due successive fasi, a ha 44 e 28, rispetto ai 130 precedenti, concentrandosi nella zona più vicina al porto, anch'esso compreso entro le nuove mura giustinianee. A quanto attesta Procopio (De Aed., VI, 4, 1-12), non si dovette trattare tuttavia di un puro e semplice intervento di riduzione della c. severiana. Leptis Magna, a quel tempo per gran parte abbandonata e sommersa dalla sabbia, fu oggetto infatti di una vera e propria 'rifondazione', che comportò lavori di notevole impegno, tra cui anche l'erezione di cinque chiese (una nella grande basilica civile) e il restauro del foro, trasformato in munito bastione. Ingenti opere di riqualificazione monumentale furono condotte - stando sempre a Procopio - anche in altri grandi centri, tra cui va ricordata almeno Cartagine, dove, assieme al restauro delle mura, furono realizzati il monastero fortificato di Mandracium, due chiese e le terme teodoriane (De Aed., VI, 5, 8-11).Questi esempi non esauriscono tuttavia la fenomenologia urbana delle regioni africane, dove si conoscono strutture insediative molto diversificate. Piuttosto frequente per es. è la c. senza mura protetta da un castello. Gli antichi centri romani dove sorsero questi forti rimasero in gran parte esclusi dalle difese, ma, in caso di bisogno, le installazioni militari potevano essere aperte alla popolazione civile. Funzionavano in questo modo le fortezze di Madaura, Timgad e Ammaedara (od. Haïdra), tutte realizzate inglobando monumenti antichi, al cui interno era compresa anche una chiesa, secondo un modello ben noto negli impianti simili del limes danubiano e orientale. Un singolare caso di moltiplicazione di nuclei fortificati si riscontra invece a Sufetula in Numidia e, in modo ancor più vistoso, a Tolemaide in Cirenaica (od. Tulmeitha), dove, dopo l'abbandono delle mura ellenistiche nel sec. 5°, la difesa venne affidata a una serie di castelli disseminati nel tessuto urbano: ne sono stati messi in luce dieci, oltre a una chiesa, anch'essa fortificata (Kraeling, 1962). Le ampie cinte murarie, costose da restaurare e mantenere e poco difendibili a causa del calo demografico, cedettero dunque il posto a recinti di più modeste dimensioni che di norma comunque non esaurivano l'estensione della superficie abitata.Nei Balcani, dove la vita urbana era stata seriamente intaccata dalle invasioni degli Unni (441-447) e degli Ostrogoti (479), il sec. 6° segnò indubbiamente una fase di ripresa. Già l'imperatore Anastasio, fin dai primi anni del suo regno, aveva avviato un sistematico programma di consolidamento delle regioni nordoccidentali, che venne portato avanti da Giustiniano con una serie di interventi di restauro di cinte urbiche e di costruzione di castelli, fortezze e piazzeforti. Molte delle grandi c. dell'interno, come Singidunum (Belgrado), Naisso (od. Niš), Serdica (Sofia), che erano cadute sotto le incursioni del secolo precedente, furono oggetto di provvedimenti edilizi che puntarono soprattutto al rifacimento delle mura in rovina (De Aed., IV, 1, 31-32). Lungo il confine danubiano, invece, la definitiva stanzializzazione delle truppe si concretizzò in una linea di insediamenti che vengono descritti da Procopio come c. densamente abitate (De Aed., IV, 1, 2; 24-30): si tratta di una definizione che - tenendo conto dell'esiguità dei siti - lascia supporre l'esistenza di nuclei fortificati con ampi borghi extra moenia occupati dalla popolazione civile (Zanini, 1988).Nell'ambito dell'Illirico settentrionale è stata oggetto di indagini sistematiche non ancora concluse la capitale della regione, Iustiniana Prima (od. Caričin Grad), la c. nuova voluta dall'imperatore Giustiniano sul luogo del suo villaggio natale (Caričin Grad I, 1984; Caričin Grad II, 1990). Si tratta di una creazione artificiale ed effimera, la cui esistenza non superò la durata di un secolo: infatti l'avvio della costruzione si può porre verso il 530, l'abbandono - stando ai ritrovamenti monetali - all'inizio del sec. 7°, in coincidenza con le grandi distruzioni degli Avaroslavi (Bavant, 1984). All'atto della fondazione l'impianto urbano contava solo l'acropoli e la c. alta, il cui circuito poligonale irregolare si allungava a S con un'appendice a trapezio. La cittadella, circondata da proprie mura, con un'unica porta d'accesso, era suddivisa in due settori da una via diritta e porticata. A S si trovava il complesso episcopale, con la grande basilica, il battistero e il c.d. consignatorium, certamente legati alla sede del metropolita; a N si elevava invece una serie di corpi di fabbrica ancora discussi, in cui si è supposto di vedere - più che il palazzo episcopale - un edificio amministrativo connesso alla sede della prefettura (de' Maffei, 1988, p. 72). Secondo un piano altrettanto regolare era ripartita anche la c. alta, il cui settore orientale aveva il suo fulcro nel foro circolare, tagliato ortogonalmente da due vie porticate fiancheggiate da botteghe e abitazioni, l'una in asse con la porta est e con quella dell'acropoli, l'altra allineata con la porta sud. Il progetto della c., che, come quello di Dara, fu probabilmente messo a punto dagli architetti imperiali, contiene un esplicito riferimento alla capitale nell'adozione della piazza rotonda ispirata al foro di Costantino. Solo in un secondo momento, forse a partire dal 540-550 ca., fu realizzata l'addizione della c. bassa, che si estende entro un'area trapezoidale allungata all'esterno del muro sud. Stando alle esplorazioni archeologiche finora compiute, anche qui doveva esistere una serie di assi viari che si incrociavano ortogonalmente. Sono stati messi in luce un tratto della via porticata nord-sud, su cui si affacciano la chiesa doppia e la basilica a transetto, e la breve strada che conduce alla porta est. Considerate le dimensioni ridotte della superficie murata e visto l'alto numero di chiese, edifici monumentali e spazi pubblici in genere, si è portati a credere che i veri e propri quartieri di abitazione si trovassero fuori della cinta, soprattutto nella piana a meridione, dove l'analisi della resistività del terreno ha rivelato l'esistenza di costruzioni leggere e di due grandi edifici presso l'acquedotto (Bavant, 1984, p. 284).I brevi tempi di realizzazione e la sostanziale unitarietà del suo progetto, concepito ancora nei termini propri all'urbanistica classica, fanno indubbiamente di Iustiniana Prima un caso del tutto particolare, la cui lettura si può rivelare interessante per mettere in luce, in prospettiva più ampia, caratteri distintivi e intenzioni rappresentative della pólis giustinianea. Non può sfuggire che qui - in misura forse maggiore che negli altri esempi coevi di nuova fondazione (Dara, Zenobia, Resafa) - risulta ormai perfettamente compiuto il processo di cristianizzazione della c. avviatosi nei secc. 5°-6°: le chiese, otto in tutto, non sono infatti solo le costruzioni pubbliche più numerose e monumentali del sito, ma la più grande di esse, la basilica episcopale, domina simbolicamente dall'acropoli l'intero impianto urbano. Gli unici edifici profani presenti sono le due terme, mentre mancano del tutto i luoghi di divertimento e spettacolo, canonici nella c. antica (l'ippodromo, il teatro o lo stadio), ormai condannati dalla corrente morale cristiana.
Il destino delle c. bizantine nei secoli dell'Alto Medioevo è stato studiato con particolare attenzione per ciò che riguarda l'Asia Minore occidentale (Foss, 1977b). Sebbene i dati archeologici restino nella maggioranza dei casi discontinui, la loro lettura comparata ha permesso comunque di formulare alcune indicazioni di carattere generale. Il panorama che se ne ricava sembra decisamente contraddire la vecchia tesi storiografica (Ostrogorsky, 1959; Vryonis, 1971) di una vitalità e continuità della vita urbana nei territori bizantini, inducendo a leggere con maggiore prudenza le informazioni fornite dalle fonti. Alcune indagini specifiche condotte su singoli siti hanno infatti chiarito che i documenti scritti disponibili per questo periodo - siano essi cronache o iscrizioni - sono in realtà largamente insufficienti. Il caso di Sardi in Lidia (Foss, 1976) dimostra molto bene l'assoluta necessità di una verifica incrociata dei dati storici e di quelli forniti dall'analisi archeologica: gli scavi hanno infatti rivelato i segni di una violenta distruzione subìta dall'abitato durante l'invasione persiana del 616, evento che è invece totalmente taciuto dagli storici del tempo. Altrettanto labile è il carattere probatorio che si può attribuire a documenti quali le liste episcopali, che pure sono state considerate, sempre per l'Asia Minore dei secc. 7°-9°, una base per sostenere la tesi di un'ininterrotta continuità di vita negli antichi centri urbani (Ostrogorsky, 1959). In realtà il numero pressoché invariato di sedi che esse tramandano può essere interpretato come una semplice attestazione di persistenza del titolo di pólis (come sede episcopale e di giurisdizione ecclesiastica), del tutto indipendente dalle condizioni materiali, dalle dimensioni e dalle caratteristiche effettive del sito. Sebbene sia stato oggetto di valutazioni controverse (Každan, 1954; Ostrogorsky, 1959), uno dei fattori più importanti per misurare il sensibile declino delle c. bizantine è senza dubbio il quadro quantitativo fornito dai ritrovamenti numismatici. Nei siti che sono stati scavati più sistematicamente (Atene, Corinto, Sardi), i due secoli che vanno dal regno di Costantino IV a quello di Michele III (668-867) registrano infatti, in modo omogeneo, una decisa flessione nella circolazione delle piccole monete bronzee impiegate per le transazioni quotidiane, confermando il graduale abbandono dell'economia di mercato.Questo fenomeno involutivo fu certamente incentivato, in area anatolica, dalle invasioni dei Persiani, giunti nel 615 quasi a minacciare la stessa Costantinopoli (Foss, 1975). Tuttavia - come è stato osservato (Mango, 1980) - occorre anche valutare una serie di fattori interni che, già a partire dalla metà del sec. 6°, ne crearono in certo senso i presupposti: soprattutto le grandi epidemie, i cataclismi naturali e le carestie che, succedendosi a intervalli ravvicinati, determinarono un drastico crollo del livello demografico nei territori imperiali.La parabola discendente che contraddistingue la vita urbana nell'Asia Minore occidentale si legge piuttosto bene nelle vicende di alcuni grandi centri di origine ellenistica. Uno dei casi più interessanti è senz'altro Efeso, la c. portuale sul mare Egeo dove Giustiniano aveva lasciato, con il santuario di S. Giovanni, un macroscopico segno del mecenatismo imperiale. Come hanno dimostrato con chiarezza gli scavi, al principio del sec. 7° la c. subì un drastico ridimensionamento che comportò l'abbandono di interi quartieri di epoca tardoantica. Fu questa per es. la sorte degli edifici dell'agorá superiore e dei lussuosi appartamenti che si snodavano lungo l'émbolos, ancora in uso sul finire del 6° secolo. La contrazione