CIVIDALE
(lat. Forum Iulii; Civitas Austriae, Civitatum nei docc. medievali; od. Cividale del Friuli)
Centro del Friuli di origine preromana, sorto sulla riva destra del Natisone nell'omonima valle situata tra le ultime propaggini delle Alpi Giulie.Sotto Giulio Cesare (nel 56 a.C. o, più verosimilmente, nel 50), dopo l'invasione dei Giapidi (52 a.C.), divenne forum e prese il nome di Forum Iulii; elevato a municipium da Augusto alla fine del sec. 1° a.C., venne incluso nella Regio X, Venetia et Histria. Definita civitas da Paolo Diacono (Hist. Lang., II, 9), nel periodo franco la città assunse la denominazione di Civitas Austriae, poi di Civitatum, mentre il nome romano passò a designare il territorio tra il Timavo e la Livenza.In seguito all'invasione dei Longobardi (568), il re Alboino ne fece la sede del primo ducato longobardo e ne pose a capo suo nipote Gisulfo, il primo dei diciotto duchi residenti a C.; forse già prima della fine del sec. 6° fu installato a C. il gastaldius regis, cui incombevano obblighi militari, giuridici e amministrativi. Quando, intorno al 737, il patriarca Callisto trasferì da Cormons a C. la sede del patriarcato di Aquileia, la città divenne un centro di prim'ordine anche dal punto di vista ecclesiastico e culturale. Dopo il sec. 8°, tuttavia, C. svolse un ruolo di portata locale e regionale piuttosto che nazionale ed europea.Situato in posizione strategicamente importante, il Forum Iulii venne cinto da mura forse già al momento della fondazione, benché non siano state individuate tracce sicure. Le mura successive, forse del sec. 2°, rafforzate presumibilmente durante il secolo seguente con una cortina interna, diedero alla città quell'aspetto di piazzaforte che conservò durante i secoli della dominazione longobarda (Paolo Diacono, Hist. Lang., II, 9). Benché sicuramente ricostruite e rinforzate più volte, le mura turrite rimasero verosimilmente inalterate nel tracciato durante il Medioevo, cingendo la città su tutti i lati tranne che lungo il fiume, le cui alte e ripide sponde rocciose costituivano una difesa naturale. Mediante tre porte (S. Pietro a O, S. Salvatore a N e Brossana a E) la città comunicava con il territorio circostante. È incerto se già in epoca romana e altomedievale vi fosse un ponte permanente sul fiume al posto dell'od. ponte del Diavolo.Nell'Alto Medioevo tre erano le principali zone di sepoltura fuori le mura: a S l'area detta di San Martino, sulla sponda opposta del fiume fiancheggiante la strada verso Aquileia, a N-E, al di fuori della porta settentrionale, le due aree collegate di Cella e di San Giovanni e infine, al di là della porta occidentale, numerosi gruppi di sepoltura che formavano forse originariamente un unico vasto cimitero, ma che oggi risultano disseminati su un vasto tratto di territorio denominato Pertica. Mentre le prime due zone sepolcrali, a N-E e a S, sono di origine romana, la terza e più grande (Pertica), sembra essersi sviluppata solo con l'insediamento a C. della popolazione longobarda. Le suppellettili ritrovate in un gran numero di tombe indicano una datazione, per le inumazioni barbariche (complessivamente oltre quattrocento) finora scavate, che va dall'epoca dell'invasione alla metà ca. del sec. 7° (forse qualche decennio più tardi in zona Pertica rispetto alle altre due zone cimiteriali).Le fosse scavate per le inumazioni, sempre orientate da O a E, sono di profondità varia (da cm. 50 ca. fino a m. 2-3 per le tombe più ricche) e sovente rivestite internamente di una cortina di ciottoli di fiume. È stato rilevato inoltre che di regola le tombe si presentano in file separate tra loro, una disposizione che potrebbe rispecchiare l'organizzazione sociale delle fare. I corredi funebri, di diverso livello di ricchezza, corrispondente alla posizione sociale dei defunti, sono composti da oggetti quali armi, gioielli, fibule, guarnizioni per cinture, pettini, recipienti in metallo, vetro e ceramiche.In conformità con una prassi sviluppatasi in epoca altomedievale, i Longobardi seppellivano i defunti anche entro le mura, nelle chiese o nelle aree circostanti. Prima della fine del sec. 6° si sviluppò un cimitero nelle adiacenze del duomo e quasi contemporaneamente ne sorse un secondo con sepolture dotate di suppellettile molto ricca presso S. Giovanni Battista in Valle, in origine forse chiesa longobarda ariana. Altri reperti altomedievali, quasi sicuramente sepolcrali, sono stati rinvenuti in due zone fra la chiesa di S. Pietro dei Volti e quella più tarda di S. Francesco. A un edificio sacro in piazza Paolo Diacono è collegato un cimitero con altre tombe, fra cui la sepoltura più importante di C., la tomba detta di Gisulfo, rinvenuta casualmente nel 1874 durante lavori di canalizzazione. Questa sepoltura era costituita da un vano con pareti di mattoni e malta che racchiudeva un sarcofago monolitico a cassa rettangolare in pietra d'Istria (m. 2,35 ca.1 ca., altezza m. 1,20 ca.), con un coperchio in marmo a due spioventi e acroteri angolari, di lavorazione rozza senza decorazione, all'infuori di una patera scolpita su ciascuno dei timpani laterali. La spessa lastra di pietra a bordi sagomati che a livello del terreno chiudeva il vano e segnava la posizione della sepoltura è anepigrafe; l'autenticità della scritta "Cisul", irregolarmente incisa sul coperchio del sarcofago, che ha dato il nome alla tomba, è discussa. La ricca suppellettile trovata intatta nella tomba indica comunque l'alto rango del personaggio che vi fu sepolto probabilmente nella prima metà del sec. 7°, forse il duca Gisulfo I, morto nel 610 nella difesa della città contro gli Avari. Accanto a oggetti ricorrenti nei corredi funebri furono rinvenuti una preziosa croce in lamina d'oro con testine umane punzonate e gemme incastonate, un anello d'oro con un aureo dell'imperatore Tiberio, una guarnizione in oro e smalto di origine bizantina, nonché una bottiglia vitrea a boccia (Cividale, Mus. Archeologico Naz.).Malgrado la distruzione terribile da parte degli Avari nel 610 (si è individuato, sopra il livello romano, uno strato combusto spesso cm. 40-60) e i probabili sconvolgimenti sofferti dall'impianto urbano nella successiva ricostruzione, il tracciato reticolato delle vie urbane antiche è tuttora riconoscibile nel nucleo centrale della città. L'od. piazza del Duomo corrisponderebbe all'antico forum, attiguo all'incrocio fra il cardo maximus (ponte del Diavolo-piazza Paolo Diacono) e il decumanus maximus (piazza Foro Giulio Cesare-piazza Duomo). In questa struttura