GEORGIA, Civiltà della (ν. vol. III, p. 833)
Le civiltà della G. si sono sviluppate in un territorio, delimitato a NE dalla catena del Grande Caucaso, a S dai rilievi dell'Armenia e a O dal Mar Nero, che corrisponde, salvo alcune regioni che ne sono escluse, in gran parte a quello della odierna Repubblica di Georgia. Il processo millenario di sviluppo a partire dal Paleolitico Superiore (40.000 a.C.) è testimoniato da centinaia di siti archeologici, oggetto di scavi da parte degli studiosi sovietici coordinati dall'Accademia delle Scienze di Tbilisi (per tutto il periodo fino all'Età del Ferro, v. caucaso, culture del).
Va subito sottolineato come almeno dal VII sec. a.C. e fino al Medioevo lo sviluppo storico e culturale del paese sia stato diverso nella Colchide, la regione costiera aperta alla colonizzazione greca, e nell'Iberia, la zona interna, più esposta alle influenze orientali, sedi entrambe di stati autonomi e di autonome civiltà artistiche.
La storia della Colchide, pressoché priva di documenti scritti antichi, si inserisce nelle vicende dell'Asia Anteriore: dopo le ancora controverse migrazioni iniziali del popolo georgiano, solo nominato in una iscrizione del re assiro Tiglatpileser I (1112-1074 a.C.), la G. occidentale fu sede di un regno abbattuto nell'VIII sec. dai Cimmeri, cui seguirono gli Sciti e i Medi; nel VII-VI sec. a.C. si ricostituì uno stato che divenne poi tributario dell'impero achemenide.
A quest'epoca risalgono le colonie ioniche della costa e l'inizio di una durevole influenza greca, non solo in campo culturale. La regione fu in seguito sotto la dominazione più o meno diretta dei Parti, passò poi nell'ambito romano, fino alla formazione di principati, connessi in qualche modo con l'impero sasanide, che solo nel VI sec. d.C. formeranno uno stato più esteso (la Colchide Lazica), legato, peraltro, all'impero bizantino.
La Colchide, famosa per la sua metallurgia avanzata (favorita dall'abbondanza di materia prima estratta in miniere a cielo aperto e sotterranee assai ben organizzate) e i cui prodotti continuano la tradizione locale risalente al III-II millennio a.C., divenne nel corso del VI sec. a.C. parte integrante di quella particolarissima koinè greco-orientale (poi romano-orientale), come le recenti scoperte archeologiche in oltre 80 località diverse testimoniano con sempre maggiori dettagli.
Non è solo la costa del Mar Nero - da Dioskourias (la Sebastopolis dei Romani, la moderna Sukhumi) a Kobuleti (vicino all'odierna Batumi) - a rivelare sia la presenza greca, sia il notevole livello di una civiltà nata dalla commistione di elementi autoctoni con altri occidentali, medio-orientali (achemenidi in particolare) e scitici; ; sono a noi noti anche un gran numero di siti dell'entroterra, oltre che della più lontana Iberia.
È il caso di Vani, esempio di continuità urbana, città-santuario della Colchide centrale sul fiume Rioni (noto anche con il nome antico di Phasis), che, fondata probabilmente nel VII sec. a.C., ma fiorente tra il III e la metà del I sec. a.C., ha restituito recentemente un gran numero di oggetti d'oro e d'argento di fattura elegantissima risalenti al V sec. a.C., fortemente influenzati da prototipi greci, achemenidi e orientali. La provenienza resta incerta; è difficile attribuire alle botteghe locali, sia pure assai progredite e note nel mondo antico, prodotti così raffinati e tecnicamente avanzati (soprattutto per quanto riguarda quelli in argento). Tra gli oggetti d'oro vanno menzionati: una collana formata da piccole perle alternate a 31 tartarughe di dimensioni ridottissime (solo la centrale è leggermente più grande) con il carapace fittamente ornato da granuli e filigrana; un diadema arricchito da due doppie placchette a sbalzo con un leone che attacca un cinghiale, e un altro diadema con scena di lotta fra animali; braccialetti con terminazioni in forma zoomorfa (cinghiali); elaborati orecchini. Tra quelli d'argento si notano: un piccolo vaso dalla linea elegante ornato di un leone alato su due capridi contrapposti alle attaccature del manico, realizzati con grande perizia pur nelle ridottissime dimensioni; un arỳballos con manici zoomorfi e decorazione incisa a foglie stilizzate, sovrapposte a una processione di sfingi orientaleggianti; un cucchiaio con una piccolissima sfinge alata a tutto tondo all'estremità dell'impugnatura; un recipiente cilindrico leggermente svasato con una serie di solchi paralleli; due kỳlikes di proporzioni ridotte. Gli scavi hanno restituito anche frammenti di sculture bronzee di epoca ellenistica e altri eleganti manufatti (un cucchiaio con due animali, e statuette bronzee, risalenti al III sec. a.C.).