dell'area abitata, imposta dalle sopraggiunte esigenze di sicurezza, è attestata dalle nuove mura di cinta ascrivibili ai secc. 7°-8°, il cui circuito inizia e finisce sul porto includendo una superficie di appena m. 1000800. Ciò non bastò tuttavia ad assicurare il mantenimento degli edifici intra muros: le terme del porto caddero infatti in rovina e furono occupate da un fitto tessuto di modestissime abitazioni, che si estesero anche al di sopra dell'Arkadiané, la magnifica via marmorea della fine del sec. 4° che tagliava il centro della c. tardoantica. Alcune case andarono a insediarsi anche all'interno del teatro, mentre nel palazzo più a N fu ricavata una cisterna: una necessità primaria da quando l'acquedotto era caduto in disuso, obbligando questa e altre zone dell'abitato a procurarsi autonomamente il proprio approvvigionamento idrico. Il lento insabbiamento del porto mise in moto intanto un vero e proprio spostamento del centro urbano e la vecchia Efeso fu gradualmente rimpiazzata da un sito fortificato (m. 800-400 ca.) sviluppatosi più all'interno, sulla collina di Ayasoluk. Il nucleo sorto attorno al martýrion giustinianeo di S. Giovanni già nel sec. 9° era divenuto così importante che il nome del santuario, Theologos, giunse a sostituire quello della metropoli antica. La Efeso che Costantino Porfirogenito (913-959) menzionava ancora come la prima c. d'Asia (De thematibus, III, 23, 33) aveva dunque subìto un mutamento radicale, trasformandosi in un organismo diametralmente opposto, per dimensioni e carattere, al grande impianto portuale precedente: non più una c., ma piuttosto un kástron, arroccato e arretrato dalla linea costiera.Un simile processo di mutazione emerge anche a Sardi, che, a differenza di Efeso, è stata oggetto di scavi meno estesi ma ben più metodici (Foss, 1976). Le indagini archeologiche hanno infatti rivelato che l'attacco persiano del 615-616 determinò anche qui l'abbandono di un ampio settore dell'abitato, in particolare i quartieri occidentali lungo il Pattolo, che caddero definitivamente in rovina. Successivamente, malgrado i lavori di restauro intrapresi da Costante II (641-668), non risulta che la c. si sia più ripresa. All'interno del lacerato tessuto urbano l'unico punto di riferimento divenne la fortezza, eretta sull'acropoli con ampio reimpiego di materiali classici; attorno a essa si stendeva un'area profondamente ruralizzata, costellata di insediamenti sparsi, che di norma si appoggiavano a quanto rimaneva di costruzioni in rovina. Uno di questi piccoli villaggi, dotato anche di una sua chiesa, era sorto e si era sviluppato attorno al tempio di Artemide, nella cui cella era stata installata una cisterna.Sempre in questa prospettiva è molto interessante il caso di Mileto, altro importante centro della costa egea, che, con il suo impianto ortogonale ippodameo, costituiva uno dei raggiungimenti esemplari dell'urbanistica classica. Nel corso del sec. 7°, più probabilmente verso la fine (Foss, 1976, pp. 137-138), la c. venne circondata da nuove mura che lungo il loro percorso inglobavano in tutto o in parte alcuni monumenti chiave del centro tardoantico, ancora in uso nel sec. 6°: le terme di Capito e l'acquedotto romano a E; il muro dell'agorá a S, il cui triplice ingresso venne adattato a porta urbica; le terme di Faustina più a O, che furono trasformate in bastione difensivo. Sul lato occidentale analoga destinazione ebbe anche il teatro, che, per l'imponente struttura e per la collocazione elevata a ridosso di una collina, venne inserito in una vera e propria cittadella munita di torri. In prosieguo di tempo al suo interno si installò, con ogni probabilità, un villaggio con le case sulla cavea e una chiesa nell'orchestra, provvisto anche di una cisterna. Le abitazioni, in parte databili al sec. 9°, nonché la struttura autosufficiente dell'insediamento potrebbero forse contrassegnare un'ulteriore fase di restringimento della città. La tecnica costruttiva impiegata nella cinta urbana e nel teatro-cittadella è caratterizzata da un massiccio reimpiego di materiali architettonici e iscrizioni di epoca classica, sfruttati non solo per il paramento esterno ma anche come materia prima del riempimento murario: una prova ulteriore del graduale, impietoso smantellamento cui nel sec. 7° dovevano essere sottoposti quartieri e monumenti ormai inutilizzati della c. antica.L'unico centro asiatico che - a quanto si sa - sembra essersi sottratto a questo generalizzato fenomeno di contrazione è Smirne, che probabilmente beneficiò sul piano commerciale del progressivo insabbiamento del porto di Efeso (Müller-Wiener, 1962; Foss, 1977b, pp. 481-482). Nella quasi totale carenza di indagini archeologiche, i soli dati di cui si dispone per l'Alto Medioevo sono quelli relativi alle fortificazioni. Iscrizioni del tempo di Eraclio, databili al 629-641, rinvenute in una porta presso la stazione di Basmahane, attestano che a quell'epoca le mura del sec. 4° dovevano essere, almeno in parte, ancora in funzione. Due secoli più tardi un'iscrizione di Michele III dell'856-857 celebra la costruzione di una torre e suggerisce che la c. possa essere stata sottoposta a un intervento di rifortificazione, coevo a quello documentato per lo stesso sovrano nelle mura di Ankara. Sebbene questa parte delle difese sia andata completamente perduta, si è ipotizzata (Müller-Wiener, 1962) una sua probabile identificazione con una linea di mura attestata sul lato sud-ovest della c. da una mappa ottocentesca. Questa zona della cinta, che collegava l'acropoli al porto, sembra confermare ancora il mantenimento di un'area urbana assai estesa nel pieno sec. 9°, proprio alla vigilia di quella promozione della c. a sede metropolitana (869) che sganciò definitivamente Smirne dall'ultimo vincolo di dipendenza che la univa alla rivale Efeso.Quanto ai centri dell'interno dell'Anatolia, le informazioni disponibili sono di gran lunga più modeste. Per Amorio in Frigia, per es., che il geografo arabo Ibn Khurradādhbih (840 ca.) ricorda assieme a Efeso, Nicea, Ankara e Samala tra le cinque c. asiatiche del suo tempo, le ricerche archeologiche sono appena all'inizio (Harrison, 1988). Il caso meglio conosciuto è forse quello di Ankara, sede del metropolita di Galazia, capitale del tema di Opsikion nel sec. 7° e di quello dei Buccellari nell'8°, ubicata in posizione strategica all'incrocio delle maggiori strade militari e commerciali dell'Asia Minore. Dopo il saccheggio persiano del 620, anche qui la c. bassa venne completamente abbandonata e l'abitato si restrinse entro il circuito di una munitissima cittadella eretta sulla sommità dell'acropoli antica, probabilmente al tempo di Costante II (641-668). L'impianto, di forma pressoché quadrangolare, racchiudeva un'area di soli m. 300-150, il cui accesso principale a S era eccezionalmente protetto da un bastione rettangolare provvisto di torri con due varchi disposti a gomito, secondo il sistema delle porte 'a gamma' consigliato dalla trattatistica militare bizantina (Three Byzantine Military Treatises, 1985, p. 250). Più che a un'esigenza di ampliamento dell'abitato si deve forse a una necessità di maggior difesa la costruzione di una seconda cinta muraria posta m. 150 ca. più in basso, lungo i lati sud e ovest. Recentemente attribuita (Foss, Winfield, 1986) al tempo di Niceforo I (802-811), essa avrebbe subìto, già verso l'859, un secondo intervento a opera di Michele III (842-867), che avrebbe provveduto a far ripristinare la parte alta di entrambi i circuiti, nonché il bastione poligonale sud-est delle mura superiori, danneggiati durante l'assedio arabo dell'838. Nulla si sa, purtroppo, della rete viaria e della dislocazione degli edifici, ma si può supporre che il tessuto abitativo fosse alquanto fitto, dato che anche la seconda cinta arrivava a circoscrivere una superficie piuttosto modesta (m. 500-300 ca.). Va tuttavia ricordato che per Ibn Khurradādhbih Ankara era una vera e propria c., distinta dai centri minori, definiti come fortezze, e che l'epiteto di pólis le è attribuito anche dalle iscrizioni del tempo di Michele III, una delle quali esordisce così: "Coloro che entrano da questa porta in città [...]" (Grégoire, 1927-1928, p. 438).In questo periodo, come nei secoli successivi, l'oscillazione semantica che le fonti attribuiscono ai termini di pólis e kástron non permette di circoscrivere con chiarezza due distinte categorie di insediamenti; l'uso anzi dei due appellativi - talora indifferentemente applicati a centri di estensione assai varia - lascia piuttosto intendere come i documenti scritti vogliano mettere a fuoco, a seconda dei casi, prerogative diverse e complementari di un dato centro urbano: la sua funzione e la sua capacità difensiva (kástron) o la sua 'persona' giuridica e istituzionale (pólis), vista in una dimensione eminentemente storica (Angold, 1985, pp. 15-16; Dagron, 1987, pp. 155, 164).L'unica vera grande c. che sussiste nei territori bizantini durante l'Alto Medioevo è Costantinopoli (v.), capitale di un impero ormai profondamente ruralizzato, che ha ceduto all'Islam la fiaccola della civiltà urbana. I temi, le nuove divisioni amministrative e militari che dal tempo di Eraclio (610-641) presero il posto delle antiche province, non si fondarono più sulle c.; le istituzioni municipali, ormai esautorate, vennero messe da parte o sopravvissero per pura tradizione, in attesa di essere ufficialmente soppresse dalle novellae di Leone VI (886-912).Anche Costantinopoli dovette misurarsi con i problemi del tempo, cercando di mantenere in vita la struttura urbana esistente, minata dal drastico crollo demografico, dagli attacchi bellici e dalle epidemie (626, assedio degli Avari; 674-678, primo assedio degli Arabi; 698, peste; 717-718, secondo assedio arabo; 747, peste). Bastano ad attestarlo pochi fatti significativi. L'acquedotto di Valente, interrotto dagli Avari nel 626, rimase in disuso per quasi un secolo e mezzo e per ripararlo, nel 766, si dovettero convocare operai dal Ponto, dalla Grecia e dalla Tracia. Le cisterne venivano impiegate per dare sepoltura alle vittime della peste. Le mura, seriamente danneggiate da un terremoto nel 740, non poterono essere restaurate dalla popolazione, che fu sottoposta a una tassa straordinaria per finanziare una manodopera esterna. Ampie aree dentro le mura dovevano infine essersi svuotate, se nel 747 Costantino V provvide a ripopolare la c. favorendo l'insediamento di nuovi abitanti di provenienza greca. Il punto più basso della parabola fu toccato probabilmente verso la metà del sec. 8°, in coincidenza con la "'linea zero' delle città provinciali" (Mango, 1980, trad. it. p. 95). Sono questi gli anni in cui l'anonimo autore delle Parastáseis sýntomoi chronikái presenta una desolante immagine di Costantinopoli in rovina, dalla quale emerge che ormai i monumenti antichi non sono più compresi nel loro significato originario e vengono visti in una luce nefasta che sconfina nella magia.