urbanistica, accanto e nelle vicinanze del forum, si innestarono i centri più importanti della vita cittadina nell'epoca altomedievale: il centro cattolico, comprendente il duomo con l'attiguo battistero, il palazzo episcopale e altri edifici; il palazzo del duca con edifici sacri e amministrativi; nonché, in un secondo tempo e più distante, nella zona bassa chiamata Valle, la gastaldaga, residenza del gastaldius regis e centro religioso dei Longobardi.I primi secoli cristiani hanno lasciato esigue tracce a C. (per es. una lucernetta fittile recante un chrismón, ora al Mus. Archeologico Naz., inv. nr. 28) e fino alla fine del sec. 4° la comunità dovette essere stata assai ristretta. Rimane da verificare l'interpretazione di varie costruzioni messe in luce dentro e fuori delle mura, come chiese e chiesette. Solo intorno al 700, quando il vescovo Fidenzio si trasferì da Iulium Carnicum (od. Zuglio), C. diventò sede episcopale (Hist. Lang., VI, 51). Però, è probabile che secoli prima una chiesa fosse stata eretta lungo il lato sud del foro, sotto il duomo attuale, e probabilmente sul luogo di un tempio romano. In virtù della legislazione di Teodosio I, questo può essersi verificato già intorno al 400. In ogni modo, un pluteo marmoreo finemente scolpito con un chrismón e due croci latine, databile al sec. 5°-6° e trovato nelle vicinanze del duomo (ora al Mus. Archeologico Naz.), potrebbe confermare l'esistenza di una chiesa nel centro della città prelongobarda; su questo edificio dovette sorgere la cattedrale di Fidenzio e del suo successore Amatore, mentre il loro complesso residenziale, di proporzioni verosimilmente modeste, era situato nel luogo dove si trova l'od. palazzo Pretorio, sopra la basilica forense. Il complesso fu rinnovato e ampliato nel secondo quarto del sec. 8°, quando il patriarca Callisto espulse da C. il vescovo Amatore. Secondo il Chronicon Aquileiense, il patriarca Callisto fece costruire "ecclesiam et baptisterium sancti Ioannis atque palatium patriarchale". La dedicazione alla Vergine del duomo è ricordata negli atti di un sinodo tenuto nella città nel 796. Per il resto non si sa nulla su questa costruzione; del battistero invece si sa che era situato a O della cattedrale, nell'asse mediano di questa.Negli anni 1906-1909 Della Torre (1911), scavando nell'area del sagrato del duomo, portò in luce (insieme a strutture adiacenti sul lato ovest certamente più recenti) la metà del battistero, di pianta ottagonale. Ottagona è anche la vasca battesimale e il sovrastante tegurio a colonnine e archetti, salvato dalla distruzione del battistero e restaurato nel 1463 (Cividale, Mus. Cristiano). Il tettuccio di copertura manca ma, a parte alcune lastre della vasca e l'ottavo archetto (con l'iscrizione che ricorda il restauro del 1463), tutti gli elementi della ricomposizione appartengono al primitivo monumento e sono di marmo greco. I sette archetti sono riccamente decorati con bassorilievi figurati e ornamentali; i capitelli di tipo corinzio, strettamente legati ai rilievi degli archetti per lo stile e il repertorio dei motivi, sono uguali nella loro forma di base, ma mostrano un ricco gioco di varianti nei dettagli. Lungo il bordo superiore del tegurio corre un'iscrizione che ricorda la committenza di Callisto: "[...] tegur/ium [...] Calisti beati ornabi(t) [...]". Giunto a C. nel 737 Callisto vi morì nel 756 o 757, dunque anche se il tegurio fosse stato finito solo dopo la morte del patriarca, come potrebbe indicare la parola beati nell'iscrizione, gli elementi originari del monumento, in particolare gli archetti e i capitelli, non possono essere datati oltre gli anni cinquanta dell'8° secolo.Altro importante monumento scultoreo del sec. 8° è l'altare del duca Ratchis, anch'esso ora al Mus. Cristiano. L'altare, sormontato da un tegurio con croce pendula, secondo l'iscrizione che è incisa sul bordo superiore delle quattro facce, fu donato a una chiesa dedicata al beato Giovanni da Ratchis, duca negli anni 737-744: "[...] domum beati Iohannis ornabit pendola + tecuro pulchro alt/are [...] Ratechis [...]". Tradizionalmente l'ara viene riferita al battistero del duomo; tuttavia è stato anche osservato (Mutinelli, 1969) che la chiesa menzionata nell'epigrafe possa essere stata quella dedicata a s. Giovanni Battista, eretta dentro la gastaldaga, e che solo in un secondo tempo, in epoca non documentata, l'ara sia stata trasferita nel battistero del duomo.L'altare, di forma parallelepipeda (m. 1,45 ca.0,94, altezza m. 0,90), è composto di quattro lastre di pietra del Carso. Nella faccia anteriore è rappresentato Cristo imberbe, fra due adoranti cherubini dalle ali occhiute, seduto in una mandorla fogliata sorretta da quattro angeli in volo; al di sopra del nimbo crociato appare la mano di Dio. Nella lastra sinistra dell'altare è raffigurata la Visitazione e in quella destra l'Adorazione dei Magi; in ambedue le scene la Vergine porta sulla fronte il segno della croce. Nella parte posteriore dell'ara si apre la fenestella confessionis, fiancheggiata da due croci gemmate. Restano tracce della colorazione originaria; tutte perdute sono invece le paste vitree policrome che inizialmente arricchivano i rilievi.Intorno alla metà del sec. 7° il ducato del Friuli fu retto da Agone, di cui Paolo Diacono (Hist. Lang., V, 17) ricorda la domus Agonis. A N del duomo, nella zona orientale della città, la piccola chiesa medievale di S. Maria (probabilmente del sec. 12°-13°), ricordata con l'appellativo de Curia o di Corte a partire dal 1122, sembra indicare la zona residenziale del duca longobardo. Tuttavia l'area di provenienza di alcuni marmi altomedievali non è stata ancora identificata. Più a N, ma forse sempre dentro la zona ducale, l'odierna chiesa neoclassica di S. Giovanni in Xenodochio in origine doveva servire da cappella annessa all'ospizio di viandanti e pellegrini, e presto anche di mercanti, che il duca Rodoaldo fece erigere verso la fine del sec. 7° (MGH. Dipl. Kar., I, 1906, nr. 175, pp. 234-236). Infine, a O della corte ducale, un quartiere chiamato ordal nei documenti medievali, potrebbe portare tale nome dal luogo del tribunale longobardo.Di una chiesa intitolata a S. Pietro, nelle vicinanze della cinta occidentale, danno notizie due diplomi del 904 (I diplomi di Berengario I, 1903, nrr. 49-50, pp. 142-146); oggetti reperiti in tombe scoperte nella zona indicano l'esistenza di una chiesa in questo luogo già in epoca longobarda. La c.d. tomba di Gisulfo, infine, similmente ad altre cinque sepolture scavate in via