La diffusione di prodotti provenienti dalla Grecia, o comunque fortemente influenzati dall'Eliade, anche in località minori viene confermata da un cratere attico a figure rosse in doppio registro del 460-450 a.C. rinvenuto poco a Ν di Batumi, a Kobuleti-Pičvnari, e dai gruppi di materiali frammentari risalenti al VI-V sec. di Gyenos, vicino a Očamčira (va qui ricordato che la produzione dei ceramisti locali era scarsamente decorata e, comunque, di livello qualitativo assai inferiore alla greca); da elementi di collana d'oro del VI sec. a.C. di Partskhanakhevi, vicino a Kutaisi; da gioielli d'oro del V-IV sec. rinvenuti, con alcuni più recenti, in questi ultimi anni a Itkhvisi, non lontano da Sačkhere, nell'alta valle del fiume Kvirila, e da un rilievo greco, databile al 430-420 a.C., trovato recentemente nel mare vicino a Sukhumi.
L'importante centro di Phasis (l'odierna Poti, alla foce del Rioni, sul Mar Nero) restituisce ancora interessanti testimonianze del livello artistico del VI sec. (placchette d'oro con figure di animali stilizzati e decorazione a filigrana), e altri oggetti in metallo pregiato del V sec., nonché molti vasi attici a figure rosse e a figure nere (sia pur in frammenti) del VI-V sec. a.C., che erano, peraltro, diffusi in tutta la Colchide.
È interessante notare che si deve alla metallurgia locale tutta una vasta serie di strumenti agricoli in ferro, assai differenziati nelle forme, risalenti al VII-VI sec. a.C., inequivocabile riferimento al ruolo che l'agricoltura aveva nella regione.
Le testimonianze architettoniche della Colchide pervenute sino a noi risalgono a epoche più recenti. Ancora una volta è Vani che si rivela centro di grande interesse archeologico: sono stati scavati, oltre alle mura, munite di un elaborato sistema di torri semicircolari e poligonali, un complesso templare preceduto da una torre quadrata e costituito da più vani a pianta rettangolare, uno dei quali con due colonne al centro; un secondo complesso formato da tre ambienti rettangolari, il più grande dei quali con pavimento musivo; un inconsueto tempio circolare; un altare cerimoniale preceduto da una scalinata di 12 scalini, rettangolari i primi 6 e semicircolari gli altri: tutte costruzioni risalenti al III-I sec. a.C. Sono tornati alla luce anche interessanti elementi decorativi coevi: alcune teste di leone in pietra calcarea, capitelli scolpiti con effigi umane sovrapposte alle foglie di acanto, antefisse fitomorfe di terracotta, acroteri con elaborate figurazioni vegetali e animali, anch'essi in pietra calcarea.
Mtisziri, un altro centro fortificato risalente al V-IV sec. a.C., a breve distanza da Vani, di cui costituiva l'avamposto, e oggetto di recenti scavi, ha rivelato tra l'altro torri a pianta rettangolare con base in pietra e largo impiego di legno, interessante esempio di costruzione mista. La tradizione di questi centri muniti di solide opere di fortificazione continua, oltre che a Vani, anche a Ešera, a breve distanza dal mare, poco a Ν di Sukhumi. Qui la struttura difensiva, dotata di mura in pietra e mattoni crudi di 1,8-2 m di spessore, risulta particolarmente elaborata: ne restano due parti distinte e tracce di alloggi per i soldati, oltre che le consuete torri a pianta rettangolare.
La tradizione artistica della Colchide, soprattutto nella lavorazione dei metalli preziosi, continua, anche se in forma ridotta, durante il periodo successivo. Numerosi i ritrovamenti in località all'interno del paese: a Khaiši (una raffinata coppetta d'argento ellenistico-romana con motivi di vite ed edera del I sec. d.C.); a Kvaskhieti (due coppe d'argento niellate del III sec. d.C.); a Šoropani (una statuetta bronzea di Venere allo specchio del II sec. d.C.); a Sačkhere (un medaglione in bronzo con testa femminile in forte aggetto del II-III sec. d.C.); a Bori (oggetti d'argento del III sec. d.C.).
