BIZANTINA, CIVILTÀ (VII, p. 120)
Arte (p. 154). - Il più approfondito esame che da pochi anni si va facendo dell'arte del tardo impero (secoli III-V), obbliga a vedere sotto nuove luci il problema formativo dell'arte bizantina. Vi sono anche varie scoperte che concorrono a questi più organici e documentati orientamenti. Esaminiamo quindi taluni nuovi risultati.
Architettura. - Gli apporti statici dell'architettura classica romana sono stati meglio determinati dal Sedlmayr e dal Weigand, i quali hanno notato che al muro uniforme dell'arte greca si sostituisce una sua partizione organica in elementi verticali e orizzontali, così da formare come una salda intelaiatura della costruzione. Singolari nella basilica di Treviri (età costantiniana) le pilastrate che salgono fin quasi al tetto collegate da grandi archivolti e includenti due ordini di finestroni. Il verticalismo dominava anche nella basilica vitruviana di Fano, che aveva alte colonne nella navata centrale. Quindi, elementi verticali fusi alla muraglia e variamente collegati e altri isolati nell'interno. È facile da simili strutture far derivare, ad esempio, il tipo a baldacchino centrale del mausoleo di Galla Placidia in Ravenna che ha pure le pareti esterne dei bracci della crociera scompartite da pilastri collegati da archivoltini. Noi potremo aggiungere che nella basilica massenziana-costantiniana di Roma vi è un perfetto sistema statico con voltoni a botte che controspingono la parte intermedia in cui le vòlte salgono da colonne addossate. Si notino anche le sopraelevazioni delle pareti traverse (tra imbotte e imbotte) per servire d'appoggio alla zona centrale della copertura. La scoperta della grande aula dei mercati traianei (Roma) ci offre già il tipo della basilica a matronei le cui logge si aprono sulla navata centrale, fra pilastro e pilastro. Anche se l'idea prima di tale mercato possa esser derivata da qualche costruzione orientale (del cui tipo vi sarebbe la permanenza in certi assai più tardi bazar) resta il fatto che queste forme furono assai per tempo assimilate dal mondo romano che seppe portarle a un grandioso sviluppo, sostanzialmente ricreandole.
In Egitto, il Monneret de Villard ha da poco tempo compiutamente indagato il Convento Bianco e il Convento Rosso (sec. V) presso Sohâg, dove è tipica la spartizione delle absidi in due ordini di colonne addossate con nicchie intermedie a edicola e con un'originale versione di timpani spezzati. Fra i precedenti vi è senz'altro il ninfeo di Gerasa (d'età romana). Ma vi dobbiamo aggiungere l'abside della basilica severiana nel Foro di Leptis Magna.
Circa la struttura dei santuarî delle chiese siriache (abside semicircolare fiancheggiata da due camere rettangolari), il Butler ha voluto vedervi un influsso dei templi nabatei. Ma il Monneret de Villard ha rilevato che la forma fondamentale della chiesa è sempre quella della basilica e, circa il raffronto con alcuni tipi di chiese siriache, non si conosce alcun monumento che possa costituire il tratto d'unione fra la sala rettangolare dei templi nabatei dell'epoca romana e la navata trasversale delle chiese monastiche di Tur Abdin. Però il Monneret de Villard finisce pur sempre con ricercare i tipi mesopotamici. E la ricerca si dimostra fruttuosa per talune forme assai peculiari, non tanto per il tipo semplice che sorge logicamente e indipendentemente in varî luoghi in forza di somiglianti esigenze strutturali e liturgiche. In quanto al gruppo cruciforme triabsidato (a trifoglio, o "triconco") a capo dell'aula rettangolare della basilica l'esempio modesto di S. Giovanni a Gerusalemme (costruito tra la fine del sec. V e gl'inizî del VI) è preceduto dall'assai più imponente trilobo delle terme costantiniane di Treviri e da molti altri esempî anche più antichi indicati dallo stesso Monneret. E il triconco a capo della navata appare senz'altro originato dalla cella trichora sul sepolcro del martire o confessore, prolungata posteriormente in basilica. Questa pianta tiiloba postula d'ordinario una parte intermedia sopraelevata. E la copertura può essere un emisfero sviluppantesi dalle vele angolari, o una calotta (o cupola vera e propria) raccordata al quadrato di base a mezzo di segmenti trasversali, cuffie, trombe d'angolo. Un embrione di cuffie angolari è già in un sepolcro romano di Cassino.
