MINOICO-MICENEA, Civiltà e Arte (v. vol. V, p. 42 e S 1970, p. 488)
La sempre più ampia disponibilità di dati ricavabili da numerose e talora sensazionali scoperte ha avuto come diretta conseguenza, nel campo della preistoria egea, una serie di revisioni, talvolta radicali, di cronologie e classificazioni, mentre gli approcci metodologici di base si sono diversamente orientati verso una valutazione dei fenomeni politici, economico-sociali, religiosi, in particolare dell'origine e dello sviluppo a Creta e nel Continente del fenomeno palaziale, assieme a indagini su aspetti antropologici, geomorfologici, climatici, paleozoologici e paleobotanici, e ad analisi fisico-chimiche sui materiali archeologici (soprattutto metalli e ceramiche).
La tradizionale denominazione di civiltà M.-M. si è conservata per circoscrivere un contesto generale, poiché, entrate in contatto più diretto già durante il Medio Bronzo, la componente cretese e quella continentale presentano, nel corso del Tardo Bronzo, una complessa e differenziata serie di scambi e di reciproche influenze estese all'area cicladica e nord-orientale (v. anche anatolia; elladica, civiltà; cicladica, arte).
Cronologia. - Una messa a punto delle sequenze cronologiche si basa sui nuovi apporti della ricerca sul campo, su ulteriori approfondimenti del sistema di sincronismi e sull'impiego sempre più sistematico delle datazioni assolute basate su analisi di laboratorio (radiocarbonio, con calibrazione; termoluminescenza, ecc.). Per le cronologie assolute si pongono i maggiori problemi e i risultati conseguiti vanno considerati come non definitivi e per varî aspetti come limiti utilizzabili in via convenzionale.
Rimane in uso la terminologia che prevede una suddivisione tripartita (secondo la formula Antico - Medio - Tardo) sia del Neolitico, con introduzione abbastanza affermata del termine Neolitico Finale o Neolitico Tardo II (per Creta in particolare), sia dell'Età del Bronzo. Si tratta di riferimenti che, per le nuove scoperte, non possono considerarsi univoci su tutta l'area egea, soprattutto per il Neolitico, non sempre caratterizzato da indicazioni specifiche. Per l'Età del Bronzo si mantiene la suddivisione su base geografica (con i termini «Minoico», «Elladico» e «Cicladico», per Creta, la Grecia continentale e le isole), scandita in fasi sulla base delle produzioni ceramiche, ma ancor oggi con non pochi elementi di incertezza, determinati dalla inadeguatezza del sistema a rendere conto di una realtà molto più complessa, con spiccati regionalismi almeno fino all'epoca dei secondi palazzi. Non è sempre chiara, per Creta e soprattutto per le fasi più antiche, l'attribuzione di un particolare stile ceramico a una specifica fascia della suddivisione tripartita, con ulteriori sottofasi, quale era stata elaborata da Sir Arthur Evans, suddivisione che si rivela insufficiente a inglobare produzioni caratterizzate da marcati caratteri locali. Per altri versi il sistema è ormai un consolidato punto di riferimento a livello di classificazione, in particolare per periodi in cui la tipologia ceramica risulta maggiormente standardizzata (G. Cadogan, Some Middle Minoan Problems, in French, Wardle, 1988, pp. 95-99). Viceversa se ne percepiscono di più i limiti, in periodi, quali l'Antico Bronzo, in cui gli sviluppi sono meno univoci. Per la civiltà minoica si è affermata la periodizzazione fondata sulla comparsa e sull'evoluzione del fenomeno palaziale, che non coincide con il sistema evansiano. Riferimenti al periodo prepalaziale (Antico Minoico fino al Medio Minoico IA), a quello protopalaziale (Medio Minoico IB, IIA e Β e per alcuni anche IIIA), a quello neopalaziale (Medio Minoico IIIB, Tardo Minoico IA e B) sono ormai nell'uso; per gli sviluppi successivi a Creta (Tardo Minoico II e III) sono entrati in uso termini quali «monopalaziale» o del Terzo Palazzo (con riferimento all'esistenza di una sola entità palaziale a Creta tra Tardo Minoico II e Tardo Minoico IIIA1 o più tardi) e «postpalaziale» (Tardo Minoico IIIA2/B e C, a seconda delle ipotesi seguite), senza eliminare la formula «Creta micenea». Anche questo sistema di riferimento non è del tutto rispondente a una realtà archeologica che presenta molti problemi (come quello della distruzione finale del Palazzo di Cnosso) ancora aperti. Non è un caso che vi siano stati altri tentativi, parziali, di stabilire una sequenza cronologica (come quello elaborato per Festo da D. Levi, con le fasi IA e Β, II e III, relative alle strutture del Primo Palazzo; e quello, alternativo, ma sostanzialmente modellato sul sistema evansiano, di E. Fiandra) o di classificare alcune produzioni ceramiche al di fuori di questi due criteri di base, ripiegando su una valutazione stilistica, per quanto possibile fondata sui dati di scavo, ma ancora troppo generica per definire il quadro delle produzioni di centri palaziali e di centri «provinciali» (sistema di G. Walberg, incentrato sullo sviluppo dello stile Kamares in quattro fasi: Pre Kamares, Early Kamares, Classical Kamares, Post Kamares). Altre proposte preferiscono riesaminare singole realtà locali, definendo «gruppi» le cui correlazioni a livello di aree di distribuzione e di associazione forniscono quadri, certo più limitati, ma ricchi di prospettive più proficue (Andreou, Betancourt). In ogni caso «la base per la discussione di sviluppi di qualsiasi tipo deve essere una cronologia relativa basata su sistemi di classificazione regionali; i risultati possono essere correlati entro fasi più ampie che idealmente possono riflettere stadi dello sviluppo storico e, se possibile, a tali fasi si potrà allora assegnare una datazione assoluta» (Dickinson, 1993). A fondamento della cronologia relativa rimangono le sequenze delle fasi ceramiche, a loro volta risultanti da una combinazione di dati stratigrafici e di valutazioni stilistiche.