Tra i centri costieri vanno ricordati Ureki (poco a Ν di Pičvnari), dove sono stati trovati oggetti d'argento del III sec., e, soprattutto, Gonio, l'antica Apsar, fortezza romana del I-II sec., poi ricostruita nel IV-VI, non lontano da Batumi, dove un vero e proprio «tesoro» scoperto nel 1974 attesta dell'ancora notevole e multiforme livello qualitativo della cultura nel II-III sec. d.C.: una falera d'oro con una serrata lotta di animali, soggetto di chiara ascendenza centroasiatica; una statuetta anch'essa d'oro rappresentante, con ogni probabilità, uno dei Dioscuri; medaglioni con divinità solari; placche decorate da motivi fitomorfi e zoomorfi.
Scavi sistematici, già iniziati nel 1950, stanno riportando alla luce l'antica Pitunt dei Greci, chiamata Bičvinta dagli abitanti del luogo, vicino all'odierna Pitsunda, a S di Gagra; anche se fondata dai Greci nel VI sec. a.C., restano solo testimonianze di insediamenti successivi, risalenti ai primi secoli dell'era cristiana. Si tratta di una vasta zona (150 x 130 m) delimitata da mura dello spessore di oltre 3 m dotate di torri a pianta poligonale e semicircolare e, all'interno, case, locali di deposito, luoghi di culto e un impianto termale del III-IV sec. che copre una superficie di oltre 260 m2. Ancora posteriore (IV-VI sec.) è la basilica paleocristiana con pavimento musivo.
La regione interna della G., nota dalle fonti occidentali come Iberia, già parte dell'impero achemenide, è nel III sec. a.C. sede di un regno indipendente che si definisce dei Karthi, con capitale ad Armazi e, dal II sec. a.C., a Mtskheta. Passata nel 65 a.C. dopo le vittorie di Pompeo sotto il protettorato romano, tutta la zona costituirà prima uno stato vassallo, poi una provincia dell'impero sasanide, per diventare infine, sia pur con una certa autonomia, un protettorato bizantino.
Anche per l'Iberia la più recente documentazione archeologica, straordinariamente abbondante, di oltre 80 siti diversi, permette di tracciare una linea evolutiva della sua produzione artistica.
Le testimonianze del V sec. a.C., sia pur con alcune controverse datazioni, confermano la presenza di numerosi manufatti d'oro e d'argento di livello tecnico assai alto: il già noto «tesoro di Stepantsminda» ai piedi del Monte Kazbek, nel Nord del paese, riflesso di rielaborati modelli achemenidi; l'ormai famoso «tesoro di Akhalgori», ritrovato fortuitamente a Sazeguri, villaggio nella valle del fiume Ksani, poco a Ν di Tbilisi, cui si aggiungono gli argenti della vicina località di Kančaeti, dove alcune coppe con decorazione in rilievo a forma di mandorla (presenti peraltro anche nel «tesoro di Akhalgori») richiamano ancora una volta motivi achemenidi.
Come nella Colchide anche in Iberia, pur sede di agglomerati paleourbani già nel II millennio a.C., le testimonianze architettoniche venute alla luce risalgono a epoche posteriori. Tsikhiagora, vicino al villaggio di Kavtiskhevi, già abitato alla fine dell'Età del Bronzo come altri centri nella stessa valle del Mtkvari (Kura), testimonia uno sviluppo urbano notevole in epoca ellenistica (IV-III sec. a.C.); un complesso di culto all'interno della cittadella cinta da mura turrite, l'ambiente quadrato del tempio, forse un pireo, dotato di altare in pietra, risulta contiguo a un insieme di magazzini e granai (con resti di derrate carbonizzate), a forni per il pane, a vani con probabile destinazione abitativa e a un edificio a due piani, definito, sia pur in forma dubitativa, palazzo. La decorazione degli edifici, costruiti in mattoni crudi su basamenti in pietra e coperti da tetti a tegole, doveva essere particolarmente curata a giudicare dal capitello di tipo persepolitano in pietra rappresentante due tori accosciati contrapposti.
Il vicino centro (8 km a E) di Samadlo, dotato anch'esso di cittadella fortificata, ha rivelato, durante i recenti scavi, scarsi resti di un vasto edificio a pianta quadrata - palazzo o forse tempio - costruito in blocchi di calcare ben lavorato, con tegole di tre tipi diversi che recano incise alcune lettere greche e rilievi decorativi frammentari; una vera e propria «città satellite», Nastakisi, è costruita di fronte a Samadlo, con numerose case e una necropoli, sede di un fiorente artigianato della ceramica dipinta e di uno sviluppato commercio a largo raggio.