Il sec. 9°, a Costantinopoli come in provincia, è caratterizzato dai primi segni di una lenta ripresa. La sconfitta interna dell'iconoclastia (843) da un lato, una serie di successi militari dall'altro, favorirono infatti un deciso ritorno di Bisanzio alla ribalta della scena politica mediterranea: le regioni greche, dopo le invasioni slave, rientravano man mano sotto lo stabile controllo imperiale (800 ca.); sul fronte anatolico la sconfitta dell'emiro di Melitene (863) diede una nuova carica offensiva alle azioni dell'esercito bizantino. Per ciò che riguarda la storia urbana, è questo il periodo in cui si gettano le fondamenta per quella rinascita delle c. e dell'economia di mercato che culmina nell'11° e 12° secolo.Dal punto di vista archeologico, il fenomeno risulta meglio documentato in Grecia (Atene, Corinto, Sparta, Tebe), dove, diversamente dall'Asia Minore, sono stati condotti scavi più attenti al recupero della cultura materiale mediobizantina. Va comunque sottolineato che, per quanto concerne il disegno urbano e la struttura complessiva degli insediamenti, le conoscenze sono tuttora largamente carenti, sia per il numero molto limitato di indagini monografiche sui singoli centri in età medievale sia per l'attenzione quasi esclusiva che l'archeologia ha tradizionalmente riservato allo studio delle più antiche fasi di vita delle c. di origine classica (Buras, 1981).Per il periodo che va dalla fine del sec. 9° al 12° le attestazioni più precoci di ripresa della vita urbana si riferiscono a Patrasso, Corinto e Sparta. Per Patrasso purtroppo, in mancanza di adeguate indagini, fa fede solo una notizia di Teofane Continuato (Chronographia, V, 74-75), da cui si deduce che nella seconda metà del sec. 9° esisteva in loco una fiorente industria tessile. Per Corinto sono significativi soprattutto i ritrovamenti monetali, che confermano una consistente ripresa di un'economia di mercato (Metcalf, 1973). Un po' di più si sa invece di Lacedaemonia, la Sparta bizantina, che fu uno dei centri principali del Peloponneso. Stando alla cronaca di Monenvasia, la c. sarebbe stata completamente abbandonata nei primi secoli del Medioevo per poi essere rioccupata all'inizio del sec. 9° (Buras, 1981, pp. 621-622). Quanto alla sua estensione, va ricordato che già in età tardoromana si era provveduto a fortificare un'area piuttosto ristretta a ridosso dell'acropoli (m. 650-300), ma non è stato stabilito con certezza se la c. mediobizantina occupasse o meno la stessa superficie. Gli scavi condotti al principio del Novecento hanno riscontrato su tutto il sito le tracce di un lungo periodo di abbandono, la cui consistenza si misura molto bene nell'area del teatro, dove uno spesso deposito di materiali separa il livello dell'orchestra dal piano d'appoggio delle case costruite nel sec. 11° al di sopra dell'edificio antico. Come sembra attestare il rinvenimento a S, fuori dalle mura, di alcune case e di un bagno del sec. 11°, ben presto l'abitato dovette superare i limiti di questa ridotta cinta. Conferme ulteriori provengono dalla biografia di s. Nicone, che si stabilì a Sparta sul volgere del sec. 10°: il testo agiografico racconta infatti che il santo indusse la cittadinanza a far trasferire extra muros la comunità ebraica, determinando probabilmente la creazione di un quartiere separato, e che fece costruire poi una chiesa sui bordi dell'agorá antica. Ciò rappresentò forse il primo passo nell'urbanizzazione di un sito abbandonato della c. che, a quanto risulta, era usato come campo per il gioco del polo (tzykanistérion) e costituiva a quel tempo proprietà privata degli árchontes, i maggiorenti locali (Angold, 1985, pp. 16-17).In proporzione alla sua importanza si hanno notizie molto limitate anche di Tebe, che dall'inizio del sec. 11° fu la capitale del tema di Ellade e Peloponneso, nonché sede di una fiorentissima industria della seta. Già ristretta in età tardoromana al basso colle di Kadmeia, la c. diede i primi segni di ripresa solo alla fine del sec. 9°, quando fu eretta una chiesa in onore di s. Gregorio (872). I resti delle mura di questo periodo, recuperati archeologicamente, documentano - rispetto alle precedenti fortificazioni - una lunga fase di abbandono che dovette coincidere, come a Sparta, con l'interruzione della vita urbana nel sito. Diversi scavi occasionali condotti tra il 1964 e il 1974 per lavori nella c. moderna hanno portato alla luce un numero cospicuo di edifici, fornendo anche qualche indicazione nuova per la ricostruzione del disegno urbano della Tebe mediobizantina. I risultati più importanti riguardano Kadmeia, la cui area nel sec. 12° risulta densamente costruita. Le abitazioni erano dotate di solito di magazzini al piano terreno ed erano realizzate con un largo impiego di materiali di spoglio. Alcune, provviste di ambienti più ampi e di dimensioni complessive superiori alla media, hanno fatto pensare a residenze dell'aristocrazia locale. Ma non vanno dimenticati i resti di un bagno, dell'acquedotto e di sette chiese, nonché il recupero di parte del tracciato di due strade bizantine (Buras, 1981, pp. 624-625). I materiali rinvenuti forniscono però indicazioni molto frammentarie, che non permettono di rispondere ancora a diversi interrogativi di ordine generale: se esistesse o meno un'acropoli separata; se l'ampia comunità ebraica, di ca. duemila persone, attestata nel sec. 12°, avesse un quartiere a parte; quanto la Tebe mediobizantina conservasse dell'impianto di età paleocristiana.La c. greca più metodicamente indagata, almeno per quanto riguarda alcuni settori, è senz'altro Corinto (Scranton, 1957), che Beniamino di Tudela definisce enfaticamente "grande capitale". Gli scavi hanno dimostrato che qui, come ad Atene (v.), a partire dalla fine del sec. 10° lo spazio aperto dell'antica agorá cominciò a ricoprirsi di nuovi edifici entro una fitta rete di vicoli e strade. I monumenti antichi non risulta che fossero utilizzati solo nella forma frammentaria di spolia ma, quando ancora emergenti, furono anche restaurati e adattati a nuove destinazioni: è il caso delle botteghe voltate sul fianco nord dell'agorá o di quelle poste lungo la strada per Lechaion. Lo stesso criterio conservativo vige anche per alcune strade e pubbliche piazze, che non vennero occupate da nuove costruzioni, ma continuarono a mantenere il loro tracciato antico. Ciò non significa comunque che nelle rovine della Corinto mediobizantina si possa intravedere, seppur nell'ottica del riuso, un concetto di consapevole disegno urbano. Quello che prevale - come è norma nelle c. del tempo - è un criterio dinamico, ma empirico, di crescita spontanea del tessuto insediativo. L'aspetto forse più interessante che l'archeologia ha messo in luce nel sito è quello relativo alle installazioni produttive, botteghe e officine, strettamente legate alla rinascita commerciale della c., attiva nella manifattura del vetro e della ceramica. Diversamente da altri casi, si sa invece assai poco della forma complessiva dell'impianto urbano medievale e soprattutto delle mura, che forse insistevano sulla linea della cinta tardoromana. È sicuro comunque che l'acropoli, l'Akrokorinthos, costituiva un organismo autonomo, posto su un'altura a km. 1 ca. dall'abitato.L'unica c. della Grecia che conservò nel corso del Medioevo l'estensione originaria dell'impianto tardoantico è Salonicco, che mantenne in uso non solo il suo ampio circuito di mura risalente al sec. 5°, ma anche le principali direttrici stradali in asse con le porte urbiche maggiori. È da supporre però che anche qui - come a Costantinopoli - le aree costruite fossero intervallate da larghe zone di disabitato che determinavano lo sconfinamento della campagna nella c. (Spieser, 1984).La Geografia di al-Idrīsī (1154) e il Libro di viaggi di Beniamino di Tudela contribuiscono a confermare con le loro informazioni il quadro generale di brillante ripresa della vita urbana che in pieno sec. 12° contraddistinse i maggiori centri della Grecia. Tra quanto riferiscono queste fonti è di particolare interesse l'entusiastica descrizione che al-Idrīsī riserva alla c. di Abydos, una delle principali stazioni di dogana bizantine sull'Ellesponto, attiva dal sec. 5° in poi. Si tratta di una sorta di ékphrasis che enumera una sequenza di ampie strade, belle case e magnifici mercati, quasi che l'impianto urbano del sec. 12° conservasse ancora i caratteri di monumentalità e regolarità di quello antico. Se l'immagine letteraria non indulge all'amplificazione retorica, allora si deve riconoscere nel caso di Abydos un vero e proprio unicum nel panorama del tempo.Di norma, infatti, i connotati tipici delle c. mediobizantine si discostavano completamente da questo modello. I nuovi insediamenti non possedevano nulla del respiro monumentale della Tarda Antichità e, tranne casi circoscritti di restauro e riuso architettonico (per es. le botteghe di Corinto), non offrono elementi sufficienti per parlare di continuità dell'assetto urbano. Case e botteghe erano costruite con materiali poveri e con grande abbondanza di spolia, stipate l'una sull'altra lungo strade tortuose. Talora gli ergastéria invadevano le grandi vie porticate dei primi secoli, incastrando le loro strutture in assito negli spazi tra le colonne: lo Stato, infatti, non si sforzava tanto di tutelare il suolo pubblico quanto di ricavarne un reddito, regolamentando l'occupazione abusiva con l'imposizione di tasse (Dagron, 1987).Nel mondo bizantino, insomma, non si può riscontrare nulla di paragonabile alla rinascita urbana così come essa si configura contemporaneamente in Occidente. Non vi è traccia di attività costruttiva tesa a plasmare una nuova immagine della c. attorno ai suoi luoghi istituzionali. Anzi la moltiplicazione degli edifici di culto e dei monasteri contribuì piuttosto a spezzare l'unità e l'assetto gerarchico degli antichi centri monumentali, facendo prevalere una configurazione in quartieri, decentrata e in larga misura dipendente dall'iniziativa privata. Chiese monastiche e pie fondazioni infatti nascevano spesso attorno a una residenza aristocratica (óikos) che, con i suoi edifici annessi, poteva divenire il nucleo di un quartiere eponimo. È sintomatico che nel periodo cruciale della rinascita urbana, a partire dalla fine del sec. 10°, il vescovo non rappresenti più all'interno della c. una figura di rilievo. Non è un caso dunque che le chiese episcopali costruite ex novo costituiscano un fatto rarissimo e che quanto venne realizzato sul piano architettonico e urbanistico sia riconducibile in massima parte al mecenatismo di notabili cittadini.