L'AM I e l'AM II, con varianti locali, sembrerebbero avere una diffusione ampia sull'isola, mentre alcuni problemi si sono posti per l'AM III e per le fasi iniziali del MM. A Cnosso questo processo di revisione porterebbe a isolare una sequenza costituita da tre fasi principali tra l'AM II e il MM IIIB (AM IIΙ/MM IA; MM IB/MM IIA; MM IIB/MM IIIA), con assegnazione a questi gruppi di materiali diversamente classificati in precedenza, mentre appare indispensabile una verifica dei dati e delle correlazioni tra i varî siti, in particolare con Festo.
Problematica resta la distinzione tra il MM IIIB e le fasi iniziali del TM IA, che si vengono a configurare come le ceramiche caratterizzanti gli inizî del periodo neopalaziale: si è indicata questa fase come MM IIIB/TM IA iniziale per meglio rendere una situazione di transizione tra gli ultimi retaggi della tradizione dello stile Kamares e il rinnovamento delle forme e delle decorazioni del periodo successivo (Walberg, Stürmer). Meno problematici sono gli sviluppi ulteriori che vedono una standardizzazione delle produzioni, con una notevole presenza di prodotti cnossì. Il TM II non è più da considerarsi esclusivo di Cnosso, dal momento che attestazioni di questo stile sono ravvisabili anche altrove (Popham, 1980), ma resta saldamente ancorato alla produzione dell'area di Cnosso.
In generale le corrispondenze tra le aree cretese, cicladica ed elladica sono verificabili senza eccessive difficoltà già a partire dall'Antico Bronzo. Oltre agli scavi di Thera, si sono rivelati di notevole interesse quelli di Haghia Irini a Ceo, con numerose correlazioni con Creta e con il Continente. Rimangono complessi anche i problemi riguardanti la cronologia assoluta: i sistemi tradizionali mostrano la tendenza a preferire per il Vicino Oriente e l'Egitto le cronologie basse, con ovvie ripercussioni sull'area egea che a quelle cronologie è vincolata. Queste datazioni si sono rivelate inconciliabili con i dati ricavati dalle analisi al radiocarbonio calibrate, che rivelano una tendenza opposta verso un rialzamento delle date. Una conciliazione dei due sistemi è difficoltosa per il II millennio, a causa della non totale limpidezza dei sincronismi e dell'incertezza di alcune datazioni al radiocarbonio. In attesa di ulteriori perfezionamenti del sistema di analisi fisicochimiche si prospetta una soluzione di compromesso che esclude il II millennio dal dominio del radiocarbonio, utilizzandone i risultati solo per il Neolitico e l'Antico Bronzo. Per quanto riguarda l'area della Grecia Continentale e insulare e di Creta, le datazioni al CI4 pongono gli inizî del Neolitico in un momento anteriore al 6000 a.C. (tra il 6900 e il 6400), il Neolitico Medio sarebbe da collocarsi tra il 5900 e il 4800 alC. e il Neolitico Tardo, comprese le fasi più avanzate, per le quali si parla spesso di Neolitico Finale, tra il 4800 e il 3900 a.C. Si tratta di date in generale ritenute troppo alte rispetto a quelle ottenute in passato con il metodo comparativo, che vedono la fine del Neolitico nell'area egea anteriormente al 3000 a.C., un problema che resta aperto, lasciando forse spazi troppo lunghi agli sviluppi posteriori per i quali sono maggiori i dati e i reperti. Gli inizî dell'Antico Bronzo a Creta sono individuabili per l'introduzione di nuove produzioni ceramiche, mentre nell'area continentale (ceramica rossa levigata, rare decorazioni impresse o incise) essi sono meno definibili. Una serie di elementi comuni legano gli sviluppi cretesi anche ad alcune aree dell'Anatolia. Le datazioni al CI4 indicano gli inizî della seconda fase dell'Antico Bronzo a Creta verso il 2800 a.C., nella Grecia Continentale tra il 2700 e il 2400 a.C. La fine di questa fase è caratterizzata a Creta da una situazione non del tutto chiara anche per quanto riguarda le produzioni ceramiche e i loro reciproci rapporti alla fine del III millennio.