Ristori e in stretta di S. Valentino, apparteneva a un cimitero interurbano adiacente a una chiesetta dal patrocinio sconosciuto.Il monastero di S. Maria in Valle appare per la prima volta in un diploma emesso dagli imperatori Lotario e Ludovico il Pio nell'830. Da un'altra fonte, pervenuta attraverso una trascrizione postmedievale ma risalente o alla fine del sec. 9° o all'inizio del 10°, si apprende che re Berengario I (m. nel 924) donò la corte detta gastaldaga per l'ampliamento del monastero (I diplomi di Berengario I, 1903, nr. 46, pp. 424-425). La gastaldaga, che nei decreti longobardi viene chiamata tanto curtis regia quanto sacrum palatium, giuridicamente faceva parte del palazzo del re longobardo: costituiva la residenza reale nelle diverse città e come tale faceva parte del patrimonio regio. Fino all'830 (e in certi casi forse fino al regno di Berengario), ogni istituzione o costruzione sorta nell'ambito della corte regia della gastaldaga dovrebbe essere di fondazione principesca. Come tale, il monastero di S. Maria indubbiamente era destinato a luogo di ritiro per le figlie dell'alta nobiltà longobarda.Dal diploma testé menzionato risulta che nel sec. 9° il monastero e con esso anche la gastaldaga erano situati "infra muros civitatis Foroiuliensis". Questa zona, nell'angolo sud-est della città, a ridosso dell'abside del duomo e dell'antica basilica forense, era delimitata dalla scoscesa del Natisone e dall'ultimo tratto orientale della cerchia muraria urbana, nonché da particolari mura verso la città alta. Bassa e soltanto in parte coperta da costruzioni, non può aver attratto gli invasori, che senz'altro dovettero impadronirsi dei palazzi situati nella parte alta dell'abitato. Siccome la carica stessa di gastaldo non venne istituita che verso la fine del sec. 6°, fu forse soltanto dopo l'irruzione avarica del 610, allorché C. fu espugnata e data alle fiamme, che si sentì la necessità di trasferire la residenza del rappresentante del re in una zona particolare, proteggendola, come già indicato, da mura anche verso la parte alta della città. Sotto l'odierno braccio sud-ovest del convento esistono fondamenta di muri di un grande edificio altomedievale che, originariamente, deve aver costituito un'ala della gastaldaga longobarda. Il nucleo principale dell'odierno monastero è da supporre che coincida con quella parte del palazzo che, probabilmente intorno alla metà del sec. 8°, venne destinata a convento femminile.Nella zona in cui sorgeva la gastaldaga occupava un posto di particolare importanza la chiesa di S. Giovanni, in un primo tempo dedicata forse solo al Battista, successivamente anche all'evangelista omonimo e a s. Maria Assunta. Della chiesa originaria, costruita probabilmente dopo il 610, contemporaneamente all'installazione della gastaldaga, si conservano resti al di sotto dell'attuale costruzione, che pare rimontare al 1371. Si trattava di un edificio mononave (m. 20-2110,30 ca., compreso lo spessore dei muri) privo di abside. La massicciata di ciottoli e terra del pavimento più antico poggiava direttamente sul terreno e nulla fa pensare che sul posto esistessero costruzioni di qualche rilievo prima che la chiesa venisse eretta. Scavando all'interno della chiesa, nella zona dell'altare maggiore furono ritrovati nel 1751, in tre sarcofagi in pietra, resti di corpi accompagnati da ricchissimo corredo aureo, databile al sec. 7° (Cividale, Mus. Archeologico Naz.). Il primitivo presbiterio, leggermente rialzato rispetto alla navata e munito di banchi murati addossati alle pareti perimetrali, era poco profondo (m. 2,50-2,75); in un secondo tempo venne considerevolmente ingrandito. Pare logico associare a questo ampliamento del presbiterio i vari frammenti litici scolpiti di plutei, archetti, pilastrini e cornici, databili alla prima metà del sec. 8° e provenienti, secondo la tradizione, da S. Giovanni; si è portati a credere che anche il menzionato altare di Ratchis in origine fosse stato realizzato per ornare questo nuovo coro. Una datazione intorno al sec. 10° si può proporre per la costruzione di un ambiente annesso alla parte occidentale della chiesa; tale datazione implica come verosimile la cessione alle Benedettine da parte di Berengario I non solo della gastaldaga, ma anche dell'antica chiesa di S. Giovanni e con essa del suo oratorio 'satellite', il c.d. tempietto.Il nucleo principale del tempietto consta di un'aula occidentale rialzata e di un presbiterio orientale più basso. In occasione degli ultimi restauri condotti negli anni Settanta, è stata avanzata l'ipotesi che l'edificio sia sorto in due periodi: sulla base di alcune particolarità nella muratura all'esterno e all'interno della costruzione, alcuni studiosi datano l'aula a un'epoca più antica rispetto a quella del presbiterio; per altri invece è quest'ultimo a costituire il nucleo seniore. Ripetuti esami sul monumento permettono tuttavia di respingere categoricamente tali ipotesi, come è da respingere la supposizione che in un secondo tempo il muro orientale del presbiterio sia stato rifatto e spostato verso oriente.All'esterno il corpo occidentale termina con un tetto a piramide a tre spioventi, mancando la falda occidentale; per la copertura originaria si può anche pensare a un tetto a capanna, simile a quello del presbiterio, in un primo tempo assai più basso di quello attuale. I due corpi compongono un sacello di pianta rettangolare, all'esterno di ca. m. 12,108,32, con spessore dei muri di m. 1 circa. A S l'altezza massima raggiunta lungo il perimetro dell'aula è di m. 10,87, quella del presbiterio di m. 5,72 sopra il livello del pavimento dell'aula. La sua posizione appartata ed elevata sulla sponda rocciosa del Natisone, più che le dimensioni, conferisce al sacello un senso di austera monumentalità.Originariamente l'aula era illuminata da cinque finestre, una a O, due a S e due a N, mentre sulla parete orientale del presbiterio se ne aprono tre più piccole. All'esterno le cinque finestre sono inscritte in altrettante arcate cieche. Sulla fronte occidentale sono state scoperte (Degani, 1981) due ulteriori arcate, che fiancheggiano quella centrale con la finestra, probabilmente terminanti sopra l'arco di scarico dell'ingresso principale. Le arcate cieche nei fianchi meridionale e settentrionale invece si interrompevano non molto al di sopra del livello del terreno. Così pure un arco cieco è stato messo in luce nel fianco settentrionale del presbiterio (Degani, 1981); quanto a quello meridionale, la posizione della porta primitiva