Il periodo romano imperiale ha provocato in Oriente come in Occidente un afflusso e un frammischiamento di tradizioni architettoniche e quindi un potenziamento anche di esperienze locali. Ad Efeso, i recenti scavi del Sotiriou e del Keil hanno rivelato la forma del primitivo Martyrion di S. Giovanni Evangelista: una tomba a base quadrata, forse coperta da un tetto piramidale, simile, com'è parso al Guyer, ad altri mausolei romani della regione. La differenza principale è che le costruzioni cristiane hanno l'aggiunta di un'abside. Il Guyer opina che i monumenti fatti costruire da Costantino a Roma e in Palestina debbono avere esercitato la loro influenza anche sui monumenti dell'Asia Minore. D'ispirazione romana sembrano, per esempio, la basilica di Sangalassos (chiesa a transetto) e la grande basilica in cui si è radunato nel 431 il concilio d'Efeso. Basiliche a colonnati lunghi e uniformi e a soffitto piano che hanno i caratteri dell'architettura spaziale romana. Così è pure la più antica basilica di S. Giovanni Evangelista ad Efeso (il cosiddetto Martyrion o Apostolion; inizî del sec. V) che ha il tono delle strutture classiche, soltanto che comincia attorno al Martyrion centrale la sistemazione cruciforme, a dir vero molto disorganica nel suo aggiustarsi a quel nucleo di prevalente interesse religioso. Pian piano la rielaborazione di questi elementi del tempo costantiniano ed anteriore porta gli artisti a concepire una più organica relazione delle varie parti dell'edificio, le quali non vivono più di vita indipendente, ma si subordinano l'una all'altra. Nella chiesa a cupola di Meriamlik (la più antica con cupola eretta come monumento di vittoria dall'imperatore Zenone nel 470, o poco dopo), si è ancora in uno stadio evolutivo. La forma perfetta è nella basilica giustinianea di S. Giovanni Evangelista ad Efeso. E questi tipi li troviamo consolidati nelle grandi costruzioni della prima età d'oro di Bisanzio. Il Guyer non crede che lo stile dell'Asia Minore abbia troppo a che fare con il lontano Oriente. Le semicolonne addossate a pilastri si vedono in edifici ellenistici della costa d'Asia Minore e le grandi vòlte a culla che si ritengono orientali derivano dalle vòlte reali delle grandi costruzioni romane che pure si trovano lungo la costa. Tutti gli altri elementi provengono dalla Siria, e cioè dal centro antiocheno che gli scavi attuali svelano occupato da edifici in prevalenza dell'età romana. L'architettura classica delle chiese di Mesopotamia dipendeva pure da Antiochia ed anche da questa zona debbono provenire gli archi a ferro di cavallo, che a tutta prima parrebbero una diretta inclusione orientale.
Nelle chiese licaonie, la facciata è composta di due torri e di un portichetto intermedio. Paragonando con le case contadine dell'Asia Minore, si è voluto vedere in questo una perpetuazione dell'"Hilani" hittitico. Può darsi. Come da origini simili, o iraniche, può provenire il portico a grande arcata centrale di talune chiese siriache. Notevole è anche in queste chiese asiatiche l'importanza data esternamente alla cupola che viene inclusa in una torre quadrata od ottagona sul presbiterio. Costretti dalla deficienza di legname, questi architetti cristiani hanno costruito la basilica a vòlte semicilindriche e la chiesa cruciforme coronata da cupola. I tipi dell'Armenia sono uno sviluppo di quelli ricevuti dalle contrade asiatiche. Perciò avremmo questa successione: Antiochia (centro impregnato di classicismo), Asia Minore (influssi siriaci e specificatamente antiocheni; insegnamenti tratti dai centri costieri greci e romani dell'Asia; secondarie sopravvivenze del mondo orientale), Armenia, e anche la Georgia, la cui serie di monumenti, che può risalire fino al sec. VI, da poco ha cominciato ad essere metodicamente indagata.
