Città
Paul Bairoch associa l'origine delle città a quella dell'agricoltura, mettendo così in rapporto tra loro le prime due forme di vita sedentaria. Si potrebbe anche cercare una prova a contrario di questa teoria nella instabilità delle prime città del Sahel africano, sorte nell'ambito di economie non ancora completamente strutturate secondo forme di vita sedentaria.
D'altra parte l'idea di città è legata a quella di potere, e in particolare di controllo del territorio. Quando la situazione lo richiede, la città è fortezza, luogo di sicurezza e quindi di attività che implicano la tesaurizzazione di materie e di unità monetarie idonee a permettere gli scambi: artigianato, commercio, ecc. È così che la città ci appare cinque millenni or sono nel Medio Oriente, prototipo di una discendenza che si diversifica nel bacino mediterraneo, dall'antichità in poi, secondo le attività dominanti e le risorse dell'ambiente. Non c'è una sola 'dinastia' di città, ma numerose serie lineari, tutte plurimillenarie, in India, in Cina, nell'America precolombiana e più tardi nell'Africa tropicale.
La città tradizionale dell'Europa mediterranea, che viene generalmente presa come modello in quanto è quella più conosciuta in considerazione della sua lunga storia, è un organismo a tre elementi attorno ai quali si ripartiscono le sue attività e si definisce il suo ruolo. Il primo è l'elemento sacro, che simbolizza la protezione degli dei e impone dei doveri collettivi, generatori di disciplina. Il secondo è l'elemento militare, o della sovranità, rappresentativo del potere e del possesso dello spazio dominato dalla città (l'elemento in cui si concretizzano i rapporti tra la città e la società e l'economia agricole). Il terzo è il mercato con i suoi annessi artigianali, luoghi dove si realizza l'economia specificamente cittadina: scambi e trasformazione di materie in oggetti. Nella misura in cui il mercato rappresenta il luogo della riunione funzionale della popolazione attiva della città, esso può divenire simbolo di democrazia, nel senso delle strutture politiche della società antica, ma può anche essere simbolo dell'affermazione dell'autorità del sovrano (per esempio la città spagnola con la sua plaza mayor). I tre elementi della città greca o romana dell'antichità sono riprodotti nella città musulmana del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale (con un lusso tutto particolare in Oriente): moschea e madrasa, cittadella e palazzo, sūq e quartieri artigiani, ivi compresi i quartieri per gli 'stranieri', i quartieri ebrei (hara o mellah).
Le tre componenti della città antica tendono a separarsi per poi ricostituirsi e raggrupparsi nel corso della lunga storia dell'Europa cristiana. Nel Medioevo il potere diserta le città e spesso le distrugge, o almeno le lascia cadere in rovina, per rifugiarsi nei castelli. La struttura materiale della fede si disperde nei monasteri, nelle chiese di campagna, nei luoghi di pellegrinaggio. Il commercio si arrischia solo in fiere periodiche. Poi, nel XIII secolo, gli elementi si saldano nuovamente tra loro: la città della fine del Medioevo è una città forte, che spesso rappresenta un contropotere rispetto ai castelli o è integrata in una nuova struttura della sovranità. La città si ricostituisce attorno alla cattedrale e alle sue chiese, protegge il suo mercato, che diventa permanente (anche se i periodi 'caldi' sono quelli delle fiere stagionali) e torna a essere un luogo di produzione. Le vicissitudini della storia, insieme alla diversità dei luoghi, privilegiano funzioni che diventano, attraverso i diversi stemmi, simboli della città e nello stesso tempo 'esprimono' lo spazio geografico che essa domina: Stato, principato, regione o frazione di regione. La simbolizzazione delle attività caratteristiche e dei rapporti spaziali rappresenta la conclusione di una storia più o meno lunga e di un'evoluzione più o meno continua.
Questa storia è stata modulata in modo più o meno vincolante dai vantaggi o dalle difficoltà delle condizioni naturali, condizioni che i geografi hanno distinto in posizione, su scala regionale (città-crocevia, città-ponte, città allo sbocco delle montagne, città di congiunzione, ecc.), e sito, su scala locale (città-forte che occupa una posizione dominante, città insulare, città d'estuario, ecc.). Questa storia, inoltre, ha segnato la città con un'impronta morfologica che si esprime in molti elementi: la sua pianta, la ripartizione delle sue componenti funzionali, la distribuzione della sua eredità monumentale, nel complesso un quadro che diventa a sua volta portatore di fattori favorevoli e di difficoltà.
Per molti secoli lo sviluppo delle popolazioni urbane, interrotto dalle guerre e dalle epidemie, ha continuato a procedere per fasi successive e irregolari, privilegiando le città di potere, le capitali politiche, e alcune città di relazioni (porti marittimi, centri commerciali o finanziari): Parigi, Londra, Napoli, Marsiglia, Genova, Amburgo, Francoforte, Milano, Lione, ecc. Gli ordini di grandezza della popolazione oscillano intorno ad alcune centinaia di migliaia di abitanti: all'inizio del XIX secolo le maggiori città europee si avvicinano appena al milione di abitanti (Parigi e Londra). La mortalità è elevata, lo sviluppo lento.
Le trasformazioni economiche connesse allo sviluppo industriale - e a tutte le attività indotte dall'industria nel settore dei trasporti (ferrovie e navigazione a vapore), del commercio e finanziario - sono accompagnate da una concentrazione ineguale della popolazione che privilegia le città delle regioni specificamente industriali e le metropoli. Nel 1900 Londra ha più di 6 milioni di abitanti, Parigi 4 milioni, Berlino 2,5, Napoli più di un milione. Nell'Europa occidentale e centrale vi sono una decina di città la cui popolazione supera il milione. Queste città hanno attività multiformi e presentano somiglianze funzionali tra loro, che però non cancellano completamente l'originalità dei luoghi e delle forme, eccetto quelle della vita sociale. A un livello inferiore, città di minore importanza e di dimensioni ridotte sono collegate alla capitale e alle metropoli da una rete di comunicazioni e di scambi che garantisce loro un rapporto di complementarità reciproca, quali che siano la loro ubicazione e la loro attività specifica (rete urbana).
Allo stesso tempo, la messa in opera di nuove tecniche di produzione rovescia i rapporti funzionali e numerici tra la popolazione delle città e quella delle campagne e determina, in luoghi fino a quel momento ignorati dalle formazioni urbane, degli 'ammassi' di popolazione per i quali occorre costruire infrastrutture abitative, di produzione, di consumo e di relazione che vanno a costituire una nuova generazione di città, senza rapporto né somiglianza con le città storiche. Nei casi estremi si determina addirittura una separazione tra i due tipi di città: in Germania, per esempio, tra le città feudali o universitarie del Baden-Württemberg, come Friburgo, Heidelberg o Tubinga, e le nuove città industriali della Ruhr, come Duisburg o Essen; in Francia tra Charleville e Béthune, ecc. Nella maggior parte dei casi si assiste alla trasformazione delle città antiche, accerchiate dallo sviluppo spaziale della nuova economia e dall'apporto delle attività che ne derivano, e all'accrescimento della popolazione per l'arrivo di immigrati venuti dalla campagna o da paesi stranieri.
L'eredità del passato è conservata più o meno bene, integrata in cicli di attività di un ordine diverso da quello entro cui era stata concepita, ma è, per questa ragione, alterata. La diversità dei processi e delle forme di vicinato o di penetrazione conserva, attraverso la rivoluzione industriale, le caratteristiche distintive delle città anche in paesi assai vicini tra loro, come Germania, Olanda, Inghilterra, Francia e Italia. Le varianti della storia contemporanea si uniscono a quelle della storia passata per assicurare alle città di ciascuno Stato o di ciascuna regione una personalità che emerge con chiarezza nei quartieri centrali per attenuarsi invece nelle zone periferiche di recente costruzione.
I fattori di diversità sono quindi di due ordini: culturale e funzionale. Fino alla metà del XX secolo l'eredità dei 'tempi lunghi' conserva inalterata la personalità delle città e dei sistemi urbani europei. Ogni Stato, ogni regione ha le proprie città che esprimono una cultura, inquadrano un certo tipo di vita: la città italiana, tedesca, inglese, della Francia orientale, del Midi, la città olandese, svizzera, ecc. La pianta, la distribuzione dei monumenti, il sistema di circolazione, sono altrettanti elementi originali che caratterizzano il centro cittadino. Le periferie hanno una personalità meno marcata, ma si integrano comunque in un paesaggio caratteristico di ciascun grande sistema regionale. È qui che si esercita in modo più marcato l'influenza dell'economia.
Il secondo fattore di diversità è la funzione urbana o il complesso delle funzioni urbane. Da circa mezzo secolo con questa espressione si intendono nel loro complesso le attività di produzione e commercio, di cultura e di formazione, di gestione regionale e, nello stesso tempo, la loro relazione dinamica con la vita dello spazio in cui esse si svolgono. Secondo quest'ottica le città sono classificate come città industriali, centri amministrativi, città universitarie, ecc., e per ciascuna di esse la 'scheda segnaletica' presenterà una gerarchia delle funzioni.
Ancora fino a poco tempo fa, era consuetudine affrontare i problemi delle città a partire dalla sola esperienza europea e mediterranea. Oggi invece è evidente a tutti che per migliaia di anni si sono sviluppati parallelamente molti tipi di città, e che altri se ne sono aggiunti in tempi più recenti prima che il modello europeo si espandesse in tutti i continenti attraverso quello americano.
Da molto tempo l'India possiede città fastose, centri religiosi come Amritsar o Benares, o capitali di Stati o di principati come Delhi, Ahmadabad o Madras. Il passato urbano della Cina è meno noto: è legato alle vicissitudini dell'organizzazione territoriale e all'instabilità degli imperi, ma gli europei fin dall'epoca di Marco Polo trovarono città 'autentiche' e animate come Guangzhou (Canton), Chongqing, Hangzhou. Anche il Giappone ha avuto assai presto le sue città: le più notevoli occupavano le stesse zone delle attuali Tokyo (Edo), Kyoto e Osaka.Se l'Africa tropicale è stata urbanizzata (parzialmente e localmente) solo in tempi relativamente recenti - alla fine del primo millennio della nostra era - in Sudan, Ghana, Nigeria, Africa orientale, l'America meridionale e l'America centrale hanno avuto civiltà urbane precoci, che si sono succedute sia sovrapponendosi le une alle altre, sia sostituendosi per spostamenti e per distruzioni delle città dei vinti. Le due principali aree della civiltà amerinda hanno conservato il ricordo e le rovine di città prestigiose: Teotihuacán e Tenochtitlán (in Messico) o le città maya dello Yucatán e del Guatemala.
Dovunque si presenti, la città ripropone sempre i tre elementi mediterranei unendo il sacro, il politico e l'economico. Luogo d'insediamento stabile, ma sempre sul chi vive, essa è per necessità luogo di produzione di armi, di oggetti e di strumenti necessari a una popolazione sedentaria, sempre fiera dei suoi monumenti: luoghi di culto, fortezze e palazzi.
Paradossalmente, il continente oggi più urbanizzato insieme all'Europa, l'America del Nord, non aveva conosciuto città nel vero senso della parola prima dell'arrivo degli europei. Le civiltà amerinde, caratterizzate da un'estrema mobilità, non avevano dato luogo a insediamenti stabili di una certa importanza.