rende poco plausibile, benché non escluda, l'esistenza di una corrispondente arcata.Il sacello ha due entrate: l'ingresso principale a O e una porta secondaria nella parete meridionale del presbiterio; mentre il primo è quello originario, la seconda era alquanto spostata verso O rispetto alla porta attuale (sec. 13°). Quest'ultima comunica con un vano (od. vestibolo) che in origine aveva la funzione di sagrestia, ma che comunque costituisce un'aggiunta posteriore. Data la manomissione totale della muratura di questa porzione del fianco meridionale e considerati anche gli scavi che in questa parte si sono rivelati poco illuminanti, è difficile stabilire se fin dall'origine esistesse un ambiente aggiunto su questo lato; pare assai probabile che la porta del presbiterio si aprisse direttamente verso l'esterno. In termini molto simili si presenta il problema relativo all'esistenza di un primitivo nartece di fronte all'ingresso principale a O. Appare oggi dimostrato (Degani, 1981) che l'avancorpo attuale è di origine medievale - forse già della prima metà del sec. 10° -, benché più volte rifatto. Tale avancorpo per alcuni tratti è lavorato in rottura dentro lo spigolo sudoccidentale del tempietto; a livello delle fondazioni tuttavia non risulta che avancorpo e aula siano strutturalmente legati fra loro. Perciò, se fosse esistito un primitivo nartece, si sarebbe trattato di una costruzione leggera, collegata lateralmente (a S e a N) al corpo dell'aula mediante archetti poggianti non su piedritti, ma impostati direttamente sulla facciata (gli eventuali piani d'imposta nel fronte del tempietto sono nascosti dalla volta rinascimentale del nartece) e con tetto a una falda attaccata all'aula immediatamente al di sotto delle tre arcate cieche sopra descritte. D'altra parte la presenza di un nartece non è necessariamente di rigore; le indicazioni sembrano dimostrare piuttosto che il tempietto primitivamente si presentava come una costruzione isolata, priva sia di nartece sia di sagrestia.All'interno l'aula è a pianta quasi quadrata, mentre il presbiterio forma un rettangolo che si articola trasversalmente. La volta a crociera dell'aula è stata oggetto di ampi rifacimenti già nel sec. 13°; al contrario le tre volte a botte che coprono il presbiterio, suddividendolo in tre navatelle, sono interamente originali. A N e a S queste volte si impostano sui muri perimetrali, mentre all'interno del vano poggiano su due architravi sorretti, verso l'aula, da una coppia di colonne e, di fronte alla parete orientale, da una mensola sostenuta da un pilastro. Gli elementi di queste strutture portanti sono in parte materiale di spoglio di epoca romana, in parte - soprattutto capitelli, basamenti, fusti - realizzati appositamente per il tempietto. Sotto la zona delle finestre, lungo le pareti ovest, nord e sud dell'aula e sulla parete terminale del presbiterio in corrispondenza della navatella mediana, si aprono nicchioni ad arco, poco profondi.La muratura dell'edificio è assai rozza, composta di materiale litico molto vario e di dimensioni diverse: ciottoli del Natisone, pietrame non preparato, scapoli irregolari, conci talvolta squadrati approssimativamente, allineati e messi in opera in modo impreciso con malta spesso molto abbondante. A parte qualche filare di mattone nelle pareti interne, il laterizio è impiegato esclusivamente nella volta dell'aula e nei diversi tipi di archi, spesso bardellonati, come testimoniano i tre a doppia ghiera che compongono la fronte della triplice volta a botte del presbiterio. In questi ultimi, nei pennacchi definiti dai bardelloni inferiori, sono inserite due mattonelle romboidali decorate con un giglio inciso, mentre negli spazi corrispondenti fra i bardelloni superiori sono collocate lastre di laterizio triangolari, di cui quella a S presenta incisa una croce ansata. La rifinitura muraria in questa parte dell'interno è curata con raffinata esattezza allo scopo di essere lasciata a vista al pari di quella dei bardelloni sporgenti delle arcature cieche. Alla stessa cura da parte dei costruttori si devono la collocazione dei blocchi alla base del setto presbiteriale nonché l'intonacatura incompiuta, visibile a tratti su tutte e tre le pareti del presbiterio.Sia sulla base dei materiali e delle murature sia per i suoi caratteri generali il tempietto, nella sua forma primitiva, è espressione del periodo altomedievale. Decisivi per determinare la datazione più precisa dell'edificio sono soprattutto i quattro grandi capitelli di pietra d'Istria posti sulle colonne in marmo greco del presbiterio. Realizzati appositamente per il tempietto, essi ripetono il tipo corinzio e possono essere assimilati a molti altri capitelli altomedievali presenti a C. e altrove. È tuttora discussa la pertinenza a questo gruppo, databile al sec. 8°, dei capitelli del tegurio di Callisto. Sulla base di detti confronti è possibile in ogni caso considerare come valida la datazione intorno alla metà del sec. 8°, tradizionalmente indicata per la costruzione del tempietto, ovvero a qualche decennio dopo l'ampliamento e la risistemazione del presbiterio di S. Giovanni, la chiesa madre dell'oratorio.Il lavoro di intonacatura fu iniziato subito, ma con ogni probabilità non fu poi portato a termine; allo stesso modo non si procedette alla pavimentazione in una fase antecedente la decorazione più ricca del tempietto, che comprese anche la prima pavimentazione a disegno stellare, realizzata con piastrelle litiche. La decorazione delle pareti era suddivisa in fasce orizzontali con l'impiego di lastre marmoree, fregi in stucco e pitture parietali, mentre le volte del presbiterio e dell'aula erano a mosaico. L'insieme di marmi, stucchi, affreschi e mosaici faceva parte di un sistema coerente e unitario di fasce tra loro coordinate. Risulta evidente inoltre che le lastre marmoree delle pareti furono collocate prima della posa delle piastrelle del pavimento. E, dato che queste piastrelle appartengono alla prima, originaria pavimentazione dell'interno, è certo che anche la decorazione in marmo risale alla sistemazione più antica del monumento. Come indicato da elementi tuttora in situ presso l'ingresso occidentale e da una serie di grappe in ferro su tutte le pareti dell'interno, il rivestimento marmoreo si componeva di ortostati alti coronati da elementi piuttosto stretti, a guisa di fregio, separati forse da un sottile profilo in aggetto. Tale rivestimento si stendeva lungo tutte le pareti interne del sacello. Nell'aula la decorazione marmorea