Una tipologia urbana rara, quella della città-caverna, è rappresentata dalla già nota, ma forse non abbastanza studiata Uplistsikhe, sulla riva sinistra del Mtkvari (Kura), a breve distanza da Gori, che si svilupperà specialmente dal IV al I sec. a.C.
Dedoplis Mindori, vicino al villaggio di Aradeti-Kareli, a O di Gori, lontano quindi dalla zona della massima concentrazione urbana, si è dimostrato, a seguito dei recenti scavi, sito di grandissima importanza, con un enorme complesso, probabilmente un santuario di divinità iraniche, esteso su oltre 6 ha di superficie, costruito tra il II e il I sec. a.C., poi distrutto nei primi secoli del cristianesimo. La restituzione della pianta, ancora controversa, permette di individuare almeno due templi, distribuiti intorno a un ampio cortile cui si accedeva da monumentali porte; la decorazione residua appare di pretto carattere iranico.
Sulla collina di Bagineti, vicino a Mtskheta, nella località nota come Armaztsikhe, dotata di una cinta muraria con torri, si elevava una residenza reale del II-I sec. a.C., di cui resta un vasto ambiente rettangolare diviso in due parti da una fila di sei colonne (sono stati trovati anche basi e capitelli), caratterizzato da pareti in mattoni crudi di notevole spessore (1,45-1,70 m). A epoca successiva, intorno al II sec. d.C., risalgono un impianto termale (dove sono stati impiegati pietra, mattoni crudi e mattoni cotti), e un'interessante costruzione semisotterranea, dotata di una bella facciata a coronamento triangolare in blocchi di pietra.
Ad Armaziskhevi, che con le residenze di alti funzionari (come testimonia anche la ricca necropoli) formava probabilmente una parte integrante della vicina capitale, è stato scavato un complesso palaziale del II-IV sec. d.C., costruito, almeno parzialmente, in pietra da taglio, con tetto coperto da tegole e con raffinati elementi decorativi (basi e capitelli, cornici, fregi), e un impianto termale di 5 vani, di cui 2 absidati, con pavimento rialzato.
Gravitava probabilmente attorno alla capitale anche il centro di Karsnikhevi dove, accanto a edifici a pianta rettangolare, coperti da tetti a tegole, sono tornati alla luce anche forni di ceramisti.
Gli scavi condotti a partire dal 1970 hanno permesso l'individuazione vicino all'odierno villaggio di Dzalisi, nella valle del Narekvavi, della città antica di Zalissa, estesa su una superficie di oltre 70 ha, dominata da una collina artificiale coronata dalla cittadella e dotata tra l'altro di due impianti termali assai complessi. Anche se gli strati più antichi risalgono al II-I sec. a.C., il periodo di maggior sviluppo sembra essere stato quello fra il II e il IV sec. d.C.; poco dopo, a un vasto incendio e al successivo saccheggio, seguì una stentata e ridotta vita urbana fino all'VIII secolo.
Le terme maggiori per dimensioni, alimentate da una conduttura di notevole portata che terminava in un'ampia cisterna, parzialmente decorate a mosaici, costituiscono, con tre vasti ambienti absidati e numerosi vani annessi, al di qua e al di là di un atrio con fontana, un esempio di come le città provinciali (o, comunque nell'orbita della cultura romana) ripetessero tra il II e il IV sec. gli stessi diffusissimi prototipi. La c.d. Casa di Dioniso, edificio probabilmente destinato a essere tempio e in seguito (II-IV sec.) trasformato, parzialmente, in impianto termale, era decorato da un mosaico di vaste proporzioni (c.a 6 x 8 m) con le figure di Dioniso e di Arianna sormontate da scritte in greco.
Va fatta anche, sia pur brevemente, menzione degli scavi di Urbnisi, vicino a Gori (mura e terme del III sec. d.C.), di Sarkine, poco a O di Mtskheta (costruzioni su terrazzamenti artificiali) e di Žinvali, a Ν di Tbilisi, nella vallata dell'Aragvi (fortificazioni, case del III-IV sec. d.C.).