Dopo la drammatica perdita territoriale che l'invasione selgiuqide (1071) provocò in Asia Minore, ulteriori fattori, interni ed esterni, cominciarono a minare alla base la ripresa produttiva e la fiorente vita urbana del mondo bizantino. Per quanto riguarda la sfera economica, furono determinanti soprattutto le concessioni commerciali accordate dall'impero d'Oriente alle c. italiane. In particolar modo i privilegi di cui usufruirono i Veneziani favorirono il lento passaggio da un mercato in cui la forza trainante era ancora lo Stato a una situazione nuova in cui i mercanti stranieri sfruttavano le c. bizantine per acquistare materie prime e riversarvi poi, per la vendita, i prodotti finiti. Uno snodo decisivo in questo movimento discendente fu la deviazione della quarta crociata con la conseguente conquista latina di Costantinopoli (1204), che per quasi un sessantennio segnò la scomparsa politica dell'impero bizantino dallo scenario mediterraneo e la sua frammentazione in una serie di principati provinciali.In questa nuova e ristretta ottica regionale il fenomeno indubbiamente più interessante fu quello favorito dalla committenza dei Lascaridi in Asia Minore occidentale, nel c.d. impero di Nicea, che fu la nuova sede di una delle dinastie in esilio. Le regioni comprese nell'ampio programma di revisione difensiva del territorio furono soprattutto la Lidia, la Ionia, la Caria e la Bitinia, dove, accanto a un cospicuo numero di fortificazioni, vennero realizzati anche alcuni lavori di carattere più propriamente urbanistico, tesi a risollevare le condizioni talora critiche di alcuni centri mediobizantini: Smirne, Magnesia sul Sipilo (od. Manisa), Nymphaion (od. Kemalpaşa), Pagai (od. Katō Alepochōri), Nicea (od. Iznik). Le informazioni di cui si dispone sono purtroppo sempre limitate e, come di consueto, riguardano essenzialmente le mura di cinta e qualche isolato monumento all'interno dell'abitato (Foss, 1979b; Foss, Winfield, 1986, pp. 150-159).Il primo intervento datato di committenza 'lascaride' venne attuato a Smirne, il grande centro portuale sull'Egeo che nel corso dell'Alto Medioevo aveva eccezionalmente mantenuto l'estensione del suo antico impianto urbano. Qui l'imperatore Giovanni III Duca Vatatze (1222-1254) portò a termine nel primo anno del suo regno il restauro della grande fortezza sul monte Pago (Palaiokastron), direttamente connessa alla cinta della c. (Müller-Wiener, 1962). La struttura (m. 600-200 ca.) presentava in direzione dell'abitato un imponente muro turrito che nell'angolo sud-ovest si sdoppiava in corrispondenza di un piccolo recinto interno, una sorta di cittadella nella cittadella di forma quadrangolare.All'iniziativa dello stesso sovrano si devono ancora le fortificazioni di Magnesia sul Sipilo, sede dell'amministrazione del tesoro e della zecca imperiali (Foss, Winfield, 1986, pp. 152-153). I lavori, che dovettero fare immediatamente seguito a quelli di Smirne, compresero la ricostruzione delle mura urbane, della cittadella e, all'interno di questa, di un palazzo imperiale, le cui massicce fondazioni sono state riconosciute in alcune rovine ancora in situ (Foss, 1979b, pp. 306-309). Sebbene nota solo in taluni settori, la cinta inferiore e più larga, relativa all'abitato vero e proprio, è limitata alla sola zona in collina; sicché si può ritenere che la c. fosse tutta disposta sul declivio e si concludesse con l'arce fortificata.Diversamente da Magnesia, a Nymphaion, capitale d'inverno e residenza favorita di Giovanni III, il palazzo - ancora esistente nel suo alzato - era collocato in pianura, mentre la possente fortezza, ripartita in almeno due recinti coronati da una cittadella, si innalzava sulle scoscese pendici del monte Tmolus. Per quanto poco se ne sappia, si doveva trattare di un impianto urbano d'eccezione rispetto al sistema quasi codificato che caratterizzava le c. del periodo tardobizantino: una struttura di limitata estensione in cui si susseguivano più cinte di mura (due ma talora anche tre), con in basso l'empórion, l'abitato con funzione residenziale e commerciale (spesso con un quartiere separato per stranieri), e in alto il kástron, l'area più difesa, destinata ad accogliere la sede delle autorità e gli uffici governativi.Risponde a questo modello Trebisonda, la c. sul mar Nero che dal 1204 fu eletta a capitale del principato dei Grandi Comneni. Gli interventi apportati nel corso dei secc. 13° e 14° sull'impianto preesistente costituiscono uno dei rari casi in cui sia ancora parzialmente leggibile l'intenzione di riplasmare il tessuto urbano secondo organiche direttive, che qui obbediscono a una politica di rilancio dinastico. A una prima fase di lavori, avviata già all'inizio del Duecento, va ricondotta innanzitutto la cittadella fortificata, posta sull'estremità meridionale del sito, che fu destinata a centro residenziale e amministrativo della capitale. Si doveva trovare qui il bellissimo palazzo imperiale descritto da Bessarione nell'encomio della sua c. (Mango, 1972, pp. 252-253), distinto in vari corpi di fabbrica, circondato da quartieri di servizio e provvisto anche di una chiesa. Sebbene i resti del complesso siano scarsi, è possibile ancora riconoscere nel corpo rettangolare a due piani a ridosso del lato occidentale quello che conteneva la sala d'udienza e, a S-O, forse uno dei muri perimetrali della sala dei banchetti. Subito a N di quella che Bessarione definiva classicamente l'acropoli di Trebisonda, aveva inizio la c. media, circondata da una cinta muraria che per buona parte coincide con quella mediobizantina. La superficie rettangolare allungata dell'abitato conserva nella disposizione ortogonale delle due strade principali l'impronta di un sistema cardodecumanico, nella cui zona d'incrocio è collocata la chiesa della Panaghia Chrysokephalos (od. Orta Hisar Cami). L'edificio originario, risalente probabilmente al sec. 10°-11°, fu completamente ristrutturato nella prima metà del sec. 13° per divenire la chiesa di Stato dei Comneni, teatro delle loro incoronazioni e fondamentale polo urbanistico della nuova capitale. All'inizio del Trecento risale invece la grande addizione che prolunga la c. verso N, collegandola direttamente alla costa e alle strutture portuali. La nuova cinta asimmetrica si allinea a E alle mura della c. media, mentre dalla parte opposta raddoppia la larghezza dell'abitato preesistente, includendo anche l'area del vallone occidentale. È difficile seguire il tracciato stradale originario, ma almeno la grande via che dalla metà del muro ovest corre verso oriente, rasentando la cinta della c. media, sembra ricalcare un asse antico. Extra muros, lungo la costa orientale, erano situati invece i quartieri mercantili dei Genovesi e dei Veneziani, culminanti nel Leontokastron, il forte dei Genovesi (Sinclair, 1989, pp. 48-51).Nel 1262, appena un anno dopo la riconquista di Costantinopoli, il principato latino di Acaia (Peloponneso) fu ceduto ai Paleologhi. Con esso divenne bizantina anche la fortezza di Mistrà, fondata nel 1249 da Guglielmo II Villehardouin su una cima scoscesa pochi chilometri a O di Lacedaemonia. La parte più antica dell'insediamento, di origine franca, comprende la cittadella e la c. alta, che ha il suo nucleo centrale nella grande piazza con il c.d. palazzo dei Despoti. Nel 1264 il trasferimento a Mistrà degli abitanti della vicina Sparta rappresentò il primo consistente incentivo allo sviluppo: ben presto case e monasteri dilagarono extra moenia ai piedi della collina, dove sorsero già sul finire del Duecento le chiese della Metropoli e degli Haghioi Teodori, seguite a distanza di pochi anni dall'Odighitria e dalla Peribleptos. Fu così necessaria una nuova linea di mura a protezione della c. bassa, che arrivò a lambire a valle le sponde del torrente. In entrambi i settori dell'abitato il fattore che influì maggiormente sul disegno urbano fu la natura scoscesa del terreno, che determinò una crescita libera e organica con una maglia stradale molto irregolare e tortuosa. La via principale della c. alta inizia dalla porta di Monenvasia a E e, attraversando la piazza del palazzo, raggiunge la porta di Nauplia a O; le strade secondarie, alcune delle quali a cul-de-sac, sono di solito strette e scoscese e del tutto impraticabili ai veicoli a ruote. Le case e le residenze sorgono isolate, parallele o perpendicolari al declivio, e spesso scavalcano le vie minori includendo al piano terreno un passaggio pubblico voltato (diabatikón). L'approvvigionamento idrico della c. era infine assicurato, caso rarissimo nella Grecia medio e tardobizantina, da un acquedotto pubblico.Come Mistrà, anche altri centri della Grecia paleologa dimostrano con chiarezza che la funzione fondamentale che si attribuiva allora alla c. era sempre e soprattutto quella difensiva, affidata non solo alle mura, ma anche alla scelta di una posizione naturalmente munita. Un caso in tal senso esemplare è quello di Serbia in Tessaglia, di cui un testimone del tempo, l'imperatore Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354), ha lasciato una descrizione che è quasi un ritratto della pólis del periodo tardobizantino: "La città sorge sullo scosceso sperone di una montagna, in modo tale da apparire al passante più alta di quanto in realtà essa sia. Si arrampica diritta verso la cima ed è suddivisa da tre mura, cosicché dall'esterno sembra che tre città siano state disposte l'una sull'altra. Da entrambi i lati è circondata da gole profonde [...] I due settori più bassi della città sono abitati dai cittadini, mentre il terzo, la cittadella, appartiene al governatore. Essa è di difficile accesso da ogni parte e non può essere facilmente messa sotto assedio" (Historiarum libri, IV, 19, P. 777).
