Città
Parte introduttiva
di Cesare Emanuel
Sono definite città gli insediamenti che, generati da un processo di concentrazione geografica della popolazione, degli impianti produttivi e dei servizi, si differenziano, per struttura e dimensione, dai centri rurali, dai piccoli villaggi, dai borghi urbanizzati, dai centri isolati rururbani e periurbani.
Poiché, come si è detto, la concentrazione che caratterizza le c. non riguarda solo la popolazione ma anche gli impianti produttivi e i servizi, esse costituiscono dei luoghi in cui forti sono gli interscambi sia con i territori vicini e lontani, sia con l'insieme delle condizioni naturali e socio-culturali che formano l'ambiente, o il milieu, locale. Il loro sviluppo e la loro evoluzione avvengono quindi per effetto di fattori sia endogeni (dinamiche demografiche, evoluzioni delle strutture produttive e socio-professionali), sia esogeni (cambiamenti economici e sociali globali, transizioni tecnologiche e dei modi di produzione, cambiamenti ambientali).
È dalle dinamiche combinate di questi fattori che le c. acquisiscono i loro tratti distintivi e le loro differenze in termini di morfologie insediative, di dotazioni funzionali, infrastrutturali e culturali, e anche di accumuli di competenze e di abilità tecniche, tecnologiche e scientifiche. È altresì per effetto di questi fattori che talune di esse possono perdere consistenza e funzioni, e dunque ridursi al rango di semplici centri, mentre altre possono addirittura scomparire. Al contrario, alcuni centri possono diventare vere e proprie città. Si parla a questo proposito di dinamica urbana, o di dinamica delle città, per poter differenziare queste ultime dai semplici centri, e ordinarle lungo un continuum selettivo che separa le c. piccole da quelle medie, da quelle grandi e dai sistemi territoriali di città.
Secondo H. Lefèvre l'analisi della dinamica urbana prospetta le c. come l'espressione, o l'immagine, della società tracciata sul suolo. Questa definizione è assai importante perché, descrivendo o osservando le loro fatture materiali e i loro cambiamenti, implicitamente si evoca, si descrive e si percepisce l'organizzazione della società che le produce e le riproduce. Ai fini della loro conoscenza e del loro apprezzamento questo è un punto di forza: è infatti per questo motivo che esse vengono colte come luoghi in cui una società rappresenta sé stessa, il suo passato e il sistema delle innovazioni e degli avanzamenti che propone.
Tipologia delle città
Il modo più semplice e comune per designare una c. è quello di riferirsi alla concentrazione e alla dimensione. La prima è misurabile come densità, sia edilizia sia demografica. Quest'ultimo rapporto varia nei diversi Paesi, dalle centinaia di ab./km2 (nel caso di quelli scandinavi) alle migliaia (nel caso di quelli mediterranei). L'estensione è implicita quando ci si riferisce a un comune o a una municipalità che si presume di dimensioni ridotte. In questo caso è sufficiente far riferimento alla dimensione demografica. La soglia dei 10.000 abitanti è, da questo punto di vista, accettata in molti Paesi.
Se dalla considerazione delle singole municipalità si passa ai casi in cui più municipalità contigue formano insieme un'unica grande area intensamente popolata, il confine diventa più incerto. Si parla così di agglomerazione urbana e di conurbazione. L'agglomerazione urbana designa l'espansione, prevalentemente a macchia d'olio, di un centro che ingloba progressivamente i comuni rurali limitrofi, formando con essi prima delle espansioni radiali lungo gli assi viari che li connettono e poi vere e proprie densificazioni interradiali. La conurbazione designa invece un'area continua che si forma a partire da due o più c. in seguito alla loro espansione e reciproca fusione.
Infine, un concetto ancora diverso è rappresentato dall'armatura urbana, che designa invece il tessuto, o l'orditura geografica, delle c. di diverse dimensioni presenti in una regione o in un Paese. Essa sarà densa in Paesi come l'Italia e i Paesi Bassi, dove l'urbanizzazione e la conseguente maglia delle c. risalgono all'età comunale, ed estremamente rarefatta nelle zone subartiche o nelle parti più interne di continenti come l'Africa, l'Asia e l'Australia.
Per individuare una c. con l'ausilio di indicatori diversi da quello demografico e delle densità (per es., le funzioni che vi si svolgono, o i gruppi sociali che vi sono insediati, o le morfologie e i tratti storici e culturali distintivi), è necessario ricorrere ai valori dell'occupazione extra agricola e della composizione socio-professionale, e ai censimenti dei patrimoni culturali (materiali e immateriali). Con questi indicatori diventa possibile classificare le c. per tipologie, sulla base delle interdipendenze statistiche che si stabiliscono tra sottoclassi omogenee di essi. Gli esempi più ricorrenti sono quelli che separano le c. monofunzionali, o specializzate, da quelle plurifunzionali. Tra le prime, nell'ambito delle funzioni culturali e dei patrimoni disponibili, le c. d'arte (per es., Firenze, Venezia, Bruges), le c. sacre (Gerusalemme, Assisi, Lourdes, Mecca); nell'ambito delle funzioni direzionali e di governo, le c. capitali (Washington, Brasilia, Praga), le c. Stato (Monaco, San Marino, Andorra), le c. finanziarie (Zurigo, Londra, Lussemburgo); nell'ambito della funzione produttiva, le c. industriali (Torino, Detroit, Manchester), le c. minerarie (Essen, Dortmund, Carbonia, Ābādān); nell'ambito della funzione distributiva, le c. portuali (Genova, Rotterdam, New Orleans, Kōbe), le c. mercato (Cuneo, Lucca), le c. turistiche (Rimini, Cannes, Miami, Acapulco).
Tra le seconde, le c. terziarie e quaternarie (Londra, New York, Los Angeles, Milano), le c. nodali (Verona, Lilla, Lione) le c. gateway (Singapore, Shanghai, Barcellona), le tecnopoli (Boston, Nizza, Tsukuba). L'evoluzione recente delle c. dimostra come esse vadano connotandosi sempre più come centri plurifunzionali, in ragione della crescente concentrazione non solo della popolazione, ma anche, e soprattutto, delle attività che ne assicurano lo sviluppo e la stessa specializzazione. Esse quindi assumono l'identità di veri e propri organismi, o sistemi complessi, la cui organizzazione può essere colta osservandole alle diverse scale: locale, regionale e sovraregionale.