raggiungeva il livello di m. 2,60 ca. al di sopra del pavimento; nel presbiterio invece il livello, corrispondente alla sopraelevazione del suo pavimento rispetto a quello dell'aula, era inferiore di m. 0,13. Nell'aula i nicchioni erano decorati da archivolti in stucco, simili a quello che tuttora si trova sulla parete occidentale, sostenuti da semicolonne e da capitelli corinzi. Un pannello ornamentale in stucco (largo m. 0,55), probabilmente parte di un fregio che proseguiva tutt'intorno all'aula, è posto tra i due capitelli del lato occidentale. Tale elemento decorativo ha il suo corrispettivo nel presbiterio; dalle pareti nord e sud il fregio proseguiva lungo quella orientale, dove da ambo i lati raggiungeva l'arco della nicchia centrale, per il quale si deve immaginare un fregio in stucco meno largo e meno elaborato di quello degli arconi dell'aula. Così ricostruito, il fregio riuniva i tre archivolti dell'aula e le loro colonne in un unico monumentale sistema decorativo, riportandolo nel contempo alla decorazione del presbiterio, dove a sua volta l'archetto immaginato per la nicchia centrale doveva apparire una sorta di eco del tema dei grandi archivolti dell'aula.Parti considerevoli della più antica decorazione dipinta nell'aula si sono conservate nelle lunette dei nicchioni occidentale e settentrionale e nei sei pennacchi o campi laterali. Ognuno di questi ultimi appare suddiviso in una zona figurata superiore, recante l'immagine di un santo, e in una fascia inferiore di dimensioni più ridotte. La decorazione sul lato occidentale presenta un tralcio a volute, mentre nelle fasce orientali è dipinta un'iscrizione votiva disposta su tre righe, relativamente ben conservata a S, dove inizia nel presbiterio sotto la finestrella della navatella destra. Unitamente ai tralci, nei quattro pennacchi occidentali le scritte accompagnavano il fregio in stucco, rendendo le decorazioni dell'aula e del presbiterio un insieme, dal punto di vista formale, unitario.Nell'aula, una zona superiore di decorazioni in stucco si stendeva uniformemente sulle pareti ovest, sud e nord, sopra gli arconi e gli affreschi dei pennacchi (fra m. 5,50 e 8,05 sopra il primitivo livello pavimentale). Mentre sulle pareti sud e nord ne restano soltanto frammenti, su quella occidentale tale decorazione si presenta quasi intatta: tra un fregio a stelle che corre al di sopra e al di sotto sono collocate sei figure di sante, tre per ogni lato della finestra. Questa, originariamente munita di una transenna di stucco, è incorniciata a sua volta da un archetto sostenuto da colonnette e capitelli corinzi. Le spalle della finestra sono rivestite di uno strato di stucco; in quella meridionale è stato inciso a mano libera, nello stucco ancora fresco, "Paganus": ovviamente si tratta del nome dell'artigiano, capo dei magistri cementari e responsabile dei lavori di stuccatura nel tempietto.Dalla parete occidentale i fregi stellati proseguivano lungo quelle nord e sud, dove altri elementi permettono di ricostruire l'esistenza di una decorazione simile, con le finestre incorniciate da archetti su colonnette e, fra le due finestre di ciascuna parete, tre statue, probabilmente di sante. Sulla fronte del presbiterio nulla è rimasto di un simile impianto decorativo, fatta eccezione per un numero considerevole di grappe di ferro e di tracce lasciate da esse. Nel presbiterio stesso infine grappe di ferro e frammenti in stucco lungo le pareti vanno attribuiti a un fregio superiore - alquanto più largo della fascia inferiore già descritta -, il cui livello corrispondeva nelle pareti nord e sud ai due architravi e alle imposte delle volte a botte, elementi anch'essi parzialmente coperti di ornamenti in stucco.Nella lunetta della volta a botte meridionale del presbiterio, a sinistra della finestra, si è conservato un frammento della decorazione a mosaico, che non doveva limitarsi solo ai campi intorno alle finestre, ma coprire anche le volte al di sopra delle già descritte fasce di stucco, dove rimane una fitta rete di chiodi di ferro a testa grande, del tipo usato per offrire un appiglio saldo al fondo su cui venivano inserite le tessere. Chiodi simili non si trovano invece nella volta a crociera dell'aula, interamente ricostruita nel 13° secolo. Non è però azzardato supporre che originariamente questa volta, prima del terremoto del 1222-1223, fosse decorata a mosaico come le coperture del presbiterio: analogamente, oltre alla volta, questi mosaici avrebbero ricoperto anche le lunette al di sopra del fregio superiore stellato. Tessere da mosaico parietale rinvenute nel sottosuolo del tempietto, con attaccate tracce di stucco colorato, mostrano che i motivi della decorazione musiva furono prima dipinti o abbozzati a colori sul fondo di preparazione sul quale venivano poi allettate le tessere, secondo un procedimento caratteristico della tecnica musiva tardoantica e bizantina.A eccezione della intonacatura incompiuta sulle pareti del presbiterio, il sistema decorativo composto dagli stucchi, dal primo strato di dipinti parietali e dai mosaici costituisce la prima campagna di decorazione completa dell'interno del tempietto. D'altra parte pare certo che l'impianto architettonico dell'edificio non sia stato concepito in funzione di questi stucchi, affreschi e mosaici. I bardelloni sporgenti dei nicchioni nell'aula e nel presbiterio, da taluni ritenuti appositamente realizzati per accogliere gli archivolti di stucco, sono espressione della comune tecnica edilizia tardoantica; nell'aula inoltre le mensole che si trovano in situ sotto i piedritti della volta rifatta, le cui facce anteriori sono scolpite a motivi vegetali, paiono troppo elaborate per essere state eseguite in vista di un rivestimento in stucco. Ulteriore argomento offrono, nella fronte presbiteriale, la croce e i gigli accuratamente incisi nei laterizi, nonché la perfetta rifinitura decorativa dei coprigiunti di malta posti fra i mattoni del triplice arco, elementi evidentemente eseguiti per rimanere a vista che fanno parte dell'edificio primitivo. È da sottolineare infine un'incompatibilità tra l'edificio e il modo in cui la decorazione si manifesta in più punti, in particolare in quelli di giuntura, poco accurati nella resa, fra i piedritti della volta e gli stucchi del fregio superiore e delle figure. Sembra difatti trattarsi di un sistema decorativo 'basilicale', concepito e sviluppato in senso orizzontale, adattato a un ambiente a pianta centrale e a volta. Evidentemente maestro Paganus e i suoi colleghi, pittori