Ogni grande famiglia di città - continentale o subcontinentale - ha forme e stili specifici, ma è solo quella dell'Europa occidentale che si è diffusa nel mondo intero attraverso la combinazione di due processi: la colonizzazione (a partire dal XVI secolo) e la rivoluzione industriale (a partire dalla metà del XIX secolo). Inoltre, due fattori concomitanti danno allo sviluppo urbano una dimensione nuova: da una parte la moltiplicazione, unita alla concentrazione, dei luoghi di scambio e di prelevamento; dall'altra la spinta demografica senza precedenti che scaccia da campagne sovrappopolate, sempre più sensibili alle incognite del clima, flussi crescenti di popolazione verso le città e, in particolare, verso quelle che sembrano offrire maggiori possibilità di vita. Queste città divengono dei poli di accrescimento illimitato per il cumularsi delle migrazioni e della crescita demografica. L'espansione urbana, che in Europa rappresentò un segno di cambiamenti positivi nella vita economica e sociale, un segno di sviluppo, è divenuta invece in alcune parti del mondo, e particolarmente in Africa, un segno di sottosviluppo.
Il trasferimento di potere, nei diversi processi di colonizzazione, implica la creazione di punti fissi, luoghi di residenza dell'autorità e di operazioni commerciali, punti di partenza per il controllo delle zone interne. Questi punti fissi possono essere delle città preesistenti, nate dalle civiltà e dalle strutture politiche ora dominate, oppure delle creazioni completamente nuove. Nel primo caso vi è la sovrapposizione di apporti funzionali e architettonici provenienti dall'Europa su un paesaggio urbano preesistente e originale, nel secondo la riproduzione in un ambiente estraneo del modello in uso nel paese colonizzatore. È la ripetizione, dopo 2.000 anni, della trasposizione della città greca in Sicilia e nell'Italia meridionale, la Magna Grecia, con lo stesso desiderio e la stessa ambizione - per imporre e consacrare il trionfo del conquistatore - di riprodurre il modello su una scala maggiore di quella iniziale. La città spagnola è trasposta in versione accresciuta nell'America centrale e meridionale, la città portoghese in Brasile, la città inglese nell'America settentrionale. Presto però forme indifferenziate si impongono su tutte le sovrapposizioni urbane degli europei, diventando a loro volta, a cominciare dagli Stati Uniti o dal Giappone, forme di città avanzate. La comunanza dei bisogni, delle funzioni e dei servizi fa delle città, dovunque esse si trovino, degli organismi simili tra loro: centri finanziari e commerciali, luoghi d'incontro, aeroporti, incroci ferroviari e stradali, scali marittimi, concentrazioni di uffici e di abitazioni, centri di soggiorno e di svago.
Il fatto di dover rispondere nel tempo più breve possibile a necessità sempre più impellenti, capaci di mobilitare grandi risorse, richiede un'accelerazione generalizzata delle costruzioni e un'utilizzazione ottimale delle superfici urbane. Per raggiungere questo obiettivo si fa ricorso a tecniche ormai standardizzate. In tutto il mondo sta sorgendo un nuovo tipo di città sotto la pressione di un aumento massiccio della popolazione urbana e per rispondere a una universalizzazione dei sistemi di relazione e di scambio.
L'aumento della popolazione urbana è più rapido di quello della popolazione mondiale. Questa è passata da 2,5 miliardi del 1950 a 5 miliardi nel 1987, mentre la popolazione urbana, che nel 1950 rappresentava solo il 30% della popolazione mondiale, oggi è il 42%, il che significa che è passata da meno di 800 milioni a 2 miliardi. Nel 1950 solo i paesi industrializzati avevano una forte struttura urbana, dove trovava posto circa la metà della popolazione, mentre le città dei paesi non industrializzati comprendevano soltanto il 17% della popolazione dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, cioè meno di 300 milioni. Oggi nelle città dei paesi industrializzati si concentra il 70% delle rispettive popolazioni, cioè circa 800 milioni di persone, mentre in quelle dei paesi non industrializzati, con il 30% della popolazione complessiva, si raggiunge 1 miliardo e 200 milioni. Si tratta del dato più importante della geografia umana degli ultimi decenni: per la fine di questo secolo le proiezioni della Divisione della popolazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite prevedono per l'intero pianeta una popolazione urbana che rappresenterà il 48,2% del totale mondiale, cioè 2,5 miliardi di persone, e quindi il triplo della popolazione urbana del 1950. Questo significa che le città avranno dovuto accogliere e alloggiare in cinquant'anni più di un miliardo e mezzo di persone (1,7). Quest'onere è stato finora di 350 milioni per i paesi industrializzati (con un accrescimento di circa il 40%) e di 900 milioni per i paesi non industrializzati (il che corrisponde a un aumento del 300%). La città, che fino alla prima metà del XX secolo rappresentava una forma di residenza e di vita specifica dei vecchi paesi europei (il primo nucleo dell'economia industriale) e della loro proiezione sul continente americano, rappresenta oggi invece, per il 60%, una realtà del Terzo Mondo.La brutalità dell'evoluzione, nella fattispecie la migrazione verso le città nei paesi in via di sviluppo, confrontata con il rallentamento dello sviluppo urbano (e in generale della crescita della popolazione) nei paesi industrializzati, produce una contrapposizione del tutto imprevista. Le città dei paesi industrializzati sono delle città vecchie, che hanno assorbito (non senza difficoltà) l'afflusso delle popolazioni durante i decenni intorno alla metà del secolo; le città dei paesi in via di sviluppo (del Terzo Mondo) sono invece città nuove che non riescono ad assorbire la totalità dell'afflusso di popolazione e sono accerchiate da insediamenti improvvisati e temporanei.
Fino alla fine del XIX secolo le città europee, e in una certa misura anche le città mediterranee africane e asiatiche, sono organismi strutturati in maniera semplice e uniforme. Il centro è il luogo dove si affermano i tre elementi originari, secondo una formula che esprime la personalità della città stessa. Il potere religioso si materializza nella presenza del santuario principale (nell'Europa occidentale la cattedrale e i suoi annessi), il potere politico nella residenza del principe o nella sede comunale, il potere economico nelle strade commerciali. È proprio nel centro che si afferma la filiazione storica di ogni 'famiglia' culturale di città.
Se l'immagine più nota di un centro cittadino italiano è quella della Piazza San Marco a Venezia, in realtà questa piazza richiama piuttosto la plaza mayor delle città spagnole. Il cuore delle città italiane, più 'intimo', è formato da numerose piccole piazze, ciascuna con un proprio monumento, un piccolo palazzo, una chiesa o un convento, sparse intorno al centro della città, costituito da giri di strade strette che costeggiano edifici aperti sui loro cortili interni, ma chiusi dal lato della strada, e sboccano all'improvviso in uno slargo, di fronte alla facciata di una chiesa o di un palazzo. La 'loggia' è il centro tradizionale per le riunioni dei notabili e per le comunicazioni alla popolazione.
La città francese, diversa per lo stile dei suoi monumenti più significativi e per il complesso delle costruzioni, può essere tuttavia paragonata a quella italiana; il centro si articola in diversi punti-chiave, ciascuno dei quali orientato su un monumento che costituisce il simbolo di una delle principali funzioni cittadine: cattedrale, palazzo del principe, municipio, mercato. Esso è stato nobilitato durante i grandi lavori di urbanizzazione del XVIII secolo che l'hanno provvisto di giardini, passeggiate e costruzioni di prestigio: a Bordeaux le Quinquonces, a Montpellier il Peyrou, a Poitiers Blossac, a Nancy la Place Stanislas. Seguendo la morfologia dei luoghi, il fiume delimita il centro cittadino o ne rappresenta l'asse monumentale (come a Parigi), sempre utilizzato come facciata del prestigio urbano. Tutto intorno, in ciascuna città francese, come in ogni città italiana, si distribuiscono i quartieri antichi, ciascuno dei quali ha un suo nucleo, sul tipo di quello centrale, anche se su una scala più limitata e con un'impronta più specifica, legata alle attività e alle caratteristiche sociali del quartiere.Con stili diversi questo modulo si ripete in tutta l'Europa: con la grand'place nei comuni urbani del Belgio e dei Paesi Bassi, dove l'edificio principale è il municipio, con le 'gallerie' nelle città dell'Italia settentrionale, con gli angoli più intimi tra una piazzetta e l'altra, tra una chiesa e un monumento delle corporazioni, nelle città svizzere e tedesche. L'intero complesso, che spesso era circondato da bastioni, è ancora chiuso da viali a forma d'anello che separano la città vera e propria dalla periferia urbana. Il centro si ritrova in tutta l'Europa di cultura germanica, dall'Austria ai Paesi Bassi, dove si opera la convergenza con la tradizione spagnola: la Hauptplatz, generalmente circondata di monumenti del XVI, XVII e XVIII secolo, riunisce il municipio (Rathaus), il palazzo di giustizia, la cattedrale, la sede delle corporazioni mercantili, a volte in stile 'rinascimento' (il Graben di Vienna o la Maximilianplatz di Augusta), a volte in stile gotico o neogotico nelle Fiandre, o in stile barocco nella vecchia Praga.
La stessa disposizione del nucleo urbano prosegue a est, in Polonia, con la piazza centrale della vecchia Varsavia (ricostruita dopo le distruzioni della guerra) e con la piazza del mercato di Cracovia. I lavori di modernizzazione ripetono, rendendoli ipertrofici, gli schemi tradizionali (per esempio nel caso della Piazza della Costituzione a Varsavia).
Spingendosi più lontano, il modello urbano cambia con le articolazioni a incastro delle cinte fortificate delle città che furono esposte per molto tempo alle incursioni degli invasori asiatici. Il nucleo è costituito da una cittadella, un kreml', le piazze laterali sono campi di manovra, prima di divenire luoghi per dimostrazioni militari (la Piazza Rossa di Mosca), e i luoghi sacri sono sparsi in angoli discreti e solidamente protetti.
Durante il XIX e il XX secolo la funzione del centro cittadino cambia dimensione piuttosto che natura. La moltiplicazione degli affari, conseguenza dello sviluppo dell'industria e del commercio internazionale, conferisce un diverso significato al ruolo del mercato: il centro cittadino diviene soprattutto un luogo di scambi 'astratti', di speculazioni finanziarie, un luogo frequentato per incontri d'affari, per la presentazione di modelli o di prototipi, per negoziati relativi a processi di fabbricazione o investimenti importanti. Il centro è riadattato per rispondere a bisogni di tipo nuovo, bisogni più esogeni che endogeni: alberghi, strutture per il tempo libero, banche, agenzie commerciali e turistiche invadono sempre più il centro storico, sostituendosi all'immagine ormai superata del vecchio mercato con il suo pullulare di botteghe artigiane.
Oggi non c'è più originalità culturale ma, al contrario, un paesaggio urbano universale, dove la natura banalizzata del servizio immediato prevale sulla personalità culturale dei tempi lunghi. Progressivamente sovraccaricato, il centro cittadino raccoglie le sedi delle funzioni esercitate dalla città nei confronti del suo territorio (la sua regione) e verso l'esterno (Stato, paesi stranieri). Più queste funzioni crescono d'importanza, più respingono le abitazioni verso la periferia. Originariamente il centro riuniva tutte le funzioni della città, tra cui quella abitativa, ma col passar del tempo si opera una netta separazione tra amministrazione e affari (rimasti nel centro) e le abitazioni, che si diffondono invece all'intorno. Nel corso di questo processo di specializzazione il centro vede accrescersi il suo ruolo di immagine della nuova identità cittadina, che si concretizza nel suo traffico, nella folla, nei nuovi edifici creati per questo ruolo (borsa, banche, esposizioni) e nei loro corollari - luoghi di svago e di breve soggiorno - che tendono a eclissare, almeno parzialmente, i monumenti caratteristici di un passato ormai sepolto.
Con alcune eccezioni, le zone limitrofe destinate alle abitazioni sono caratterizzate dalla banalità, nonostante le condizioni dettate dalla topografia e dall'ambiente naturale contribuiscano a creare una gerarchia tra i quartieri migliori, ricercati dalle classi sociali benestanti, e i quartieri più disagiati o le zone occupate dall'industria con il suo complesso di abitazioni operaie. Quando non vi sono ostacoli materiali, l'insieme si presenta con una sua coerenza: nelle vecchie città europee è spesso disposto in cerchi concentrici, che corrispondono alle diverse fasi d'espansione, separati tra loro dai ruderi o dalle tracce di antiche fortificazioni.