L'organizzazione delle città a scala locale
Alla grande scala la c. si presenta come un insieme di funzioni elementari (costituite, come si è detto, da residenze, attività produttive e servizi di vario genere) non uniformemente distribuite entro i suoi confini, ma ripartite per zone connotate da valori decrescenti di concentrazione a partire dal centro principale.
Il fatto che queste configurazioni si ripetano con una certa regolarità nello spazio urbano ha suggerito l'idea che ogni funzione riceva dal luogo in cui è insediata una certa utilità, derivante dalla posizione e dunque dalla accessibilità rispetto a tutti gli altri luoghi, in particolare rispetto al centro, in cui quest'ultima risulta massimizzata. A fronte della propensione di ogni attività a localizzarsi nel centro, la limitatezza dello spazio disponibile diventa responsabile di una selezione, determinata dal costo dell'insediamento in quest'area. Sulla base di questo ragionamento, tutte le attività si localizzeranno nella c. in ragione del rapporto che si stabilisce tra costo di insediamento e benefici conseguibili nella posizione più vicina al centro. Di conseguenza, si disporranno per anelli concentrici a partire dal centro prima le attività commerciali e di servizio (che massimizzano gli utili dalla posizione di massima centralità), poi quelle industriali e, infine, quelle residenziali. Il gradiente negativo dell'accessibilità che si produce a mano a mano che ci si allontana dal centro, si tramuta così in un gradiente negativo nei rapporti funzionali e sociali. Ciò vale anche per i gruppi sociali impossibilitati a pagare un alto prezzo per insediarsi nelle aree più centrali; allontanandosi dal centro diminuirà di regola il reddito medio delle famiglie, il grado di istruzione, il livello di occupazione non precaria, la dotazione locale di servizi, la qualità delle abitazioni. Di solito si riduce anche l'intensità d'uso dello spazio, si abbassa il prezzo unitario di quest'ultimo e, inoltre, aumentano i costi di trasporto verso il centro.
Questo modello fa capire per grandi linee l'organizzazione di una c., ma rimane lontano dalla sua reale geografia organizzativa. Se si accetta l'idea che l'accessibilità aumenta lungo le maggiori arterie che si irradiano dal centro, i cerchi si trasformeranno in qualcosa di simile a stelle, con tante punte quanti sono gli assi di grande comunicazione. È possibile osservare come lungo tali assi si formino settori radiali con determinate specializzazioni funzionali (certi tipi di commercio, uffici, abitazioni di un certo standard, industrie). Considerando la natura e la storia, si evincono altre anomalie significative con effetti sensibili sull'organizzazione della c., come, per es., aree morfologicamente favorite (colline, terrazzi fluviali) o aree con caratteri storico-architettonici di pregio particolare o, al contrario, aree di degrado e di segregazione oppure soggette a maggiori tassi di inquinamento atmosferico.
I. Calvino osservava come le c., per essere pensate, debbano essere ricondotte a un modello generale; poi i caratteri locali ne definiranno i contenuti e ne specificheranno le funzioni.
Questo modo di pensare le c. è pertinente anche quando si prendono in esame le c. estese. In questo caso l'organizzazione delle attività diventa più complessa, per il formarsi, entro le corone esterne al centro principale, di nuclei secondari di attività centrali, a loro volta contornati da corone di attività basiche, ossia che fanno riferimento alle esigenze primarie della popolazione. A un ordine principale si sovrappongono così ordini locali secondari che, oltre a modificare ulteriormente la configurazione anulare delle corone, delineano anche una gerarchia tra le centralità e tra le attività, nonché un'ulteriore accentuazione dei gradienti funzionali e sociali. L'espressione più evoluta di questa organizzazione dello spazio urbano è l'area metropolitana, così chiamata perchè essa rappresenta la 'città madre', capace di far intraprendere un movimento centripeto e centrifugo alla localizzazione delle attività, sulla base del rinnovo delle funzioni e delle condizioni territoriali che assicurano e definiscono l'accessibilità.
L'organizzazione delle città a scala regionale
Alla scala intermedia le c. possono essere considerate come dei punti, o dei nodi, tra loro connessi da legami asimmetrici di dipendenza o simmetrici di interdipendenza reciproca. Si parla in questi casi di reti urbane regionali, o di reti di città, gerarchiche, polarizzate e policentriche. Le prime sono quelle al cui vertice si colloca la c., o l'area metropolitana, principale, cui fa seguito una sequenza scalare di centri via via più numerosa e funzionalmente impoverita, compresa entro l'area di gravitazione, o di mercato, della prima. Il grafo organizzativo di questa rete sarà di conseguenza quello ad albero che connette e fa dipendere i centri minori a quelli maggiori, fino alla c. di vertice intesa come c. di primo livello. Questo tipo di reti urbane connota le regioni in cui le attività produttive, la popolazione e l'infrastrutturazione territoriale risultano complessivamente diffuse e ordinate (per es., la rete urbana delle regioni dell'Italia centrale, Lazio escluso, della Svizzera, dell'Austria). Più in generale, è dimostrato come queste reti abbiano caratterizzato le fasi dello sviluppo regionale che hanno preceduto l'avvento della rete urbana polarizzata, in cui le dinamiche più accelerate vengono alimentate dalle attività motrici della c. o dall'area urbana di vertice, e autocontenute in essa o nei suoi immediati dintorni. Attraverso questo processo si determina un impoverimento progressivo delle restanti c. regionali, con la formazione di sensibili divari o squilibri urbani e territoriali. La configurazione della rete assume in questi casi la forma di una raggiera fortemente convergente sul centro principale, che in tal modo rafforza il suo primato sul territorio regionale. Queste reti sono quelle che caratterizzano le regioni dei Paesi sviluppati con una forte base industriale e/o terziaria, o le regioni sottosviluppate o in via di sviluppo sorrette da una sola c. su cui si sono diretti gli investimenti locali e sovralocali (per es., la rete urbana del Piemonte, della Lombardia, della Campania, della Francia, della Turchia, del Ghana).