e mosaicisti, si trovarono di fronte a un edificio già compiuto o terminato nelle sue parti essenziali, progettato ed eseguito senza tenere conto della decorazione sontuosa di cui essi l'avrebbero arricchito.Una serie di indizi di tipo archeologico, tecnico e pratico sta a indicare che le piastrelle del primo pavimento e le lastre marmoree delle pareti sono coeve al sistema decorativo in stucco, ad affresco e a mosaico. D'altra parte l'intonacatura incompiuta sopra menzionata, visibile nelle pareti del presbiterio, era stata eseguita già prima che si fosse pavimentato l'ambiente. In altre parole la questione relativa alla datazione della decorazione primitiva del tempietto consiste nel valutare se si è di fronte a una sospensione totale dei lavori o piuttosto semplicemente a una fase di interruzione della costruzione, un cambiamento di progetto dettato dall'arrivo in città di maestro Paganus e dei suoi collaboratori. In quest'ultimo caso la datazione dell'edificio (metà sec. 8°) si può estendere anche alle decorazioni. Nel primo caso le datazioni sono indipendenti l'una dall'altra; in nessun caso tuttavia allo stato attuale degli studi si è propensi a scendere oltre i primi due decenni del 9° secolo.Dal punto di vista liturgico, il tempietto difficilmente può essere inteso come edificio di culto indipendente, ma piuttosto deve considerarsi connesso alla vicina chiesa di S. Giovanni e perciò - accettata la datazione alla metà ca. del sec. 8° - può essere inteso come cappella privata dei signori della gastaldaga. L'iconografia delle successive decorazioni del tempietto pare confermare questa conclusione, in quanto elementi di indiscussa origine monastica non emergono che dopo la cessione alle Benedettine, mentre al contrario nella prima decorazione si riflette il legame originario dell'oratorio con la curtis regia della gastaldaga: difatti dei sei intercessores dipinti nelle pareti dell'aula, uno soltanto - un vescovo nel campo sudorientale - appartiene alla gerarchia ecclesiastica, mentre gli altri cinque sono santi guerrieri, protettori e patroni delle forze militari, sulle quali il sovrano fondava il suo dominio. Secondo l'iscrizione votiva, mutilatissima, in prosa ritmica, la dedicazione della cappella era al Salvatore, il che non esclude anche una dedicazione alla Vergine. La cappella stessa viene presentata come un monumento votivo - accennando a una situazione infausta, ma riferendosi anche a un intervento divino già avvenuto - offerto al Redentore dagli stessi fondatori del sacello e dal popolo in preghiera. Il pensiero va agli ultimi due o tre decenni di vita del regno longobardo, quando politicamente e militarmente si trovava stretto tra l'imperatore di Bisanzio da una parte e il papa e il re franco dall'altra.
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Al momento di maggiore stabilità politica raggiunto da C. alla metà del sec. 8° fecero seguito in rapida successione il declino e la fine del regno longobardo nel 774, con il subentrare del dominio franco. Confermata sede della nuova marca del Friuli, C. mantenne sostanzialmente inalterata la sua fisionomia urbana; bisogna infatti attendere il sec. 13° e la matura fase patriarcale per registrare una espansione di rilievo e una intensa attività edilizia.La formazione del feudo patriarcale di Aquileia si pose in stretta relazione con la crisi dell'impero carolingio alla fine del sec. 9° e con la graduale perdita di autonomia della regione, che, inclusa come comitato nella marca veronese e annessa da Ottone I al ducato di Baviera nel 952, passò in seguito alle dipendenze di Ottone II e venne affidata al ducato di Carinzia. L'assenza di una solida autorità statale e di un sistema politico-amministrativo centralizzato determinò la progressiva crescita di prestigio del patriarca, già dotato di ampi privilegi, di immunità e di vasti possessi territoriali, e la sua affermazione prima come capo amministrativo e militare e poi come vassallo dell'imperatore, per l'acquisizione dei diritti comitali e dei pieni poteri giurisdizionali sul Friuli concessi da Enrico IV al patriarca Sigeardo nel 1077.In questa fase C., residenza abituale del patriarca fino agli inizi del sec. 14°, assolse un ruolo politico preminente e godette di continui benefici e concessioni. Indicazioni di una prima organizzazione amministrativa della città si hanno nel sec. 11°, ma solo nel 12° è attestata l'istituzione di magistrature comunali - condizionata dalla necessità di creare un ordinamento politico capace di fronteggiare la crescente arroganza della nobiltà -, il cui riconoscimento ufficiale risale a Pellegrino I (1130-1161). Il dominio della chiesa di Aquileia si concluse nel 1420 con la resa delle città friulane alla repubblica veneta.Mancano notizie sullo sviluppo urbano del primo periodo patriarcale e le poche informazioni sul tessuto edilizio riguardano edifici già esistenti: forse già nei secc. 11°-12° venne alterato l'impianto cattedrale-battistero per l'addossarsi sul lato ovest della chiesa battesimale di ambienti, probabilmente cappelle, tra loro comunicanti; nel 1191 venne ricostruita la cattedrale di S. Maria, distrutta da un incendio nel 1186 (Della Torre, 1911; Brozzi, 1979). Si ritengono inoltre dei secc. 11°-12° le strutture pertinenti al braccio ovest di un chiostro - scandito da trifore con capitelli a stampella - emerse nel cortile della cattedrale nel corso di interventi di ripristino realizzati nel 1990 in un edificio limitrofo (Brozzi, 1990). Le uniche notizie sul palazzo patriarcale sono relative all'esistenza di un solarium (1091; Brozzi, 1972, p. 184) e della cappella di S. Paolino (1126; Grion, 1899).Le parziali indicazioni sull'assetto raggiunto dalla città tra i secc. 11°-13° si riferiscono alla suddivisione dell'abitato in quattro quartieri (burgi), nei quali si articolavano le contrade: i borghi San Silvestro a N, di porta Brossana a E e di San Pietro a O - compresi nella cinta tardoantica - e borgo di Ponte a S, esterno alle mura. I documenti forniscono inoltre indizi sull'ampiezza di alcune contrade e relativi borghi. Nel sec. 13° sono attestate altre due porte in corrispondenza di passaggi sul fiume: a S porta Pontis (1270; Bragato, 1909-1913, p. 81), ubicata all'inizio di via Paolino d'Aquileia e collegata a un ponte in legno sul luogo dell'od. ponte del Diavolo (costruito in pietra a partire dal 1332 e terminato nel 1558), e, verso S-E, al termine di riva Broscandola, una porta minore a difesa di un passaggio secondario in legno, ambedue demoliti