DANUBIANE, CIVILTÀ
Preistoria. - La ricchezza e la varietà dei monumenti preistorici nel bacino danubiano derivano in gran parte da circostanze geografiche e geologiche. L'ampia vallata danubiana forma la via più facile fra l'Europa nord-occidentale e quella sud-orientale confinante con l'Asia. Le sorgenti del fiume sono vicinissime alla vallata del Reno, la quale a sua volta non è separata da alte montagne da quella del Rodano: in parecchi punti le catene a nord del bacino del fiume sono basse e anche i passi dei Balcani sono facili. Invece le Alpi e le montagne della Serbia formano una barriera insormontabile. Nell'epoca del primo neolitico (sul paleolitico v. sotto) il clima europeo era relativamente caldo e umido e creava dovunque folte foreste, che impedivano agglomerazioni di popolazione e migrazioni in massa. Tali foreste però non esistevano in gran parte del bacino danubiano, perché in un'epoca di siccità vi si era formato del löss: un'argilla finissima sulla quale non crescono grandi alberi. I depositi di questo löss si ricongiungono quasi dappertutto formando una strada maestra dei popoli. Quando a questo clima marittimo ne succedette uno di tipo continentale (il clima subboreale), la diminuita umidità fece sparire le foreste sulle colline, aumentando le zone abitabili. Soltanto nell'epoca del ferro un abbassamento di temperatura ricaccia le popolazioni verso la pianura. Questo è il quadro climatico della preistoria danubiana.
Oltre l'abbondanza di terra abitabile e fertile, i paesi danubiani possedevano ricchi giacimenti di minerali. Il neolitico cercava nell'Ungheria l'ossidiana, nelle Alpi la nefrite e la giadeite, nella Serbia il cinabro. Più tardi il sale dell'Austria e della Germania centrale, il rame del Salzkammergut e del Tirolo, della Serbia settentrionale e dell'Ungheria, l'oro della Transilvania, l'antimonio dell'Ungheria, lo stagno del Fichtel e dell'Erzgebirge attiravano mercanti e metallurgici, immigranti e conquistatori. Perciò la trattazione della civiltà preistorica danubiana deve necessariamente estendersi oltre i confini geografici del bacino e varcare i passi facili verso la Boemia e la Germania.
Nel paleolitico l'Europa centrale ha un carattere speciale d'isolamento. Il chelleano è rarissimo, il moustériano circoscritto alle montagne, mentre nella pianura domina l'aurignaciano. Nella Cecoslovacchia (Predmost e Vistonice) si trovano moltissimi strumenti di osso (forse già l'ascia immanicata) e figurine spesso steatopigiche di pietra e d'argilla. Può darsi che la valle del Danubio abbia veduto svilupparsi dal moustériano quel solutreano che in Francia non è che un episodio. Del magdaleniano non si trovano che poche infiltrazioni nella Moravia.
All'epoca del maglemose e dei Kjekkenmøddinger danesi qualche tribù nordica si spinse fino alle vallate deserte, ma la prima vera civiltà neolitica si è manifestata sinora soltanto sul limitare sud, nella collina di Vinca situata a pochi km. da Belgrado in riva al fiume, e in poche stazioni vicine, anch'esse poste su alture nel löss.
Col loro vasellame (rosso-nero, rozzamente inciso, a bugne perforate, spesso imitanti teste umane o animalesche), con le figurine per lo più femminili, coi vezzi di collana di terracotta, con i bottoni di pietra, osso o conchiglia, con le armille e forse con una specie di scrittura, gli strati inferiori di Vinca indicano una civiltà piuttosto evoluta. Prova dell'esistenza di un commercio sono oggetti di marmo, di nefrite, conchiglie mediterranee e forse anche perle di rame, che gli abitatori ricambiavano probabilmente col cinabro, che si trova in grandi quantità nelle montagne vicine, ove ne esistono ancora profondi pozzi preistorici. Le altre stazioni più a nord erano probabilmente emporî dell'oro trovato nei fiumi della Transilvania. Molte analogie indicano relazioni strette con l'Asia Minore (Troia) e Creta. Tombe di questa popolazione vennero trovate soltanto a Csóka; esse erano di inumati.