Al di fuori del centro cittadino vero e proprio, che coincide ormai con il nuovo nucleo funzionale (quello che gli autori anglosassoni hanno chiamato central business district, indicandolo spesso con la sigla CBD), e al di fuori dei quartieri residenziali che gli sono tradizionalmente collegati, la crescita della popolazione e l'evoluzione nelle tecniche delle nuove attività urbane, che richiedono sempre maggiori spazi per l'amministrazione, i servizi, lo stoccaggio delle merci, la circolazione e, a maggior ragione, per le industrie, hanno provocato l'occupazione a tappe di spazi periferici sempre più estesi.
Le città del Medioevo disponevano spesso di zone agricole al di là dei bastioni e, spesso, anche all'interno dello spazio fortificato (in alcune città italiane o, in Francia, ad Avignone) per poter fronteggiare le eventualità di un assedio. Questa cintura agricola ha rappresentato la prima zona d'espansione delle città sotto forma di sobborghi (faubourgs). Originariamente il sobborgo costituisce un'appendice della città al di fuori del suo ambito giuridico specifico, che gode però di alcuni privilegi come contropartita del controllo esercitato su di esso dall'amministrazione municipale. La sua forma classica è quella del sobborgo a 'testa di ponte', a fronte di una città costeggiata da un fiume (per esempio le città della Loira, Orléans, Tours), e, in generale, è dislocato lungo una delle strade di uscita dalla città verso la campagna e verso le altre città. Progressivamente l'amministrazione cittadina ha inglobato i sobborghi, che sono stati integrati nello spazio urbano. Una nuova forma di espansione urbana, al di fuori del quadro originario, è rappresentata - nel XIX secolo - dalla costruzione di quartieri dove passavano o arrivavano le ferrovie, quando queste, per ragioni tecniche o politiche, non arrivavano nel centro della città.
Lo sviluppo dell'industria e l'applicazione delle tecniche industriali ai servizi urbani, e poi l'aumento della circolazione in tutte le sue forme, hanno nello stesso tempo esteso e modificato l'organizzazione dello spazio urbano. Fabbriche, depositi di carbone, officine a gas, hanno trasformato il paesaggio urbano nel corso della seconda metà del XIX secolo, soprattutto nelle regioni in cui le città si sono trovate ad avere una vocazione industriale per la presenza di risorse locali sotto forma di combustibili o di minerali. Queste attività industriali del XIX secolo comportano anche una utilizzazione intensiva della manodopera, e vi è naturalmente un rapporto diretto tra le dimensioni dell'industria e il numero degli operai (e quindi degli abitanti).
Quando la città preesistente occupava già interamente tutto il suo spazio, e anche per ragioni pratiche di diverso tipo, la costruzione delle fabbriche e delle officine era accompagnata da quella dei quartieri operai. La società del XIX secolo è una società dura, che concede al lavoro soltanto salari di pura sussistenza: l'abitazione operaia è quindi un'abitazione economica e uniforme, standardizzata, realizzata con materiali poco costosi, generalmente mattoni. Quando l'industria prospera, i quartieri operai si allargano e arrivano a circondare più o meno completamente la città storica, come è avvenuto, per esempio, nella maggior parte delle città dell'Inghilterra occidentale e delle Midlands, o nella bassa Renania, o ancora in tutto il bacino carbonifero franco-belga.All'inizio del XX secolo le città europee sono, di fatto, delle città socialmente settorializzate, esclusivamente su basi qualitative: quartieri di lusso e quartieri operai, o quartieri poveri, per designare i quali si conserva talvolta il termine di 'sobborgo', che ha perso però ogni significato spaziale.
Le città del Maghreb hanno una settorializzazione derivata dal diritto consuetudinario, che in Europa si registra soltanto nell'antico Impero austriaco e nell'Impero russo con la creazione dei ghetti per gli ebrei fino al XVIII secolo. Si tratta in realtà di realizzazioni che conservano uno schema spaziale creato dai Greci dell'epoca classica, quando avevano tenuto fuori dalla città (πόλιϚ) e dalla comunità giuridica gli immigrati - gli stranieri - che dovevano vivere 'attorno': i πεϱίοιχοι, i perieci. Il piano e l'organizzazione si complicano quando la città-madre comincia ad articolarsi essa stessa in più unità attorno a nuclei diversi e successivi, come a Fez o a Marrakesh. Ma lo schema generale resta quello della città-madre, la Medina, la città per eccellenza, con quartieri protetti, che sono anch'essi quartieri per i perieci (per esempio - a Tunisi - ebrei, cristiani, maltesi o, in genere, europei). Infine non si può non pensare al caso-limite, il caso critico dell'associazione impossibile: Beirut.
Nella nostra epoca la prima spinta di crescita urbana che spezza i ritmi lenti e unitari del passato è quella del periodo che intercorre tra le due guerre mondiali. La ricostruzione nei paesi usciti dalla guerra e lo sviluppo dell'economia, che prosegue fino alla crisi degli anni trenta, accelerano l'esodo dalle campagne e la concentrazione della popolazione attiva nelle città, in particolare le città più grandi e quelle delle regioni industriali dove il carbone, la siderurgia, le attività indotte del settore delle costruzioni e dei lavori pubblici attirano la manodopera: la regione mineraria inglese, i bacini carboniferi della Francia settentrionale e del Belgio, quello della Ruhr in Germania e i porti marittimi. La concentrazione delle attività di direzione e di gestione finanziaria in prossimità del potere politico intensifica le correnti migratorie verso le capitali e le grandi metropoli: Londra, Parigi, Milano.
A questo punto il quadro urbano risulta superato e le città tendono a scoppiare. Nel momento stesso in cui la pressione demografica e l'incremento di tutte le attività e dei servizi centrali creano delle contraddizioni insolubili tra la vocazione alla centralità e le capacità recettive del centro tradizionale si determina anche una rivoluzione nelle tecniche di costruzione. L'introduzione del cemento armato e del vetro permette di superare quella che prima era considerata l'altezza massima delle costruzioni. Si passa d'un colpo da edifici di 5/6 piani a grattacieli di 20/30 piani. Allo stesso tempo, questa crescita in altezza della massa centrale urbana rappresenta un simbolo di trionfo economico. Le maggiori banche, le più grandi agenzie commerciali, i più importanti alberghi si spingono più in alto dei campanili delle cattedrali. Se non si può costruire un grattacielo, si deve almeno, per assicurarsi una certa immagine, affittarvi un ufficio o una vetrina.Inoltre, dal momento che la zona è così affollata che non è più possibile arrivare al centro degli affari in automobile, si è costretti a scegliere fra tre soluzioni. La prima è quella, un po' spettacolare, che prevede che il centro sia deliberatamente riservato alla sola circolazione dei pedoni, i quali, da frustrati che erano precedentemente, diventano così dei privilegiati, a condizione però di lasciare la loro vettura in un parcheggio periferico a pagamento. La seconda soluzione richiede la creazione di parcheggi sotterranei in diversi piani al di sotto del grattacielo. L'ultima, infine, consiste nella demoltiplicazione del centro e nella creazione di nuove zone di prestigio (prestigio sempre legato, almeno in parte, all'altezza e alla modernità delle costruzioni).
Le nuove zone di richiamo saranno collegate al centro tradizionale da strade di rapida comunicazione sotterranea o sopraelevata. Nella misura del possibile occuperanno aree privilegiate per la loro posizione: o perché topograficamente dominante o perché messa in risalto dal distacco offerto dagli argini di un fiume. Operazioni di questo genere sono state realizzate a Londra per salvare la City da ingorghi cronici e asfissianti, e a Parigi con la laboriosa realizzazione della Défense. In entrambi i casi si è proceduto recuperando una parte dei lungofiume da attività industriali e commerciali che sono state trasferite al di fuori delle città. In questo modo si garantisce un posto alle attività commerciali, ma si aggrava la frattura tra la localizzazione delle attività da una parte e le possibilità residenziali della popolazione dall'altra.L'intensificazione e la moltiplicazione delle linee ferroviarie intorno ai centri urbani favoriscono l'estensione del territorio urbano e, più in particolare, delle zone residenziali in prossimità delle linee ferroviarie. L'unità spaziale tra lavoro, tempo libero e vita privata, e abitazione, che era caratteristica della città del passato, è ormai rotta; fra i tre momenti della vita di un abitante della città - tempo di lavoro, tempo per la vita privata, tempo di riposo - s'inseriscono i tempi di percorso. Lo spazio urbano che si sostituisce allo spazio della città vera e propria è uno spazio dislocato in zone specializzate, valorizzate in modo ineguale. La popolazione diviene cronicamente mobile ed è costretta a spostamenti alternati (i Pendelwanderungen degli urbanisti e dei sociologi tedeschi).
Le zone d'abitazione periferiche che hanno ricevuto in Francia il nome di banlieues, presentano due tipi di abitazioni: collettive, dislocate in edifici più o meno alti (di solito dai quattro ai sei piani) e costruite per lo più in località industriali per ospitare gli operai in prossimità dei loro luoghi di lavoro (come avviene nelle zone di recente industrializzazione dei bacini minerari); individuali, costruite generalmente con mutui o sovvenzioni e, in Germania, con l'intervento di società affiliate ai gruppi industriali o di cooperative (Arbeiterkolonien). Secondo i diversi tipi di costruzione e, soprattutto, secondo la destinazione delle abitazioni, i diversi settori della periferia si caratterizzano socialmente. Le periferie a maggiore densità abitativa presentano insieme abitazioni operaie e industrie, costituendo dei nuclei omogenei di habitat proletario, nuclei che sono stati, soprattutto nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, teatro di azioni di massa caratterizzate da finalità diverse in Francia, in Germania o in Italia. I settori con abitazioni individuali sono stati creati in parte per favorire lo sviluppo della piccola borghesia, una classe medio-bassa formata da piccoli proprietari. Le zone più piacevoli e protette si prestano alla creazione di quartieri periferici migliori, dove si concentrano - in costruzioni di tipo molto diverso, edifici di lusso e case unifamiliari collocate in parchi e giardini - quanti appartengono alle classi più fortunate.
L'appesantimento della struttura urbana e la diversificazione nell'utilizzazione dello spazio urbano fanno perdere alla parola 'città' il suo significato specifico. Si esita ad applicare questo termine a un insieme di abitazioni collegate a una miniera o a un'officina, ma prive di una struttura monumentale o municipale che possa assicurare loro una personalità. Questa osservazione vale anche quando si tratta di parecchie decine di migliaia di persone, perché mancano gli elementi costitutivi di un centro culturale e funzionale, senza i quali non si può parlare di città.
Allo stesso modo non risponde più alla definizione e all'uso tradizionale del termine 'città' un insieme eterogeneo, che associa una città tradizionale a diverse unità ausiliarie (zone industriali e abitazioni operaie, quartieri residenziali di persone che lavorano al centro nel settore terziario) più o meno separate da spazi non ancora integrati nel sistema urbano. Il riconoscimento di fatto dell'eterogeneità di questo insieme, attraverso la ripartizione degli spazi urbanizzati su territori che hanno amministrazioni autonome e separate tra loro, sanziona la perdita di unità della città, anche se le necessità legate ad alcuni servizi impongono un certo coordinamento nella gestione.
È stato quindi necessario inventare una nuova terminologia per indicare le nuove forme di occupazione dello spazio urbano. Su un piano puramente descrittivo la città e le sue dipendenze periferiche, banlieues, lottizzazioni a villini o concentrazioni di grandi immobili, formano un''agglomerazione'. L'associazione delle amministrazioni municipali per la regolamentazione delle questioni d'interesse comune (viabilità, reti di tipo diverso, distribuzione dell'acqua, del gas, dell'elettricità, fognature, nettezza urbana, telecomunicazioni, ecc.) e per la pianificazione degli ulteriori sviluppi nell'utilizzazione dei terreni dell'area urbana, costituisce una 'comunità urbana'.