Reti regionali policentriche sono invece quelle in cui le funzioni urbane di rilievo si distribuiscono, anziché su un solo centro, su un grappolo o un insieme plurimo di c., che sviluppano, di conseguenza, legami reciproci di interdipendenza e di complementarietà funzionale. Questa caratteristica si ripercuote in generale sulle altre c. regionali di diverso livello, che tenderanno a ridistribuire le funzioni sulla base di specifiche specializzazioni locali; si avvia così l'intero sistema urbano regionale verso un assetto caratterizzato da forti rapporti di equipotenzialità e di flussi di interdipendenza non gerarchica, che a loro volta preludono a un'estesa diffusione dei processi di sviluppo locale (per es., la rete urbana del Veneto, dell'Emilia-Romagna, della Germania Occidentale).
L'organizzazione delle città a scala sovraregionale
Negli ultimi decenni del 20° sec., con l'internazionalizzazione dell'economia e la globalizzazione degli scambi e dei mercati, questi modelli hanno teso a modificarsi velocemente. Il livello regionale e nazionale, pur conservando importanza dal punto di vista politico, amministrativo e delle normative sulla spesa pubblica, è sempre meno significativo, in quanto l'esercizio di tutte le altre funzioni genera connessioni che si situano sempre più alla scala sovraregionale. La rete urbana tende così a organizzarsi su due livelli principali: uno locale/regionale e uno internazionale, che comprende i nodi in cui sono presenti le attività direttamente inserite in questo livello; quello locale/regionale corrisponderà di conseguenza all'organizzazione locale e regionale delle funzioni urbane non metropolitane, o dei sistemi territoriali urbani in cui esse si distribuiscono. Questo cambiamento determina sia un'ulteriore selezione verso l'alto delle c. principali, sia una parallela omologazione verso il basso delle altre. Dove i nodi di queste due reti sono compresenti, essi svolgono l'importante funzione di unificare i circuiti regionali e nazionali con quelli internazionali, favorendo la mobilità, l'interazione sociale e culturale, la circolazione delle informazioni, delle innovazioni, dei capitali e delle merci, la formazione di un'offerta differenziata di servizi e l'accessibilità a questi ultimi. Anche in funzione di questi legami connettivi si possono aggiornare e precisare i tratti morfologici, funzionali e socio-culturali delle citate c. delle regioni del sottosviluppo, dei Paesi in via di sviluppo e di quelli avanzati.
Città delle regioni e dei Paesi sottosviluppati
Nell'ambito delle dinamiche che contrassegnano le reti urbane sovraregionali, si definiscono come c. del sottosviluppo quelle entità urbane connotate da una debole connessione tanto con le reti locali quanto con quelle di livello internazionale. Esse, quindi, non risultano in grado di assicurare né la valorizzazione delle risorse locali nei livelli superiori, né un efficace interscambio con i flussi delle innovazioni e dei capitali che circolano a queste scale. La loro debolezza strutturale avvia verso una dinamica ulteriormente implosiva i Paesi e le regioni che già scontavano gravi deficit di sviluppo. In particolare, per queste c. il mancato legame con l'economia e con il mercato globale si ribalta sulle altre c. regionali, impoverendole ulteriormente e costringendo le loro popolazioni a riversarsi su di esse per trovare occupazione nelle attività connesse con l'esportazione delle risorse minerarie o di piantagione e dei beni a basso costo che producono. L'impetuosa e accelerata urbanizzazione che le caratterizza fa sì che almeno dieci tra le prime venti c. del mondo (è il caso, per es., di Bombay, San Paolo, Calcutta, Dacca, Karāchī e Manila) siano oggi agglomerati appartenenti a questa tipologia, e possano coincidere con la c. capitale del Paese, su cui, quindi, si concentra gran parte della popolazione nazionale.
L'organizzazione urbana di queste c., così come le soggiacenti dinamiche sociali, si scosta decisamente da quella descritta in precedenza. Il nucleo centrale di esse risulta ormai diviso in due parti: la 'città vecchia', abbandonata dalle classi borghesi e ripopolata dai più poveri, e la 'città nuova', centro degli affari e dell'amministrazione. Attorno a questo nucleo, se si escludono alcuni quartieri residenziali privilegiati, si estende senza soluzione di continuità una misera periferia di baracche, sprovviste anche dei servizi più elementari e intercalate da depositi merci, qualche fabbrica, caserme e impianti militari (bidonvilles in Africa, favelas e bairros ilegales in Brasile). La 'città nuova' e i pochi quartieri definibili come residenziali sono sede di una minoranza sociale privilegiata, che comprende le classi dirigenti locali e le maestranze delle imprese straniere che operano nel campo dell'esportazione. Attorno a questi circuiti socio-economici si innestano quelli dell'economia locale, o 'informale', basati sul piccolo commercio, sull'artigianato e su tutti i mestieri manuali indispensabili alla produzione, cui si accompagnano forme spontanee di autoorganizzazione per provvedere alla loro necessaria riproduzione.
Città delle regioni e dei Paesi in via di sviluppo o in riconversione economica
In talune c. delle regioni o dei Paesi sottosviluppati (come, per es., Rio de Janeiro, Città di Messico, Lagos, Il Cairo, Seoul), la delocalizzazione di numerose attività industriali dall'Occidente o l'aumento della domanda d'esportazione dovuta al basso costo delle produzioni stanno producendo una rivitalizzazione senza precedenti. Nuove infrastrutture, residenze, stabilimenti e grattacieli (per uffici di compagnie multinazionali, di istituti finanziari e di gruppi industriali locali) preludono a un rinnovo sociale, culturale e imprenditoriale. La riqualificazione, che rimodella anche socialmente queste c., non riverbera tuttavia effetti positivi su tutte le altre; anche in questi casi le reti urbane restano prevalentemente frammentate. Da questa logica si distaccano la rete urbana cinese, in cui le forme di rimodellamento conseguenti ai processi di sviluppo sono assicurate da una rigida politica di programmazione, e quella dei Paesi dell'Europa orientale, in cui l'innesto dell'economia globale si interfaccia con un'infrastruttura urbana preesistente, capace di assorbire e integrare i nuovi impulsi esterni. In quest'ultimo caso, ciò attenua solo in parte i forti squilibri sociali che si vanno comunque affermando per l'accettazione e la diffusione repentina dei modelli di vita e di consumo che caratterizzano le c. dell'Occidente.