La ceramica caratterizza la produzione artigianale e artistica dell'Iberia dal IV sec. a.C. ai primi secoli dell'era cristiana; il centro principale sembra sia stato la già citata Nastakisi, anche se i prodotti di livello più alto provengono da Sarkine: alcune splendide maschere di grande effetto plastico (variamente datate dal II sec. a.C. al II d.C.) e due busti, sempre in terracotta, in cui sono stati individuati Dioniso e Arianna. Non va dimenticato il grande uso di tegole prodotte in situ che caratterizzava le coperture degli edifici, come riporta Strabone (XI, 4); inoltre le strade, come gli scavi di Dzalisi hanno dimostrato, venivano lastricate con mattonelle di terracotta di forma rettangolare.
Non mancano ritrovamenti di vetri di varie forme, alcuni dei quali abbastanza elaborati, un po' in tutta l'Iberia, prova di un alto tenore di vita e di durevoli contatti commerciali con i paesi produttori (soprattutto la Siria); sono stati infatti rinvenuti a Urbnisi una coppa di vetro azzurro risalente al I sec. d.C. e a Zguderi un piatto con iscrizione in greco, del III-IV sec. d.C.
I prodotti suntuari in oro (ritrovamenti del III-IV sec. a Zguderi, Samadlo e Samtavro), di cui è scarsa anche la documentazione precedente (si possono citare placche decorate e orecchini del IV sec. a.C. nel «tesoro di Akhalgori», una collana del III sec. a.C. da Armaziskhevi), non conoscono la straordinaria diffusione di quelli d'argento. La provenienza è ancora controversa, ma la produzione locale (a Grzeli Mindori un laboratorio, scavato recentemente, ne attesta l'esistenza) doveva limitarsi agli oggetti di minor pregio, lavorati spesso a imitazione di quelli importati.
La capitale Mtskheta con i centri vicini (Bagineti e Armaziskhevi), Žinvali a breve distanza verso N, Zguderi non lontano da Gori e alcune località minori verso la Colchide hanno restituito, anche in questi ultimi anni, un notevole numero di oggetti in gran parte d'argento risalenti al II e, soprattutto, al III sec. d.C., segni tangibili degli intrecci politici ed economici, oltre che artistici, che hanno interessato la zona in quell'epoca. Si possono suddividere in gruppi, non tanto in relazione alla provenienza, perché in alcuni casi è impossibile distinguere l'imitazione locale dall'originale, quanto per lo stile: ellenistici o di decorazione ellenistico-orientale e alessandrina, romani o di tipo diffuso nelle provincie romane d'Occidente, sasanidi o assai vicini ai modelli iranici e, infine, quelli prodotti in Iberia con qualche elemento che li distingue dagli altri. Si tratta, in quest'ultimo caso, soprattutto di oggetti di piccole dimensioni, coppe, anfore, posate, e di una tipologia abbastanza originale, quella dei piedi di letti assai elaborati, trovati ad Armaziskhevi e a Žinvali. Il gruppo di argenti sasanidi va considerato come particolarmente degno di nota: vi si trovano quattro piatti con medaglione inciso e parzialmente dorato decorato da un cavallo di profilo posto di fronte a un altare del fuoco (provenienti da Žinvali e da Zguderi, frutto di scavi recenti, e da Armaziskhevi); un altro piatto assai simile, trovato già da diversi anni a Bori (a S di Šoropani, nella Colchide interna, e ora al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo); una coppa da Armaziskhevi con l'effigie di un alto dignitario e iscrizione in pahlavī; un'altra coppa da Ertso con simboli iranici e, soprattutto, il piccolo vaso biansato di Sargveši, databile intorno al 280 d.C., con ritratti imperiali (Vahrām II, la moglie! e il principe ereditario, che del resto lo accompagnano anche sulle monete) entro cornici di petali, all'interno di una ricca decorazione, opera di alto livello, degna delle botteghe di artisti di corte.
L'adozione del cristianesimo quale religione di stato nell'Iberia (tra il 325 e il 327 a opera del re Mirian III) e nella Colchide ebbe come conseguenza necessaria la creazione di un'arte rinnovata che, pur continuando le antiche tradizioni locali, sapesse esprimere significativamente la nuova fede e adeguarsi alla nuova liturgia. Dell'arte georgiana medievale, sostanzialmente unitaria, che porterà frutti notevoli nel campo dell'architettura, della pittura e della lavorazione dello smalto, abbiamo scarse testimonianze (chiesa mononave di Nekresi) fino alla fine del V sec. quando, con la chiesa detta Sion (come tutte le basiliche georgiane dedicate alla Vergine) di Bolnisi, datata da un'epigrafe al 478-492 e decorata da elaborati capitelli, si può far iniziare una nuova, ricchissima fase della produzione artistica di questa regione.
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