Quando invece il sistema urbano raggruppa più città di dimensioni simili e più o meno complementari tra loro, ciascuna con la sua periferia, gli autori inglesi hanno proposto il termine di 'conurbazione', che è stato adottato anche in Francia (in particolare per il gruppo urbano Lille-Roubaix-Tourcoing).
I censimenti della popolazione tengono conto in modo ineguale delle forme di occupazione del suolo. In Germania i censimenti vengono effettuati dai comuni, circostanza questa che non permette di evidenziare la realtà dei raggruppamenti urbani tra più comuni e tende altresì a ridurre la percentuale statistica della popolazione urbana rispetto alla realtà. In Francia l'Istituto nazionale per la statistica e gli studi economici, che ha l'incarico di occuparsi di questo tipo di indagini sulla popolazione, associa la raccolta dei dati per comune e per cantone a quella per raggruppamenti concreti di unità urbane. In Gran Bretagna è stato introdotto il concetto di metropolitan area, concetto che coincide all'incirca con quello di agglomerazione dal punto di vista descrittivo, e con quello di comunità urbana dal punto di vista amministrativo. Tuttavia la diversità di metodo con cui i differenti paesi procedono al censimento della popolazione urbana rende assai difficile procedere a confronti tra i raggruppamenti urbani.
A maggior ragione i problemi si complicano quando si vada al di là dell'Atlantico. Nella città americana, nel corso della prima metà del XX secolo, si sono sviluppati contemporaneamente i centri cittadini (che qui corrispondono ai central business districts - CBD - o alle downtowns, per assimilazione alla ripartizione delle funzioni del centro di New York) e vastissime aree di abitazioni unifamiliari con infrastrutture leggere di servizi d'interesse locale e di centri commerciali, aree raggiungibili inizialmente con la ferrovia e poi, prima che in Europa, con l'automobile personale. Il binomio centro funzionale, costruito in altezza, e larghi spazi residenziali diventa la forma ripetuta all'infinito della città americana. L'immagine più netta la si può avere sorvolando di notte le città, quando si possono ben distinguere i CBD, con le luci multicolori delle insegne pubblicitarie, e le linee geometriche puntiformi formate dalla lampada esterna di tutte le case unifamiliari.
E tuttavia l'evoluzione della città non è ancora finita: gli esperti di statistica prevedono infatti, per i soli paesi industriali, un incremento della popolazione urbana di circa il 10% tra oggi e l'inizio del XXI secolo; e tutto questo quando la popolazione già 'accumulata' nelle città, e soprattutto nelle più grandi, soffre per la carenza di abitazioni. A maggior ragione questi problemi sono lontani da una soluzione nei paesi non industrializzati, dove vi sono fenomeni di urbanizzazione galoppante.
Dal momento che nelle previsioni correnti si dice che nei paesi industrializzati quasi l'80% della popolazione sarà concentrata nelle circoscrizioni urbane (il 77,7% secondo le previsioni delle Nazioni Unite), è lecito chiedersi se a quel punto la città non s'identificherà con la forma comune, per non dire universale, di residenza, con una completa trasformazione dei rapporti città-campagna. Esempi di territori integralmente asserviti alla città esistono già, su scala diversa: nell'America settentrionale con la megalopoli del nord-est degli Stati Uniti, in Europa con la Randstad Holland o con la regione urbana della Ruhr, in Asia con la metropoli di Tokyo.
Il geografo Jean Gottmann ha proposto il termine di 'megalopoli' per indicare l'insieme urbanizzato che si espande senza interruzioni da Boston fino a Washington, e ha esteso successivamente l'uso di questo termine a sei 'formazioni metropolitane' con più di 25 milioni di abitanti. Si tratta di costellazioni urbane a nuclei multipli, che si estendono per distanze che variano da alcune decine ad alcune centinaia di chilometri, integrando spazi intermedi che diventano anch'essi spazi utili per l'economia e la società urbana, aree di servizio, di deposito, linee ferroviarie, autostrade, svincoli, centri commerciali con relativi parcheggi, aree per lo sport, parchi per il tempo libero, riserve forestali, giardini zoologici, aeroporti. Inoltre il concetto spaziale di megalopoli comprende anche la frangia verde che contorna i corridoi densamente costruiti collocati lungo gli assi di comunicazione. È quindi, nel complesso, un ambiente organizzato per dare al cittadino l'illusione di trovarsi 'altrove', mentre si tratta in realtà di un'occupazione totale del terreno da parte della città, ovvero, più esattamente, da parte delle città, che costituiscono i nuclei della costellazione.
La spinta alla megalopoli coincide, nel tempo e nello spazio, con un'evoluzione sociale che permette agli abitanti un genere di vita più libero, una maggiore mobilità, più tempo libero, possibilità più varie di svago fuori città. È necessario quindi dividere lo spazio tra le diverse forme di utilizzazione che i cittadini sono chiamati a praticare. In questa nuova situazione non vi è più, evidentemente, posto per la 'campagna', se non come spazio complementare e utilitario integrato al sistema urbano. La città è tutto.
Questa è l'immagine offerta come modello di riferimento dalla megalopoli della costa nordorientale degli Stati Uniti: 600 chilometri da nord-est a sud-ovest, 40 milioni di abitanti, quattro agglomerazioni con più di un milione di abitanti, dominate da New York (che supera i 12 milioni), una densità superiore ai 250 abitanti per kmq, un pullulare di centri urbani intermedi, un intreccio di autostrade e ferrovie di grande traffico, aeroporti disposti a scacchiera.
Questa megalopoli può essere concepita come la prefigurazione dell'occupazione dello spazio da parte di una popolazione per tre quarti o per quattro quinti urbanizzata, agli inizi del XXI secolo, nei paesi industriali. La scala può variare, ma il contesto resta lo stesso anche per gli altri esempi già realizzati: tra Stati Uniti e Canada la megalopoli dei Grandi Laghi, dove le città raccolgono più di 25 milioni di abitanti in una rete continua che va da Chicago fino a Montreal; in Europa, su scala minore, la Randstad Holland e la Renania; in Estremo Oriente, la regione urbana di Tokyo.
I Paesi Bassi costituiscono la regione più urbanizzata dell'Europa occidentale, con una densità superiore ai 400 abitanti per kmq per l'insieme del territorio, e di circa 1.000 abitanti nelle zone industriali. Si lascia una città soltanto per entrare in un'altra. La successione è ininterrotta da Dordrecht, a sud, fino ad Amsterdam e IJmuiden a nord: su una distanza di un centinaio di chilometri si trovano due città con più di un milione di abitanti, Rotterdam e Amsterdam; una terza di 700.000 abitanti, L'Aia; una mezza dozzina di città tra 100 e 250.000 abitanti, Dordrecht, Delft, Leida, Haarlem, Velsen-IJmuiden e, poco distante, Hilversum, sulla strada della grande città vicina, Utrecht, con una popolazione vicina al mezzo milione.
Negli spazi intermedi tra una città e l'altra non si sa se si debba parlare di campagna o di giardino. In ogni caso non si tratta più di un'agricoltura per l'alimentazione, ma di un'agricoltura di lusso e da esposizione, nella quale si sarebbe tentati di vedere semplicemente un ornamento dell'ambiente, una fonte di ossigeno, un posto per passeggiate dove acqua e terra si uniscono. Tra una città e l'altra sempre autostrade, ferrovie percorse da un traffico regolare di treni simili a una metropolitana, che assicurano in meno di un'ora il collegamento tra Rotterdam e Amsterdam: un insieme urbano denominato Randstad Holland, cioè la 'città anello' dell'Olanda, per il quale ci si domanda dove sia la città.
In questo caso la storia ha peso sufficiente perché ciascun elemento della Randstad abbia conservato una propria identità, sia le tre grandi città come anche quelle intermedie. Rotterdam, per esempio, è un porto mondiale (il primo per volume di traffico), con la sua struttura finanziaria e commerciale, le sue installazioni industriali soprattutto in campo petrolifero, il suo centro completamente ricostruito dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale e attrezzato per la circolazione a piedi (Lijnbaan); L'Aia è sede del governo e città di lusso che richiama l'epoca delle grandi fortune coloniali realizzate in Indonesia, con la città ufficiale del Binnenhof, il museo del Mauritshuis e i verdi quartieri residenziali, fino alla spiaggia di Scheveningen; Amsterdam, la capitale appena separata dall'Harlemmeer, è la città dei canali, oggi circondata da quartieri residenziali banalizzati da immobili di quattro o cinque piani che si dividono il terreno, sempre più raro, con le case unifamiliari aperte sui prati. E tra l'una e l'altra le città fortemente segnate dalla loro storia, la loro struttura e le loro attività caratteristiche.Il Tokyo Metropolitan Government, costituito nel 1943 per dare unità amministrativa alla capitale giapponese, ha competenza su circa 12 milioni di abitanti. Controlla economicamente e amministrativamente un aggregato continuo di città gigantesche: Kawasaki (con oltre un milione di abitanti), Yokohama (più di due milioni e mezzo), Chiba (650.000) e altre città o zone urbanizzate in continua trasformazione, collegate tra loro con strade e ferrovie a servizio continuo e per mare. Un totale tra 20 e 25 milioni di abitanti, che dividono il loro tempo tra lavoro industriale, attività terziarie e una circolazione ininterrotta, in un complesso dove la campagna è praticamente scomparsa, ma il verde è conservato come forma ricercata di ornamento.
In Giappone la congestione urbana ha avuto come effetto una crescita nelle tre dimensioni: progressivamente le piccole case fragili dove si ammucchiavano le famiglie hanno ceduto il posto a costruzioni sviluppate in altezza, realizzate non solo per ospitare centri commerciali e servizi, ma anche per offrire nuovi tipi di alloggi. Il centro tradizionale di Tokyo sopravvive nel palazzo imperiale e nel suo parco, nei quartieri di lusso di Chiyoda e Kanda a nord, e Minato a sud, che conservano i monumenti storici, ma le costruzioni sviluppate in altezza hanno occupato tutto il centro commerciale e avanzano progressivamente accompagnando gli insediamenti industriali delle città annesse alla megalopoli.
Amministrazioni comunali e governi, sia pure su scale diverse, si trovano di fronte a una scelta: lasciar avanzare un'evoluzione spontanea, talvolta selvaggia, dell'occupazione dei suoli e della ripartizione delle diverse componenti dei complessi urbani, o prevenire la proliferazione delle città e pianificarne lo sviluppo. L'Italia ha risposto a questa domanda, all'indomani della seconda guerra mondiale, proponendo che lo sviluppo urbano venisse sottoposto al controllo dei piani regolatori (Milano, Roma, Napoli). Per alcuni anni la politica urbanistica inglese si è concentrata sul controllo dello sviluppo della Grande Londra (Greater London) che, all'epoca, sembrava battere tutti i primati di crescita urbana. La soluzione adottata è stata quella di indirizzare una parte degli afflussi di popolazione diretti verso la capitale nelle new towns, le città create ex novo nelle periferie; contemporaneamente il termine 'urbanistica' riprendeva posto nei discorsi ufficiali. Nel XVIII secolo, e ancora nel XIX (per esempio in Francia all'epoca di Haussmann), l'urbanistica si confondeva con grandi lavori di abbellimento e di risanamento dei centri cittadini. Oggi invece si tratta di organizzare lo spazio urbano e lo spazio da urbanizzare, e urbanistica diventa sinonimo di sistemazione e pianificazione del territorio.