Appare nel suo insieme attenuato il contrasto tra cronologie alte e basse, e tra cronologie lunghe e brevi. La durata del Neolitico a Festo, quale era prospettata inizialmente dal Levi, è stata ridimensionata dallo studio dettagliato dei materiali (Vagnetti, 1976), tutti riferibili in ogni caso al c.d. Neolitico Finale. Questo periodo di transizione tra il Neolitico e l'Antico Bronzo, rappresentato da contesti che mostrano caratteri intermedi e che via via si avvicinano alle produzioni dell'AM (Partira, grotta di Ilizia, ecc.) può rappresentare un'interessante fase di incubazione degli sviluppi successivi, alla quale si può assegnare uno spazio di tempo tale da ridurre a dimensioni più ragionevoli la durata dell'AM I. Le ipotesi più accreditate propendono per uno sviluppo medio di 800 anni per l'AM nel suo insieme a Creta e per una datazione oltre i limiti del II millennio della fondazione dei primi palazzi, con una tendenza dunque verso un abbassamento delle datazioni solitamente proposte in precedenza, al di là di posizioni che prospettano un pressoché totale scetticismo (Åström). Lo studio di materiali di importazione e di esportazione ha giustificato i sincronismi tra gli inizî del MM a Creta e il periodo di passaggio tra Antico e Medio Elladico e Cicladico; tra il MM ΙΑ e l'Antico Cipriota III e il MM IB e il Medio Cipriota IA (H. W. Catling, J. A. MacGillivray, An Early Cypriot III Vase from the Palace at Knossos, in BSA, LXXVIII, 1983, pp. 1-8). Minor peso viene oggi assegnato a reperti come il noto sigillo paleobabilonese della thòlos Β di Platanos, la cui collocazione stratigrafica e associazione, nell'ambito di contesti che presentano una lunga durata di uso, non è ritenuta affidabile. Molti dubbi sono stati avanzati circa la reale provenienza cretese dei vasi in metalli preziosi del tesoro di Tôd (variamente considerati di provenienza anatolica, insulare, continentale, siro-palestinese, ecc.) e circa la stessa attendibilità della cronologia del rinvenimento. Meno determinanti, man mano che si scende verso la fine del III millennio e si avanza nel II, appaiono le datazioni conseguite con il sistema del radiocarbonio, in alcuni casi decisamente in contrasto con quelle ottenute con i sincronismi, ancorché sottoposte a revisione. I rinvenimenti di ceramiche cretesi o di imitazione nell'area siro-palestinese e in Egitto, indicano una correlazione di carattere più generale tra il periodo dei primi palazzi e il Medio Bronzo II siro-palestinese. Alcune produzioni riferibili a Creta sono peraltro individuate in testi paleobabilonesi. Non sono emersi elementi nuovi capaci di sovvertire i dati noti, relativamente ai materiali egiziani presenti a Creta e ai materiali cretesi in Egitto nel II millennio: restano generiche molte cronologie di complessi ceramici presenti in tombe e la data degli scarabei rinvenuti a Creta, tra i quali è necessario distinguere le imitazioni locali. L'inizio del MM dovrebbe cadere nel corso del I periodo intermedio, il MM II corrispondere alla XII dinastia, le fasi finali del MM III e l'inizio del TM IA a un momento antecedente l'instaurazione della XVIII dinastia.
Per il periodo iniziale del Tardo Bronzo sono abbastanza chiari i sincronismi in ambito egeo, basati su associazioni di materiali, tra il TM IA e il TE I, tra il TM IB e il TE HA. Per le produzioni ceramiche la ricostruzione che segue gli eventi sismici del MM IIIA sembra contrassegnata da uno stadio che viene classificato come «MM IIIB/TM IA iniziale», una fase di transizione ora meglio definita sulla base di nuovi scavi e ricerche. Sembra probabile che, in cronologia assoluta, il TM I sia iniziato prima della XVIII dinastia egizia (il cui inizio è ora abbassato al 1550, ma anche al 1539 o al 1530), come confermerebbero vasi del Medio Bronzo II siro-palestinese rinvenuti a Kommòs e ad Akrotiri. Il TM IB dovrebbe corrispondere all'incirca a parte del regno di Tutmosis III (1479-1425), mentre nel periodo finale di questo avrebbe inizio il TM II. Intorno al 1500 dovrebbe cadere la separazione tra TM IA e TM IB, mentre in area continentale, in corrispondenza di questa data, già sarebbe definibile uno stile ceramico TE II; la diversa scansione trova poi ulteriore giustificazione nel fatto che in area continentale non vi sono apparenti rotture, quali l'orizzonte di distruzioni osservabile a Creta alla fine del TM IB nonché la diversa situazione dello «Stile di Palazzo» e in generale delle ceramiche del TM II. Un dato cronologicamente rilevante ê rappresentato dai livelli di distruzione causati ad Akrotiri dall'eruzione del vulcano di Thera, riferibili a una fase anteriore alla fine del TM LA a Creta e dell'AE I sul continente (Warren, 1991). Di questa catastrofe naturale si è forse eccessivamente valutata la serie di conseguenze apportate alle vicende egee; in ogni caso essa dovrebbe porsi nel momento di passaggio tra il TM IA e il TM IB (ovvero TE I-TE IIA), in cronologia assoluta verso il 1500 a.C. se si seguono i sincronismi tradizionali. A tale conclusione si oppongono le datazioni basate sulla dendrocronologia e quelle ricavate dai carotaggi dei ghiacci della Groenlandia; queste ultime anticiperebbero il TM IB di oltre 100 anni, se non di più.