alla fine del 18° secolo. Un altro passaggio sul fiume, distrutto nel 1272, è attestato a O in corrispondenza di porta S. Pietro: un ponte in pietra sulla roia (1272; Giuliano Canonico, Civitatensis Chronica, 15), l'od. Roggia, un canale artificiale proveniente da Torreano che si immette nel Natisone costeggiando la città a N e a O; sebbene documentati solo nel sec. 13°, questi passaggi sul fiume dovevano già esistere in precedenza. Il mutamento di denominazione della porta a N, citata come porta Sancti Silvestri (1293; Bragato, 1909-1913, p. 64), viene riferito alla presenza della limitrofa chiesa (od. Ss. Silvestro e Valentino, radicalmente trasformata tra i secc. 18° e 19°) e alla probabile scomparsa della chiesa del Salvatore (Brozzi, 1972; 1975b; 1990).L'estendersi delle aree urbanizzate oltre il circuito tardoantico avrebbe determinato, per esigenze strategiche di difesa, una prima trasformazione di rilievo con la recinzione dei borghi San Pietro e di Ponte forse già a opera del patriarca Bertoldo di Andechs (1218-1251) o alla metà del secolo, quando sono attestate opere di fortificazione delle mura; il borgo di porta Brossana si sviluppò invece più tardi e borgo San Silvestro rimase circoscritto all'ambito della città. L'esistenza della chiesa di S. Pietro dei Volti - denominazione trasmessa all'edificio attuale -, sorta sul fornice (volto) della porta tardoantica in seguito alla scomparsa della primitiva chiesa di S. Pietro e demolita nel 1762, viene messa in relazione con la perdita della funzione difensiva della porta dopo la recinzione del borgo; allo stesso motivo va riferita l'edificazione di case iuxta murum antiquum (1291; Bragato, 1909-1913, p. 107; Brozzi, 1972; 1975b). La seconda porta S. Pietro, detta Volto di S. Pietro e Arsenale veneto, destinata a deposito di armi nel sec. 16°, mostra rifacimenti più tardi (secc. 14°-15°). È invece difficile stabilire in quale momento si sia inserita nel percorso fortificato a E della città, a poca distanza da porta Brossana, la porta detta Patriarcale, all'esterno della quale correva il rio Emiliano, probabilmente sorta con l'ampliamento del borgo.Alla metà del sec. 13° l'incremento dell'attività costruttiva e la progressiva saturazione degli spazi destinati a orti e vigne determinarono una consistente trasformazione del tessuto urbano. Gli episodi più rilevanti di edilizia civile e di culto sono connessi al nuovo assetto politico e sociale e all'arrivo a C. degli Ordini mendicanti; agli ampliamenti e alle sistemazioni degli edifici più rappresentativi - che comportarono la rettifica e la riqualificazione dei principali spazi pubblici - si aggiunsero le realizzazioni di nuovi complessi dentro e fuori le mura della città. Gli interventi di ripristino furono condizionati da eventi naturali - i terremoti del 1222 e 1279 e l'inondazione del 1276 - o dettati dalla necessità di riparare i danni causati all'abitato da azioni di forza, come l'incendio dei borghi San Pietro e San Silvestro provocato da Federico da Pinzano durante l'assalto del 1272. Tra le misure difensive adottate si ricorda il divieto di occupare le zone pubbliche a pascolo intorno alla città. Nel 1297 si iniziò a scavare il fossato di borgo San Pietro.In concomitanza con l'istituzione degli organismi comunali, un nuovo fulcro di aggregazione cittadina si attestò nello spazio antistante la domus comunis - sede delle riunioni del consiglio Maggiore e del consiglio Minore, sottoposti al gastaldo -, corrispondente in parte all'od. piazza Paolo Diacono. La piazza, di modesta estensione, dotata di una fontana nel 1277, venne ampliata nel 1299 con l'abbattimento di tre case, "tres domos que erant prope forum" (Giuliano Canonico, Civitatensis Chronica, 79). Nel 1286, pur restando in funzione la precedente sede, veniva menzionata la domus nova - nucleo dell'od. palazzo Comunale, rimaneggiato nei secc. 15° e 16° -, edificata presso la cattedrale a O del battistero e restaurata nel 1378, "iuxta ianuam ecclesie S. Iohannis contiguam Maiori Ecclesie S. Marie Civitatensi" (1393; Grion, 1899). Al patriarca Gregorio di Montelongo (1251-1269) sono riferiti gli ampliamenti del palazzo patriarcale (1260) e della cattedrale, nuovamente ricostruita nel 1374. Si ritiene che l'ambito del palazzo, prospiciente la platea patriarchalis (1260; Bragato, 1909-1913, p. 66), includesse l'area retrostante l'abside della cattedrale, presso il c.d. pozzo di Callisto (Brozzi, 19812). La sistemazione definitiva della cattedrale, dopo il terremoto del 1448, comportò la demolizione della chiesa originaria. Lo stesso evento provocò anche il crollo dell'antico battistero di S. Giovanni, che intorno al 1463 venne riedificato e inglobato nella cappella di S. Antonio Abate, costruita da Leonardo de Artegna poco prima del 1339; i due edifici vennero abbattuti nel 1630 per fare spazio al nuovo campanile (Brozzi, 1979). Ricostruzioni riguardano altre chiese della città: nel 1250, probabilmente in seguito ai danni del terremoto del 1222, sono attestati restauri alla chiesa di S. Giovanni in Valle, radicalmente rimaneggiata nel 1371 e poi nel sec. 18°, e importanti rifacimenti all'oratorio di S. Maria in Valle, riferendosi a questo momento il parziale crollo della volta (Brozzi, 1972, p. 185); l'oratorio fu oggetto di ulteriori interventi, il più vistoso dei quali realizzato nel 16° secolo. Danni considerevoli subirono anche il monastero di S. Maria per l'incendio del 1272 e S. Maria di Corte per il terremoto del 1279.La contemporanea presenza a C. alla metà del secolo dei Minori e dei Domenicani determinò la formazione di nuovi importanti insediamenti: a borgo di Ponte sulla sponda sinistra del fiume i Minori fondarono il loro primo convento e la chiesa era già ricordata nel 1256 (Paschini, 1953-1954, I, p. 315); sul lato opposto della città, appena fuori borgo San Silvestro, si attestarono i Domenicani edificandovi il loro convento, dal quale successivamente assunse la denominazione il borgo che ne tramanda il ricordo. Con il trasferimento dei Frati Minori nell'abitato urbano, a S-O, presso la sponda destra del Natisone - dove nel 1285 ebbe inizio l'edificazione del nuovo complesso -, il sito extramurano venne ceduto per fondarvi il monastero di S. Chiara, oggi sede del Convitto nazionale. Del convento di S. Francesco, ultimato nel 1296, rimane la chiesa terminata poco più tardi; la chiesa, nella quale si riuniva l'arengo, adottò forme romanico-gotiche di transizione: facciata a capanna, interno ad aula triabsidata, transetto poco sporgente; più