Questa azione volontaria e programmata è accompagnata da una terminologia completamente nuova: dopo i piani regolatori, gli schemi direttivi, i libri bianchi per il riassetto del territorio, i piani di occupazione del suolo con l'applicazione di coefficienti di occupazione che determinano il grado e la forma di urbanizzazione dello spazio. L'idea centrale degli anni sessanta e settanta è stata quella della determinazione e del rispetto delle soglie dimensionali, poiché lo sviluppo incontrollato delle città è stato accompagnato da danni molteplici sul piano economico a causa della crescita senza limiti del costo dei servizi e dell'aumento dei tempi improduttivi, con la conseguenza sul piano sociale di creare forme diverse di disadattamento e di rifiuto.
A ogni tentativo di organizzazione e controllo della vita urbana, i tecnici fissano delle soglie specifiche di costo ottimale in funzione di una data forma di sviluppo e di servizio, cioè delle soglie di massimizzazione del rendimento degli investimenti. La stessa cosa avviene in materia di trasporti pubblici: si determina una soglia oltre la quale la costruzione di una metropolitana diventa vantaggiosa. I grandi agglomerati assicurano un'utilizzazione totale: di qui la giustificazione degli investimenti negli ospedali più avanzati e la necessità di creare centri universitari.
È invece più difficile definire una soglia per la criminalità o la psicopatia. In generale ci si limita a delle approssimazioni, ma l'esperienza del XX secolo dimostra che quando ci si avvicina ai 10 milioni di abitanti la gestione diventa sempre più difficile e la percezione stessa della condizione urbana si deteriora per lasciare il posto a un sentimento complesso e globale di costrizione, nel quale si assommano le tensioni generate dalle modalità di lavoro, le condizioni di trasporto e di circolazione, la pressione della promiscuità che elimina il 'vicinato'. Ne risulta un bisogno nuovo e per un certo verso paradossale, un bisogno di evasione e di accesso a un modello ridotto e artificiale di campagna e di natura.
È stato osservato che questa crisi di gigantismo della città discende, in parte, dalla perdita di qualcosa che in passato costituiva la spiegazione della sedentarietà urbana: avere riuniti in uno stesso spazio di percezione fisica diretta (guardando, camminando, ritrovando punti di riferimento familiari) i principali elementi della vita materiale, culturale, sociale; tutto quello che ancora si trova nella città media italiana, tedesca, svizzera, belga, olandese o francese, come anche nelle meravigliose città storiche dell'Europa danubiana e della Boemia.Sarebbe possibile ricostituire questa struttura urbana demoltiplicata all'interno di spazi massicciamente urbanizzati? È l'ipotesi su cui in Inghilterra sono nate le città nuove, ipotesi largamente ripresa, con successi alterni, anche nei paesi in via di sviluppo. La new town inglese, la città satellite svedese del tipo di Vällingby (che rappresentano la prima generazione di città nuove, quella degli anni cinquanta), le villes nouvelles francesi, in particolare quelle della regione parigina programmate nello Schéma directeur d'aménagement et d'urbanisme de la région de Paris (1965), la cui realizzazione è oggi in via di ultimazione, costituiscono un primo gruppo di esperienze. Negli ultimi decenni un'altra ondata di città nuove ha superato i dintorni di Londra per estendersi a tutto il territorio inglese.
Contemporaneamente, e in gran parte per guadagnare tempo e contenere gli investimenti (assai rilevanti per costruire una città ex novo), in diversi paesi europei si è cercato di deviare la spinta centripeta in direzione di città collocate a una certa distanza dagli agglomerati maggiori, o almeno dal loro nucleo principale. Anche in questo caso l'iniziativa è partita dall'Inghilterra, che ha conosciuto per prima lo sviluppo urbano e i disagi che vi sono connessi. Si tratta delle expanded towns, vale a dire dell'inserimento di attività di servizio in piccole città, in modo da assicurare lo sviluppo alleggerendo allo stesso tempo la massa urbana centrale. Queste operazioni vengono realizzate sia nel perimetro immediatamente vicino alle grandi città, sia in un quadro più generale di decentramento (per esempio il programma di sviluppo delle villes moyennes in Francia).
In entrambi i casi si tratta di riunire in uno stesso luogo i tre elementi strutturali della vita urbana - lavoro, abitazione, soddisfacimento dei bisogni con servizi e beni di consumo - ricomponendo il quadro della città di provincia di una volta. La difficoltà principale sta nell'eterogeneità dei procedimenti. Infatti, mentre la pianificazione dello spazio, l'insediamento dei quadri istituzionali, la distribuzione dei servizi e, in larga misura, la costruzione delle abitazioni dipendono, direttamente o indirettamente, dai pubblici poteri, la creazione di posti di lavoro e la gamma dei prodotti offerti dipendono invece dall'iniziativa delle imprese private. Ora, sebbene l'attrattiva delle città nuove e delle zone industriali a esse riservate sia certamente sentita dagli imprenditori, è praticamente impossibile coordinare un programma di costruzione degli alloggi e di allestimento dei servizi che assicuri l'esistenza concreta della città nuova, con la creazione di imprese che siano in grado di offrire una gamma di attività lavorative abbastanza ampia da soddisfare la domanda di tutta la nuova popolazione attiva.
La città nuova risponde quindi solo parzialmente alla sua immagine teorica iniziale. Essa è per necessità integrata nel complesso urbano; polarizza una parte della vita urbana, ma partecipa al movimento complessivo di crescita e contribuisce ad alimentare gli spostamenti quotidiani tra abitazione, lavoro e soddisfacimento dei bisogni materiali e culturali.
Ci si può forse domandare quale sia la dimensione capace di offrire le condizioni migliori per trattenere sul posto la maggior parte della popolazione e il più elevato rendimento degli investimenti per i servizi (scuola, cultura, salute) richiesti per soddisfare i bisogni della popolazione di un paese industriale. Mentre le prime new towns erano piccole città tra i 25.000 e i 50.000 abitanti, la seconda generazione è andata molto al di là, superando i 200.000 abitanti. Le previsioni dello Schema direttivo per la regione parigina erano di 400.000 abitanti, ma sono state ridotte della metà. Tenendo conto dei ritmi di arrivi e partenze necessari per avere una popolazione senza squilibri, con una piramide d'età in media rispetto alla popolazione dello Stato in questione, e corrispondente alla piena occupazione dei diversi servizi e dei centri commerciali e a un reclutamento costante e regolare della manodopera, si è indotti a estendere le prospettive e a modularle su un periodo assai lungo, di almeno 25 anni.
In definitiva, la città nuova rappresenta anzitutto un esercizio teorico e un'esperienza su scala naturale. Le sue realizzazioni tengono conto di pressioni molteplici, connesse alla demografia, all'economia, agli interessi locali e occasionali, e per questo motivo, pur partendo tutte da un'idea comune, differiscono notevolmente tra loro.
Non sarebbe esagerato affermare che oggi l'ideologia della città nuova risulta superata dalle tendenze spontanee della società e dell'economia. Se la città del XIX secolo e degli inizi del XX è, almeno in parte, una creazione dell'industria, le trasformazioni radicali di quest'ultima, sia sul piano tecnico che su quello dei rapporti lavorativi, pongono in termini nuovi le sue relazioni con la città. L'eredità industriale dei decenni passati rappresenta ormai un passivo ingombrante, sia in termini economici che in termini sociali, un passivo di cui l'impresa moderna cerca di liberarsi. I quartieri e i centri industriali del secolo passato sono oggi zone in situazione di degrado, abbandonate alle classi sociali più diseredate e ai lavoratori immigrati, anche se essi poi non vi trovano lavoro e sono costretti a cercarlo altrove.
Le imprese d'avanguardia, libere da vincoli materiali di localizzazione, cercano zone nuove, al riparo da ogni inquinamento, senza costrizioni sociali. Esse superano il modello della città nuova per cercare un insediamento comodamente accessibile, facilmente integrato in una rete di telecomunicazioni e di trasmissione informatica, dove ogni iniziativa è possibile, sia per quanto concerne le costruzioni d'uso, che non hanno più nulla in comune con le costruzioni industriali del passato, sia per gli alloggi. Dal momento che si tratta di imprese creatrici di ricchezza e in grado di distribuire un rilevante potere d'acquisto, ci si trova in presenza di una situazione paradossale: le città cercano di attirare queste imprese, mentre le motivazioni per un'installazione nelle zone urbane sono relativamente ridotte. Tali motivazioni restano valide per le imprese legate tecnicamente alla ricerca di base e applicata, che sono associate, sul piano pratico, ai laboratori e alle università.
Esempi di questa associazione sono, in Francia, Grenoble, Tolosa e, in condizioni particolari, Antibes (Sophia Antipolis, creazione artificiale di un complesso di laboratori e stabilimenti di alto livello); in Germania la creazione dell'importante Università di Bochum, nel cuore della Ruhr in via di riconversione, rappresenta l'esempio di un tentativo di trasformare una vecchia regione industriale attraverso il cambiamento qualitativo delle condizioni d'insediamento delle imprese per recuperare il capitale degli investimenti di base fatti nella regione.
Tuttavia, sul piano numerico, la maggior parte delle nuove creazioni d'imprese avvengono nelle città medie o nella periferia esterna dei grandi agglomerati, per beneficiare dei loro servizi senza subirne le costrizioni. Ne risulta un'estensione dello spazio urbanizzato, ma un'estensione puntiforme, più che continua.
D'altra parte, se si considera che l'automobile consente al personale di qualsiasi impresa di risiedere in un posto a scelta in un raggio da 20 a 50 km, si registra senza sorpresa la redistribuzione di una parte della popolazione urbana nelle circoscrizioni 'rurali', che stanno perdendo la loro vocazione agricola per diventare delle residenze urbane allargate; una tendenza di cui la Svizzera ha dato l'esempio da alcuni decenni.
Alcuni autori hanno proposto il termine di 'rurbanizzazione' per esprimere questa conquista della campagna (rus) da parte della città (urbs), che è cominciata nelle megalopoli e tende ora a generalizzarsi nei paesi industriali, almeno là dove la densità della popolazione e quella delle città sono più elevate (nei Paesi Bassi, in Renania, in Svizzera, nell'Italia del nord, nella regione parigina).
Tendenza di lungo periodo, o fase di un movimento pendolare tra centralità e 'allentamento'? L'esperienza delle città nordamericane giustifica questo dubbio. Esse sono state le prime a registrare la dissociazione tra il CBD e le interminabili estensioni verdi di case unifamiliari, e oggi il lusso dei più fortunati consiste nel ritornare al centro o nelle sue immediate vicinanze, approfittando delle operazioni di rinnovamento e di recupero dei vecchi quartieri industriali e operai rasi al suolo e ricostruiti con immobili di 'alto livello', all'interno di quella che era la città prima dei suoi allargamenti del XX secolo.
Mentre si stanno perfezionando i metodi della programmazione urbana e della definizione delle nuove strutture delle città dei paesi industriali, è invece nei paesi in via di sviluppo che i problemi concreti della crescita delle città si pongono in termini nuovi e in proporzioni che non hanno riscontro con i ritmi europei e neppure con quelli nordamericani (con l'eccezione forse della California).
Il primo flagello è il gigantismo, il secondo pericolo il mimetismo, il male cronico la dicotomia tra il centro (che è la sola parte della città paragonabile alle città dei paesi industriali) e la periferia, dove la densità della popolazione è urbana, ma l'habitat è completamente improvvisato.Il gigantismo è un pericolo tanto maggiore in quanto si determina, in seguito a una concentrazione accelerata, in misura finora sconosciuta, con un rapporto approssimativamente proporzionale alle dimensioni primitive delle città. In altri termini, più una città - generalmente la capitale di uno Stato o una metropoli regionale o economica o un porto - è grande, più attira popolazione a un ritmo rapido. Si potrebbe anche aggiungere che più l'economia di un paese versa in difficoltà, più la popolazione della città tende a lievitare.
