Città
Il vocabolo viene dal latino civitas, "condizione di chi è cittadino (romano)" e "insieme dei cittadini"; già nel latino tardo il termine acquista metonimicamente il significato, che ha attualmente, di "città" come "aggregato di abitazioni", sostituendo il classico urbs. Comunità di individui e, al tempo stesso, rappresentazione nello spazio fisico di tale comunità, la città è sul piano culturale una rete di forme e di processi attraverso i quali si mescolano e si differenziano tradizioni e abitudini, stili e comportamenti, che incidono profondamente sui meccanismi di interazione tra il corpo e l'ambiente che lo circonda. Modi di parlare, di gestire, di abbigliarsi possono infatti essere considerati come le tracce leggibili sui corpi delle abitudini che regolano la vita urbana e dei processi di identificazione che la città innesca.
Nell'esplorare le dimensioni che l'esperienza del corpo assume nelle realtà urbane, una prima possibilità d'indagine riguarda le relazioni che s'instaurano fra corpi e spazi costruiti. Movimenti, gesti, posture sono il risultato di un processo di socializzazione attraverso cui le culture plasmano i corpi individuali, adattandoli al proprio ideale di umanità: sono 'sociale fatto corpo' (Bourdieu 1992; Mauss 1936). In quest'attività di modellamento, luoghi e spazi svolgono un ruolo particolare: anch'essi originati da un processo di costruzione sociale, essendo il loro significato continuamente creato e ricreato attraverso le narrazioni e le interazioni di coloro che vi vivono, a loro volta riproducono cultura senza che le persone coinvolte nel processo ne siano consapevoli (Connerton 1989). Quasi fossero degli accumulatori di memorie, ricordano nel quotidiano, in modo silenzioso ma persistente, i principi sottesi a una specifica modalità di percepire le relazioni umane. Rendono possibili alcune forme di movimento, ne escludono altre, sollecitano l'uso dei sensi, e i corpi, che questi spazi attraversano e che al loro interno interagiscono, ne risultano plasmati e modificati. Fra i due ordini vi è, dunque, una relazione mutualmente costitutiva. I corpi percorrono gli spazi, e attraverso il movimento fanno proprio il tessuto urbano, con la sua eterogeneità e diversità. Le indagini condotte da K. Lynch (1960) nelle metropoli americane hanno evidenziato le relazioni esistenti fra l'esperienza quotidiana di orientarsi in una realtà diversificata e complessa e la percezione che i cittadini hanno dei luoghi in cui abitano: sulla fisicità della città e sulla forma reale delle sue piazze, dei suoi quartieri e dei suoi sobborghi si distende come una rete l'interpretazione degli abitanti. Essa dà vita a mappe mentali, a itinerari che sono al tempo stesso reali e immaginari, risultato dell'incontro fra le vite dei singoli individui (con i loro ricordi, le loro storie e le loro aspirazioni) e l'ambiente che li circonda (Sobrero 1992). I percorsi quotidiani, con la loro ripetitività, assumono le qualità di un rito; trasformano la città in una rete di attività e movimenti, in una 'miriade di azioni' ciascuna delle quali porta il 'segno dell'intenzione umana' (Harvey 1991).
Gli spazi sollecitano i corpi e li socializzano, esercitando una sorta di muta coercizione. Nella letteratura sulla città, numerosi sono gli esempi di questo rapporto. La vita urbana, sosteneva G. Simmel (1903), modifica le capacità percettive. Le città costituiscono un incessante spettacolo di luci e colori, vetrine e passanti, percorsi pedonali e giardini che inducono a privilegiare la vista rispetto alle altre attività sensoriali. Chi le abita impara a osservare il mondo attraverso l'occhio e, sempre in virtù dell'occhio, si pone in relazione con gli altri, decodificando le espressioni dei loro visi, prestando attenzione ai particolari del loro abbigliamento.Nella medesima prospettiva si collocano le considerazioni di D. Le Breton (1990) sulle relazioni fra corpi e modernità. Nelle città europee le strutture architettoniche privilegiano la logica dello sguardo: i viali, le prospettive, le costruzioni in vetro e gli spazi aperti rendono l'occhio lo strumento privilegiato di percezione. A ciò si aggiungono anche altri aspetti della vita urbana, come i segnali che regolano la circolazione degli uomini e dei veicoli: numerosi fino alla confusione, impongono una vigilanza continua per orientarsi in un labirinto di cartelli, indicazioni e semafori; e ancora la valorizzazione turistica delle aree cittadine, la proliferazione delle telecamere nei luoghi pubblici o l'arte murale (tratto distintivo di metropoli come Londra, Parigi, New York), attraverso la quale motivi e colori entrano a far parte dello 'spazio troppo funzionale della città', restituendo allo sguardo una possibilità di scoperta e di stupore (Le Breton 1990, pp. 106-08).