La civiltà di Vinča I (tav. XCIII,1-4) è circoscritta all'Ungheria meridionale, ma contemporaneamente (terzo millennio a. C.) ne appare un'altra sulle pianure settentrionali di löss, conosciuta soprattutto da trovamenti nella Moravia, ma diffusa con grande omogeneità fin in Galizia, Slesia, Austria e dall'altro lato fin in Olanda.
Il vasellame tipico (tav. XCIII, 5-13) ha una decorazione a base di spirali meandriformi; gli strumenti litici sono rozzi, l'esiguità delle stazioni indica una popolazione non ancora perfettamente sedentaria, ma dedita all'agricoltura e all'allevamento del bestiame. Le abitazioni erano di legno, qualche volta affondate nel terreno. I morti venivano spesso sepolti nelle capanne, qualche volta erano cremati. Frammiste a questi agricoltori vivevano tribù, forse discendenti da paleolitici, per le quali la caccia era ancora molto importante. La loro ceramica è più ricca di forme e di ornamenti: decorazioni a fasce punteggiate (stichbandkeramik; tav. XCIII, 14-15) a solchi, imitazione di cesti di vimini (Rössen; tav. XCIII, 16-19), meandri e linee ondeggianti riempite di bianco sul fondo nero di vasi a pareti sottili e di eccellente cottura (Bükk; tav. XCIII, 20) indicherebbero tre popolazioni diverse. Il fatto che questa civiltà mostra nell'occidente (valle del Reno, tav. XCIII, 21-23; Olanda, Belgio) segni di decadenza, la fa supporre di origine orientale. Gli animali domestici, il frumento e l'orzo ricordano l'Asia, i vasi a forma di zucca i Balcani. Intorno alla metà del terzo millennio la civiltà di Vinča si sviluppa e si diffonde; accanto a essa se ne manifesta un'altra, in parte ancora nutrita dall'Oriente, ma anch'essa esportatrice, nella Bosnia (Butmir, tav. XCIII, 24-28 forse venuta dalla Dalmazia per la valle della Narenta), lungo il Tibisco e nella Moravia meridionale (Polgár: vasi neri dipinti dopo la cottura con varî colori, fusaiole e pesi di telaio piramidali), e in Ungheria, Moravia, Slesia, Boemia, Sassonia, Turingia e Baviera (Lengyel e Jordansmühl, tav. XCIV,1-12; ceramica cotta in forni chiusi, decorazione geometrica e a spirali, anse a nastro e a bastoncino, rame sotto forma di perle, spirali geminate, anelli, armille, pugnali, ornamenti d'oro laminato, fusaiole). Anche sotto influenza orientale appȧre nella Transilvania orientale (tav. XCIV, 13-17) presso BraŞov una ceramica, dipinta prima della cottura, con spirali a S e con meandri indipendenti dalla forma del vaso, privo ancora d'ansa. Mentre l'"aristocratica" civiltà di Lengyel fa supporre un'immigrazione asiatica, le altre sono certamente indigene.
Circa questa medesima epoca d'importazioni e d'influssi orientali nell'Ungheria, le parti O. e N. della valle del Danubio rivelano una rottura evidente con le vecchie tradizioni. Una popolazione pastorale ricca di armi costruisce piccoli villaggi fortificati.