Fino a oggi tutte le grandi città africane erano a nord del Sahara, compresa la più grande del continente, Il Cairo (10 milioni di abitanti, quattro volte più che nel 1950), ma ormai quasi una decina di città dell'Africa tropicale hanno superato il milione di abitanti: Accra, 2 milioni (280.000 nel 1950); Khartum, 2 milioni (180.000 nel 1950); Cotonou, 2 milioni (115.000 nel 1950); Jos, 3 milioni (380.000 nel 1950); Ado Ekiti, 2 milioni (350.000 nel 1950); Ibadan, un milione (400.000 nel 1950); Lagos, 2 milioni (meno di 100.000 nel 1950); Kinshasa, 3 milioni (meno di 150.000 nel 1950).
In Asia l'elemento urbano è più antico, ma la crescita è ugualmente rapida, e porta velocemente a cifre considerevoli. Nonostante gli alti e bassi della storia politica degli ultimi decenni e i tentativi di smantellare la cultura urbana, la popolazione delle grandi città cinesi è quadruplicata in trent'anni; Shanghai raggiunge i 15 milioni di abitanti, Pechino supera i 10 milioni. Il ritmo della crescita urbana è ancora più rapido nel Bangla Desh, dove la popolazione di Dacca è passata da 325.000 abitanti nel 1950 a più di 4 milioni nel 1985. La crescita è stata invece sistematicamente frenata in India, dove le migrazioni interne sono state convogliate verso un numero considerevole di città, comprese le città medie, o anche verso nuove zone agricole sistemate a tale scopo. Tuttavia le agglomerazioni maggiori hanno visto la loro popolazione triplicare in trent'anni: Bombay e Calcutta, che raggiungono oggi i 9 milioni di abitanti, e Delhi con i suoi 6 milioni. La crescita più rapida è quella di Madras, che presenta attualmente più di 6 milioni di abitanti.Anche l'America Latina è preda di una eccezionale febbre di urbanizzazione. Il caso critico è quello di Città di Messico: 3 milioni di abitanti nel 1950, quasi 20 milioni attualmente; subito dopo viene San Paolo in Brasile: 2,5 milioni nel 1950, più di 15 nel 1985. Dovunque il gigantismo è accompagnato da un assembramento di popolazione che è urbana solo dal punto di vista statistico, senza essere invece integrata nel quadro specificamente urbano.Vi sono tuttavia delle eccezioni, facilmente spiegabili: la crescita urbana nel lusso delle città dei paesi produttori di petrolio dell'Arabia e del Golfo Persico. In Arabia Saudita Gidda aveva 100.000 abitanti nel 1950, mentre nel 1980 ha superato il milione; Riyad, che nello stesso periodo ne aveva poco più, si avvicina oggi al milione e mezzo (su una popolazione nazionale inferiore ai 10 milioni). È invece più difficile spiegare, nel quadro delle condizioni politiche degli ultimi decenni, perché la popolazione di Damasco e di Teheran sia quintuplicata in poco più di trent'anni, e quella di Beirut sia più che sestuplicata.
Il carattere comune a tutte queste città connotate da una crescita accelerata consiste nell'aver adottato d'un colpo il modello nordamericano o europeo sia dal punto di vista delle costruzioni in vetro e cemento (prescindendo dal clima, dai costumi sociali e dalla destinazione degli immobili, anche se, a dire il vero, sono stati privilegiati gli immobili di prestigio), sia per l'organizzazione di un'imponente circolazione automobilistica (che non è però proporzionata alle strade disponibili) e la larga distribuzione di corrente elettrica e di illuminazione pubblica.
Con l'eccezione dei paesi petroliferi, questa scelta appare del tutto sproporzionata rispetto alle risorse nazionali e comporta, quindi, che i lavori di urbanizzazione nel senso specifico del termine siano limitati a un nuovo tipo di centro cittadino, che costituisce un ibrido tra la ricca città coloniale dell'inizio del secolo e la capitale di prestigio dei nuovi padroni del paese. La città nel senso europeo o americano del termine, trasferita in ambiente estraneo, è riservata a una minoranza che vive effettivamente all'americana in uffici o appartamenti climatizzati, circolando in automobili di lusso. Due sono le cause di distorsione: un costo dell'urbanizzazione senza proporzione con il prodotto nazionale lordo e con il reddito dei neocittadini - almeno a livello generale - e un'incongruità fra le tecniche di costruzione importate - ivi comprese le copie degli immobili europei per uso sociale - e i bisogni e le capacità di usare e conservare quel tipo di abitazione da parte di popolazioni provenienti direttamente dalle campagne, che si trovano ancora in un'epoca preindustriale.In queste condizioni il mimetismo implica una dicotomia tra il nucleo urbano - sede di una vita privilegiata, soggiorno per gli stranieri, invaso dalle forme del commercio internazionale - e uno spazio periferico che tende a estendersi senza soste, occupato da un insediamento eterogeneo, dove si trovano associati nel disordine accampamenti spontanei, improvvisati in spazi giudicati privi di valore urbano e spesso effettivamente inadatti all'urbanizzazione e per questa ragione trascurati dall'appropriazione pubblica e privata. Sono città d'emergenza, dove i pubblici poteri assicurano un minimo di strade e di servizi, quartieri popolari allestiti in economia per assicurare le condizioni elementari d'insediamento lasciando spesso ai neocittadini l'onere di costruire essi stessi i loro ricoveri.
La varietà delle soluzioni trovate ai problemi di una casa di fortuna si esprime nella diversità del vocabolario utilizzato per identificare queste realtà. La forma elementare, apparsa inizialmente nei porti dell'Africa del Nord e caratterizzata dall'utilizzazione delle lamiere ricavate da vecchi contenitori, ha preso il nome di bidonville. A Rio de Janeiro ci sono le favelas; in molti paesi dell'America Latina si usa il termine allusivo di villas miserias o ciudades perdidas. Gli urbanisti distinguono in genere l'insediamento non integrato, che corrisponde all'occupazione selvaggia del territorio - la bidonville o la favela - e l'insediamento sottointegrato, che può essere convertito progressivamente in nuove forme urbanizzate, perché si è formato su un territorio che è riconosciuto come urbanizzabile, e quindi adatto e provvisto di un'infrastruttura minima. Non è sempre facile, naturalmente, distinguere in loco queste diverse formazioni dai limiti indefiniti: il difetto comune è costituito dall'insufficienza dei servizi, l'insalubrità e la mancanza di qualsiasi regola di vita urbana collettiva, a eccezione delle regole imposte da quelli che sono di fatto i poteri locali, poteri che sfuggono al controllo dell'amministrazione pubblica.
Per la natura stessa del popolamento delle zone periferiche, e per il fatto che esso avviene attraverso una successione di flussi e riflussi (dove però i flussi prevalgono), è impossibile conoscere esattamente, in un dato momento, la ripartizione della popolazione tra le zone centrali propriamente urbanizzate e gli insediamenti non integrati o sottointegrati. Si verifica una progressiva infiltrazione verso la città propriamente detta, parallelamente al raggiungimento di una condizione economica più o meno stabile che, consentendo agli interessati di avere una sia pur minima solvibilità, cambia la loro situazione rispetto al problema dell'abitazione. Ma questa infiltrazione avviene con una rapidità minore dell'afflusso esogeno, e quindi la parte di abitato periferico tende a espandersi in rapporto alla popolazione, nonostante gli sforzi di tutte le amministrazioni municipali e di tutti i governi per frenare l'immigrazione, respingere i contingenti considerati indesiderabili e migliorare le condizioni di vita di coloro di cui bisogna pur ammettere l'esistenza.
L'analisi sociologica del comportamento dei cittadini nella loro vita quotidiana ha introdotto la distinzione fra tre tipi di 'tempi vissuti' durante la giornata, la settimana o l'anno: il 'tempo vegetativo' (pasti, sonno, riposo), il 'tempo del lavoro' e il 'terzo tempo' (quello che varia secondo l'età dell'individuo), diviso tra la ricerca dei beni di consumo e d'uso - gli 'acquisti' degli specialisti di economia e sociologia commerciale - e le distrazioni, le attività sportive, l'istruzione, la formazione professionale, le attività culturali.La localizzazione dei primi due tempi è semplice: l'abitazione o, in un senso un po' più vasto, l'habitat, e il luogo di lavoro (fabbrica, ufficio, negozio, servizio pubblico o privato). Quella del 'terzo tempo' è più diversificata e dipende dal ritmo con cui si scandisce l'associazione dei tre tempi. Vi si distinguono generalmente due frazioni, la cui importanza varia secondo le dimensioni e la struttura delle città: i tempi utili, consacrati a tutte le forme in cui gli interessati intendono soddisfare i loro desideri e bisogni; i tempi obbligati, cioè quelli il cui uso è imposto dalle condizioni di vita e non soddisfano direttamente nessuno di quei desideri o bisogni. Nei paesi a economia di mercato si tratta prevalentemente dei tempi impiegati per gli spostamenti, a cui nei paesi a economia socialista si aggiungono i 'tempi di coda', impiegati per arrivare ai beni di consumo.
Si devono quindi distinguere i luoghi di abitazione, i luoghi di lavoro e la loro posizione rispettiva, e, in modo un po' più complesso, le distanze e le condizioni della circolazione, e poi le aree riservate agli acquisti e alle diverse forme di svago e di formazione. All'interno di ciascuno di questi luoghi, e in considerazione della loro specifica sistemazione, converrà descrivere le modalità della vita quotidiana secondo orizzonti geografici così diversi come possono essere quelli della città europea, di quella americana o giapponese, o di quella di un qualsiasi paese sottosviluppato.
Il quadro generale del sistema abitativo è, secondo i vari casi, la casa padronale, l'appartamento in un immobile, o la 'baracca' in un insediamento non integrato o sottointegrato; su una scala più ampia: la strada, l'isolato, il quartiere, il complesso, la favela.
La tendenza conseguente all'aumento della popolazione e all'evoluzione generale delle società industriali verso una riduzione dell'elitismo evidente ha sostituito progressivamente, durante la seconda metà del XIX secolo, il palazzo privato nel centro della città con l'immobile 'borghese' in affitto, di quattro o cinque piani (più un piano per gli alloggi di servizio), e ha accelerato la costruzione di case operaie nelle aree rimaste libere in prossimità del centro e, soprattutto, in periferia. A maggior ragione questo fenomeno si è manifestato nelle zone di nuova urbanizzazione dei bacini minerari e delle regioni industriali: i quartieri operai dei bacini minerari franco-belgi, le città operaie degli anni 1880-1900 nelle regioni carbonifere inglesi e nella Ruhr.
La 'seconda epoca' dell'urbanizzazione è quella dello sviluppo contemporaneo delle zone a villini e dei grandi complessi, che caratterizza i decenni compresi tra il 1930 e il 1970.
Nella prima forma l'abitazione è integrata in una gerarchia di gruppi: l'immobile, l'isolato, il quartiere. Il passaggio e, nello stesso tempo, il limite tra l'uno e l'altro, è la strada che, per utilizzare la terminologia di Le Corbusier, è un prolungamento dell'abitazione sul piano della vita collettiva. La strada rappresenta il cammino quotidiano verso il negozio, il bar, il lavoro. È un quadro sociale con un suo specifico marchio qualitativo, un ambiente di conoscenze e di relazioni.