Città delle regioni e dei Paesi dell'Occidente industrializzato
La crescita della popolazione e dell'urbanizzazione nelle grandi metropoli non costituisce più una prerogativa delle regioni e dei Paesi dell'Occidente. A partire dagli anni Ottanta del 20° sec., in queste realtà urbane si è verificato prima un arresto generalizzato della crescita demografica e poi un suo declino. Le cause di questi fenomeni sono ascrivibili alla deindustrializzazione, alla crescente terziarizzazione, all'accrescimento dell'accessibilità nelle aree periferiche e al massiccio ingresso della manodopera femminile nel mondo del lavoro. Le aree lasciate libere dagli impianti industriali nella aree urbane centrali sono state riconvertite in uffici, servizi e attività ludico-culturali a disposizione di una popolazione, e di una domanda, più qualificata e propensa a trasferire la residenza fuori dalle zone congestionate, ma in aree comunque facilmente accessibili dai quartieri centrali. La crescita urbana avviene così prevalentemente per suburbanizzazione e per estensione della c. nello spazio regionale. Si parla così di 'città diffusa' attorno alle grandi agglomerazioni urbane e di 'coalescenza intermetropolitana' per designare estensioni urbane di carattere megalopolitano. I fenomeni di crescita demografica e occupazionale hanno premiato soprattutto i centri medi che la crescita metropolitana polarizzata del periodo postbellico aveva impoverito. A questo tipo di crescita si alterna invece quella selettiva che contraddistingue le aree centrali della principali agglomerazioni, con un evidente riposizionamento di alcune di queste.
Recenti ricerche su questi fenomeni hanno prodotto una classificazione assai originale per un gran numero di queste città.
Il termine città globali designa un numero limitato di unità urbane che, strettamente interconnesse da flussi di comunicazione e rapporti finanziari, formano nel loro insieme il sistema di controllo a scala mondiale. Pur avendo una gamma completa di funzioni, la vera specializzazione delle c. globali è nel sistema della ricerca, del commercio internazionale e della finanza. In esse si riflettono in positivo, o in negativo, le grandi tensioni culturali, economiche, sociali e politiche del mondo intero, e ciò le rende più innovative, più dinamiche, più competitive e anche più conflittuali. Secondo alcuni autori si tratta di poche metropoli: New York, Los Angeles, Tokyo, Londra, Parigi, Mosca. Secondo altri sarebbe indispensabile includere altre c. dei Paesi industriali, come Berlino, Francoforte, Zurigo, Chicago, e, in posizione secondaria, anche metropoli come Bruxelles, Milano, Vienna, Madrid, Toronto, San Francisco, Sydney, Johannesburg.
Sono chiamate città in transizione industriale e tecnologica positiva quelle che mostrano una base industriale e di servizi assai diversificata (sia ad alta tecnologia sia tradizionali), un alto valore aggiunto e di produttività per addetto, un basso tasso di disoccupazione, un'incidenza non trascurabile di funzioni direzionali, economiche e amministrative, e un habitat urbano di elevata qualità. Ne sono esempi Detroit, Pittsburgh, San Diego, Stoccarda, Monaco di Baviera, Norimberga, Düsseldorf, Torino, Grenoble, Bordeaux.
Sono, invece, denominate città in transizione tecnologica negativa quelle che, diversamente dalle precedenti, presentano ancora una struttura industriale imperniata sui settori più tradizionali, e sono caratterizzate da bassi livelli di direzionalità e di servizi business-oriented; sempre contrariamente alle precedenti, vi è ancora forte la presenza del terziario amministrativo e anche delle funzioni connesse con la portualità e l'intermodalità. Esempi sono New Haven, Tucson, Liegi, Rotterdam, Genova, Anversa. Indicate come aree urbane in crisi strutturale sono le c. contrassegnate da senescenza funzionale, accompagnata in alcuni casi dal mantenimento di una certa base industriale. Ne sono esempi Edimburgo, Napoli, Glasgow, Manchester, Lilla.
bibliografia
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Evoluzioni della città: problematiche e prospettive
di Franco Purini
Le c. sono sistemi complessi caratterizzati da un equilibrio instabile all'interno del quale a fasi di relativa stabilità succedono ciclicamente momenti di squilibrio causati da conflitti sociali, funzionali e morfologici. Tali conflitti producono veri e propri collassi dei processi che regolano la vita dell'insediamento, il quale, proprio attraverso questi cedimenti strutturali, riesce a raggiungere un suo nuovo assetto, destinato a permanere fino a quando una serie di ulteriori conflitti non ne causerà la crisi. I conflitti possono protrarsi nel tempo e agire in modo quasi inavvertibile per poi precipitare improvvisamente, o presentarsi fin dall'inizio come un evento dai tratti drammatici. In ogni modo, qualunque sia il tipo di conflitto, a esso segue sempre la ricostituzione, a un livello diverso, di un assetto urbano dotato di una relativa e temporanea solidità. Da questo punto di vista l'evoluzione di una c. non è altro che il continuo alternarsi di situazioni di turbolenza e di periodi di quiete.
Perennemente in movimento, le c. costruiscono attorno alla successione di rivolgimenti e di assestamenti la loro identità, che proprio a causa di questa oscillazione si configura come qualcosa di dinamico e di metamorfico. A un nucleo resistente - il genius loci, ovvero il carattere nativo della c. - corrisponde un insieme di elementi transitori che si affiancano a esso per periodi più o meno consistenti, dando luogo a una stratificazione crescente di temi, motivi e forme. La ricorsività dei conflitti e della loro ricomposizione è, per quanto detto, alla base di qualsiasi vicenda urbana. Il modello della catastrofe, con la sua frattalità temporale, si alterna così al modello della stabilità, all'interno del quale è possibile rilevare permanenze tali da consentire, per es., la formazione di apparati monumentali. C'è da aggiungere che questa vicenda è avvalorata solo quando diventa oggetto di un racconto, materiale di una narrazione collettiva che acquista sempre un che di mitologico. All'interno di questa situazione conflittuale, ogni c. sembra possedere un suo progetto di esistenza, una sua finalità. Essa dà l'impressione di essere stata fondata e costruita nel tempo per rispondere a un'intenzione profonda, per rappresentare un aspetto della condizione umana. Anno dopo anno, secolo dopo secolo e, per alcune, millennio dopo millennio, questo progetto di esistenza viene sostanzialmente confermato, anche se le condizioni storiche che le c. attraversano si modificano incessantemente. Questa finalità è insita nel genius loci della c. ed è visivamente comunicata dall'ideogramma urbano, o logo, che rappresenta, come si vedrà più avanti, una sintesi dinamica delle tendenze evolutive espresse dalla città. Costruire un edificio in una c. comporta quindi la preliminare comprensione del suo progetto di esistenza, così come ideare e realizzare una c. nuova - una città del futuro - significa prima di tutto stabilire quale sia la sua intenzione, cosa essa voglia rappresentare nel tempo. Fin dalla sua nascita Roma è stata la c. nella quale il mutamento non è stato in grado di contrastare l'essenza atemporale che essa rappresenta; Parigi racconta la possibilità che la c. diventi una manifestazione totale, un'incessante rifondazione nel presente che vive autonomamente rispetto al Paese di cui è capitale; New York è la dimostrazione di come la c. possa competere con la natura facendosi, con le montagne artificiali dei suoi grattacieli, fenomeno geografico; Seoul sembra avere come progetto di esistenza la trasformazione della distanza in esperienza estetica, ma prima di tutto in un fatto spirituale; Tokyo racconta del futuro del futuro.