SCHEMA “PROPOSTA DI CRONOLOGIA ASSOLUTA DELL'AREA EGEA”
Per le fasi finali del Tardo Bronzo lo studio del Furumark resta alla base delle classificazioni delle ceramiche che costituiscono a loro volta il principale fondamento della cronologia. Nuove ricerche provvedono materiali per ima revisione delle sequenze proposte dal Furumark, con la suddivisione, non accertata peraltro dovunque, tra TE IIIB1 e B2. Accettabili sono i sincronismi tra produzioni elladiche e produzioni cretesi nel TM III A e Β, con una corrispondenza dei rispettivi sottoperiodi. Non molto incisivi sono i sincronismi documentati da presenze ceramiche in Egitto (a Kahun ceramica TE IIB in Tell el-'Amārna una tomba datata al regno di Thutmosis III; ceramica TE IIIA, nel sito cronologicamente ben circoscritto di Teil el-'Amārna), ma l'insieme degli eventi è ora inseribile in un processo storico che coinvolge i regni micenei e che ne vede la fine quando sono in uso ceramiche classificate TE IIIB, almeno per quel che concerne il Continente. L'AE IIIA2 è datato c.a 1375-1325 per la presenza di ceramica micenea a Teil el-'Amārna, ma questo sito ha dato anche qualche frammento di ceramica del TE IIIB; quindi o questo stile era già iniziato in area egea prima che Tutankhamon lasciasse 'Amārna, ovvero la città non era del tutto venuta meno quando era stata lasciata dalla corte del faraone. Nella prima ipotesi l'inizio del IIIB dovrebbe risalire di qualche anno, nella seconda il sincronismo tra IIIA2 e il periodo di 'Amārna perderebbe almeno in parte il suo valore. Per le fasi successive (TE e TM IIIC) in cui la ceramica standardizzata nelle forme vascolari presenta una nuova varietà di stili locali si è in grado di stabilire una sequenza nei depositi stratificati di varî siti con possibilità di correlazioni, che non consentono tuttavia di fissare una cronologia assoluta. L'inizio del IIIC dovrebbe coincidere all'incirca con la morte di Ramesse II (1213), ma se ne propone un abbassamento verso il 1190/85. La fine del IIIC, che sarebbe seguita, secondo alcuni, da un momento definito sub-miceneo, si dovrebbe porre all'apparire delle prime ceramiche protogeometriche intorno alla metà dell'XI sec., ma l'insieme delle realtà regionali si mostra assai più complesso, con attardamenti o anticipazioni ancora non definitivamente raccordabili.
Civiltà minoica. - Neolitico. - Il quadro d'insieme del Neolitico cretese appare allo stato attuale decisamente più articolato: l'individuazione a Cnosso di uno stadio «aceramico» conferma questo sito come il più antico insediamento umano dell'isola finora noto. Non si possono ignorare ipotesi, assai controverse, e al momento indimostrabili, circa frequentazioni pre-neolitiche su Creta, presunta causa dell'estinzione di alcune specie della fauna pleistocenica. Le incisioni rupestri della grotta di Asphendos, presso Sphakia (Creta sud-occidentale) pubblicate nel 1972, con raffigurazioni di animali, per lo più capridi a lunghe corna, archi e frecce, giavellotti, forse imbarcazioni e con segni astratti, in prevalenza piccole cavità circolari (talora raggruppate a formare elementi spiraliformi, doppie asce o altro), cerchi con raggi (forse simboli solari), sono state attribuite a un periodo anteriore agli inizî del Neolitico (Papoutzakis, Zois), mentre appare più probabile una datazione agli inizî dell'Età del Ferro (Hood). D'altro canto è a tutt'oggi ancora Cnosso l'unico sito che, con i suoi dieci strati datati con il CI4, conservi testimonianze sufficientemente coerenti degli sviluppi successivi fino al Medio Neolitico. Le fasi iniziali sono caratterizzate da un certo conservativismo e isolazionismo. La sussistenza è sostenuta dall'agricoltura, con assenza o esigua presenza di apporti diversi (caccia e pesca), ma si tratta di una fase di espansione, con trasformazioni lente, che trova conferma nell'aumento delle dimensioni degli animali allevati (M. R. Jarman, H. Jarman, The Fauna and Economy of Early Neolithic Knossos. Knossos Neolithic, Part II, in BSA, LXIII, 1968, pp. 241-264). Le strumentazioni che sono indicative dei progressi tecnologici appaiono costituite da utensili assai semplici realizzati con materiali disponibili sul luogo o acquisibili a Creta, con l'unica eccezione dell'ossidiana di Milo, presente già nei livelli aceramici. Le fasi dell'Antico Neolitico mostrano l'introduzione della ceramica, per la quale taluni studiosi indicano fonti di ispirazione anatoliche: si tratta certamente di prodotti assai diversi da quelli coevi dell'area continentale. Non sembrano presenti a Creta sicuri elementi di contatti esterni. D'altro canto resta problematica anche la natura e la durata dell'insediamento «aceramico» di Cnosso, impiantato in un tratto di terreno soprelevato alla confluenza di una vallicella laterale con il corso del fiume Kairatos. Esso rappresenta il momento iniziale dell'abitato che si estende successivamente in una crescita ininterrotta nel corso del tempo. L'insediamento delle fasi successive si distribuiva in ordine sparso con possibilità di variazioni e di spostamenti. A partire dal Medio Neolitico, Cnosso non sembra più l'unico centro di cui esista una consistente documentazione archeologica: mentre sono assai incerti gli elementi per individuare caratteri dell'Antico Neolitico in altri depositi, quasi sempre non stratificati (grotte di Gerani e di Lera), resti del Medio Neolitico sono stati individuati a Katsambàs (sito peraltro assai vicino a Cnosso), nella grotta di Lendaka (Hood, 1965), in quelle di Lera e di Haghios Yoahnis nella Creta occidentale. Si tratta, in generale, di un numero ristretto di siti, caratterizzati dalla presenza della solita ceramica incisa.