Essa non conosce più la divinità femminile, seppellisce o crema i morti, e li provvede di un ricco corredo d'armi, d'ornamenti e di vasellame a decorazione geometrica, e sa fondere, almeno nelle stazioni lacustri dell'Austria (tav. XCIV, 18-22), il rame. Analogie evidentissime con la civiltà nordica dell'epoca dei dolmen attestano immigrazioni scandinave. In mezzo a queste popolazioni sedentarie erravano gruppi di commercianti armati che si stabilirono intorno a fonti di ricchezza (l'ambra dello Jutland, il sale del fiume Saale, lo stagno della Boemia) e lungo le strade commerciali. La loro origine è sconosciuta (Danimarca o Russia meridionale?) come quella degli odierni Zingari, ma le loro tombe si trovano dall'Ural fino ai Vosgi, dal Mar Baltico fino alle Alpi illiriche. Esse sono riconoscibili dal vasellame: bicchieri con lungo collo di forma quasi cilindrica, anfore con due anse sul ventre e di fattura piuttosto rozza, decorate da impressioni fattevi con una corda (Schnurkeramik, tav. XCIV, 23-30). Pare che questa popolazione abbia mantenuto a lungo il suo carattere, certo ha avuto molta influenza sulle civiltà posteriori. Le abitazioni lacustri della Svizzera e dell'Austria, fondate probabilmente da popolazioni epipaleolitiche, subiscono nell'epoca calcolitica un'invasione degli Schnurkeramiker e stanno anche più tardi sotto l'influenza delle civiltà vicine. Intanto si sviluppa nella valle del Reno e sull'altipiano fra il Reno e il Danubio una civiltà superiore (caratterizzata da bicchieri in forma di tulipani ornati da orli rilevati con impronte dígitali e da bugnette), che crea nel lago di Costanza palafitte e in altri luoghi villaggi regolari e fortificati di case quadrangolari di legno. Questo popolo (Michelsberg, tav. XCV,1) seppellisce i morti rannicchiati, conosce il cane domestico e l'arte tessile.
Verso la fine del neolitico (2000 a. C.) tutta l'Europa centrale è inondata da una popolazione nomade conosciuta quasi esclusivamente da tombe isolate, in cui si trovano vasi campaniformi (Glockenoecher, tav. XCV, 2-9) di fabbricazione finissima, decorati da zone impresse nell'argilla umida con uno stampiglio a guisa di pettine con dentatura finissima o una rotella dentata.
I vasi campaniformi sono accompagnati da piccolissimi, larghi pugnali di rame, strumenti di selce finemente scheggiata, punte di freccia con base concava, "bracers" (protettori del polso di arcieri), ornamenti d'ambra. Gli scheletri sono rannicchiati (più tardi però si trova anche la cremazione); soltanto nella Boemia e nella Moravia esistono piccoli gruppi di tombe. Il popolo dei bicchieri campaniformi ha lasciato le sue tracce in Spagna, Inghilterra, Francia meridionale, Sardegna, Sicilia, Italia meridionale, Europa Centrale. Fu esso probabilmente il primo a formare dei ripostigli. In uno di questi (a Hradec Kralove-Königgrätz) si rinvennero spirali d'oro di forma danese, perle d'ambra e ornamenti di rame, il che indica probabilmente l'esistenza di una strada che serviva tanto all'importazione dell'ambra quanto all'esportazione del rame. Invece i ripostigli di asce di pietra verde con la parte posteriore a punta, comuni nella Bretagna, e le asce doppie "simboliche" di rame, munite di piccolissimo foro, fanno credere a una strada in direzione ovest-est. La sede originaria dei Glockenbechermenschen è incerta: forse era la Spagna. Indubbiamente essi furono per lungo tempo nomadi e vennero in ultimo assorbiti da altri popoli. Secondo una teoria recente i vasi campaniformi partirono dalla Spagna e attraverso