Alcuni dualismi
L'esperienza della c., nella vita di ciascuno dei suoi abitanti, è talmente intensa, permanente e totale che l'esperienza umana si identifica, di fatto, con l'esperienza urbana. Eppure, nonostante questa centralità assoluta, la c. è qualcosa di sostanzialmente sconosciuto, un'entità che sembra fare di tutto per nascondersi, per travestirsi, per dissimulare la sua reale struttura e le sue vere finalità. Da questo punto di vista pensare la c. è una vera e propria arte più che una scienza, ma un'arte difficile da apprendere e da esercitare. A fronte di questa contraddizione, appare essenziale accettare la natura inesplicabile se non proprio misteriosa della c., considerando inoltre un altro aspetto di grande importanza, il suo essere funzionale alla creazione di quelle condizioni di emergenza già evocate, situazioni attraverso le quali l'imminenza di un collasso obbliga i suoi abitanti a un'improvvisa accelerazione creativa. Oggi le c., che hanno superato in molti casi anche le dimensioni della megalopoli, suggeriscono due prospettive opposte. Per un verso esse sono, come afferma Z. Bauman "discariche dei prodotti difettosi e deformati della società fluido-moderna" (Liquid love, 2003; trad. it. 2004, p. 161), sterminati accumuli di rovine di modelli insediativi, deserti di socialità attraversati da frontiere visibili e invisibili che separano zone sicure da territori pericolosi, come sostiene anche M. Davis; per l'altro si propongono come dispositivi di alimentazione delle illusioni collettive, euforiche città-spettacolo che trovano nell'universo dei media il loro strumento e il loro scopo. La c. si presenta oggi in molte zone dell'Africa, dell'America Latina e dell'Asia come un gigantesco e irreversibile fallimento, mentre in altre aree del pianeta, come negli Stati Uniti o in Giappone, essa esibisce un volto trionfante. Le mitiche immagini del film di R. Scott Blade runner (1982), che allora tanto impressionarono il pubblico mondiale, appaiono oggi quasi rassicuranti, in qualche modo già antiche. Oltre alla dualità tra modello catastrofico e modello trionfale ne esiste un'altra, di pari importanza. La c. può essere pensata come un sistema continuo, fatto di spazi privati e pubblici connessi in sequenze coordinate o, all'opposto, come un qualcosa di discontinuo, nel quale hanno un ruolo determinante le interruzioni, le pause, gli intervalli. Per coloro i quali la c. è continua, è importante ricucire, riconnettere, ricongiungere parti divise e lontane; per chi preferisce considerare la c. come un sistema discontinuo, il problema sarà al contrario quello di confermare e semmai aumentare la separazione dei singoli settori urbani, al fine di incrementarne l'identità. Se le strade sono strumenti connettivi per definizione, fiumi, canali, rilevati ferroviari, viadotti e svincoli costituiscono altrettanti fattori di discontinuità.
Nell'immagine settecentesca del Campo Marzio proposta da G.B. Piranesi i due modelli confluiscono in un impianto morfologico che gioca sul paradosso di una uniformità architettonica raggiunta per mezzo di elementi tutti diversi. La continuità è data in questo caso dallo spazio interstiziale che lega tutti gli edifici, mentre la discontinuità è assicurata dalla autonomia tipologica e architettonica di ogni manufatto. Al di là del modello concettuale prescelto c'è da riconoscere comunque che la c. è, come nel Campo Marzio, contemporaneamente continua e discontinua. Ciò che veramente la identifica è la qualità della continuità rispetto a quella della discontinuità e viceversa. Un altro dualismo, anch'esso di grande rilievo, interessa la c. contemporanea ossia la contrapposizione tra la realtà urbana, per quello che essa propone di fisicamente strutturato e quindi di durevole, e la finzione, ovvero il mondo simbolico e immateriale della simulazione, un mondo sostanzialmente rivolto a tutto ciò che è effimero, risolto in una pura immagine. La simulazione concerne una realtà diversa, una realtà parallela che è fatta della rappresentazione della prima. Nasce così quella dialettica tra autentico e falso di cui è intessuta, per es., Las Vegas, una c. vera dove veri alberghi alludono a un mondo altro mentre frammenti di New York o Venezia si propongono come cloni di realtà lontane, trasformate in icone di consumo. In un contesto come quello della c. del Nevada non è facile stabilire cosa sia autentico e cosa sia falso, ma in fondo ciò che si scopre è che questa stessa domanda non è fondata. La realtà e la finzione si scambiano l'una con l'altra, e ciò che è autentico si fa falso mentre ciò che è falso si rivela vero.