Bibl.:
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Nelle fonti arabe dell'Islam medievale, e anche in quelle persiane e turche coeve, non sono rari i riferimenti ai fenomeni urbani complessivi o singoli, soprattutto nell'ambito dei generi letterari connessi con alcuni aspetti della c. e dell'insediamento, quali per es. la letteratura poetica (temi connessi con le c. utopiche o ideali), i trattati di storia generale o locale (panegirici di c. e dei loro abitanti più illustri), i testi scientifici di astronomia, geografia, geometria e topografia (regole per determinare l'orientamento degli edifici di culto), la letteratura di viaggio (descrizione di c. visitate) o ancora le opere filosofiche e politiche (classificazione delle c. per dimensione e ruolo amministrativo, confronti tra c. di diversi contesti geo-culturali). Si tratta in ogni caso di spunti e riflessioni occasionali, difficilmente riconducibili a trattazioni sistematiche, cui attingere possibili criteri informatori sviluppatisi nell'ambito di una riflessione teorica o attraverso una trattatistica urbanistica specifica, analoga a quella di altre culture del mondo antico e medievale orientale. Né sembra inoltre che l'Islam inteso come sistema religioso e culturale abbia mai dettato leggi in tale campo, tanto meno imposto schemi organizzativi e suggerito disposizioni topografiche ortodosse o corrette capaci di individuare, in astratto, un modello di c. islamica.Resta tuttavia da considerare che nella lunga storia e nell'ampia geografia di questo universo culturale si sono manifestate con continuità, attraverso i secoli e in ciascuna delle regioni interessate dall'Islam, numerosissime realtà urbane dotate di elementi, strutture, caratteri e istituzioni ricorrenti, che consentono di individuare, a posteriori, e nonostante la varietà delle configurazioni spaziali e dei linguaggi figurativi, l'esistenza di prassi operative e modi di aggregazione, organizzazione e sviluppo, capaci di informare di sé le singole realizzazioni.Appare pure verificata la circostanza da più parti riconosciuta e sostenuta che, per realizzare appieno i propri ideali, la religione e la cultura islamiche ebbero bisogno dell'ambiente urbano, come quello che, tra le diverse forme di insediamento possibili, risultò il più idoneo a offrire le sedi istituzionali, gli spazi e le strutture edilizie e le altre opportunità per una pratica completa e dignitosa dei doveri religiosi e civili richiesti ai buoni fedeli: tali doveri includevano non solo la preghiera comunitaria, ma anche l'istruzione, le opere assistenziali, l'igiene personale, nonché le attività connesse con l'amministrazione della giustizia, con la ricerca scientifica, con la produzione letteraria e artistica, con la tutela delle persone e dei beni, con l'esercizio del commercio.È del resto ben nota la condanna della vita nomadica insita nell'insegnamento coranico e, sin dai primi secoli, nella tradizione, ampiamente ripresa nella letteratura storico-politica ed esplicitamente espressa nell'opera di Ibn Khaldūn (al-Muqaddima) nel 14° secolo. A questo scrittore si deve peraltro la più completa e sistematica trattazione di una sorta di teoria della c., intesa sia come entità fisica inserita nel territorio sia come comunità di cittadini integrata nella struttura politica dello Stato.Seguendo una visione realistica della storia, egli ritiene tra l'altro che fra i requisiti indispensabili per la fondazione di una c. vadano inclusi la scelta di un sito ben difeso per natura, buone condizioni climatiche, abbondanza di acqua potabile, prossimità di pascoli e terreni coltivabili, facile reperibilità di pietra, argilla o legname per l'edilizia, prossimità del mare per lo sviluppo del commercio con altri popoli e paesi, arrivando persino a criticare l'infelice localizzazione di alcune c. islamiche fondate troppo affrettatamente e senza tener conto di tali requisiti, nel primo periodo dopo la conquista. Lo stesso autore riprende pure il tema del primato delle c. grandi su quelle piccole e quello dello stretto legame tra la fortuna di una dinastia e quella della sua capitale, insistendo a più riprese su una radicale contrapposizione tra la cultura urbana, sede di tutte le opportunità, e le condizioni nomadiche e contadine, ritenute portatrici di livelli culturali e civili nettamente inferiori.L'idea del ruolo privilegiato che la c. in quanto tale assunse in generale all'interno della cultura islamica, rispetto a qualunque altra forma di insediamento umano, risultò comunque un atteggiamento ricorrente e diffuso nel corso di tutta la storia dei popoli musulmani e su questo aspetto - abbandonata ogni romantica teoria che vedeva l'Islam come una religione di nomadi e di tribù accampate ai margini dei deserti - concorda ormai tutta la critica contemporanea, impegnata a situare anche ideologicamente il precoce, rapido e intenso sviluppo urbano dei territori toccati da questa cultura.Anche per quanto riguarda l'origine, si ritiene oggi superato il diffuso pregiudizio secondo il quale, prima di passare all'Islam e prima delle conquiste nell'area mediterranea e nel mondo iranico, il popolo arabo fosse esclusivamente dedito alla vita nomadica e pastorale e quindi non conoscesse né arte, né architettura, né vita urbana.In realtà in molte delle regioni non solo periferiche della penisola arabica (dalla Mesopotamia alla Jazīra, alla Siria, alla Palestina, allo Hijaz, allo Yemen, allo Ḥaḍramawt, all'Oman e alle regioni prospicienti il golfo Persico), sin da molti secoli prima dell'Islam sorgevano insediamenti stabili, attorno a santuari, mercati o tappe carovaniere, in ogni caso dotati di strutture edilizie ben distinte da quelle temporanee e leggere dei nomadi e anzi concepite e organizzate talvolta entro vistose cerchie murarie, proprio in opposizione e in difesa dalle periodiche minacce di razzie delle tribù che vivevano, invece, di accampamenti e di spostamenti. Tali c., abitate in tutto o in parte da popolazioni di puro ceppo arabo, avevano acquisito in certi casi grande sviluppo e presentavano talvolta dimensioni e caratteri monumentali.Si possono ricordare tra gli altri i centri urbani dei Lakhmidi cristianizzati (per es. Ḥīra in Bassa Mesopotamia), dei Sabei adoratori della Luna (per es. Ḥarrān in Alta Mesopotamia), dei Ghassanidi e dei Nabatei (per es. Damasco, Bosra, Petra nell'area siro-palestinese) e di altre popolazioni arabe sedentarie (per es. quelle insediate in Hatra, retta da una oligarchia partica), tutti da lungo tempo in contatto con le culture ellenistico-bizantina e iranica. A questi si aggiungono gli insediamenti dello Hijaz (La Mecca, Medina, Ṭā'if), nonché quelli da lungo tempo consolidati e numerosi dello Yemen preislamico - di origine minea, sabea, qatabanica - e, anche se in misura minore, di altre regioni costiere della penisola arabica.Si ritiene che le esperienze e le consuetudini contratte e praticate per secoli in queste c. contribuissero non poco - unitamente alle tradizioni proprie delle singole culture non arabe delle aree di conquista - alla formazione di quella che venne poi definita la c. islamica.Del resto non solo gli Arabi, ma anche altre delle principali etnie che abbracciarono precocemente l'Islam (Berberi, Persiani, Turchi), ritenute popolazioni essenzialmente nomadiche, possedevano a loro volta antichissime strutture e istituzioni cittadine e consolidate abitudini di vita urbana.Nella loro rapida irradiazione ed espansione militare gli Arabi e le altre formazioni di truppe ausiliarie da poco tempo passate all'Islam incontrarono e inglobarono in vario modo, peraltro, numerose antiche civiltà urbane, alcune delle quali molto avanzate e raffinate, fiorenti ed evolute, soprattutto in Siria (c. permeate di cultura ellenistica e bizantina), nelle regioni mesopotamica e iranico-centroasiatica (tradizioni urbane partiche e sasanidi) e nell'Africa del Nord (centri romano-berberi o romano-libi); sarebbe quindi riduttivo e sostanzialmente errato sottovalutarne l'apporto.Si deve perciò concludere che la c. islamica nacque dall'incontro-fusione di tutta una complessa serie di tradizioni ed esperienze eterogenee e, pur conservando spesso caratteri multietnici e pluriculturali, si andò via via sviluppando con connotazioni sue proprie - legate a istituzioni e concezioni di vita dettate dalla nuova religione - sia mediante lenti processi di formazione, strutturazione e autoidentificazione delle singole entità urbane, sia attraverso volontari atti fondativi di alcuni sovrani e condottieri operanti nel segno dell'Islam vincitore.Se in una fase iniziale nel gioco delle reciproche influenze prevalsero forse, per qualità e quantità, i fattori urbanogeni esterni alla cultura islamica, vale a dire quelli delle aree di conquista, soprattutto il mondo bizantino e quello iranico, ben presto si affermò una netta prevalenza delle c. islamiche - Damasco, Baghdad, Cairo, Kairouan, Palermo, Fez, Córdova - assai più strutturate e popolose, tra i secc. 8° e 11°, delle modeste entità urbane espresse dalle repubbliche marinare dell'Europa mediterranea o delle nascenti strutture statali dell'Alto Medioevo europeo, che presero invece a svilupparsi più tardi, a partire dal 12° secolo.Solo allora si manifestò un processo inverso, legato ai fenomeni di ripresa del 'campo cristiano' verso la fine del sec. 11° - le prime crociate, la conquista normanna della Sicilia, la riscossa dei re cristiani in Spagna -, concomitante con le prime crisi di disgregazione (per la secessione delle province periferiche e per l'impatto della spinta egemonica turcomongola nel Mediterraneo orientale) delle grandi formazioni statali arabo-islamiche, a partire dal 13° secolo.Quali che fossero l'origine, il possibile modello teorico e un'eventuale ideologia culturale alla base di questa o quella c. del mondo islamico, appare certo che l'analisi comparativa di un gran numero di centri urbani di tale mondo rivela, pur al variare dei secoli, dell'area culturale e del contesto ambientale, l'esistenza di strutture ricorrenti e ripetibili (si ritrovano del resto anche in più antiche tradizioni urbane del mondo mediterraneo e medio-orientale), che consentono in certo modo di delineare uno schema organizzativo e spaziale tipico e riconoscibile, almeno per l'arco temporale corrispondente a tutto il Medioevo occidentale.La struttura fisica della c. islamica si può infatti assimilare, sia pur schematicamente, a una compatta aggregazione organica di parti strettamente correlate e interconnesse, che con più attenta disamina si possono per altro verso distinguere in una pluralità di elementi sottomultipli, tendenti a sancire una certa separazione tra spazio pubblico e spazio privato, riconducibili ai seguenti: un nucleo fondamentale (talvolta di fondazione e quindi dotato di struttura geometrica più controllata) che è centro funzionale e spesso anche topografico, ove si situavano, in stretta relazione reciproca, il polo religioso e culturale, la sede del potere amministrativo e di governo (talvolta arroccato in una cittadella a sé stante) e il cuore del sistema