la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda, arrivarono in Turingia, dove s' incontrarono con una seconda corrente arrivatavi passando per l'Italia settentrionale e il Brennero. Una combinazione del bicchiere a campana con quello a decorazione a cordoni produsse un nuovo tipo (tav. XCV, 10-11), frequente soprattutto lungo il Reno, più grande, angoloso e rozzo di quello a campana, coperto su tutta la superficie d' impressioni di corde o di una imitazione incisa di queste. Nell'Ungheria non appaiono lacune fra il neolitico e l'epoca del rame, ma si verificano infiltrazioni dal nord e dall'oriente caratterizzate rispettivamente dall'ascia di combattimento e da tombe colorate in rosso. Nella Slavonia si trova una ceramica "a intaglio" (tav. XCV, 12-16), imitante il lavoro in legno, ma influenzata da elementi danubiani, italici e nordici. Forse un'immigrazione di Danubiani e di Nordici si è già, in questo periodo, aperta una via verso l'Italia, passando lungo la Sava, e ha posto fine alla civiltà danubiana attardata di Butmir. Più importante però della corrente nordica fu quella dall'Oriente che assorbì completamente i Danubiani originali e gl'ipotetici invasori nordici e formò il substrato della civiltà del bronzo nell'Europa centrale. Essa fondò nuove stazioni nella vicinanza dei fiumi auriferi della Transilvania e delle vie che conducevano alle montagne metallifere della Slovacchia (Tószeg sul Tibisco, Periam sull'Aranca). La ceramica di questi due gruppi è molto omogenea: sempre ingubbiata e levigata (tranne vasi grandi che sono appositamente fatti ruvidi), di colore nero fuligginoso o rosso-arancio secondo cottura, spesso a chiazze rosse e nere. Unica (e rara) decorazione una linea incisa o un solco intorno alla spalla, dalla quale pendono fili, incisi o in rilievo; i vasi grandi hanno intorno un ornamento che imita plasticamente dei cordoni. Tipico è un vaso a collo lungo, per lo più con la spalla pronunziata, spesso con piede tondo o quadrato. Il bronzo è ancora raro, la forma della casa incerta, forse rettangolare. Tombe trovate a Szentistván - e forse a Beba - contenevano scheletri rannicchiati e nel secondo caso ricchi corredi: aghi di bronzo, anelli e dischi d'oro, conchiglie mediterranee. La grande quantità di ossa di animali selvatici trovate dinota la vicinanza di foreste. Accanto a qualche reminiscenza danubiana si trovano molte affinità con l'Asia Minore (Troia II): un vaso in forma di orologio a polvere, uno a collo doppio, lo stile decorativo a croci, nei bronzi la forma cipriota dei pugnali, quella anatolica degli aghi, degli orecchini e dei torques fanno presumere un'immigrazione che si estendeva fino alla Slovacchia.
Intorno alle montagne stannifere della Boemia sorge la prima civiltà del bronzo dell'Europa centrale (verso il 1800 a. C.), il cosiddetto proto-Aunjetitz, chiamato in Slesia anche Marschwitz, e noto da estesi cimiteri in Slesia, Turingia, Boemia e Moravia, che contengono cadaveri rannicchiati e qualche cremato. Nei corredi l'oro raro, il bronzo meno frequente della pietra, il vasellame abbondante, in generale rozzo - forma tipica una brocca a foggia di borsa con una sola ansa ad orlo ripiegato in fuori - con decorazione lineare semplice. Il metallo non è ancora lavorato sul posto ma importato. Da questo miscuglio di elementi nordici, forme della Schnurkeramik e della civiltà dei vasi campaniformi, influenze danubiane e orientali, nasce la vera civiltà di Aunjetitz (in cèco Únĕtice, presso Praga) che ha una vita lunga (probabilmente da circa 1900 a circa 1450) e si estende dalla Slesia fino all'Austria.