Nel 1970 al di sotto del cortile occidentale di Cnosso (area FF), sigillato al di sotto di un riempimento dell'AM II, ê stato rinvenuto uno scarico contenente ceramica del Tardo Neolitico, ma caratterizzata da una serie di elementi che la accomunano alle produzioni neolitiche di Festo (solchi, scanalature, striature derivanti dalla lavorazione). Alcuni dei frammenti sono confrontabili con altri rinvenuti a Cnosso, ma nel deposito sono presenti ceramiche prive di paralleli con le altre ceramiche cnossie note, mentre trovano precisi confronti a Festo. Si tratterebbe di una fase cnossia a sé stante, un terzo momento del Tardo Neolitico, i cui livelli sarebbero stati obliterati da interventi successivi, fase in cui non si devono escludere apporti dalla Messarà, mentre da altri (Renfrew) è sostenuta l'esistenza di un periodo distinto, definibile, appunto, Neolitico Finale che si porrebbe come transizione tra il Tardo Neolitico propriamente detto e le fasi iniziali dell'Antico Bronzo. Certamente Festo (v.) è caratterizzata da un notevole insediamento con due strati entrambi riferibili al Neolitico Finale, molto omogenei e con differenze minori. Mancano resti vistosi di strutture, sicuramente compromessi dalle attività edilizie succedutesi nell'area in seguito occupata dal Palazzo, e tuttavia sono stati individuati tracce di muri pertinenti ad ambienti quadrangolari, battuti pavimentali con resti di focolari, nonché gli avanzi di una capanna circolare. Fra i trovamenti più recenti relativi al Neolitico Finale va preso in esame il complesso di Partira, un riparo sotto roccia che ha restituito una trentina di vasi completi in ceramica grigia lucidata, talora con motivi a stralucido (pattern-burnished), che chiaramente anticipano le produzioni dell'AM I. Andrebbero dunque inclusi in questo stadio lo Strato I di Cnosso, gli strati neolitici con ceramiche dipinte (scarico di Cnosso e tutti gli strati di Festo), i rinvenimenti detti subneolitici da Partira e dalla grotta di Ilizia (Creta centrale), e da Phournì Merambellou (Creta orientale); attualmente il panorama del Neolitico Finale è assai più esteso, grazie ai numerosi trovamenti più recenti e alla fondamentale ricognizione dei siti (Vagnetti, Belli, 1978), ulteriormente aggiornabile, con nuovi dati (v. soprattutto la recente edizione dei materiali di Nerokourou Kydonias, di Kommòs e di Kalì Limenes). Il quadro si completa con i materiali provenienti da Sphoungaras, Mochlos, Palekastro nella Creta orientale é da numerose grotte in varie parti dell'isola (Trapeza, Platyvola, Ilizia, ecc.: Godart, Tzedakis, 1992), dalla Tomba II di Lebena, da ricognizioni di superficie. Il panorama del popolamento di Creta nel Neolitico Finale trae da questi dati una nuova evidenza che indica un forte incremento demografico, una continuità culturale rispetto alle epoche precedenti e diversi elementi che preannunziano la fase successiva (presenza di forme chiuse, brocche e giare a due anse, bottiglie, vasi a sospensione con alti coperchi, boccali, coppe con prese a cornetto, ecc.), indizî peraltro di trasformazioni in corso nei sistemi di immagazzinamento di prodotti agricoli, e ancora della possibile introduzione di nuove colture, p.es. quella della vite, con relativa lavorazione del vino, e dell'ulivo. Si assiste anche a una serie di mutamenti nei sistemi insediativi, con il progressivo abbandono dei rifugi in grotta (luoghi spesso utilizzati per sepolture) e con una maggiore diffusione di strutture costruite a cielo aperto. Fatto dovuto oltre che a fattori demografici (maggiore necessità di spazi organizzati) al probabile aumento dell'attività sismica in questo periodo, con conseguente crollo del cielo di numerose grotte. Si registrano possibili embrionali forme di culto domestico (figurine e vasi miniaturistici). Alcuni di questi elementi si pongono peraltro non del tutto al di fuori delle principali correnti di sviluppo dell'area egea, collegandosi ancora una volta con le produzioni dell'Egeo orientale. Su queste basi sono state avanzate ipotesi relative a possibili migrazioni a Creta, con probabili origini anatoliche.
Periodo prepalaziale. - Le ipotesi fondate sulle teorie migratorie necessitano di verifiche e dipendono in larga misura da ima più precisa definizione dei caratteri dei gruppi ceramici classificati AM I, alcuni dei quali rappresentano una diretta continuazione per diversi aspetti tecnici e stilistici delle produzioni del Neolitico Finale (ceramica d'impasto a superficie lucidata, tipo Pyrgos e affini, con numerose varianti locali, c.d. scored ware,. ecc.) mentre altri si pongono come decisamente innovativi (di fatto tutti i tipi decorati in argilla figulina, Haghios Onouphrios, Lebena, ecc.). Varie considerazioni hanno spinto anche a effettuare una distinzione tra AM ΙΑ (ancora legato a tradizioni del Neolitico Finale) e AM IB, con le maggiori innovazioni. La tecnica decorativa del pattern-burnished sembrerebbe peraltro un fenomeno diffuso in ampie zone del Mediterraneo orientale agli inizî dell'Età del Bronzo. Neppure le sequenze ceramiche, dunque, devono necessariamente coincidere su tutta l'isola.