Il problema della cupola bizantina e delle sue origini riceve molta luce da alcune constatazioni fatte di recente dal Giovannoni e dal de Angelis d'Ossat. Si è osservato, ad esempio, che nel mausoleo di S. Costanza gli archi meridiani sono massicci e situati in corrispondenza delle colonne binate sottoposte; la muratura tra gli arconi è formata di calcestruzzo leggiero e di pomici vesuviane. Perciò vi è una divisione in elementi massicci resistenti ed in elementi leggieri di riempimento, tecnica che fu sostanzialmente adottata dai Bizantini nel voltare le loro cupole finestrate. Inoltre i Romani hanno conosciuto l'apertura di finestre nella concavità delle cupole (escludendo, naturalmente, l'occhialone terminale). L'esempio più antico è forse nelle aperture quadrangolari di una sala termale a Baia. In epoca adrianea vengono le più logiche aperture circolari (per es., nel cosiddetto "tempio di Siepe" conosciuto attraverso disegni; in una tomba della Via Nomentana presso Casal de' Pazzi, ecc.; finestre di tipo veramente bizantino trovansi nel più tardo ninfeo degli Orti Liciniani). L'adozione di finestre alla base della cupola e l'irrobustimento dei pilastrini che le dividevano si veggono nel Serapeum di Villa Adriana. La semicupola di questo monumento è esteriormente contraffortata da speroni radiali che fanno parte di tante concamerazioni voltate a botte, le quali all'esterno sono accusate da tanti finestroni. Si ha quindi un tipo assai prossimo ai bizantini.
Insomma, la ricerca positiva delle diverse strutture romane persuade che l'architettura bizantina si evolve logicamente dalle premesse romane; talvolta si constata persino l'utilizzazione di un edificio romano, com'è il caso della Rotonda di Salonicco. Se può ammettersi che architetti di origine orientale, entrati nel mondo romano, abbiano contribuito a questo prodigioso sviluppo architettonico, bisogna pur dire che i nuovi materiali e l'eclettismo artistico dei grandi centri dell'impero dovettero portarli a concezioni nuove, assai più grandiose e ardite. Più tardi, nel primo periodo bizantino, vi è il tentativo di tradurre quelle forme architettoniche in altre simili, utilizzando i materiali del luogo e adattando le costruzioni alle esigenze del culto cristiano. Di tentativo in tentativo, si passò a nuove soluzioni ed anche a una visione artistica diversa dell'insieme. In quanto alle architetture ellenistiche noi possiamo dire che esse diedero l'elemento pittoresco e che mediocremente insegnarono quanto alla struttura dell'edificio, vale a dire al logico concatenamento delle sue parti. Il Wulff ha voluto mostrare che la basilica cristiana sorse simultaneamente in varî luoghi del mondo romano obbedendo alle consuetudini liturgiche, ai procedimenti costruttivi, ai modelli architettonici che erano in voga in ogni zona. Però la fondamentale unità dell'arte ellenistica in tutto il bacino del Mediterraneo e la sostanziale unità della liturgia cristiana diede a tutti questi monumenti un'aria di famiglia, senza sopprimere le differenze dovute ai fattori locali. Sarebbe da discutere la sostanziale unità dell'arte ellenistica, specie per il fatto architettonico, e d'altra parte il Weigand ha mostrato come la basilica cristiana segua piuttosto le tradizioni del mondo romano. E il Kirsch ha fatto vedere come la costruzione di matronei in certe basiliche cemeteriali di Roma dipenda piuttosto dal fatto che esse erano in parte sotto la linea stradale e che era quindi necessario procurare accessi dalle vie superiori. Perciò il problema delle origini della basilica non è così semplice come fino ad ora si era creduto.