commerciale, che poi si ramificava verso le porte urbane in strade commerciali articolate per mestieri e dotate di edifici e spazi appositi per il lavoro, il deposito, l'ospitalità e il bagno; un sistema di aree o quartieri residenziali, innervati da una rete stradale del tipo 'ad albero', con rami corrispondenti a gradi di privatezza crescenti, e di conformazione planimetrica irregolare ma non certo casuale; un dispositivo difensivo includente di norma una cittadella e una cerchia di mura aperte da porte ben difese, attraverso cui le popolazioni provenienti da territori diversi entravano in c. per convergere al centro; uno o più borghi satelliti esterni alle mura (ma presto racchiusi entro successive estensioni), con funzioni complementari e abitati da popolazioni a vario titolo interessate ad attività di servizio, per lo più di commercio e di artigianato, necessarie alla c. principale. I borghi esterni, costruiti all'inizio in strutture semiprecarie, ebbero la tendenza con il tempo a consolidarsi, ad aggregarsi e a omologarsi al centro più antico.Sin dai primissimi decenni dell'Egira, mentre ancora erano in corso le fulminee conquiste dei primi califfi (632-661), le comunità neoislamiche ebbero a trasformare una serie di centri urbani già esistenti per adattarli ai bisogni della nuova religione; le principali c. dello Hijaz (La Mecca, Ṭā'if, Medina, Gedda), nonché quelle dell''Asīr e dello Yemen (per es. Najrān, Ṣana'ā'), dovettero subire allora le prime importanti mutazioni, almeno nei loro spazi ed edifici di culto.Il caso emblematico di tale fase di riadattamento urbanistico fu quello della Mecca, già sede di un frequentato santuario preislamico, che fu investita da un rapido processo di ristrutturazione (avviato dallo stesso Profeta, continuato sotto il califfo ῾Umar e portato a termine poi dagli Omayyadi e dagli Abbasidi), destinato a sancire visibilmente il passaggio dalla condizione di c. pagana frequentata da idolatri, sede di culti politeistici, espressioni del particolarismo tribale, a quella di meta unica e centrale di tutte le tribù d'Arabia e dell'intera ecumene islamica raccolta entro la comunità dei credenti nel dio unico.Una seconda, ma quasi contemporanea, fase di sviluppo urbano nel segno dell'Islam fu quella, includente un volontario momento fondativo, che portò alla stabilizzazione in forma di c. degli accampamenti militari creati per le truppe di conquista in luoghi prima disabitati e presto consolidatisi come insediamenti stabili destinati allo stanziamento fisso (tamsīr) delle truppe veterane. Si trattava di un processo analogo a quello ben noto delle c. romane sviluppatesi dai castra, dal quale emergeva una riconoscibile struttura pianificata, formata dalla giustapposizione di tre elementi primari: la moschea, il mercato e la residenza del governatore (dār al 'imāra): è il caso di Kufa - che conserva ancora il dār al-'imāra -, di Bassora - di cui è stato possibile ricostruire la struttura topografica dei quartieri disposti a raggera attorno al nucleo direzionale -, entrambe in Bassa Mesopotamia, nonché di al-Fusṭāṭ in Egitto (od. Cairo), anch'essa dotata di una complessa e completa aggregazione di edifici e spazi deputati alle diverse funzioni di una capitale regionale, di cui resta però solo il sito e l'impianto della Grande moschea di 'Amr, oltreché tratti del tessuto urbano di epoca alquanto successiva.Va osservato per inciso che mentre tali centri urbani assumevano di norma matrici radiocentriche o stellari, indici di processi di crescita graduali e organici, la c. fondata in adiacenza alla sasanide Iṣṭakhr presso Persepoli riproponeva invece un impiato murato compatto, di matrice geometrica rettangolare quadripartita, di cui il complesso pubblico occupava un intero quadrante: un modello planimetrico, questo, che si perpetuò pure in epoca omayyade, sia ad 'Anjar in area siriaca, sia nel caso di Kairouan in Ifrīqiya.Con l'avvento degli Omayyadi (661-750), che trasferirono la capitale da Medina a Damasco e accentuarono l'orientamento dell'impero verso la cultura siro-ellenistica e bizantino-mediterranea, continuò il processo di trasformazione e islamizzazione progressiva di c. esistenti. È il caso per es. di Damasco, Gerusalemme, 'Ammān, Bosra, Ḥamā, Aleppo, che tuttora conservano tracce visibili dell'impatto della rimodellazione architettonica e urbana avviata in questo periodo sulle precedenti stratificazioni.Non mancano d'altra parte alcune fondazioni ex novo che fanno cogliere meglio quelli che dovevano essere i principi e i modelli di riferimento della dinastia: l'esempio più noto e il più evidente è offerto dalla cittadina di 'Anjar, fondata dal califfo al-Walīd verso il 715, che si impostava su una perfetta pianta rettangolare quadripartita, con assi viari a portici colonnati, e con tutti gli elementi tipici della c. islamica (palazzo, moschea, mercato, bagno) inseriti all'interno di una regolare maglia cardo-decumanica di derivazione ellenistica.A un'analoga impostazione planimetrica di forma regolare, nella quale si incontrano diverse tradizioni culturali, appartengono i c.d. castelli del deserto delle regioni a E di Damasco (i due Qaṣr al-Ḥayr) e a E del Giordano (per es. i Qaṣr di Mshattà, Kharāna, Minyā, al-Ṭuba), pure di fondazione omayyade, ritenuti un tempo residenze di caccia destinate allo svago di facoltosi dignitari, ma ora riconosciuti come insediamenti agricoli completi, che seguivano un modello regionale (con analoghi esempi di epoca tardoromana, ghassanide e bizantina), ripetuto del resto anche dal successivo castello abbaside di Ukhayḍir, in area mesopotamica meridionale.Dopo la caduta, nel 750, della dinastia omayyade in Oriente e la presa del potere da parte degli Abbasidi, la politica urbanistica si manifestò non solo nella scelta di un nuovo territorio, la Mesopotamia (più baricentrico rispetto all'impero e più vicino all'orientamento culturale e commerciale verso l'Asia), come sede delle loro capitali, ma anche nella deliberata decisione di operare una serie di successive fondazioni ex nihilo o quasi, caratterizzate da precisi schemi topografici, non sempre capaci del resto di rispecchiare la complessità dei contesti etnici e sociali cui erano destinati.Trascorso il primo periodo di incertezze, di capitali provvisorie, precarie o itineranti, alla ricerca del sito più opportuno (la c. di governo detta al-Hāshimiya fu spostata per ben tre volte nella prima metà del sec. 8°), l'evento urbanistico maggiore e più celebrato fu la fondazione, da parte del califfo al-Manṣūr, di Baghdad, portatrice di numerosi significati sia espliciti sia simbolici, tutti riassunti nel suo perfetto ma inestensibile perimetro circolare (di remota matrice mesopotamica e iranica, attestata da almeno una dozzina di esempi preislamici), e del resto precocemente abbandonata, forse a causa del crescente prepotere delle truppe mercenarie, e presto in rovina (come abituale nell'area, anche per la prevalente tecnologia costruttiva del mattone crudo e l'abitudine dei sovrani di abbandonare le sedi già costruite per fondarne di nuove) o comunque completamente cancellata dai disastrosi eventi successivi.Lo schema circolare fu ripreso in scala minore dal califfo Hārūn al-Rashīd nella scomparsa piccola c. palatina di Hiraqla, creata nell'806 (recentemente riportata alla luce nella sua pianta completa), e in parte nella seconda capitale, Raqqa (costruita a più riprese tra la fine del sec. 8° e l'inizio del 9°), con un'area centrale a forma di ferro di cavallo circondata da vasti sobborghi di più libera e articolata concezione.L'altra grande realizzazione urbanistica degli Abbasidi - destinata però a breve durata - fu Samarra, una nuova estesissima capitale del califfato sviluppata lungo il Tigri per oltre km. 30, ma priva di una precisa conformazione e perimetrazione, e proprio per questo espressione di una particolare fase culturale della prassi insediativa adottata dalla dinastia, basata sulla giustapposizione degli spazi necessari alle vaste dimore dei sovrani e alle attività del numeroso personale di servizio, di guardia e di parata, nonché di un complesso sistema di gruppi etnici e categorie professionali, ma concepite forse volutamente senza un disegno unitario e tantomeno senza spazi pubblici, bensì come entità edilizie segregate e intervallate da aree libere, in modo che non si trasformassero in una pericolosa struttura coerente e compatta.Agli Abbasidi si deve inoltre la trasformazione in c. islamica della capitale della Margiana, Merv, con innesto di nuove istituzioni e di nuovi elementi urbani nella struttura tradizionale centroasiastica preesistente, basata sulla classica tripartizione in cittadella del sovrano, c. del popolo, sobborghi dei mercanti. Durante la prima fase di disgregazione del grande impero abbaside si manifestò, soprattutto nella periferia, una serie di realizzazioni o creazioni urbane legate a diverse dinastie venute al potere localmente, per lo più a opera di governatori dichiaratisi indipendenti da Baghdad.Si possono ricordare per es. in Asia Centrale Bukhara, rifondata dai Samanidi (819-1005) grazie all'unificazione, entro una sola struttura, dei dispersi elementi di un preesistente nucleo tripartito ancora legato alla tradizione iranica e al mondo buddista; in Iran, divenuto l'area centrale dei vasti domini dei Buyidi sciiti, le due principali c. del Fārs, Shiraz, che rivaleggiava con Baghdad dotandosi di prestigiose istituzioni culturali e giardini suburbani, e soprattutto Isfahan, che si sviluppò a partire da un'antica c. doppia, formata dai borghi contigui di Yahūdiyya ebraico e di Jay sasanide, unificata nel segno dell'Islam con la creazione di un nuovo centro religioso, culturale e commerciale; in Afghanistan Bust e Ghazna, capitali dei Ghaznavidi (977-1186), che acquisirono il carattere di complesse compagini urbane formate dalla giustapposizione di numerosi elementi a sé stanti, secondo il modello mesopotamico, e Ghūr, capitale dei Ghuridi (1000-1215), che si articolava forse in più centri formanti un sistema urbano di ampiezza territoriale, segnalato tuttora a grande distanza dal superstite minareto di Jām.Nell'attuale area indo-pakistana (parzialmente passata all'Islam sin dai secc. 8° e 9° e conquistata dalle suddette dinastie afghane di ceppo turco tra i secc. 11° e 13°) si svilupparono, dall'innesto fruttuoso della cultura islamica su quella indù, le prime cinque capitali del sultanato di Delhi (Qa῾la Ray Pithora, Siri, Tughluqābād, Jahānpanāh, Fīrūzābād) e le capitali regionali dei sultanati indipendenti pre-Moghul (Lahore nel Punjab, Srinagar nel Kashmir, Gaur nel Bengala, Aḥmadābād e Champaner nel Gujarat, Dhar e Mandu nella regione di Malwa, Gulbarga, Bidār e Bījāpūr nel Deccan).Ai primi secoli del dominio abbaside inoltre occorre far risalire le fasi fondative, del resto non bene accertate, di alcune c. dello Yemen, come al-Janad (di cui resta solo la Grande moschea), Jibla (la cui struttura primaria sembra consolidarsi alla fine del sec. 11°), Zabīd (ricostruita e ampliata all'inizio del sec. 9° secondo uno schema di cui resta forse traccia