L'insieme dei fenomeni che si manifestano a Creta nell'Antico Bronzo è stato raccolto sistematicamente e indagato (Branigan, 19802; Wilson, 1985, soprattutto per le classi ceramiche) come necessaria premessa all'origine della civiltà palaziale, determinata da un mutamento profondo dell'organizzazione socio-economica con successivi stadi di sviluppo della pastorizia e dell'agricoltura che mostrano indizî di attività di trasformazione dei prodotti primari. Certamente le varie regioni dell'isola non si sviluppano in maniera uniforme; diversi sono i ritmi che si possono constatare nella pianura centro-meridionale della Messarà e nell'area centro-settentrionale, dove il sito più importante è Cnosso, rispetto ad alcune aree più periferiche della Creta orientale e alla Creta occidentale, ma è evidente un sostanziale incremento degli insediamenti.
Alla base delle ricerche sono i rinvenimenti effettuati a Cnosso (v.) negli scavi degli anni '50-60 e a Myrtos (v. s 1970, p. 535), ai quali si aggiungono revisioni di dati già acquisiti, altre esplorazioni di minor portata e travamenti occasionali. Le fasi più antiche trovano una documentazione nella thòlos II di Lebena, i cui reperti, con la relativa stratigrafia, restano però a tutt'oggi ancora inediti e costituiscono un punto di riferimento sempre citato, ma non verificabile appieno. Tra i complessi pubblicati, ancorché in buona parte sconvolto, merita attenzione quello della thòlos di Haghia Kyriakì, che ha offerto la possibilità di una fin troppo capillare distinzione di tipi ceramici, solo in parte stratificati, e riferibili a un arco di tempo che copre gran parte dell'AM e le fasi iniziali del MM.
Di notevole interesse tra i siti scavati di recente si sono rivelati la necropoli di Haghia Photià (v.) presso Sitia nella regione orientale e l'abitato di Debla in quella occidentale.
La necropoli di Haghia Photià, sulle rive del Mare Crético, che dovrebbe coprire un arco di tempo tra un momento avanzato dell'AM I e l'AM II, ha rivelato tipi di tombe collegabili all'area cicladica, nonché la presenza di imitazioni di materiali cicladici, indicativi dell'esistenza di una componente che. senza dubbio investe fin da quest'epoca così antica la sfera dei rapporti esterni di questa regione di Creta e in generale della fascia settentrionale. Viceversa anche in questi corredi si manifesta evidente la presenza degli stili ceramici che caratterizzano le prime fasi dell'Età del Bronzo sull'isola, sia pure in formule locali che si differenziano in diversi dettagli da altri coevi complessi. D'altro canto gli elementi di cultura cicladica sembrano avere una diffusione anche in altre aree di Creta, se si considera, p.es., la presenza di figurine di imitazione cicladica (a Tekkè presso Cnosso, ad Archanes e nelle thòloi della Messarà) e di alcune forme vascolari che nelle isole hanno i principali centri di irradiazione (pissidi, «padelle»). Una dipendenza dalle Cicladi appare ravvisabile anche nella metallurgia.
Altre indicazioni in questo senso provengono dalla necropoli di Archanes (v.) nella Creta centro-settentrionale, non distante da Cnosso. Tale influsso cicladico non sembra limitato alla fascia costiera settentrionale, ma trova riflessi anche nella Messarà.
Il piccolo insediamento stagionale di Debla, situato nell'entroterra di Chanià, alle pendici dei Monti Bianchi, è significativo perché è uno dei pochi a testimoniare, assieme a quello di Ellenes Amariou esplorato negli anni Trenta da Marinatos, un abitato a cielo aperto dell'AM I; offre inoltre alcuni elementi che attestano la sequenza delle fasi ceramiche nella Creta occidentale, dove in questo periodo l'abitato sembra utilizzare ancora ampiamente il rifugio delle grotte. Risulta costituito da alcuni ambienti, due quadrangolari, un terzo di forma approssimativamente triangolare, con mura costruite in pietre non lavorate e blocchi più grossi agli angoli. Sul pavimento in terra battuta del vano più grande erano diversi vasi, in prevalenza brocche, oltre a pochi oggetti litici (lisciatoi di serpentina, lame di ossidiana). Le brocche a becco, di sagoma globulare a superficie rossa, presentano piccoli pieducci sotto le basi arrotondate. Negli strati al di sotto dei livelli pavimentali erano evidenti le tracce di un'occupazione precedente, testimoniata da frammenti della c.d. scored ware, produzione nota anche altrove nella Creta occidentale, fra Tardo Neolitico e AM I. Questo livello è datato all'AM I, mentre quello pavimentale rappresenterebbe uno stadio finale di questo stesso periodo o di transizione all'AM II, pure testimoniato sul sito da alcuni frammenti, rinvenuti più in superficie, di ceramiche incise. L'inizio del popolamento nella Creta occidentale sembrerebbe aver avuto inizio tra il Neolitico Finale e l'AM I.
Il Bronzo Antico è contrassegnato dal progressivo affermarsi della ceramica figulina con decorazione lineare dipinta in scuro su chiaro, genericamente denominata stile di Haghios Onouphrios. Solo nel caso della c.d. ceramica di Lebena, per una peculiarità locale, dovuta al colore dell'argilla, la decorazione è in colore crema su fondo rossiccio e presenta alcune caratteristiche particolari.