L'ambiente urbano non è un contenitore vuoto in cui prendono forma le interazioni fra gli individui, le attività lavorative, gli svaghi. Non è neanche una semplice rappresentazione dei valori e dei significati che un dato gruppo attribuisce alla propria vita sociale. Plasma le abitudini e modifica la sensibilità percettiva di chi lo percorre e lo attraversa: "è una base materiale su cui può essere pensata, valutata e raggiunta tutta una serie di possibili sensazioni e di pratiche sociali" (Harvey 1991, trad. it., p. 90).
La fluidità delle relazioni che s'intessono fra coloro che vi vivono e la creatività dell'interazione sociale e culturale trasmettono l'immagine di una realtà dinamica in cui i rapporti umani prendono forma in una varietà di scenari e di situazioni. Se in contesti più circoscritti e ristretti (laddove, per es., il pettegolezzo costituisca uno strumento di controllo sociale) non sono numerose le occasioni in cui sia possibile presentare immagini diverse e in alcuni casi discordanti della propria persona, in città gli ambiti d'interazione non sempre comunicano fra loro. Dalle mura domestiche agli uffici, dai quartieri alle strade di maggior traffico, le identità sono fluide e malleabili e, secondo le circostanze, cambiano i ruoli che l'individuo è chiamato a impersonare. Proprio per questo i centri urbani offrono l'opportunità di approfondire le dimensioni drammaturgiche della vita sociale. Quando, come in città, le persone sono chiamate a interagire in una molteplicità di scene distinte, quando le relazioni che le uniscono agli altri vanno costruite piuttosto che essere già date, diviene possibile cogliere con maggiore chiarezza i meccanismi di presentazione del sé.
Rilevanti sono, a questo proposito, le strategie di controllo delle impressioni. Con ciò s'intende sottolineare come nel corso di un'interazione le persone prestino attenzione al proprio corpo, utilizzando gesti e affermazioni verbali, posture e atteggiamenti, per produrre una certa impressione sugli interlocutori (Goffman 1959, 1961); regolando alla stregua di attori le proprie espressioni, si orientano nell'universo delle relazioni umane valutando l'impatto esercitato su coloro che le circondano. La superficie del corpo è coinvolta in questi processi. Nella città, alle relazioni più intime e durevoli si accompagnano i contatti fortuiti e occasionali e lo studio scrupoloso dello stile e delle maniere è un elemento necessario per poter interagire con gli altri (Park 1968). In una realtà in cui non tutti si conoscono, la leggibilità della posizione sociale, gli emblemi che caratterizzano l'appartenenza a un gruppo o a un movimento culturale costituiscono un'inesauribile ricchezza simbolica, attraverso cui le persone si differenziano le une dalle altre. Un esempio: a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, l'esibizione degli abiti firmati, acquistati a Parigi, costituisce una strategia fondamentale nella costruzione del sé. L'apparire e l'essere della persona si sovrappongono, tanto da poter dire che si è ciò che s'indossa. Considerati tratti distintivi per conseguire e mostrare agli altri il proprio successo nella vita, gli abiti contribuiscono a rendere immediatamente manifesta la posizione sociale, essendo considerati uno strumento da cui dipendono la salute, il benessere e l'influenza politica (Friedman 1990).
Ogni giorno, innumerevoli volte, nelle città grandi e piccole di tutto il mondo le persone si incontrano, si evitano, interagiscono in modo fugace. Come nelle realtà sociali più ristrette, anche qui le relazioni fra individui possono essere fitte e coinvolgenti. Ma, al di là del piccolo mondo con cui il cittadino si identifica (per es. un quartiere), egli sa di essere circondato da estranei. Il tema della folla e dei corpi ammassati in uno stretto, e talvolta non desiderato, contatto fisico è un motivo ricorrente nella letteratura sulla città. Simmel riteneva la riservatezza un elemento indispensabile alla sopravvivenza del cittadino: "l'aspetto più intimo di questo riserbo interiore - egli scriveva - non è solo l'indifferenza, ma assai più spesso di quanto non lo si voglia ammettere ad essa si aggiunge [...] una leggera avversione, una estraneità e repulsione reciproche pronte a degenerare in odio o ira a un contatto più ravvicinato qualunque sia la causa" (Simmel 1903, trad. it., p. 281).