Individualista per natura, il sistema a villini dilata un po' questa società di quartiere; il cambiamento più significativo è però quello che si determina con la generalizzazione dei grandi complessi, vale a dire di immobili e torri di forma geometrica raggruppati in 'blocchi' di parecchie centinaia di metri, in serie parallele o ortogonali, che possono accogliere parecchie decine di alloggi per ogni scala, e quindi parecchie migliaia di abitanti. La disposizione viene detta a 'pianta aperta' (open planning): la strada è sparita, i punti per il commercio sono riuniti in aree di servizi e lo spazio intorno è diviso tra i parcheggi per le automobili e qualche spazio verde, più o meno attrezzato, per gli svaghi e il tempo libero dei ragazzi. La cura con cui questi spazi sono sistemati dipende dalla loro destinazione: più curati se destinati a una popolazione relativamente privilegiata di classe media, più trascurati quando si tratta di 'case popolari'.I contatti umani sono qui diversi da quelli che caratterizzavano la strada: sono polarizzati sul centro commerciale, la scuola, la stazione degli autobus, tanto più distanti quanto più elevato è il livello sociale e quindi più generalizzato l'uso dell'automobile. Essi restano invece importanti per i ragazzi e gli adolescenti, inclini a formare dei gruppi. Questi rapporti implicano anche incompatibilità e rifiuti che generano segregazioni e ghetti, soprattutto rispetto alle famiglie di immigrati più o meno facilmente assimilabili a breve termine.
Mentre le città europee respingono gli strati inferiori della popolazione e gli elementi estranei verso la periferia, nei grandi complessi che hanno spesso sostituito le case popolari o gli insediamenti improvvisati, le città americane tendono a portare all'esterno le abitazioni destinate alle classi medie e, per una gran parte, alle classi superiori e riuniscono i diseredati negli immobili degradati del centro (in quelli che furono i primi quartieri della città), o per un affitto minimo o addirittura come abusivi. In Europa questo avviene solo in alcuni quartieri che, in attesa di essere distrutti o restaurati, sono occupati dagli immigrati.
Nella misura in cui la situazione sociale della famiglia lo permette, la popolazione si sposta all'interno dello spazio urbano inteso nel senso più ampio del termine: agglomerazione o conurbazione. I quartieri centrali sono spesso quartieri abitati per lo più da giovani, in quanto vi si trovano piccoli appartamenti che si possono affittare a prezzi modesti. La formazione di una famiglia è accompagnata dalla nascita di nuovi bisogni e, se i redditi lo consentono, si verifica lo spostamento verso un'abitazione nuova in un grande immobile. Si tende ad allontanarsene in seguito, quando diventa possibile affittare una villa o costruirla a credito. Le persone anziane cercano poi di riavvicinarsi al centro, soprattutto in costruzioni restaurate, a meno che non lascino la città per ritirarsi in una zona residenziale che si presenta come un sottoprodotto della città.
L'abitazione, che è il luogo dove si passa il tempo vegetativo e dove si svolge la vita familiare, è giudicata in funzione della sua confortevolezza e della sua idoneità a soddisfare i bisogni di questo tempo di recupero, in primo luogo il silenzio: si evita quindi il vicinato fastidioso, soprattutto se esso incide sulla tranquillità degli interessati e determina una promiscuità generatrice di conflitti. Le costruzioni intensive ed economiche dei grandi complessi, nate per rispondere alla brutale pressione della domanda durante i decenni 1950-1970 nell'Europa occidentale, in generale non hanno tenuto conto di questa necessità. Oggi invece il problema è così sentito che spesso si è deciso di procedere alla distruzione sistematica di costruzioni che erano ormai divenute luoghi di conflitti e di insicurezza. Gli Stati Uniti sono in parte riusciti a sfuggire a questa esperienza ma lì mal si sopportano i ghetti centrali di poveri e di gente di colore, ghetti di cui Harlem è il simbolo e West side story racconta il malessere cronico.
Le città dei paesi in via di sviluppo hanno trattato in modo diverso i problemi della segregazione abitativa, senza tentare di risolverli e lasciando in pratica che, per quanto concerne i nuovi arrivati, si sviluppassero dei processi incontrollati. Le classi dirigenti e le classi medie vivono, secondo i loro mezzi, all'europea o meglio all'americana, e - beninteso - il modello americano è rappresentato dalle classi agiate degli Stati Uniti: appartamenti in grandi costruzioni fornite di aria condizionata o case individuali costruite in serie in quartieri ricchi di giardini, o anche più personalizzate, ma comunque sempre al riparo degli alberi nei paesi tropicali: a Città di Messico, San Paolo, Caracas o Buenos Aires in America Latina, a Dakar o Abidjan nell'Africa tropicale.
Elemento caratteristico di queste città è purtroppo la segregazione appena descritta. Non vi è quasi nulla di intermedio tra i diversi livelli dei quartieri specificamente urbani, che vanno dal palazzo e dalla villa di sogno all'alloggio discreto dell'impiegato, e quello dell'insediamento sottointegrato o non integrato. Qui la gamma comincia con pochi mattoni che coprono una o due piccole stanze - da quattro a sei mq, che rappresentano il risultato di un lungo periodo di attesa e di sforzi - per terminare, al limite estremo della città, con il fragile riparo di qualche asse e di un tetto di cartone, nel fango di un groviglio di vicoli segnati da fili elettrici allacciati precariamente che portano la luce all'unica lampada dell'alloggio.
Si tratta di un altro habitat, e anche di un'altra società, uscita dalla società contadina, ormai distrutta, ai margini dell'inaccessibile società urbana, con le sue solidarietà e i suoi usi che acquistano forza di legge quando sono imposti da 'uomini forti' in grado di contrattare con la polizia la sovranità sulla bidonville. In cima alla gerarchia urbana una vita asettica, aperta sulla comunicazione universale, desiderosa di non crescere troppo in fretta; in basso, una popolazione minata dalla fame e dalle malattie, che vive alla giornata e si moltiplica senza limiti.
La vocazione economica delle città consiste nell'assicurare le funzioni della gestione del territorio, gli scambi e i servizi di tutti i tipi. A questo si è aggiunta, durante il XIX secolo, la funzione industriale, accompagnata da una forte richiesta di manodopera, e quindi di popolazione, al punto che, per tre quarti di secolo, l'industria ha rappresentato il motore e il sostegno del popolamento urbano. L'evoluzione delle tecniche e la diminuzione della manodopera industriale restituiscono alle città la loro tradizionale struttura nel campo del lavoro: commercio, amministrazione, formazione dei quadri e del personale di attività produttive non più necessariamente dislocate nell'ambito urbano. Nella terminologia classica dei sociologi e degli statistici questo significa che le città sono prevalentemente dei luoghi per attività terziarie, mentre le attività secondarie, vale a dire il lavoro nelle fabbriche, occupano sempre meno persone, ma richiedono una sempre maggiore qualificazione: una novità che assimila, sul piano della formazione, i nuovi lavoratori del secondario a quelli del terziario. Passando a un'altra terminologia e a un altro approccio, questo significa una classe media dominante, che si sostituisce al grosso esercito della classe operaia degli anni venti e trenta. Allo stesso tempo si tratta di un cambiamento dei luoghi di lavoro e, di conseguenza, dei rapporti spaziali tra abitazione e lavoro.Il settore secondario, come si è sviluppato fino alla metà del XX secolo, è stato un grande 'consumatore' di spazi: fabbriche, depositi, ferrovie, porti. Ha quindi contribuito largamente all'estensione della superficie delle città e delle loro appendici. Il settore terziario e il settore secondario 'superiore' (nuove industrie, laboratori, centri di ricerca e di sperimentazione) hanno invece un'elevata concentrazione per mq e sono collegati ai sistemi centrali di relazione. Occupano gli spazi tradizionali del commercio e dei luoghi d'incontro dei centri urbani, e si adattano a svilupparsi in altezza, al di sotto e al di sopra del livello stradale, in locali climatizzati, isolati dall'ambiente circostante, dove si lavora con luce artificiale. L'immagine più familiare degli uffici e delle agenzie d'affari del centro è quella delle torri dove salgono e scendono incessantemente gli ascensori, e non si pensa invece allo sviluppo continuo dei sottosuoli, particolarmente apprezzati per la loro indifferenza ai rigori climatici dei paesi con inverni lunghi e duri, dove tutta la giornata lavorativa, e spesso una parte del tempo libero, passa in un ambiente chiuso, al di fuori del tempo naturale. Formicai sotterranei di questo tipo sono ormai familiari nelle città giapponesi, dove hanno contribuito a risolvere i problemi posti dalla mancanza di spazio, ma cominciano a essere frequenti anche nelle città nordamericane e guadagnano importanza un poco alla volta anche in Europa, dove stanno sostituendo le tradizionali gallerie dalle volte di vetro.I luoghi di lavoro sono cambiati contemporaneamente all'ambiente e alla natura del lavoro stesso: in particolare si tratta di un nuovo insediamento delle attività lavorative nel centro della città che continua a respingere le abitazioni verso la periferia (specialmente quelle della classe media, che fornisce la maggior parte dei lavoratori del settore terziario) e, altresì, quelle attività per le quali non è più essenziale la dislocazione in una zona centrale (parleremo in seguito delle università). Quando il carico sul centro diventa eccessivo, si provvede alla creazione di centri secondari. D'altra parte, l'addensamento della popolazione nelle periferie, sia in forma libera che strutturata nelle città nuove, richiede il decentramento delle attività commerciali - a livello della distribuzione - nelle filiali esterne delle grandi imprese commerciali tradizionali del centro (i grandi magazzini ereditati dal XIX secolo).
Al momento attuale, nelle città dei paesi industriali, coesistono tre localizzazioni delle attività lavorative: anzitutto il centro, inteso nel senso più ampio, dove si svolgono le attività terziarie e in particolare quelle del 'terziario superiore'; poi le zone industriali per le attività (numericamente in declino) del settore secondario; infine, a titolo complementare, i poli di attività situati in periferia o nelle città nuove.
Nelle città dei paesi in via di sviluppo la separazione è allo stesso tempo più radicale e più semplice. Il centro cittadino, come in ogni altro paese, è il luogo di lavoro dei salariati e delle piccole imprese del settore terziario, mentre centri di distribuzione spesso lussuosi nascono nelle zone privilegiate. D'altra parte, se gli insediamenti spontanei s'inseriscono nei vuoti temporanei della massa cittadina, ogni installazione di fabbrica o di cantiere di qualsiasi natura è seguita dallo sviluppo di una fascia di abitazioni sottointegrate o spontanee, che copre addirittura le zone teoricamente pericolose e quelle che per legge non possono essere occupate o costruite.
La rispettiva distribuzione delle zone di abitazione e di lavoro condiziona il flusso della circolazione quotidiana della popolazione attiva all'interno della città, mentre la ripartizione delle attività specifiche di ogni città e la loro gerarchia animano la circolazione periodica tra le città. L'una e l'altra esercitano un'influenza particolare sul territorio e impongono particolari servitù ai fruitori.
I nuovi rapporti spaziali tra abitazioni e lavoro e la concentrazione delle attività su superfici assai limitate e ben localizzate hanno intensificato in tempi relativamente brevi i movimenti quotidiani della popolazione attiva e gli spostamenti occasionali dei clienti e dei fruitori delle infrastrutture del centro cittadino. Di conseguenza, le tecniche e i sistemi di circolazione hanno subito un'evoluzione molto più rapida delle costruzioni. Le stesse strade, le stesse facciate hanno visto passare i fiacres, i tram a cavallo e quelli elettrici, e assistono oggi al passaggio ininterrotto di automobili e autobus, anche se una parte del traffico si svolge sotterraneamente attraverso la metropolitana. Gli ingorghi di Parigi, che erano al centro delle cronache del XVII secolo, sono stati sostituiti dall'accumulo di centinaia di migliaia di automobili in sosta. Eppure, da un secolo circa, in tutte le capitali e metropoli sono state scavate, con audacia sempre maggiore negli ultimi anni, delle reti sotterranee, dove si possono addirittura trovare zone per le compere o per il passeggio.