Tre tipi di città
Proiettate nella dimensione globale, le c. si possono suddividere oggi in tre tipi. Il primo è quello della città in declino, e riguarda tutti quei centri urbani che per ragioni diverse attraversano una crisi strutturale. Tale crisi, che può evolvere verso una perdita del controllo sulla c., è determinata sia dalla sua stessa estensione, prima ancora che dai conflitti che l'attraversano, come accade a Il Cairo o a San Paolo, sia da un'endemica e progressiva perdita di energia evolutiva, fenomeno che si può riscontrare in molte città europee. A Berlino, Parigi, Madrid, Roma la tendenza è quella di mettere in atto strategie tese a pianificare il declino e a evitare la decadenza, nel tentativo di protrarre il più a lungo possibile una condizione di prestigio, che altrimenti esigerebbe per il suo mantenimento un nuovo ciclo di esistenza. In molte c. francesi, tedesche, inglesi si è preferito infatti creare tutta una serie di servizi tesi ad assicurare agli abitanti un alto livello di comfort, all'interno però di una sostanziale rinuncia a proiettarsi sul futuro. Ci sono poi le città in ascesa che, grazie alla loro capacità di dare inizio a nuovi periodi di sviluppo, tendono ad assumere posizioni dominanti all'interno dei processi globali. Bombay, Shanghai, Seoul, Tokyo, Singapore, Kuala Lumpur, non a caso tutte nell'area orientale ed estremo orientale, si stanno configurando come metropoli guida, in grado di influenzare potentemente le dinamiche economiche, politiche e culturali dell'intero pianeta. Tuttavia anche alcune c. europee si possono inserire in questa linea. Barcellona, Bilbao, Glasgow, Milano mostrano la volontà di sfuggire al declino europeo seguito alla deindustrializzazione e al ridimensionamento del loro ruolo, rinnovandosi e costituendosi in sistemi integrati, mettendosi in rete. C'è poi un terzo tipo di c., che si potrebbero definire città in attesa, metropoli che vivono una fase di stallo, in una condizione di difficile equilibrio che non prevede né crescita né contrazione. Alcune c. latino-americane come Rio de Janeiro e Caracas, come anche la stessa Los Angeles, sono in questa situazione. Le c. in declino, le c. in ascesa e le c. in attesa sono coinvolte tutte in un processo che le vede trasformarsi nelle già evocate città-spettacolo. Da qualche tempo non è più il cinema a fabbricare i grandi miti collettivi che alimentano le sterminate masse metropolitane regalando loro l'illusione dell'immortalità, della giovinezza, della bellezza e della felicità: sono le c. che si sono assunte direttamente questo ruolo. Le città-spettacolo sono c. dalle architetture visivamente clamorose che si pongono come eventi dal forte richiamo iconico. Le città-spettacolo sono città a tema che scelgono un loro aspetto primario sul quale costruire una serie di rappresentazioni che possano trasformarle in simulazioni di sé stesse, secondo un modello che unisce Disneyland a Las Vegas. All'interno della spettacolarizzazione della c. è nato un fenomeno di grande importanza, il turismo di massa del nuovo, rivolto non più alle testimonianze del passato ma alle ultime realizzazioni. Bilbao e Barcellona, ma anche Parigi, Berlino, Seoul e Tokyo sono c. che si visitano soprattutto per quanto offrono di notevole, e spesso di straordinario, nella loro recente architettura.
Tre orientamenti
A fronte della difficoltà, se non proprio dell'impossibilità, di una reale pianificazione delle c. globali che vada al di là dell'intervento isolato anche se facilmente recepibile, esistono tre orientamenti principali. Il primo corrisponde alle estetiche del caos, coltivate soprattutto in Olanda e negli Stati Uniti, che consistono nell'esprimere, spesso con grande energia, il carattere tumultuoso, irruente e imprevedibile che contraddistingue le c. attuali attraverso architetture altrettanto entusiasticamente casuali, fuori misura, inaspettate, architetture che finiscono di fatto con l'aumentare il disordine e l'entropia. Il secondo orientamento discende dalle pratiche del caso per caso, sostenute soprattutto in Spagna da figure come O. Bohigas e J. Busquets, pratiche basate sulla possibilità di interventi puntuali dotati di una certa coerenza, seppure limitata e temporanea. Il terzo deriva dalle logiche del controllo care alla tradizione razionale, sia essa di matrice strutturale, come in A. Rossi, V. Gregotti e O.M. Ungers, sia storicista. A quest'ultima linea appartengono figure come L. Krier e P. Portoghesi, sostenitori di modalità d'intervento fondate sulle possibilità di circoscrivere singoli ambiti operativi entro i quali dar vita a situazioni urbane equilibrate, totalmente relazionate nelle loro parti, capaci di evolvere organicamente. In ognuna di queste strategie progettuali, ma soprattutto nelle prime due, si possono evidenziare tre componenti: l'accelerazione tecnologica, legata in particolare al ruolo del digitale; la comunicazione, ovvero la componente mediatica, tra gli obiettivi più consistenti di ogni intervento urbano; l'arte, vale a dire il luogo di elaborazione dei modelli di pensiero e di comportamento più elevati tra quelli che muovono e motivano la società globale.
Lo spazio urbano
Compresso, distaccato, frammentario, ibrido, interrotto, interferente, indeterminato, casuale e metamorfico lo spazio urbano presenta, all'inizio del 21° sec., un carattere residuale che lo sospende tra postluoghi e non luoghi in un crescente anonimato. Esiste la tendenza in molte metropoli - vere e proprie excittà, più che postcittà - a organizzarsi per insediamenti fortificati, come reazione difensiva nei confronti di uno spazio pubblico ormai divenuto pericoloso. A fronte di queste isole, quartieri protetti in cui pochi privilegiati vivono in realtà come autentici prigionieri, si distendono, come a ridosso del porto di Buenos Aires, immensi accampamenti di masse escluse da ogni cittadinanza, nei quali la stessa idea di precarietà suona come un eufemismo. In questo senso la c. perdente e la c. vincente, la c. ormai disciolta nell'atopia e la c. che ha ancora luoghi, ancorché soggetti a una crescente entropia, sono contenute l'una nell'altra: stare nel centro della loro reciproca appartenenza è il compito primo del progetto urbano. In mezzo alle due facce della metaforica 'testa di Giano' che è la c. contemporanea, c'è il mercato, entità neometafisica che nella sua essenza duale - produce nello stesso tempo più libertà e più repressione - esprime la volontà di un controllo totale. Questa doppia essenza impedisce all'arte di pensare la c. se non nella forma dinamica, metamorfica e imprevedibile del progetto urbano. In effetti solo l'architettura, proprio in quanto disciplina intrinsecamente positiva, è in grado, più della letteratura, della poesia, del cinema e dell'arte figurativa, di adoperarsi concretamente per modificare una realtà che sembra sfuggire all'uomo, prestandosi solo a essere interpretata e rappresentata.