I villaggi si trovano tanto in pianura quanto su colline. Le case sono spesso affondate nel terreno, ma se ne trovano anche di pianta rettangolare costruite in legno. I cimiteri contengono scheletri rannicchiati. Accanto agli strumenti di pietra appaiono moltissimi oggetti di bronzo fuso o martellato a freddo - asce piatte e ad alette, pugnali triangolari, aghi, armille, orecchini, lastre a forma di scudo, catene, anche fibule rudimentali. Oro e ambra (anche sotto forma di collane di foggia danese) attestano un commercio pacifico. La ceramica (tav. XCV, nn. 17-33) è sempre ingubbiata e levigata. Le urne cinerarie partono da una forma rozzamente biconica, con solco ben marcato che divide le due parti, orlo svasato e basso omphalos nel fondo, e arrivano a una quasi totale sparizione della parte inferiore; l'ansa è sempre posta molto in basso. Nelle abitazioni si trova il medesimo tipo in dimensioni più grandi, vasi perforati (colatoi per formaggio?) e a becco. La decorazione si limita a bugnette e rare incisioni a zig-zag. Frequenti ripostigli indicano le vie commerciali del territorio di questo popolo eminentemente agricolo: una serviva a portare l'ambra della Danimarca lungo l'Elba e la Moldava per la Selva di Boemia a Linz sul Danubio e di là per la Baviera e il Brennero in Italia, e in senso inverso asce e pugnali dall'Italia nella Boemia, un'altra conduceva dalla Slesia per il passo di Glatz, la Posnania e la Prussia orientale, alle coste baltiche ugualmente ricche d'ambra. Il rame e l'oro devono essere stati importati dalla Slovacchia e dall'Ungheria. I torques sono di solito fatti di rame puro. Le tombe a inumazione vengono a mano a mano sostituite da quelle a incinerazione. In queste sono già frequenti fibule ad arco in forma di foglia con ago staccato, coltelli a dorso arcuato e anelli massicci contorti, il che fa supporre una contemporaneità con l'epoca tarda del bronzo nel Tirolo. Il popolo di Aunjetitz, che era in relazioni regolari di commercio con le fonti di materie prime e ricco, artisticamente parlando ha prodotto pochissimo: le sue decorazioni sono puramente rettilinee. Tecnicamente la metallurgia è perfetta - le forme da fusione sono finissime e il metodo a cera perduta permette di copiare particolari finissimi - ma le sagome sono derivate dall'Oriente o dall'Occidente, per mezzo del popolo dei vasi campaniformi. Accanto a tombe del tipo di Aunjetitz esistono nella Sassonia e nella Turingia tumuli di ricchezza straordinaria, ultime dimore di un'aristocrazia militare, che sfruttava i giacimenti locali di sale e di rame, e commerciava soprattutto con l'Occidente, dal quale derivano le forme di certe sue armi. La povertà della civiltà contemporanea della vallata del Reno denota che questo fiume non formava ancora una grande via di comunicazione. Nell'età del bronzo il clima si fa più asciutto, subboreale, le foreste diminuiscono in estensione e dànno alle popolazioni maggiore possibilità di migrazione e di commercio. Una civiltà omogenea si diffonde ora per tutta l'Ungheria anche fuori del löss. Un'industria barbaramente carica di ornamenti scambia i suoi prodotti d'oro e di bronzo con lo stagno della Moravia e l'ambra nordica. La tecnica metallurgica è sviluppatissima e adopera con grande maestria il metodo a cera perduta e il martello. Vi sono segni evidenti di una ripresa del commercio con l'Asia Minore. I cimiteri contengono inumati rannicchiati oppure urne cinerarie coperte da scodella, ma perforate da un buco detto il "buco per l'anima" (Seelenloch). La cremazione è più frequente lungo le vie commerciali. Il corredo è formato soltanto da vasi contenenti vivande e unguenti. Fra la ceramica è notevole la "Pannonica" (tav. XCVI, nn.1-8), che imitò vasi metallici sia nella sagoma sia nella decorazione a solchi, intagli e impressioni riempiti di materia bianca. La datazione di questa civiltà è difficile. Secondo alcuni è contemporanea alla civiltà di Hallstatt, secondo altri ne è anteriore (circa 1400-circa 1000). Per questi le urne di Bijelo Brdo (sulla sponda destra della Drava, vicino al Danubio) sarebbero il prototipo delle urne villanoviane. Accanto alla civiltà della pianura esiste sulle colline una popolazione di pastori e cacciatori. Essa costruiva un tumulo sopra al cadavere posto alla superficie della terra; metodo questo tipico per popolazioni che non praticano l'agricoltura. Il rito è vario: ora gli scheletri sono allungati, ora rannicchiati; più tardi i cadaveri vengono cremati e la cenere posata sulla terra, senza urna. I coltelli che si aggiungono alle asce senza foro, i rasoi che sostituiscono le pinzette depilatorie, le collane d'ambra, le perle di vetro, provano il progredire della civiltà e i contatti commerciali, ma in generale tutto resta invariato dall'epoca di Aunjetitz fin oltre a quella del bronzo in Ungheria. Questa civiltà dei tumuli si estende dalla Moldavia fino al centro della Francia.