Ciò detto, noteremo come negli ultimi anni si siano esaurientemente indagate le varie chiese bizantine dell'alto e basso Medioevo. Si è veduto quanto gli esempî delle costruzioni eseguite nei sec. IX-XI sull'Athos abbiano influito su tutto il Levante, e come i gruppi di monaci qua e là emigrati siano stati apportatori di varie forme costruttive (vedi, ad esempio, i tipi delle chiesette bizantine dell'Italia meridionale). Il romeno Bordenache ha scoperto in un resto di chiesetta a Castro (penisola Salentina) il tipo italico più antico a croce greca inscritta nel quadrato (absidato) e con cupola centrale e imbotti laterali (oggi la cupola più non esiste). I restauri del S. Marco di Rossano e della Cattolica di Stilo hanno meglio determinato le forme di tali edifici che già erano stati magnificamente studiati dall'Orsi. Sono state poi esaminate le chiese cruciformi dell'Italia meridionale (in particolare il S. Pietro d'Otranto) e quelle pugliesi a tre cupole; anche le chiese bizantine e romane della Sicilia hanno beneficiato di nuove indagini e restauri (specie a cura del Valenti). In Sardegna, il S. Saturnino di Cagliari (anch'esso restaurato) deve probabilmente ispirarsi a tipi paleocristiani dell'Africa romana, ma rimane sempre una costruzione enigmatica; il S. Giovanni in Sinis presso Oristano è forse il più prossimo alle dette chiese africane. Si stanno in questi ultimi tempi portando avanti i lavori del S. Lorenzo di Milano che sembra abbiano rivelato l'unità architettonica di un edificio del sec. IV, il quale, nella sua parte intermedia, ha qualche somiglianza con l'Anastasis gerosolomitana (che, d'altra parte, ha costituito nell'antichità cristiana e nel Medioevo un tipo molto diffuso). L'edificio aveva un atrio (ciò secondo gli scavi del Chierici), torri angolari, oratorî. Dell'atrio resta il noto colonnato anteriore.
Il Dyggve ha dimostrato che le costruzioni dioclezianee di Spalato hanno esercitato influssi sulle strutture a pianta centrale del Medioevo dalmatico; il Karaman ha molto diminuito l'importanza dei diretti influssi bizantini sulle chiese medievali dalmatiche ed ha fatto vedere che anche le chiese di Serbia hanno differenze notevoli rispetto a questo gruppo. D'altra parte il Bosković ha rivelato con accuratezza i caratteri delle chiese serbe, e tanti altri studiosi dei varî stati balcanici si sono preoccupati d'indagare con metodo gli edifici cristiani del loro territorio.
Scultura. - Gli studiosi hanno compreso che i fenomeni della scultura bizantina non potevano essere individuati senza compiere anzitutto un riesame della scultura delle varie regioni dell'impero romano, specie di quella del medio e basso impero. I risultati sono stati straordinarî; giacché ne è sorta una rivalutazione di tale scultura come anticipatrice di molte tendenze che sinora erano ritenute tipiche dell'arte bizantina. Anche se l'origine di queste tendenze debba essere rintracciata, per via diretta o indiretta, nell'Oriente, o in altre zone, resta il fenomeno di assimilazione e di poderosa rielaborazione in tipi che assumeranno da indi in poi valore universale.
L'accoglimento di nuove forme fu accreditato e imposto dai nuovi orientamenti spirituali. L'indirizzo estetico dell'età imperiale era ben lontano dagl'ideali platonici della simmetria e dell'armonia. Un filosofo greco vissuto in Roma nel sec. III, Plotino, dichiarava che le sculture più vivaci sono più belle di quelle simmetriche, giacché il brutto vivo è preferibile al bello marmoreo (Enneadi, VI, 7-22). C'è insomma un più intenso apprezzamento dell'espressione e quindi, pur senza precisa volontà, un passaggio a criterî anticlassici. Ma questo desiderio del vero a scapito dei canoni formali, porta a sublimare l'espressione e anche a trascenderla. Perciò si vanno maturando certe convenzioni, che talvolta hanno origine in idee ricevute dai popoli d'Oriente e innestate nel robusto ceppo della tradizione romana. Così la concezione iranica della regalità e il cerimoniale connesso devono avere imposto quegli ordinamenti di figure e quelle espressioni estatiche dei volti che si notano in certe produzioni tardo-imperiali.