A Myrtos, ma anche a Palekastro e a Vasilikì sono state distinte due fasi dell'AM II. La fase IIA è rappresentata in prevalenza dalla ceramica scura lucidata o grigia chiara incisa a triangoli o semicerchi concentrici, associata a ceramica figulina chiara con decorazione dipinta a tratteggio. Lo «stile di Koumasa» (dalla omonima località della Messarà dove sono state rinvenute importanti tombe a thòlos), non necessariamente attribuibile al solo AM IIA, rappresenta assieme ad altre produzioni coeve (le ceramiche di Myrtos, in entrambe le fasi, quelle dai saggi sotto il cortile occidentale) uno sviluppo dei tipi primitivi, soprattutto per quel che riguarda le forme vascolari ormai decisamente fornite di base piatta, con una tendenza verso tipi ovoidi più slanciati. Il repertorio decorativo si trasforma, preferendo sempre di più i tratteggi lineari e triangoli o losanghe fittamente reticolati. Recentemente è stata riconosciuta, e non solo a Cnosso, la presenza di importazioni di ceramiche AM II dalla Messarà, segno di un primitivo commercio interno all'isola. La fase IIB sarebbe caratterizzata da un'ampia diffusione nella regione orientale, con significative estensioni nell'area centro settentrionale, della ceramica chiazzata di Vasilikì (nota peraltro già dal periodo precedente), da ceramiche monocrome dipinte di rosso o di bruno, dall'inizio di uno stile decorativo in bianco su fondo scuro («Stile Bianco» o white-on-dark painted ware) e ancora da ceramiche dipinte in scuro su chiaro, non più con motivi a tratteggio. Queste suddivisioni hanno tuttavia un valore con fondamento stratigrafico solo nella Creta orientale e in quella centro-settentrionale, fino a Cnosso. A questa sequenza sono stati collegati i materiali di Koumasa e delle thòloi II e HA di Lebena (AM IIA). Vanno inoltre segnalati strati AM a Mallia e a Gournià, mentre sicure tracce di un abitato prepalaziale di una qualche estensione sono documentati a Festo.
Le fasi centrali e finali del periodo prepalaziale segnano di fatto anche il momento della prima vera diffusione dell'uso dei metalli e dell'affermarsi di una tecnologia che conosce diverse attività artigianali. La lavorazione dei metalli riguarda sia il bronzo, sia materiali più preziosi (argento, oro) utilizzati per oggetti di ornamento. Lo studio dettagliato di molti materiali provenienti dall'area egea consente oggi un quadro meglio definito delle tipologie degli oggetti di produzione cretese.
Cospicua anche la prima produzione di vasi in pietra, la lavorazione dell'osso, e in forma più limitata, dell'avorio, la produzione di sigilli, in vario materiale (v. glittica), che costituiscono, soprattutto nell'ambito dei complessi funerari (tombe della Messarà, Mochlos), uno degli elementi più importanti per la definizione dell'emergere di élites, capaci di aspirare a una detenzione del potere su basi diverse rispetto al passato. Un altro interessante fenomeno è costituito dalla colonizzazione di Citera, dove precocemente si insediano elementi minoici, probabilmente a stabilire uno scalo nella rotta che dalla Creta occidentale muove verso il Peloponneso. Qui, alcuni caratteri delle produzioni vascolari sembrerebbero risentire di ascendenze cnossie e non è da escludersi che proprio da Cnosso muovessero i primi fermenti di un'espansione commerciale destinata ad acquistare un ruolo fondamentale in epoche successive. Un regime di importazioni (relativamente frequenti) e di esportazioni (scarse) nell'ambito del bacino dell'Egeo, caratterizza le fasi centrali del periodo prepalaziale e ancora piuttosto rari risultano i contatti con il Vicino Oriente (sigillo nord-siriano a Mochlos, frammento di avorio di ippopotamo a Cnosso). In uno dei livelli AM II di Cnosso sono state rinvenute «salsiere» dell'AE II associate a minuti residui di lavorazione di ossidiana e a ceramiche che rappresenterebbero una fase iniziale dell'AM II (AM IIA secondo la definizione di Warren). La presenza di questi frammenti, di vasi forse prodotti in Argolide, costituisce la prima indicazione di contatti tra Creta e la Grecia continentale nel III millennio. Il rinvenimento di analoghi frammenti nella grotta di Platyvola nella Creta occidentale, non molto lontano da Chanià, può essere utile a ribadire il ruolo che la fascia settentrionale costiera di questa regione di Creta può aver avuto nella diffusione della cultura minoica in direzione del Peloponneso.
Nell'AM II appare superato il regime di vita delle fasi precedenti. Lo scavo e la pubblicazione di un centro come Myrtos (v. s 1970, p. 535) hanno fornito buoni elementi per definire il tipo medio di insediamento, con attività di natura diversa, incentrate non esclusivamente su agricoltura e pastorizia, ma già organizzate in produzioni artigianali specializzate (lavorazione delle ceramiche, industria tessile, tintura di tessuti), forse su base comunitaria. Anche il tema delle origini e degli sviluppi dei vari tipi di tombe elaborati a Creta nel corso dell'AM (thòloi, tombe a casa, ecc.) spesso utilizzati fino al MM II e oltre, è staio oggetto di attente analisi d'insieme e di dettaglio (Pini, Branigan, Pelon, Belli, Soles), con considerazioni di carattere architettonico strutturale, ma soprattutto socio-economico. Tra i complessi funerari più notevoli scavati di recente, rimane ancora inedito quello delle thòloi di Odighitria. Si prospettano punti di vista diversi, incentrati sulla valutazione delle sepolture collettive come fatto puramente comunitario, o viceversa legato a gruppi emergenti all'interno delle comunità.
