cittadino
. Venticinque occorrenze, fra Convivio e Commedia (un solo esempio nella Vita Nuova).
Genericamente, vale " abitante di città ", " cittadino ": If VIII 69 (i gravi cittadin della città di Dite), XIII 148, Cv III V 11 li cittadini di Maria tengono le piante contro le piante di quelli di Lucia, e IV XXVIII 5 a colui che viene di lungo cammino, anzi ch'entri ne la porta de la sua cittade... si fanno incontro li cittadini di quella. Valore più espressivo ha il termine in If VI 61, dove i Fiorentini sono chiamati li cittadin de la città partita (si noti l'efficacia dell'accostamento cittadin - città, che ricompare altre volte in D.: cfr. per esempio Pg XIII 94 e Pd XV 131, in cui si ha l'accostamento cittadini-cittadinanza).
Quando il sostantivo è accompagnato da un aggettivo o da un'altra specificazione, generalmente il valore è più pregnante; cfr. Pd XVI 123 già era / buon cittadino Giuda e Infangato, o If XXVI 5 trovai cinque cotali / tuoi cittadini (D. si rivolge a Firenze: e i cinque cotali non sono semplicemente " abitanti di Firenze ", ma quasi " complici " della città nell'infamia e nella disonestà). Così in Pd XVI 90 si afferma che si può essere illustri cittadini anche nella decadenza (già nel calare): e l'aggettivo ‛ illustre ' sembra indicare qui non tanto la " fama " quanto la " dignità " e l'onestà delle antiche famiglie fiorentine. Più acuto ancora il rimpianto della passata concordia e onestà in Pd XV 131 così riposato... così bello / viver di cittadini. Oscilla tra il rimpianto e l'amaro sarcasmo il passo di Cv I III 4. In senso traslato, cittadini di vita eterna (o de la etterna vita) sono i beati, le anime che accolgono in cielo Beatrice (Vn XXXIV 1) e ogni altra santa anima che muore (Cv IV XXVIII 5, nella seconda occorrenza); così anche in Pg XIII 94 ciascuna [anima] è cittadina / d'una vera città. Nel contesto di discussioni politiche il termine sembra avere maggiore rapporto col latino civis, come in Cv II VI 8 (chiamare solemo la cittade quelli che la tengono, e non coloro che la combattono, avvegna che l'uno e l'altro sia cittadino); in IV V 19 (luogo in cui il termine compare due volte) l'espressione nuovo cittadino corrisponde probabilmente al classico homo novus. In quattro passi consecutivi del Convivio (IV V 12, 13, 17, 19) i Romani sono chiamati non... umani cittadini, ma... divini (§ 12, e cfr. § 17), soprattutto per il loro amor di patria.
Quando il sostantivo è accompagnato da un aggettivo possessivo, assume di solito il valore di " concittadino ", e gli esempi di questo trapasso semantico sono numerosi: li propri cittadini sono " i propri concittadini " (Cv I XII 5); e Virgilio è cittadino di Sordello, i Senesi sono cittadini di Sapia (Pg VI 81, XIII 115), come i Fiorentini di Ciacco (If VI 52); e cfr. anche Cv IV XVI 6.