Le linee evolutive che si possono assai genericamente tracciare ci mostrano nel sec. III il passaggio da un "barocco" (cui non dovettero essere estranei elementi asiatici) a un classicismo convenzionale che in realtà è l'opposto del classico. Indi, nei ritratti, il periodo tetrarchico conduce a stilizzazioni orientalizzanti, a veri e proprî cubismi (testa di Costantino nel Museo dei conservatori a Roma). Recenti indagini nella chiesa della Panachrantos in Costantinopoli hanno dato alcune teste decorative che dimostrano a quale superbo sintetismo fosse giunta nel sec. VI la scultura bizantina.
In quanto ai sarcofaghi cristiani, essi ripetono i fregi ad unica rappresentazione, o contengono una serie di episodî in "narrazione continua". L'arte pagana trasmette ad essi il tipo di sarcofago a portici con pesanti architetture che fu del gruppo "asiatico". Una variante (studiata dalla Lawrence) consistette nel sostituire i portici con le mura merlate di una città, di cui le porte accolgono i varî personaggi (citygates sarcophagi). Si volle poi raddoppiare l'ordine dei portici e includere episodî in ogni nicchia (contaminazione fra lo stile continuo e il tipo a portici). L'esempio più bello è nel sarcofago di Giunio Basso dell'anno 359 (Grotte Vaticane). Più tardi si declina verso lo stile cerimoniale e verso il simbolismo. E, sotto l'impero di queste tendenze, avviene una nuova reazione classica al tempo teodosiano. Dopodiché, le figure staccate dalla vita diventano elementi decorativi, come specialmente appare nei sarcofaghi ravennati e nel bel sarcofago da poco scoperto in Costantinopoli (sec. VI). In esso però è maggior sapienza di modellato e un senso più classico della composizione. Una grande indipendenza si riscontra in tutto ciò che sta nella sfera dell'arte alessandrina (esclusa la produzione copta vera e propria), dove le prepotenti tradizioni dell'ellenismo si fanno sentire almeno fino alla prima metà del sec. VI (cattedra di Massimiano).
La scultura decorativa è oggetto anch'essa di attenzione da parte degli studiosi recenti. Le ricerche dello Schlumberger sul capitello corinzio in Siria, Palestina e Arabia hanno posto in evidenza ciò che vi residua delle tradizioni ellenistiche e orientali e ciò che si deve all'arte romana. Il von Alten ha ben classificato i tipi dei capitelli paleocristiani e il Kautzsch li ha stilisticamente analizzati, giungendo a conclusioni in senso orientalistico.
Pittura. - Come per la scultura; la comprensione esatta della pittura bizantina dipende da una migliore conoscenza dell'arte ellenistica, romana (pagana e cristiana) e orientale. Un primo interessante tentativo di riesame della pittura romana è stato compiuto da P. Marconi. Dopo di lui. il Wirth ha voluto più integralmente indagarla, ma il suo lavoro è legato a preconcetti teorici che influiscono sulla valutazione stilistica ed anche sulla determinazione cronologica. Le pitture delle catacombe, tanto illustrate dal punto di vista iconografico, mancano tuttora di un approfondito studio nei riguardi dello stile. La scoperta degli affreschi di Durn Europo (tempio delle divinità locali; chiesa cristiana; sinagoga; mitreo) è stata la netta rivelazione di quei caratteri che si perpetueranno nella pittura propriamente bizantina.
Negli ultimi anni vi è stata l'edizione degli affreschi nelle laure rupestri di Cappadocia (sec. X-XI). Ad essa ha atteso il Jerphanion che ne ha mostrato tutta l'importanza iconografica. Poi si è avuta la valorizzazione della pittura monumentale tardo-bizantina, di cui vi sono straordinarî esempî nei paesi balcanici. In Italia, la pubblicazione completa degli affreschi delle catacombe di Napoli ha colmato la lacuna dell'alto Medioevo per un territorio così aperto a svariate influenze, come la Campania. Peraltro, tali dipinti dimostrano più che non si creda un attaccamento alla tradizione locale. E questo anche nel periodo in cui la zona fu più asservita ai Bizantini.
Lo studio dei musaici ha proceduto negli ultimi tempi con grande fervore. Anzitutto la monumentale pubblicazione di L. Ricci sui musaici di Ravenna (tuttora in corso di pubblicazione) permette di rendersi conto dello stato originario, dei varî rifacimenti, dei tratti perduti. O. Demus ha fatto una diligente investigazione iconografica e stilistica dei musaici di San Marco in Venezia, e così pure (insieme con il Diez) di quelli greci di Hosios Lucas a Daphni.