Si sviluppa poi verso la fine dell'epoca del bronzo fra l'Elba e la Vistola, nella pianura morava e in parte dell'Austria e della Slovacchia, una civiltà nota sotto il nome di Lusazia (Lausitz; tav. XCVI, nn. 9-34), che alla fine si estende press'a poco sul medesimo territorio occupato anteriormente dall'Aunjetitz. I morti cremati sono sepolti sotto bassi tumuli o nella terra stessa (Boemia e Moravia) in ossarî biconici coperti da scodella o vaso basso, mai accompagnati da armi, raramente da ornamenti, ma sempre da anfore con bugne sulla spalla. Le tombe più recenti contengono una maggiore quantità di bronzi e anfore sulle quali le bugne hanno ceduto il posto a solchi a serie, di triangoli tratteggiati, eretti o capovolti, formanti nastri. La grande estensione dei cimiteri rivela una popolazione sedentaria. Le case in legno sono del tipo del megaron con porticato anteriore. I ripostigli di oro e di oggetti nuovi testimoniano dell'attività commerciale; quelli di strumenti logori e di forme da fusione, della diffusione della metallurgia. Nella civiltà di Lusazia appare per la prima volta l'ascia a cannone, ma gli strumenti e le armi di pietra non sono ancora abbandonati. L'arma più frequente è l'arco. L'ultima fase della civiltà di Lusazia che si dirama dalla Slesia, ed è caratterizzata da vasi lustrati a grafite, con profili arrotondati e anse fissate sull'orlo, da vasi in forma di bottiglia e da una decorazione incisa o solcata formante archi o nastri di triangoli tratteggiati, dura fino all'epoca di Hallstatt. Contemporaneamente alla civiltà di Lusazia si sviluppano lungo le grandi vie di comunicazione e nei distretti minerarî (Tirolo, Hallstatt, Hallein presso Salisburgo, Reichenhall nella Baviera meridionale, Mergentheim nel Württemberg; in Boemia, in Austria, in Svizzera e nella vallata del Reno fino all'Olanda) cimiteri a incinerazione, caratterizzati da urne piriformi o globulari a collo breve, cilindrico, con orlo largo, decorate sulla spalla da un'imitazione di corda. In contrasto con la civiltà di Lusazia e d'Ungheria i corredi sono ricchi (spade, pugnali, coltelli, rasoi, ornamenti spesso d'oro, rare fibule, mai asce di bronzo). Le stazioni vicine alle miniere di sale e di rame datano per la maggior parte da quest'epoca. Nell'Austria e nella Baviera appaiono, accanto a una ceramica di tipo villanoviano con decorazione incisa, vasi bugnati, mezzelune di terracotta (probabilmente alari) e protomi di uccelli di stile araldico (forse importazione dall'Oriente). La civiltà di questi Urnenfelder è soprattutto agricola, ma i villaggi fortificati, le ricchissime tombe di capitani, l'abbondanza di armi e di ripostigli indicano spirito guerresco e tempi agitati. Il contrasto col popolo dei tumuli è ancora evidente: questo abita le colline, è più esperto nella metallurgia, ma si contenta di ceramica meno perfetta. Le affinità del popolo incineratore d'oltre Alpe con l'Italia sono poche, più evidenti nel cosiddetto gruppo Comacino che a Bologna o ad Este. Il che non meraviglia perché la Svizzera è invasa dagli Urnenfelder, che costruiscorio sui laghi le ultime grandi palafitte, quelle del "bel âge du bronze", ove si trovano molte analogie con la civiltà Nord-Alpina. Dalla fusione degli antichi palafitticoli e degli Urnenfelder nasce in Svizzera un energico popolo che ha frequenti contatti con tribù vicine e distanti.