nell'asse diametrale che accoglie le principali funzioni pubbliche) e Ṣa῾da (capoluogo della rigorista dinastia degli Zayditi, di osservanza sciita, fedele alla tradizione abbaside, che conserva tuttora le principali funzioni raccolte attorno alla Grande moschea fondata all'inizio del sec. 10°). Ciascuna di queste c. doveva assumere caratteri suoi propri e connotati figurativi regionali, i cui lenti processi di trasformazione sembrano attestati dalla persistenza a tutt'oggi di morfologie e tipologie urbane fortemente conservative.Altre realizzazioni urbane di questo periodo interessarono l'area nordafricana: in Egitto, nei pressi del quartiere militare di al-῾Askar ancora nominalmente abbaside, i Tulunidi (868-905), semindipendenti, fondarono il nucleo urbano di al-Qaṭā'i', di cui sopravvive solo la Grande moschea di Ibn Ṭūlūn; in Tunisia si realizzarono sotto gli Aghlabidi (800-909) lo sviluppo, da preesistenti matrici romano-bizantine o su schemi ortogonali a essi ispirati, di Tunisi, Sfax, Susa, Kairouan (cui si può aggiungere per analogia di impianto Tripoli, pur con caratteri suoi propri) e la creazione, secondo il modello delle residenze califfali mesopotamiche, di c. palatine quali al-'Abbāsiyya (il cui nome è un formale omaggio alla dinastia di Baghdad) e Raqqāda, satelliti di Kairouan (per le quali, data l'incompleta esplorazione archeologica, non si dispone ancora di un'adeguata lettura dell'impianto complessivo).Quasi nello stesso periodo, i rigoristi sovrani Rustamidi (777-909), di origine iranica, fondavano nel Maghreb centrale Tahert e Sedrata, create forse deliberatamente in luoghi inospitali e defilati, ma presto distrutte e abbandonate (salvo riprodursi più tardi nella pentapoli dello M᾽zab con capitale Ghardaia); in Marocco gli Idrisidi (789-926) unificarono con un atto ufficiale di rifondazione Fez, sorta come c. doppia per sinecismo di due comunità principali, provenienti l'una dalla Tunisia (Kairouanesi), l'altra dalla Spagna (Andalusi), dando luogo a una delle più vaste entità urbane dell'Islam, destinata a importanti sviluppi sotto le dinastie successive e specialmente a opera dei Merinidi (fondatori a loro volta di una nuova Fez adiacente alla prima), tra il 13° e il 15° secolo.Una fase di innovazione nella struttura stessa della c. islamica si manifestò con i Fatimidi (909-1171), i quali, per ragioni connesse con l'ideologia sciita e la pretesa discendenza muhammadica della dinastia e pur in aperta opposizione culturale e politica con gli Abbasidi, presero a conformare le loro c. - tutte nell'area mediterranea - secondo le esigenze di un fastoso cerimoniale di ispirazione orientale, incentrato sulla celebrazione del sovrano, con netta separazione tra la c. vera e propria, destinata agli abitanti, e la c. palatina, riservata al sovrano. Ne sono esempi Mahdiyya, fondata nel 916 sopra una penisola ben isolabile dall'entroterra, destinata ai sudditi e includente solo edifici ufficiali serviti da un sistema di ampi viali e piazze per cortei processionali e parate militari, e la c. del Cairo, fondata nel 969 anch'essa come c. di governo riservata al sovrano, al suo entourage e alle sue truppe fedeli: come è noto, entrambe queste strutture separate erano destinate, al crollo politico della dinastia, a essere presto occupate, pur nelle loro diversissime dimensioni, dai successivi sviluppi delle rispettive c. dei cittadini.Ai Fatimidi si deve pure la fondazione di c. palatine isolate, come per es. Ṣabra Manṣūriyya presso Kairouan, dotata di vasti parchi di delizie suburbani, analoghi a quelli realizzati nel contesto più verdeggiante dell'entroterra di Palermo (di cui resta una tardiva eco nel parco reale normanno detto Genoardo), nonché la creazione di un sistema di centri fortificati destinati al controllo del traffico carovaniero, nell'entroterra del golfo Sirtico, quali Madīnat al-Sulṭān e, con più evidente struttura difensiva, Ajdābiya.Tra gli altri centri urbani sorti nel periodo di formazione delle entità regionali del Maghreb, vanno ricordate le c. fondate nel Maghreb centrale tra 10° e 12° secolo. Alla dinastia berbera degli Ziridi (972-1148) si devono 'Ashīr - formata da un sistema policentrico, includente un nucleo abitato, e da due residenze reali (oggi in rovina) - e la fondazione di Algeri, destinata invece a svilupparsi nei secoli successivi e ad assumere il ruolo di capitale; gli Hammadidi (1015-1152) fondarono la Qal῾a dei Banū Ḥammād, a sua volta precocemente abbandonata, e Bijāya (od. Bougie), che conserva ancora elementi della sua fase fondativa; agli Ibaditi (discendenti dai Rustemidi, spostatisi in un'area più interna dopo la distruzione di Sedrata) si deve la strutturazione, tuttora leggibile, di Ghardaia e delle altre c. dell'inospitale regione dello M᾽zab. Queste ultime, pur prive di precisi atti di fondazione e in definitiva non ascrivibili a un determinato periodo, costituiscono solo gli esempi più noti di un complesso sistema di insediamenti urbani dei territori presahariani e sahariani, diffuso su un'area vastissima, dal Grande Erg occidentale al deserto libico, e dotato di particolari caratteri regionali e locali, che si sono talvolta conservati per più secoli nelle loro diverse tipologie urbane ed edilizie.Un capitolo a sé stante, apparentemente distinto almeno per la sua collocazione storico-geografica europea, forma la storia dell'urbanizzazione connessa con il passaggio all'Islam della Spagna e la conseguente rapida crescita delle c., avvenuta sotto gli acerrimi nemici degli Abassidi, gli Omayyadi di Córdova (756-1031).Occorre, tra le maggiori di queste c., ricordare anzitutto la capitale Córdova (dotata anch'essa di un sistema di residenze palatine nei dintorni), la cui Grande moschea testimonia, attraverso i suoi quattro ampliamenti, le rapide fasi di espansione demografica della c. tra la fine dell'8° e i primissimi anni dell'11° secolo. Si possono citare pure Almería, c. portuale e centro commerciale, il cui ampliamento topografico testimonia a sua volta la forte espansione economica che essa conobbe tra la metà e l'inizio del sec. 11°; Siviglia, c. in rapida ascesa, dal vasto porto fluviale sul Guadalquivir, sede di arsenale navale, fortemente sviluppatasi poi sotto gli Almohadi; Malaga, sul Mediterraneo, dotata anch'essa di arsenale e di un complesso apparato difensivo; a queste si aggiungono le c. della regione centrosettentrionale, tra cui emergono per importanza Saragozza, Valencia e Toledo.Le c. di quest'area, dunque, sedi di attivissimi sincretismi culturali e artistici tra le popolazioni arabo-islamica, ebraica sefardita e cristiana visigotica, non mancarono di costituire esempio, stimolo e riferimento per molte c. d'Europa allora in fase embrionale di sviluppo.Destinato a diverse fasi di crescita, sia durante il periodo di frammentazione politica dei regni delle Taifas (sec. 10°) sia con la ripresa a opera delle dinastie berbere degli Almoravidi e degli Almohadi (secc. 11°-12°), il sistema urbano della Spagna musulmana si arricchiva di un grandissimo numero di c. minori (per es. Teruel, Huesca, Tarragona, Jaca, Borja, Barbastro, Cáceres, Badajoz, Calatayud, Daroca, Albarracín, Murcia, Ronda, Valencia, Maiorca, Tudela, Játiva, Jaén, Denia, Alicante), ciascuna delle quali offriva la propria interpretazione di uno stesso modello urbano arabo-ispanico, basato su un'articolata e complessa organizzazione sociale, con forte e precoce sviluppo dei servizi cittadini, con calcolata distribuzione delle attività artigianali e commerciali e con ricercati effetti di positiva giustapposizione e convivenza armonica delle diverse etnie presenti, nonché dei rispettivi spazi all'interno della città. In molti casi le radicali trasformazioni operate nei secoli successivi alla Reconquista hanno però finito per cancellare gran parte dei caratteri urbanistici ed edilizi della fase fondativa islamica.L'ultima c., in ordine di tempo, ad assumere l'assetto islamico, del resto di breve durata, ancora una volta basato su una pluralità di quartieri e di funzioni esprimenti una proficua coabitazione di culture diverse, fu Granada, la capitale del regno dei Nasridi, che della sua fase finale conserva la generale distribuzione funzionale e soprattutto la quasi intatta cittadella palatina (Alhambra) con il contiguo sistema di giardini noto come Generalife.Agli Almoravidi (1056-1147), la dinastia berbera che per quasi un secolo si pose alla testa di un vastissimo dominio in Spagna e nell'Africa settentrionale, si deve non solo la fondazione di Marrakech, impostata secondo il modello classico con moschea e mercato al centro e una raggera di strade verso le porte della c., ma anche gran parte delle opere di consolidamento e di estensione della oramai unificata Fez al-Bālī, nonché i radicali interventi di ristrutturazione urbana, con potenziamento degli apparati difensivi, dei già esistenti centri di Meknès e Tlemcen. A questo stesso momento storico si possono pure far risalire le fasi fondative di gran parte del sistema insediativo fortificato dell'Atlante, destinato a numerose trasformazioni e rifacimenti che hanno tuttavia perpetuato per secoli gli originari modelli tipologici, riconducibili a due tipi di residenze (in arabo qaṣba e qaṣr) e ai granai-fortezza collettivi (in berbero igherm o tighremt).Alla missionaria espansione almoravide a S del Sahara si accompagnò una serie di installazioni urbane, soprattutto nelle regioni corrispondenti all'od. Mauritania; alcune di queste c. berbere (per es. Kombi Saleh, Aoudaghost) furono successivamente abbandonate, altre (per es. Azoughi, Wadan, Chingeutti, Tichitt) erano destinate a continuare a lungo la loro funzione di presidi e capisaldi dell'Islam.Anche la rigorista dinastia degli Almohadi (1130-1269), che soppiantò gli Almoravidi, si dedicò tra l'altro al potenziamento e al rinnovamento di gran parte del sistema insediativo del Maghreb, dando luogo a una vera e propria esplosione urbana, legata allo sviluppo dei traffici mediterranei e sahariani all'interno dei propri domini. Per il calcolo delle imposte, e per il controllo organizzativo di tutto il sistema insediativo, fu predisposta, per la prima volta nella storia del Maghreb, l'istituzione di un catasto urbano e territoriale. Tra le principali realizzazioni occorre ricordare - oltre ai citati interventi nella c. di Siviglia - le rifondazioni, con rifacimento di gran parte delle strutture difensive e di culto, di c. come Taza, che fu capitale provvisoria, e come Fez, Marrakech, Meknès, Rabat, che furono arricchite di nuove istituzioni di carattere sia religioso sia culturale.I Marinidi (1194-1465) si distinsero a loro volta come fondatori e costruttori di grandi centri urbani di intensa vita culturale, tra cui la nuova Fez (Fez al-Jadīd), eretta nel 1276 nelle adiacenze di quella già esistente, sotto forma di completa c. di governo con residenze e giardini, dotata di tutte le componenti di una grande c. amministrativa e militare. Anche il campo d'assedio eretto nel 1299 per espugnare Tlemcen (denominato auguralmente al-Manṣūra) fu dotato di tutti i requisiti di una