Ma un forte interesse desta la ricerca della decorazione musiva di S. Sofia a Costantinopoli, iniziata dal Whittemore. Sono riapparsi dei tratti del sec. X, uno con un imperatore (Leone VI) e l'altro con Costantino e Giustiniano che offrono alla Vergine in trono, l'uno la città da lui fondata e l'altro la chiesa da lui eretta. Nella stessa città, entro la chiesa di Kahrié Djami si è scoperto uno stupendo pannello con la Koímesis, opera del rinascimento bizantino. Molto più antico è il musaico dell'abside di Hosios David a Salonicco, scoperto nel 1927 dallo Xingopoulos. Esso raffigura la visione di Ezechiele ed è opera che ha i caratteri dell'arte del sec. VI. Dobbiamo anche ricordare i musaici della basilica di Nicea, opere del sec. X-XI.
La pittura d'iconi è stata oggetto negli ultimi tempi di numerose ricerche; gli studî più importanti sono quelli compiuti dal Kondakov. grande conoscitore della materia. Ma pur dopo la morte del Kondakov si sono fatte interessanti scoperte che modificano qualche sua attribuzione. Ad esempio, egli giudicava del sec. XV la famosa icone della Madonna di Vladimir. Ma, dopo una ripulitura, apparvero le tracce originarie del sec. XI o XII. La Madonna del Perpetuo Soccorso (ora nella chiesa di S. Alfonso in Via Merulana in Roma) è stata giudicata opera greca del sec. XIV. Le pitture delle laure rupestri basiliane dell'Italia meridionale sono state diligentemente elencate dal Gabrieli.
Arti minori. - Un considerevole numero di pubblicazioni ha rivelato molti oggetti delle varie raccolte pubbliche e private, oppure ha dato le opere più note in bellissime edizioni e con adeguati commenti. Vi è anche (come per le stoffe) qualche inizio di studio tecnico che può avviare su nuove strade. Questi materiali partecipano talvolta delle magnificenze della grande arte, perché ne sono un riflesso. Dalla visione di questi tesori si ricompone in modo suggestivo lo smagliante quadro della civiltà bizantina.
a) Miniature: sono state nuovamente analizzate e riprodotte in perfetti fac-simili le miniature dell'"Itala" di Quedlinburg e della "Genesi" di Vienna. Ora s'incomincia a riesaminare anche il periodo più antico, come provano le ricerche sulle copie del Cronografo del 354. Un agile libro dell'Ebersolt ha illustrato le fasi della miniatura bizantina; il periodo della seconda età d'oro viene ora indagato dal Weitzmann.
Si sono ripubblicati i rotoli d'Exultet dell'Italia meridionale che fino ad ora si conoscevano nell'insufficiente edizione del Bertaux e in poche altre riproduzioni.
b) Avorî: la Lipsanoteca di Brescia, opera stupenda del tempo di S. Ambrogio, è stata illustrata in tutte le sue particolarità iconografiche, ed è anche apparsa la serie dei dittici eburnei con figurazioni consolari insieme con altri monumenti analoghi. È in corso l'illustrazione minuziosa della cattedra di Massimiano in Ravenna. Gli avorî tardo-bizantini hanno avuto il loro corpus in monumentale edizione che li sistema nella più accettabile successione cronologica. Il che si dica specialmente per le note cassettine coi soggetti profani, le quali non sono più antiche dell'epoca iconoclasta.
c) Metalli: uno studio sulle porte di bronzo già esistenti nella basilica di Betlemme ha condotto a singolari considerazioni circa le origini dell'ornato trasennale che in esse si scorgeva. Le più interessanti questioni sono state sollevate a proposito del calice di Antiochia attribuibile all'arte siriaca, in un'epoca non più antica del III secolo, né più recente del V. Anche altri pezzi, se pur non così belli, provengono dalla Siria e di essi non è discutibile l'autenticità.