Città e globalizzazione
La globalizzazione è un fenomeno nuovo e nello stesso tempo è una realtà che la storia umana ha conosciuto più volte. I grandi imperi dell'antichità come l'Impero persiano, quello alessandrino, l'Impero romano, il Sacro Romano Impero, l'Impero di Bisanzio e poi quello turco; nell'Ottocento il predominio mondiale inglese basato sul dominio degli oceani con il fenomeno del colonialismo e il primato statunitense nel Novecento, soprattutto nella seconda metà del sec., hanno prefigurato ampiamente i processi che la globalizzazione ha oggi avviato. Processi che coinvolgono tutte le attività umane e che hanno conseguenze importanti nella vita delle città. L'effetto principale della globalizzazione, vale a dire l'interconnessione delle varie realtà locali - un fenomeno che causa il trasferimento da una parte all'altra del pianeta di energie, modalità produttive, costumi, culture - fa sì che le c. subiscano un processo di crescente omologazione. In qualche modo le c. tendono a divenire, se non uguali, almeno molto simili eliminando, o cercando di eliminare, tutto ciò che è troppo locale. Per contro, e questo è il dato più significativo, maggiore è la spinta alla uniformità, più grande è la reazione a questa tendenza. Il risultato consiste nel fatto che le c. non perdono identità, come pensa R. Koolhaas quando parla di c. generica, ma la rafforzano. Si tratta di un'identità modificata ma senza dubbio non di minore intensità. In nessun altro periodo della storia dell'uomo, come all'inizio del 21° sec., le c., accettando di conformarsi ad alcune categorie comuni, sono state così riconoscibili nelle loro forti differenze, al punto che, più che a una competizione tra nazioni, si assiste oggi a sfide tra c. che hanno come posta in gioco un primato mediatico, più che economico e culturale. Un'altra conseguenza della globalizzazione consiste nel fatto che in molte aree del pianeta la popolazione delle c. tende ad assumere sempre di più una composizione multietnica. Genti di Paesi diversi, anche molto lontani tra loro, abitano le stesse c. portando la loro cultura. Si crea così il problema se scegliere la via dell'integrazione o, al contrario, tentare la difesa delle loro identità. Nel primo caso gran parte dei valori culturali che contrassegnano queste popolazioni potrebbero andare perduti o risultare fortemente contaminati; nel secondo caso, più complesso, si potrebbe ottenere il risultato della conservazione di tali valori in un contesto altro, all'interno di una reciproca accettazione tra chi ospita e chi è ospitato. Alla modalità dell'assimilazione si contrappone così quella della convivenza tra culture diverse, in un pluralismo che se è spesso difficile da gestire è senza dubbio l'unica strategia possibile nell'attuale condizione metropolitana.
Tre paradigmi
La ricerca teorica sulla c. e la messa a punto di strategie operative su di essa si sono confrontate nell'ultimo decennio con tre nuovi paradigmi. Il primo consiste nel passaggio dalla condizione urbana tipica della modernità, una condizione governata da processi prevedibili o ritenuti tali, a uno stato indeterminato, molteplice, variabile della c., che non va considerato come un limite da superare o come un disvalore, ma piuttosto come un carattere distintivo degli insediamenti contemporanei da interpretare e rappresentare. Il secondo paradigma si riconosce nella strutturazione della c. - una c. sempre meno delle identità e sempre più delle differenze e delle analogie - non più in luoghi ma in non luoghi, situazione che comporta la progressiva perdita di identità dello spazio urbano, regolato soprattutto da esigenze di accesso, di controllo e di compartimentazione. Il terzo si identifica nel continuo trasferimento di senso dall'universo digitale all'ambiente urbano con le relative metafore della liquidità e della fluidità e le connesse, e in qualche modo irreversibili, metamorfosi delle nozioni di spazio e di tempo. Discendono da questo quadro alcune conseguenze decisive. Una di queste è costituita dall'irriducibilità della gestione della c. ai dispositivi del Piano regolatore generale, divenuto sempre più un meccanismo di legittimazione a posteriori delle decisioni economico-politiche, e il contrastante emergere di pratiche parziali, puntuali e transitorie che aggregano volta per volta soggetti sociali, istituzioni e operatori diversi. Un'altra conseguenza si può infine riscontrare nell'insorgere di nuovi soggetti sociali tra loro antagonisti, impegnati nella ricerca di specifici spazi di appropriazione della c., soggetti che hanno preso il posto delle storiche classi sociali individuate dalla sociologia di matrice marxiana dando luogo a conflitti, espliciti e impliciti, che disegnano sulla c. nuove mappe relazionali.
Sette problemi
Alla luce di quanto detto finora, emergono alcuni problemi urgenti con i quali la c. deve misurarsi. Il primo concerne il recupero di un rapporto equilibrato tra natura e insediamenti urbani. Oggi tale relazione si configura nei termini di un'oppressione della c. nei confronti di una natura che viene considerata inesauribile. Anche se nell'ambito delle posizioni ecologiste possono esistere margini consistenti di errore, accentuazioni fondamentaliste e spesso opposizioni esplicite alle modificazioni che comportano un incremento tecnologico, occorre riconoscere che finora la crescita delle c. è avvenuta a spese delle risorse del pianeta, con danni di estrema gravità, molti dei quali irreversibili. Non è più possibile continuare a ritenere inesauribili le risorse naturali di cui si dispone. La c. deve al più presto ristabilire regimi vitali non aggressivi, capaci entro certi limiti di rigenerarsi. Questo obiettivo non potrà essere raggiunto in poco tempo né in tutta l'estensione che esso richiederebbe. Occorrerà per questo limitarsi a interventi parziali ma fortemente emblematici, circoscrivendo con attenzione singole aree nelle quali dimostrare che l'armonia tra natura e c. non è un obiettivo impossibile. Il secondo problema riguarda le modalità per ottenere una maggiore qualità urbana all'interno di una condizione insediativa che vede una crescente marginalizzazione dello spazio pubblico, sostituito quasi integralmente, come sostiene M. Ilardi, dallo spazio del consumo.