Negli spazi urbani viene a mancare la sicurezza che deriva da una diretta conoscenza degli altri. A essa si sostituiscono delle strategie per risolvere le situazioni in cui non si vuole entrare in relazione con gli estranei. Stili e comportamenti entrano in gioco per ridurre gli effetti dell'obbligata vicinanza fisica: luoghi come gli ascensori, le sale d'aspetto, le scale mobili, i giardini pubblici, e molti altri ancora, sono contesti in cui l'inevitabile contatto fra i corpi viene smorzato e reso socialmente accettabile grazie all'intervento di piccoli rituali, come l'ostentare indifferenza e il lasciar scivolare lo sguardo senza soffermarsi su nulla in particolare (Le Breton 1990). Alla stregua di indossatori, le persone mettono in mostra una varietà di segni che tutti possono esaminare, accettare o respingere senza essere direttamente coinvolti con coloro che partecipano all'interazione (Hannerz 1980). Minimizzare le espressioni del volto, evitare di osservare gli altri a lungo, allontanarsi per mantenere il proprio riserbo sono tutte tecniche del corpo, elaborate e trasmesse in contesti, come la città, nei quali sia necessario interagire, per buona parte della giornata, con persone sconosciute (Lofland 1973).
Le osservazioni di E. Goffman (1979) sui rituali che regolano le relazioni in pubblico costituiscono un contributo significativo all'analisi di questi comportamenti. Possiamo immaginare, egli sostiene, che i pedoni, alla stregua dei veicoli, siano coinvolti in relazioni di traffico. Osservando i movimenti che essi compiono sui marciapiedi affollati di una qualsiasi cittadina, emergono i processi che regolano l'organizzazione della vita pubblica, come l'uso delle espressioni gestuali, attraverso le quali la persona rende comprensibili elementi della propria situazione che altrimenti non sarebbero comunicabili. Fornendo attraverso il corpo delle indicazioni sulle proprie intenzioni, il passante si trasforma "in qualcosa che gli altri possono leggere e prevedere", e si adatta in questo modo agli altri senza dover dimenticare i propri pensieri e i propri obiettivi (Goffman 1979, trad. it., p. 15). È necessario a questo punto riconsiderare il percorso compiuto. La vita urbana si caratterizza per un elevato grado di eterogeneità e complessità (Hannerz 1980; Southall 1983). La possibilità di incontrare persone con esperienze diverse accresce la percezione che i singoli individui hanno della loro particolarità e costituisce il punto di partenza per la creazione di pratiche, istituzioni e tendenze specificamente mirate a ricostituire tessuti e intrecci di valori e di identità personali. Tuttavia, questa plasticità non deve porre in ombra come nella città, alla stregua di qualsiasi altro contesto sociale, esistano delle dimensioni della cultura che portano la persona a fare ciò che deve fare "senza che se lo ponga esplicitamente come scopo, al di qua di ogni calcolo e persino coscienza, al di qua del discorso e delle rappresentazioni" (Bourdieu 1992, trad. it., p. 95). L'analisi dei corpi, dei loro movimenti e delle loro posture costituisce una delle strade per porre in luce le dimensioni implicite dell'interazione sociale. Tre sono i livelli che sono stati presi in considerazione. Il primo è costituito dall'interazione fra i corpi e l'ambiente che li circonda: spazio multiculturale per definizione, la città è una rete di processi e memorie dalla diversa origine e dal diverso destino. Essa genera abitudini e atteggiamenti particolari, diversi da caso a caso e da contesto a contesto, ma tutti legati alla necessità di orientarsi e vivere in uno spazio fisico e sociale altamente differenziato. In secondo luogo, la città si presenta come un flusso di potenziali processi di identificazione, le cui tracce si leggono sui corpi: uno stile particolare nel parlare, nel ridere, nell'abbigliarsi, nel partecipare alle interazioni; anche il portamento e il contegno del corpo possono costituire strumenti attraverso cui l'individuo rende manifesta la propria posizione sociale o s'impegna a modificarla. Infine, per quanto l'anonimato e l'estraneità non siano le sole dimensioni della vita urbana, è inevitabile essere coinvolti in relazioni impersonali e superficiali. La considerazione dei comportamenti adottati per mantenere le distanze nei luoghi pubblici o per procedere lungo una via affollata offre l'opportunità di esplorare le convenzioni e le abitudini che regolano la vita urbana, al di là della consapevolezza che i singoli hanno del loro agire.
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