d) Ceramica: gli studî di Talbot Rice e dell'Ebersolt hanno posto in evidenza che l'arte ceramica era assai praticata a Bisanzio. Di certo, la ceramica a riflessi vi era conosciuta in un periodo anteriore al sec. XI; non sembra d'altra parte che Bisanzio abbia inventato la ceramica smaltata. Molte questioni sono tuttora oscure e attendono il chiarimento di nuove scoperte. In Bulgaria gli artigiani dovettero prendere diverse ispirazioni da Costantinopoli, come si dedurrebbe dai materiali del museo di Preslav illustrati dal Mjatev. L'intrusione di motivi nettamente orientali in questa ceramica bizantina o bizantineggiante prova che, alla fine del periodo iconoclasta, le tecniche musulmane abbondantemente penetrarono nel mondo bizantino. Dalla chiesa di Patleina vicino a Preslav proviene una singolare decorazione ceramoplastica con una grande icone di S. Teodoro. Una simile decorazione, come osserva il Bréhier, è stata usata fino al sec. XV, ed oltre, sulle facciate delle chiese di Grecia.
e) Stoffe: un'approfondita indagine tecnica va compiendo il Pfister, che ha iniziato la sua ricerca sui tessuti del sec. III d. C. trovati nella necropoli di Palmira. Essi rivelano l'uso della vera porpora mentre i Copti non conoscevano questa materia colorante e la stessa Dura Europo ha dato finora dei surrogati. Una cocciniglia proveniva dalle steppe della Russia meridionale. Importante è la constatazione che Palmira ha rivelato delle vere sete cinesi ed anche altri tessuti con palesi influssi dell'arte estremo-orientale. I cotoni non erano dell'Assiria, ma dell'India. È interessante la constatazione che la torcitura a sinistra dei fili era ordinaria nel mondo mediterrraneo, mentre quella a destra si praticava di regola in Estremo Oriente. L'invasione araba ha influito sopra i coloranti dei tessuti egizî (copti) nel senso di interdire le materie provenienti dal Mediterraneo orientale e di favorire l'importazione di quelle indiane. In base a tale constatazione sembra che la maggior parte degli arazzetti copti di soggetto cristiano siano posteriori all'avvento della dominazione araba.
La recente esposizione d'arte bizantina a Parigi ha dato modo di raccogliere taluni fra i più bei tessuti alessandrini e copti di collezioni pubbliche e private.
Bibl.: Opere generali: O. Wulff, Bibliographisch-kritischer Nachtrag (alla sua opera sull'arte paleocristiana e bizantina), Potsdam 1936; H. Peirce e R. Tyler, Byzantine Art, Londra 1926; e la più grande opera: L'art Byzantin (2 voll. usciti, Parigi 1932-34); J. Strzygowski, L'ancien art chrétien de Syrie, Parigi 1935. Per un esame critico delle varie pubblicazioni sull'arte bizantina v.: G. de Jerphanion, in Orientalia Christiana del Pontif. Istituto Biblico di Roma (poi Orientalia Christiana periodica) dal 1928 al 1937. Aggiungi le rassegne di varî bollettini: Byzantinische Zeitschrift; Byzantion, ecc. A queste rassegne si rinvia per tutte le opere che siamo costretti a tralasciare.
Architettura: E. Weigand, Das spätrömische Architektursystem, in Forschungen und Fortschritte, X, n. 34, 1 dic. 1934; G. Giovannoni, La tecnica delle costruzioni romane a volta, in Atti della Soc. it. per il progresso delle scienze, XVIII Riunione, Firenze, settembre 1929; id., La cupola di S. Costanza e le volte romane a struttura leggera, in Roma, febbraio 1936; G. de Angelis d'Ossat, Le origini romane della cupola bizantina, in Roma, ottobre 1936; O. Wulff, Entwicklungsläufe der altchristlichen Basilika, in Byzantinisch-neugriechische Jahrbücher, 1935-36; J. P. Kirsch, Die Entwicklung des Bautypus der altchristlichen römischen Basilika, in Römische Quartalschrift, XLIII (1935); H. Sedlmayr, Zur Geschichte des justinianischen Architektursystems, in Byzantinische Zeitschrift, XXXV, 1935; S. Guyer, ibid., XXXIII, 1933 e in Atti del III Congresso internazionale di archeologia cristiana, Ravenna 1932, Roma 1934 (per l'architettura dell'Asia Minore). Una rassegna per l'Italia è in C. Cecchelli, Sguardo generale dell'architettura bizantina in Italia, in Studi bizantini e neoellenici, IV, Roma 1934, pp. 1-64.