volte restaurata, mantiene sostanzialmente l'assetto originario e conserva affreschi del 14° secolo. Nei pressi della città vennero fondati i monasteri delle Domenicane nella zona Cella (1267) e delle Agostiniane a S. Giorgio al Vado, poi passato ai Minori osservanti. Oltre allo xenodochio di S. Giovanni, risultano esistenti nel sec. 13° nell'ambito di borgo di Ponte gli ospedali di S. Martino, ubicato presso la chiesa omonima, di S. Giacomo, costruito presso il precedente, e di S. Lazzaro, situato appena fuori le mura, dal quale assume il nome la porta a O dello stesso borgo. Se dalle fonti si desumono informazioni sull'esistenza di altri oratori e cappelle eretti in tutta la città, non è sufficientemente documentata l'edilizia civile, la cui incidenza nella definizione della fisionomia urbana tra i secc. 13° e 14° è tuttavia attestata da una significativa testimonianza iconografica: il sigillo in bronzo del Comune (Cividale, Mus. Archeologico Naz., inv. nr. 4805), generalmente datato al 1396, ma forse già in uso alla metà del sec. 14° (Brozzi, 1978), che rappresenta la città con otto torri. Di quelle citate nei documenti dei secc. 13° e 14° sopravvive soltanto la torre di Asquino di Varmo, poi dei della Torre, in piazza Ristori, recentemente restaurata, ricordata nel 1315 (Grion, 1899, I, p. 52) e mozzata nel 16° secolo. Resti di una torre si individuano nella c.d. casa artigiana, ritenuta uno degli edifici più antichi di C., ubicata al centro della zona ducale; secondo una recente ipotesi (Tagliaferri, 1988-1989), la casa-torre si sarebbe formata nel sec. 14° su di una preesistente struttura fortificata - riconoscibile nella zona inferiore della parete esterna destra a corsi regolari di pietre squadrate -, assumendo una differente destinazione.Durante il sec. 14° - segnato dall'antagonismo con Udine, dai contrasti con lo stesso patriarca e dall'impegno nella difesa della propria autonomia comunale per i ripetuti tentativi dei nobili di entrare in possesso della città - non si evidenziano trasformazioni dell'assetto urbanistico, a parte gli interventi di ripristino determinati dall'incendio del 1303, che provocò la distruzione della contrada della Posternola, e da quello del 1342, che interessò anche la cattedrale. L'attenzione sembra piuttosto rivolta alle opere di fortificazione, intraprese più volte nel corso del secolo; nel 1319 si migliorò il sistema difensivo di borgo di Ponte e nel 1385-1386 vennero approfonditi il rio Emiliano, la Roggia e i fossati di protezione. L'ultima importante sistemazione urbanistica, prima della regressione economica della città nella metà del sec. 16°, è ancora connessa a motivi strategici: nel 1516 una più ampia cinta difensiva venne infatti a includere con spazi coltivati i borghi medievali; inoltre, per inglobare nel nuovo perimetro l'abitato di borgo Brossana, venne deviato all'altezza di piazza S. Giovanni il corso del rio Emiliano.
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Il Mus. Archeologico Naz., fondato da Michele della Torre Valsassina nel 1817 per esporre materiale di scavo, è stato recentemente allestito nel palazzo dei Provveditori veneti. Al nucleo iniziale si sono aggiunte le raccolte dell'Arch. capitolare, della Bibl. di S. Maria Assunta e del monastero benedettino di S. Maria in Valle. In sette sale sono esposti le opere e i reperti più significativi provenienti dalla città, dal territorio e da altre località del Friuli che illustrano il processo di acculturazione della civiltà longobarda: i corredi funerari (armi, fibule, croci, bacili, calici, guarnizioni di cinture) delle prime necropoli (San Giovanni e Cella) e di due grandi tombe della necropoli di Gallo, ceramiche, vetri, bronzi, il ricchissimo materiale proveniente dalla necropoli di S. Stefano in Pertica (croci a lamina d'oro, guarnizioni in oro), nonché opere dell'ultima età longobarda.Il museo ospita inoltre una raccolta di sculture di età altomedievale e romanica e una di monete, sigilli e diplomi. Tra gli oggetti di oreficeria si distinguono la c.d. pace del duca Orso, una tavoletta in avorio con incisa la Crocifissione, delimitata da una cornice costituita da lamine in argento dorato, decorata con pietre dure e madreperle - probabilmente in origine una coperta di evangeliario adattata in seguito a pace -, e il ricco corredo funebre della tomba detta di Gisulfo, databile ca. alla metà del 7° secolo. Tra i codici meritano particolare attenzione l'Evangeliario di s. Marco (CXXXVIII, sec. 5°-6°), con coperta in lamina d'argento dorato e sbalzato, noto anche come Codex Aquileiensis o Foroiuliensis, recentemente restaurato; il codice con la trascrizione dell'Historia Langobardorum di Paolo Diacono (XXVII, primi decenni sec. 9°), in minuscola carolina, probabilmente prodotto a C.; il Salterio di Egberto (CXXXVI, fine sec. 10°), scritto dal monaco Ruodprecht per ordine di Egberto, arcivescovo di Treviri, e miniato secondo lo stile della scuola della Reichenau; la Biblia sacra (I-II, sec. 12°), o Bibbia atlantica, in minuscola romana, dotata di interessanti miniature, tra cui la rappresentazione del Padre Eterno benedicente e scene della Genesi (I, c. 4r) e di Cristo con gli apostoli (II, c. 271v); il c.d. Salterio di s. Elisabetta (CXXXVII, sec. 13°), eseguito per le nozze di Ermanno langravio di Turingia con Sofia di Sassonia, decorato con miniature di scuola turingio-sassone.Il Mus. Cristiano ha sede dal 1946 in un locale annesso al duomo e conserva due tra le più significative testimonianze della scultura altomedievale di età longobarda, esposte in uno stesso ambiente: l'altare di Ratchis (737-744) e il c.d. battistero di Callisto, proveniente dalla scomparsa chiesa battesimale di S. Giovanni. Al periodo patriarcale appartiene la cattedra (sec. 11°) utilizzata per la cerimonia dell'investitura, costituita da frammenti erratici di marmo greco antico. Il museo accoglie inoltre pezzi di scultura e affreschi staccati, provenienti dal tempietto longobardo.Il Tesoro del Duomo raccoglie numerosi pezzi di oreficeria (reliquiari, calici, pissidi, coperte di evangeliari); tra gli oggetti più preziosi si segnalano due capselle per reliquie (secc. 8°-9°) e un calice in argento dorato (sec. 10°). Tra le opere tarde occorre ricordare il busto-reliquiario di s. Donato, eseguito nel 1374 da Donadino da Brugnone. Nel duomo stesso, l'altare maggiore conserva la pala di Pellegrino II (1194-1204), preziosa opera di oreficeria, forse di scuola locale.
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