c. stabile e divenne, seppur precariamente, un'entità vitale complementare della c. conquistata, potenziata nella sua funzione commerciale per i collegamenti carovanieri tra il Sahara e il vicino porto di Honain. Alla stessa dinastia si deve pure la fondazione all'inizio del sec. 14° di Tetuan, sorta con funzione difensiva rispetto agli attacchi spagnoli e presto divenuta centro di cultura e di commercio, animato (come nella vicina Chauèn, rifondata nel 1471) da importanti nuclei di Arabi andalusi profughi dalla Spagna, portatori di nuove forme di organizzazione dello spazio e della vita urbana.Sotto il califfato degli Hafsidi (1228-1574), padroni del Maghreb centro-orientale, fu dato un assetto di grande capitale alla c. di Tunisi, con forte sviluppo delle istituzioni assistenziali e culturali, soprattutto quelle legate alla politica sunnita dei sovrani, con l'ampliamento della cinta muraria urbana e del sistema difensivo e con l'ammodernamento della rete di rifornimento idrico a servizio di una popolazione in costante aumento. Anche in questa c. fu determinante il contributo di alcune minoranze, tra cui l'attiva comunità ebraica, residenti in quartieri propri, e soprattutto quello della prima grande immigrazione andalusa, già verso la metà del 13° secolo. Tra le nuove fondazioni di questa dinastia si può ricordare la ordinata cittadina portuale di Ḥammāmet, alla radice della penisola del Cap Bon.Una nuova serie di significative trasformazioni, se non proprio di nuove fondazioni urbane, si manifestò con la rapida espansione e l'avvento al potere, nell'area medio-orientale ancora nominalmente abbaside, delle dinastie militari di ceppo turco che succedettero ai Fatimidi e che si opposero vittoriosamente ai regni crociati nella regione siro-palestinese.Con gli Ayyubidi, restauratori dell'Islam, cui si deve tutta una linea di piazzeforti e siti fortificati in Palestina e in Siria, dal Sinai fino all'Anatolia orientale, la c. del Cairo fu dotata di una nuova struttura urbana, comprensiva di molte delle aree già urbanizzate nei secoli precedenti, ricondotte a unità grazie a un completo sistema di mura e fortificazioni facente perno sulla cittadella (che prese il nome da Saladino). Con i Mamelucchi la c. acquistò invece una nuova monumentalità attraverso la trasformazione del nucleo residenziale di alQāhira fatimide in un centro di attività di produzione e commercio di grande vitalità e vistosità, arricchito da numerose fondazioni culturali e assistenziali che contribuirono non poco alla formazione di un nuovo paesaggio urbano, giunto in gran parte sino a oggi.La lunga permanenza al potere di questa dinastia portò, nonostante le difficoltà interne, al potenziamento dell'apparato difensivo del territorio, minacciato dai Mongoli e dai Portoghesi, nonché dei servizi per l'organizzazione dei traffici carovanieri e di pellegrinaggio verso i luoghi santi, in diverse regioni del Mediterraneo orientale e del mar Rosso, ove, sia nello Hijaz sia nello Yemen, si consolidarono pure molte strutture urbane a opera di dinastie locali fedeli al Cairo: tra queste i Rasulidi (1229-1454) - e più tardi i Tahiridi (1454-1519) -, succeduti ai Sulahyidi (1047-1138), le cui c. accentuarono il proprio carattere islamico (centralità della Grande moschea, diffusione e ruolo delle madrase e dei mausolei dei santi nel tessuto urbano, sistemazione di grandi bacini di raccolta d'acqua, rafforzamento delle cinte murarie, strutturazione delle aree di mercato e dei quartieri ebraici).È il caso non solo di Ṣana῾ā᾽ (che conserva tra l'altro le mura ayyubidi della fine del sec. 12°, la stretta integrazione funzionale e spaziale tra mercato e Grande moschea e il sistema di giardini interni legati a istituzioni di culto) e di Ta῾izz (capitale del paese sotto i Rasulidi e da questi strutturata mediante un sistema di madrase monumentali che in parte si conservano), ma anche di tutto un sistema di centri provinciali minori, tra cui - tuttora evidenti per impianto, struttura e immagine medievale - Jibla, Ibb, Juban, Dhamar, Rada᾽, Ḥabāba, Thula, tutti dotati di sapiente organizzazione e conformazione delle strutture edilizie e degli spazi pubblici, che amalgamano anche formalmente sistemi difensivi di mura e cittadelle, sistemi di canalizzazione e raccolta dell'acqua, aree di mercato, edifici di culto e di insegnamento.In un contiguo ambito territoriale assunsero a loro volta struttura e forma organizzativa di c. islamiche complete sia i centri costieri - per es. Aden (descritta da Ibn Baṭṭūṭa), Shihr e Muṣallā - sia quelli interni dello Ḥaḍramawt, conservatisi quasi intatti sino a oggi, come per es. Tarim, Saḥyūn e Shibām, quest'ultimo impostato su una maglia planimetrica ortogonale inconsueta nella regione che l'ha fatto ritenere un esempio di c. pianificata secondo uno schema derivato da una tradizione regionale preislamica.A una ulteriore estensione della sfera di influenza e diffusione della cultura e vitalità urbana dell'Islam medievale occorre attribuire una serie di centri, sedi di comunità musulmane sin dai secc. 9° e 10° - il cui sviluppo è attestato dalle fonti, e in particolare da Ibn Baṭṭūṭa, che le visitò nella prima metà del sec. 14° -, sorti nelle aree costiere e insulari del Corno d'Africa e dell'oceano Indiano: tra le situazioni che consentono di ricostruire con maggiore esattezza i caratteri medievali originari si ricordano quelle di Gedi (Kenya) e di Kilwa (Tanzania), entrambe fiorenti sin dal sec. 13°, riportate alla luce dalla recente esplorazione archeologica.Un'altra importante serie di realizzazioni e ristrutturazioni urbane dell'Islam medievale fu quella operata nell'ambito delle grandi formazioni statali rette dai sovrani turchi selgiuqidi: al sultanato orientale si deve tra l'altro lo sviluppo di Merv nel Khorasan settentrionale, di cui si è già segnalata la fase abbaside, e in Iran la fondazione della nuova capitale Rayy, nonché il consolidamento, già avviato dai Buyidi, della struttura urbana di Isfahan. Gli interventi urbanistici più numerosi furono attuati nell'ambito del sultanato selgiuqide d'Occidente, detto di Rum, ove però, trattandosi di regioni già da tempo urbanizzate, i Turchi non fecero che addensare il territorio di agglomerati secondari, salvo dotare di nuove fondazioni culturali e assistenziali le c. già esistenti, a partire dalla capitale Konya, e potenziare la rete dei servizi urbani e territoriali (sistemi completi di strade imperiali dotati di ponti e caravanserragli monumentali), inclusi quelli di alcune c. portuali (per es. Alanya). Tra le non numerose creazioni ex nihilo si ricordano le residenze palatine di Qubadabad presso Beyşeir e di Keykubadiye presso Kayseri.Al periodo di dissoluzione dell'impero selgiuqide e di formazione delle entità statali indipendenti che si suddivisero il territorio occorre attribuire invece la struttura medievale, tuttora leggibile nei nuclei storici, di molte c. dell'Anatolia orientale, ciascuna con caratteri culturali e connotati topografici propri. Si può ricordare tra gli altri l'apporto degli Artuqidi, che lasciarono tracce edilizie importanti in c. come Diyarbakır, Mardin e Bitlis. In analoghe situazioni di alternanza dinastica e sincretismo etnico-culturale acquisirono in questo periodo struttura e forma di c. medievali orientali altri centri regionali di antichissima origine, in alcuni dei quali, come Erbil e Kirkuk, l'abitato occupa tuttora la pianeggiante sommità dei grandi tell di evidente morfologia troncoconica.Nell'area centrale e occidentale della penisola anatolica si svilupparono invece i capoluoghi (per es. Karaman, Manisa, Kühtaya, Aydın, Milas, Peçin-Kale, Selcuk, Kastamonu) dei c.d. beylicati o emirati indipendenti (Karamanidi, Mentesceidi, Aydinidi, Germiyanidi, Jandaridi, Saruhanidi), tra i quali finì per prevalere quello degli Osmanli, cui si deve la nuova strutturazione tardomedievale delle due capitali provvisorie: Bursa (presa nel 1326, distrutta da Tamerlano nel 1402, sede del governo sino al 1413) ed Edirne (presa nel 1362, dotata di palazzo nel 1365 e sede della corte nel 1366, anche se pochissimi degli edifici eretti entro il 1400 sussistono).Una nuova serie di importanti innovazioni nell'ambito della cultura urbana del mondo islamico medievale fu generata dalle distruzioni connesse con le invasioni dei Mongoli e dalle conseguenti ricostruzioni operate dalla dinastia degli Ilkhanidi (1256-1353), i quali, pur conservando a lungo abitudini e strutture abitative di tipo precario, reminiscenti delle remote origini nomadiche, si distinsero per nuove fondazioni urbane, interessanti più che per la struttura fisica (oggi in gran parte cancellata o modificata), per la complessa dotazione di istituzioni di tipo culturale e scientifico (per es. Marāgha) e di servizi e attrezzature assistenziali pubbliche (probabilmente di origine centroasiatica) che contribuivano a formare l'ambiente cittadino.Questo avvenne sia nella radicale trasformazione (1295) della prima capitale, l'antica c. di Tabrīz in Azerbaigian, includente la creazione di due centri satelliti, i quartieri suburbani di Ghāzāniyya e Rab'-i Rashīdī (ora scomparsi), sia nella fondazione di Sulṭāniyya, sorta all'inizio del sec. 14° come residenza stagionale e divenuta poi capitale e sede della corte del principe Öljeytü (destinata anch'essa a breve vita). A queste si possono aggiungere, in un'area geo-culturale contigua, le due principali c. costiere del mar Caspio, Derbent e Baku, rette da dinastie locali, che di tale periodo conservano gran parte delle cinte murarie e alcuni complessi monumentali.Quanto ai Timuridi (1370-1506), al fondatore della dinastia Tamerlano si deve la ristrutturazione, consistente in realtà in una radicale trasformazione, della già esistente Samarcanda, che a partire dal 1371 prese ad assumere, per volere e per intervento diretto del sovrano, il suo assetto monumentale e scenografico (del quale restano tuttora alcuni elementi) attestato dalle descrizioni dei primi anni del sec. 15° e destinato a consolidarsi a opera dei successori.Nello stesso periodo si realizzò pure il grande sviluppo in senso monumentale (includente vaste espansioni extraurbane) della già esistente Herāt, che conservò tuttavia la sua originaria pianta quadripartita, ritenuta dagli storici coevi di grande importanza strategica per la diffusione in area centroasiatica del modello greco-battriano, nel quale convergono i principi insediativi dell'urbanistica ellenistica e gli schemi urbani 'mandalici' della trattatistica sanscrita, già diffusi in area indiana.Analogamente a quello che avvenne in area turca con i primi Ottomani, i Timuridi anticiparono, con le loro realizzazioni, le nuove concezioni urbane basate su impianti topografici di grande respiro, polarizzati su edifici e complessi monumentali formanti talvolta spazi esterni architettonicamente definiti, secondo criteri progettuali che furono poi sviluppati dai Moghul e dai Safavidi, aprendo la strada a una fase moderna o 'rinascimentale' anche nell'urbanistica dei paesi islamici.
Bibl.:
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