Una maggiore qualità urbana si può raggiungere solo riaffermando la necessità di veri spazi pubblici più ricchi e complessi nonché più vari e accoglienti, spazi collegati da mezzi di trasporto efficienti che consentano di mettere in relazione parti distinte della c. in una dialettica coesistenza di continuità e di discontinuità. Spazi che accolgano soprattutto musei, teatri, mediateche, quegli edifici che sono attualmente le fabbriche della merce più rara prodotta nell'età degli immateriali, ovvero la cultura. Come si è già detto, molti urbanisti e architetti tendono a riconoscere quasi esclusivamente nel mercato, e conseguentemente nella ritualità del consumo, le occasioni di una socialità metropolitana considerata peraltro come un reperto marginale, in quanto sostituita dalla presenza ectoplasmatica e statistica di campioni della cittadinanza nella piazza telematica. In ciò essi aderiscono in modo acritico e subalterno alle ambigue tematiche di Koolhaas sospese tra nichilismo, estetizzazione e culto del consumo, così come assumono passivamente le tesi, anch'esse intermedie tra accettazione e rifiuto dei nuovi scenari urbani, proposte da P. Virilio. Il terzo problema ha invece origine dal crescente declino del progetto urbano in quanto predisposizione di un quadro strutturale di lunga durata capace di regolare le modificazioni della c., ossia un quadro di congruenze insediative ormai sostituito da una strategia di interventi casuali espressi da architetture-installazione. In un momento segnato dal fenomeno dell'implosione dell'evoluzione urbana in una compressione interstiziale dello spazio, la c. si fa parco tematico di sé stessa, luogo di una continua performance nella quale l'architettura si propone in prima istanza come strumento di comunicazione, flusso mediatico di informazioni e segnali visivi. Tale deriva è alla base di una vera e propria perdita di consapevolezza del futuro della c., lasciata per un verso all'improvvisazione, per l'altro a una profonda incertezza. Il quarto problema concerne l'accesso di tutti i cittadini alla comunicazione urbana e la partecipazione sempre più estesa alle scelte riguardanti le modificazioni della città. Tale problema ha a che fare con le nuove forme della democrazia - la democrazia della rete - che la diffusione degli strumenti digitali rende imminente, estendendo, in maniera impensabile fino a pochi anni fa, la capacità collettiva di interagire e prefigurando così scenari decisionali di straordinario interesse. L'esistenza di questi mezzi di comunicazione, che vivono in uno spazio fluido e metamorfico, si scontra con il persistere di forme urbane rigide e compartimentate: di qui una contraddizione che rischia di vanificare ogni possibilità di moltiplicare in modo esponenziale le risorse ancora non del tutto esplorate che la rete possiede. Il quinto problema si identifica nella costruzione di una pratica della località come linea di frattura fra processi urbani generali e situazioni specifiche.
A fronte delle logiche omologanti indotte dalla globalizzazione, ma anche contro ogni chiusura in autoprotettivi e ristretti contesti, va verificata con particolare attenzione la possibilità di realizzare autonome unità di significato urbano, entità opposte ai non luoghi in grado di reagire alle trasformazioni delle c. elaborando volta per volta risposte precise esattamente ambientate ma positivamente transitorie. Ed è proprio su questa idea evolutiva e critica della località, un'idea che è prima di tutto politica, che il progetto urbano trova le sue prospettive più promettenti. A Roma, per es., dove il contrasto tra globale e locale si riconosce soprattutto a partire dalla storia, è necessario rifiutare al più presto l'opposizione tra la c. e la storia stessa, una pseudoopposizione che si presta a fornire un alibi preciso a ogni forma di inerzia decisionale. Il sesto problema, il meno presente nella riflessione di urbanisti e architetti, consiste nell'esigenza di dar vita a nuove narrazioni urbane capaci di coinvolgere strati sempre più ampi della popolazione con l'obiettivo di creare potenti mitologie collettive. Narrazioni nelle quali avrà una parte la c. multietnica e quindi multiculturale, in una riconfigurazione totale delle identità, da vivere come realtà che si definiscono solo in relazione con altre. Dalla morte di P.P. Pasolini, avvenuta nel 1975, ogni vera narrazione urbana sembra essere scomparsa dalla scena italiana. Importanti scrittori con i loro racconti hanno aperto prospettive illuminanti sulla metropoli contemporanea, come avviene, per es., con S. Veronesi, M. Lodoli, N. Ammaniti, ma le loro opere non sono riuscite a diventare un riferimento collettivo risolto in una mitologia comune e capace di una sua autonoma evoluzione. Perché questi momenti di convergenza comune su immagini e miti condivisi possano risorgere con temi del tutto reinventati e con rinnovate finalità c'è bisogno che gli urbanisti e gli architetti escano per qualche tempo dal loro tecnicismo per riscoprire l'inevitabilità di una tensione utopica verso la bellezza della c., una bellezza che comprenda le differenze e le disarticolazioni, la dissoluzione dell'unità e la ricerca, da parte di frammenti urbani, di nuove polarità funzionali e morfologiche. Le nuove centralità sono da questo punto di vista i nuovi luoghi della città postatopica. Il settimo problema è la messa a punto di un ideogramma urbano, ovvero di uno schema o logo capace di rappresentare sinteticamente le linee di forza che materializzano le spinte evolutive espresse dalla città. Tale ideogramma è un dispositivo di accumulazione di un numero elevatissimo di informazioni, compresse in pochi segni capaci di essere decodificati istantaneamente e di imprimersi in modo resistente nella memoria. Questo logo - una sorta di slogan visivo - da usare come un reagente per verificare le conseguenze e le compatibilità delle scelte di piano, dovrebbe divenire un patrimonio collettivo, un DNA urbano ma anche un luogo concettuale, comunicativo ed emotivo condiviso e amato da tutti gli abitanti della c., lo strumento più immediato per un controllo interattivo dei suoi processi di modificazione.
Una prospettiva
Il panorama descritto dimostra, anche se per accenni schematici, come la complessità dell'attuale condizione della c. possa dar luogo solo a opzioni teoriche e a strategie di intervento molteplici, contraddittorie e mutevoli, connesse in organizzazioni sincretiche da verificare nei loro esiti volta per volta. La c. contemporanea non è più leggibile secondo modelli interpretativi unitari, così come il suo futuro non è più governato da paradigmi progettuali certi e condivisi, modelli e paradigmi definitivamente tramontati con il sorgere dell'età postmoderna. Tuttavia questa perdita di unità concettuale e operativa non va considerata come un fenomeno negativo. La dissoluzione della c. in una pluralità di punti di vista, di espressioni, di concezioni e di pratiche nasconde una prospettiva di grande interesse, consistente nella possibilità di rappresentare con maggiore efficacia la singolarità delle situazioni urbane, una singolarità da considerare come un valore differenziale essenziale. In un'attiva sospensione tra continuità e discontinuità, tra permanenze e mutamenti, tra stabilità e instabilità, l'architettura cerca oggi un rapporto più libero e creativo con una c. che sembra ormai inseguire, con più di una difficoltà, la sua stessa evoluzione.
bibliografia
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