Gli orari di lavoro condizionano quelli della circolazione: due volte al giorno una folla impaziente intasa autobus e metropolitane, mentre file di automobili bloccano le strade, le vie periferiche e le grandi autostrade di scorrimento, dopo di che torna la calma. Ma i movimenti non si limitano alla città in senso stretto: l'estensione delle abitazioni alle zone periferiche favorisce flussi alternati sulle radiali e sulle linee ferroviarie.Il movimento quotidiano non elimina tuttavia gli spostamenti occasionali legati alle relazioni tra le città e ai trasferimenti periodici verso la 'campagna' durante i fine-settimana e le vacanze: ne conseguono una febbre crescente sulle strade, nelle stazioni, e una crescente utilizzazione del mezzo aereo. L'aeroporto diventa così un elemento necessario della città, alla quale è collegato con strade, treni o elicotteri che convogliano il traffico fino all'aerostazione urbana, il terminal.
L'inadeguatezza originaria delle costruzioni e delle strade a questa circolazione di massa costringe ad adattamenti continui della rete ai bisogni e implica una regolamentazione che varia secondo i diversi paesi. Una delle più severe, ma non certo la più severa, è quella che impone la proprietà di un garage come condizione necessaria per ogni autorizzazione all'uso di un veicolo privato (Tokyo).Circolare è ormai uno degli atti più comuni della vita cittadina, in quanto non avviene soltanto per spostarsi dall'abitazione al luogo di lavoro e viceversa, ma anche per recarsi ai centri commerciali e presso i servizi più diversi.
La scomparsa dell'abitudine di fare gli acquisti di prima necessità a piedi nelle strade vicine a casa e gli ingorghi del centro cittadino hanno provocato una ristrutturazione economica e spaziale del commercio e dei servizi. Un'eccezione, tuttavia, è costituita dalla creazione di zone pedonali, per accedere a centri espositivi, negozi, agenzie di viaggi, zone poste nel centro delle città più ricche che servono come 'vetrina' delle attività regionali o nazionali.
Gli altri settori delle attività di distribuzione sono invece decentrati e raccolti in centri commerciali raggiungibili con la rete stradale, forniti di grandi parcheggi e accessibili dai quartieri abitati. Il commercio di strada, che costituiva un elemento della vita sociale, è scomparso, sostituito da un commercio 'industriale' anonimo, che esclude ogni forma di relazione e impone degli spostamenti finalizzati, secondo una periodicità variabile, nei centri di distribuzione.
Altre due forme di bisogni umani richiedono tuttavia ancora una vita di relazione: l'istruzione - la cultura - e l'assistenza sanitaria. Non molto tempo fa il soddisfacimento di questi bisogni era assicurato su scala di quartiere e perfino di isolato: chiesa, scuola, ambulatorio, farmacia. Al livello superiore - la città - si arrivava solo per l'università o per l'ospedale. Oggi solo la scuola è rimasta, per la maggior parte degli alunni, e fino alla fine degli studi superiori, a livello del quartiere o di un insieme di quartieri limitrofi, raggiungibile a piedi o con le 'due ruote'. Essa è quindi il riflesso della popolazione locale e, da questo punto di vista, può diventare addirittura un luogo di tensioni, quando vi è incompatibilità tra la popolazione del quartiere - il caso dei ghetti degli immigrati - e l'ambiente circostante. È invece luogo privilegiato nei quartieri eleganti, protetti dagli inserimenti esterni.
L'università, come l'ospedale, è originariamente legata alla funzione teologica, culturale e assistenziale della Chiesa. È ubicata al centro delle città vescovili, o situata in luoghi appartati attorno ai quali è stata costruita una città di servizio: nel primo caso la Sorbona, nel secondo Oxford o Heidelberg. La versione islamica è ancora più centralizzata: si pensi alla madrasa associata alla grande moschea al-Qarawiyyīn a Fez. Nell'Europa progressivamente laicizzata l'università resta un centro di popolamento e di attività distinto dal resto della città, un centro che 'produce' biblioteche, librerie, case editrici, residenze per studenti e professori. Le università americane, più recenti, sono spesso istituite da fondazioni, libere da qualsiasi obbligo nella scelta della localizzazione, e hanno inaugurato il sistema del campus, adottato dall'Europa a partire dalla metà di questo secolo per rispondere all'improvviso incremento delle iscrizioni e alle esigenze tecniche di spazio e di relativo isolamento dalle attività dell'ambiente esterno. Il risultato è stato una divisione spaziale che rappresenta, nello stesso tempo, una cesura delle relazioni tra l'ambiente universitario e la collettività studentesca, da un lato, e il complesso della società urbana dall'altro.
Allo stesso tempo l'ospedale centrale del passato si è trovato a essere sovraccarico di lavoro e di difficile accesso per i casi urgenti, in un contesto inadatto, privo di ogni possibilità d'ingrandirsi per far fronte ai nuovi bisogni. Il centro cittadino ha così perso progressivamente la sua duplice funzione legata all'insegnamento universitario e all'assistenza ospedaliera a beneficio di zone marginali, che divengono spazi specializzati e funzionali. L'aumento degli 'aventi diritto', anch'esso legato all'incremento della popolazione delle grandi metropoli, ha come effetto un frazionamento in settori geografici, ognuno dei quali con la propria università e il proprio o i propri ospedali.
All'inizio del XX secolo era ancora frequente contrapporre la città, luogo di piacere, e per conseguenza di perdizione, alla campagna, legata per natura alla monotonia della successione dei giorni e delle stagioni, cui non si poteva sfuggire che una o due volte l'anno in occasione della festa del patrono. La città beneficiava del privilegio di disporre a un tempo dei centri depositari della cultura tradizionale e dei luoghi della creazione artistica e dello spettacolo. Immagine, tutto sommato, di élite, ma corretta da quella, più popolare, della festa. L'estensione del tempo libero richiede spazi e strutture per assicurare nell'ambiente urbano ed extraurbano una nuova ripartizione dei luoghi di svago per i cittadini (naturalmente la domanda di spazio e di attrezzature varia secondo l'età). La città moderna conserva le sue piazze d'altri tempi, aggiungendovi però parchi e giardini, terreni e strutture per ogni tipo di sport, piscine, ecc. Essa ha anche musei, sale d'esposizione, teatri, auditori, tutte strutture una volta limitate al centro e che invece il gigantismo costringe a moltiplicare, secondo una tendenza che, in realtà, coincide con un generale movimento di democratizzazione della cultura. E tuttavia, l'aumento numerico e quantitativo delle strutture e la loro dispersione all'interno dello spazio urbano non hanno lo stesso valore della festa, che rappresentava il grande appuntamento periodico del quartiere o della città. E ormai lo spettacolo arriva a domicilio con le telecomunicazioni.
La città ha perso la sua gioiosità, gli imprevisti legati agli incontri; è sempre più vissuta come un ambiente monotono e pesante, che raccoglie tutte le costrizioni: quelle legate al lavoro, alla circolazione quotidiana, alla presenza di un vicinato più o meno ben sopportato. La libertà è 'fuori' della città; si raggiunge, o almeno si ha l'illusione di raggiungerla, con l'evasione. Antidoto alla città o sua duplicazione? Il paradosso della ricerca di compensazioni alle frustrazioni, reali o immaginarie, legate alla vita quotidiana in città consiste nel fatto che nella maggior parte dei casi l'evasione dalla città conduce a un'altra città, funzionalmente diversa, ma omologa alla prima per quanto concerne le condizioni di vita e di sistemazione. Nel migliore dei casi, si tratta di trasferire in campagna le abitudini di vita della città.
Fatta eccezione per quanti - ritenendosi privilegiati - lasciano la città per una falsa immagine di campagna, fissata dagli specialisti del design, in 'seconde case' dalle quali è stato eliminato tutto quello che poteva appartenere all'ambiente rurale d'altri tempi (con l'eccezione di qualche oggetto folkloristico, le antiquities degli americani), la maggior parte degli abitanti delle città cerca l'evasione in altre forme di raggruppamento. Secondo le possibilità e i gusti di ciascuno, si tratterà del campeggio o dei soggiorni settimanali o mensili in un grande complesso di una stazione balneare o di sport invernali, ma sarà sempre un altro tipo di città, con un'animazione stagionale, che riproduce le forme abitative, distributive e di consumo della 'città-madre' in un ambiente di svago al posto dell'ambiente di lavoro. La città-madre proietta così, in luoghi scelti per le loro condizioni naturali, delle appendici stagionali cui danno impulso le stesse imprese immobiliari e promozionali che operano per lo sviluppo della città pilota. La città-madre è collegata a queste sue filiali stagionali da itinerari fissi che determinano i ben noti ingorghi periodici durante i periodi di spostamento della popolazione.
Questo sistema colloca ciascuna città all'interno di una 'nebulosa' a più unità funzionali differenti e complementari tra loro, ciascuna delle quali, per assolvere il proprio compito nell'ambito del sistema, deve assoggettare l'ambiente circostante, cioè le zone industriali e le zone di servizio delle metropoli, le montagne dei centri di sport invernali, i mari e le spiagge delle località estive. Così, poco a poco, tutto il territorio dei paesi industriali è incorporato nello spazio d'uso delle reti urbane; si tratta di uno degli aspetti di non minore importanza dell'evoluzione verso la formazione di megalopoli per interferenza delle reti originarie.
Naturalmente nei paesi in via di sviluppo si è ancora lontani da questa situazione, ma vi sono le premesse per gli elementi di una rete non ancora formata, e in dimensioni che spesso fuoriescono da una scala delle unità paragonabile a quelle dei paesi industriali. In realtà sul piano sociale non si tratta che di un epifenomeno e di una forma di mimetismo che riguarda soltanto gli strati dominanti e privilegiati della società.
La constatazione dell'influenza crescente delle città e della vita urbana sullo spazio circostante chiama in causa il gioco delle responsabilità nella gestione di un sistema che, originalmente locale e monocentrico, tende a trasformarsi in un'occupazione globale del territorio.
Una volta gli 'affari municipali' erano trattati da un consiglio cittadino o da rappresentanti più o meno controllati, soprattutto in materia fiscale e giudiziaria, da un rappresentante del potere centrale (statale o provinciale). Oggi l'amministrazione di una città (e a maggior ragione di un complesso urbano) è paragonabile a quella di una grande impresa a più settori. Il consiglio municipale si occupa della gestione degli affari correnti, ma è scavalcato per tutto ciò che concerne il futuro della città o dell'agglomerazione a medio e lungo termine, mentre per le realizzazioni immediate deve invece passare attraverso l'intermediazione di subappaltatori specializzati. Esso è spesso integrato in organismi pluricomunali (comunità urbana) e inoltre, quando le spese per la sistemazione della città eccedono le sue disponibilità e ricadono in parte sulla collettività nazionale (specialmente nel caso di una capitale) o provinciale, viene a trovarsi sotto il controllo di amministrazioni finanziarie a lui sovraordinate.
I programmi di sviluppo urbano, o anche soltanto di adattamento ai bisogni nuovi, chiamano in causa la competenza di servizi tecnici - urbanistica, ingegneria civile (per la costruzione e la manutenzione delle varie reti stradali), servizi idrici, del gas, dell'elettricità, delle telecomunicazioni, oltre a polizia e pompieri - che vanno in parte al di là di una gestione strettamente urbana, quando si superano certe dimensioni critiche. Tutto questo significa che nelle grandi città la dimensione municipale è ormai scomparsa. E tuttavia, poiché i bisogni legati alla solidarietà collettiva sopravvivono anche sotto un'amministrazione sempre più centralizzata e controllata, ecco rinascere associazioni private, a livello cittadino o di quartiere, per difendere gli interessi locali o per assicurare l'esistenza di alcuni elementi di vita culturale che sono i timidi eredi delle corporazioni dei tempi passati. Ma non è normale che le città, che hanno incorporato e assoggettato le campagne, ricadano sotto il controllo dell'amministrazione generale del territorio? (V. anche Territorio; Urbanizzazione).
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