La civiltà del bronzo dura nella Svizzera fino all'epoca di Hallstatt (circa 1050-circa 800), quando quasi tutti i villaggi lacustri vennero a un tratto abbandonati, probabilmente perché il cambiamento di clima - da subboreale in subatlantico - faceva salire il livello dei laghi. Verso la fine dell'epoca del bronzo i popoli caratterizzati dalla civiltà di Lusazia invadono la pianura ungherese, e penetrano fino in Macedonia, cacciandone gli abitanti o assorbendoli. Nuovi gruppi si formano. L'Ungheria settentrionale si copre di stazioni edificate su colline, qualche volta fortificate, di estesissimi cimiteri di cremati e di numerosissimi ripostigli. Le urne cinerarie e quelle del corredo mostrano una degenerazione delle forme e delle decorazioni lusaziane. Le tombe contengono pochi oggetti di bronzo e questi di foggia arcaica. I ripostigli dimostrano che l'unica forma di ascia corrente è quella a cannone, che le armi preferite sono spada, lancia e mazza. Ornamenti personali erano spilloni enormi, vezzi d'oro, fibule gigantesche. L'industria è specializzata (si trovano ripostigli con sole spade o con soli vasi di bronzo) ed esporta in Carniola, Italia settentrionale, Svizzera, Württemberg, Galizia e Moldavia, importando fra l'altro ambra e, dall'Italia, fibule e vasellame di terracotta, decorato di chiodini di bronzo. La fine di questa civiltà non può oltrepassare il 700 a. C. (il principio si fissa intorno al 1100). Sembra che gl'invasori lusaziani abbiano spinto il popolo, caratterizzato dall'ascia di combattimento, verso il NE. dell'Ungheria, ove resta separato fino alla fine del sec. VII, e che le popolazioni dell'Ungheria orientale a sud del Maros, sotto la pressione proveniente dal nord, abbiano invasa la Serbia e siano penetrate nelle montagne della Transilvania ove cominciarono a sfruttare i giacimenti auriferi, non conosciuti prima, quando si raccoglieva l'oro trasportato dai fiumi. In questo periodo l'influenza diretta del bacino danubiano arriva nel sec. IX fino all'Asia Minore (Troia VII A) e nell'VIII fino al Dnepr. Ma verso il 500 a. C. la corrente cambia nuovamente direzione: la civiltà del ferro è introdotta in Ungheria dagli Sciti.
Il nuovo metallo era penetrato già prima nelle regioni a est delle Alpi, ancora oggi insufficientemente esplorate. Sembra che gli Urnenfelder abbiano invaso anche queste terre cercando forse il piombo e il ferro nella Stiria, l'antimonio altrove e per ultimo una via verso l'Adriatico, lungo la quale arrivarono forse fino a Donia Dolina (sulla Sava). Può darsi che più tardi (verso il 1000 a. C.) la popolazione mista si sia ritirata davanti all'invasione dei Lusaziani, e abbia varcato le Alpi, creando i numerosi cimiteri della Dalmazia, dell'Istria e di Este II. Dopo il 900 però la direzione, almeno nei riguardi delle importazioni, cambia di nuovo e va dall'Italia verso i paesi transalpini. Le famose palafitte di Donja Dolina (sulla Sava) e di Ripač (sull'Una), nelle quali si vollero trovare analogie con le terremare italiane, appartengono quasi interamente ad una fase avanzata dell'età del ferro.
Concludendo possiamo dire che il Danubio, durante circa duemila anni, fu la strada maestra lungo la quale la civiltà del bacino orientale del Mediterraneo si propagò fra i popoli continuamente rinnovantisi dell'Europa occidentale e settentrionale, ma che, intorno al mille a. C., le relazioni pacifiche con l'Oriente vennero interrotte, mentre spedizioni militari nordiche si spinsero fin oltre il Bosforo. Quando la calma ritornò, incominciò a fiorire intorno al Danubio medio la civiltà di Hallstatt, che influì in seguito su gran parte dell'Europa.
Bibl.: Per la bibliografia - estesissima e molto sparsa - si rimanda al libro di V. Gordon Childe, The Danube in prehistory, Oxford 1929. Le ultime pubblicazioni sul sito di Vinča sono quelle di M. M. Vassits, in Illustred London News, 18 ottobre e 1° novembre 1930; sulla civiltà di Bükk quelle di A. Saád, in Archaeologiai Értesitő, XLIII, Budapest 1929, pp. 238-247.