Scultura: S. Ferri, Plotino e l'arte del sec. III, in La Critica d'arte, aprile 1936; H. P. L'Orange, Studien zur geschichte des spätantiken Porträts, Oslo 1933; R. Delbrück, Spätantike Kaiserporträts von Constantin Magnus bis zum Ende des Westreichs, Berlino-Lipsia 1933; J. Wilpert, I sarcofaghi cristiani antichi, I-III, Roma 1929-36; L. Bréhier, La sculpture et les arts mineurs byzantins, Parigi 1936; D. Schlumberger, Les formes anciennes du chapiteau Corinthien en Syrie, en Palestine et en Arabie, in Syria, 1933; B. Kautzsch, Kapitellstudien, Berlino e Lipsia 1936; R. Delbrück, Antike Porphywerke, ivi 1932; G. Duthuit, La sculpture copte, Parigi 1931.
Pittura: Per i precedenti classici, v. le opere di P. Marconi: La pittura dei Romani, Roma 1929, e di F. Wirth, Römische Wandmalerei vom Untergang Pompejs bis ans Ende des dritten Jahrhunderts, Berlino 1934; F. Cumont, Fouilles de Doura Europos, Parigi 1922-23; R. Kömstedt, Vormittelalterliche Malerei. Die künstlerischen Probleme der Monumental- und Buchmalerei in der frühchristlichen und frühbyzantinischen Epoche, Augusta 1929; Ch. Diehl, La peinture byzantine, Parigi 1933; G. de Jerphanion, Les églises rupestres de Cappadoce, I-III, ivi 1925-37; O. Demus, Die Mosaiken von San Marco in Venedig, 1100-1300, Baden presso Vienna 1935; E. DIez, e O. Demus, Byzantine Mosaics in Greece, Hosios Lucas and Daphni, Harvard Univ. Press. 1931; Th. Whittemore, The Mosaics of St. Sophia at Istambul (Rapporti preliminari), Parigi 1933 e 1936; C. Ricci, Tavole storiche dei mosaici di Ravenna, Roma (in corso; usciti 5 fasc.); Ch. Diehl, in Byzantion, VII (1932), p. 123 sgg. (per il musaico di Hosios David in Salonicco); N. P. Kondakov, The Russian Icon, traduz. Minns, Oxford 1927.
Arti minori: Oltre all'opera del Bréhier citata per la scultura e le opere del Peirce e Tyler (che dànno gran parte alle arti minori), v. W. F. Volbach, Das christliche Kunstgwerbe der Spätantike und des frühen Mittelalters im Mittelmerebiet (vol. V, della Geschichte des Kunstgewerbes aller Zeiten und Völker dir. da Th. Bossert, pp. 46-125). Inoltre: J. Ebersolt, La miniature byzantine, Parigi-Bruxelles 1926; H. Gerstinger, Die Wiener Genesis, Augusta-Vienna 1931-32; K. Weitzmann, Die byzantinische Buchmalerei des 9. und 10. Jahrhunderts, Berlino 1935; W. F. Volbach, Elfenbeinarbeiten der Spätantike und des frühen Mittelalters, Magonza 1916; R. Delbrück, Die Consular-Diptychen und verwandte Denkmäler, I-II, Berlino 1927-28; C. Cecchelli, La cattedra di Massiminiano ed altri avorii romano-orientali, Roma 1936-37, fasc. 1-3; A. Goldschmidt e K. Weitzmann, Die byzantinischen Elfenbeinskulpturen des X.-XIII. Jahrhunderts, I-II, Berlino 1930-34; D. T. Rice, Byzantine glazed pottery, Oxford 1930; G. de Jerphanion, Le calice d'Antioche, Roma 1926; W. F. Volbach, Spätantike und frühmittelalterliche Stoffe, Magonza 1932; R. Pfiser, Textiles de Palmyre, Parigi 1934; id., Nouveaux textiles de Palmyre, ivi 1937.