L'AM II si chiude con alcune distruzioni, p.es. a Myrtos e a Vasilikì. Il villaggio di Myrtos viene abbandonato dopo un incendio. Elementi per definire un impianto di più case attorno a uno spazio aperto sono ravvisabili nella fase AM II di Vasilikì (v.), il noto sito nell'Istmo di Hierapetra, dove dal 1970 in poi si conducono nuove ricerche.
Un abbandono, senza apparenti segni di distribuzione violenta sembra possibile per il breve tratto di abitato scavato a Haghia Triada (v.), dove non mancano somiglianze strutturali con case di Myrtos. Non si esclude un trasferimento dell'insediamento in altra area del sito. Alcune case disposte lungo una breve strada sono state messe in luce a Trypitì (v.) sulla sommità di una collina lungo la costa centro meridionale di Creta, sul Mare Libico; presentano due fasi architettoniche, ma i materiali documentano una frequentazione del sito dall'AM II fino al MM I.
Tradizionalmente l'AM III è identificato (soprattutto nella Creta orientale) con la diffusione dello Stile Bianco recentemente studiato in forma sistematica (Betancourt); proprio perché basata su uno stile ceramico e non su una più articolata serie di dati, la definizione di questa fase in rapporto alle fasi precedente e successiva ha costituito a lungo, e tuttora costituisce, un problema. E evidente che a livello regionaie possano essersi verificati alcuni sfasamenti: in altre parole la comparsa dello stile policromo che defìnirebbe il MM LA potrebbe esserè avvenuta in momenti non coevi in aree diverse, forse più precocemente a Cnosso, con qualche ritardo nella Creta orientale, dove poi vi sarebbe stato un attardamento di stili MM IA quando nella Creta centrale era in via di sviluppo lo stile di Kamares. Questa diversità di situazioni a livello di produzioni ceramiche potrebbe rispecchiare una diversità negli sviluppi economico-sociali delle varie regioni. Secondo una recente revisione dei principali complessi (Watrous, 1994), l'AM III sarebbe piuttosto un periodo critico, seguito alle distruzioni dell'AM II, che troverebbe peraltro coincidenze con analoghe situazioni nelle Cicladi. Una seria ripresa si verificherebbe nel MM IA, con un orizzonte caratterizzato da rinnovati rapporti con l'area cicladica (gioielli, metalli, vasi in pietra, ecc.) nei contesti funerari.
Nel quadro del MM IA appaiono di particolare interesse complessi come la casa ovale di Chamaizi, ora ridefinita come impianto domestico produttivo (Davaras), la casa tonificata di Haghia Photià (v.) possibilmente connessa con il commercio e attività lavorative. Alcune analogie non mancano con il complesso di Patrikiès (v. FESTO), che sembrerebbe collegabile alla produzione ceramica. Si tratta probabilmente di indizi di una diversa capacità imprenditoriale. Ancora va ricordata la ricostruzione di alcune case a Vasilikì, un edificio recentemente scavato a Mochlos e il deposito della trincea N di Gournià. Nell'ambito dei siti palaziali sono state assegnate a questa fase le case sotto il Cortile Occidentale di Cnosso (Momigliano) e possibilmente l'ipogeo sotto il portico meridionale del Palazzo. È questo, senza dubbio, il momento in cui si affermano le prime forme di scrittura geroglifica e si manifesta una crescita dei contatti con aree esterne all'Egeo, i cui effetti, diretti e indiretti, sono avvertibili nella cultura materiale, premessa indispensabile alla creazione del sistema palaziale. Il MM IA vede anche raffermarsi dei culti nelle grotte e dei c.d. santuari delle vette, oggetto di specifici studi (Peatfield). Di questi ultimi, caratterizzati da abbondanti depositi di votivi fittili, si è osservata una notevole concentrazione nella Creta centrale e orientale, e una gerarchla a livello di importanza locale. Di notevole interesse è la scoperta di un santuario di questo tipo nell'isola di Citera. Mentre di fondamentale importanza per gli sviluppi successivi si è rivelato lo scavo del santuario sul Monte Iouktas. In una posizione più favorevole alle rotte dirette verso le Cicladi e la costa dell'Asia Minore, la Creta orientale sembrerebbe vivere nel periodo prepalaziale una fase di particolare vitalità che troverebbe le sue espressioni più consistenti nelle strutture di Vasilikì, nei depositi e nelle necropoli di Mochlos, di Gournià, di Palekastro. Questo momento potrebbe aver avuto la sua definitiva interruzione in concomitanza con la fondazione dei palazzi.
Di una vocazione commerciale sembra essere partecipe fin da un periodo molto antico Cnosso, che certamente mostra di avere una sua presenza sulla fascia costiera settentrionale, anche verso occidente, nella navigazione diretta al Peloponneso. La crisi dei centri della Creta orientale, il loro mancato decollo verso situazioni «palaziali» può essere dovuta a numerosi fattori, tra cui un possibile momento di stasi delle attività commerciali in area cicladica, o una serie di insuccessi regionali (decremento demografico, raccolti scarsi, ecc.). Le condizioni più favorevoli dell'area di Cnosso e della Messarà avranno al contrario permesso lo sviluppo di quelle concentrazioni di ricchezza e di potere in grado di muovere forze capaci di realizzare una struttura e una amministrazione palaziale, che di fatto rappresentano la nascita di un vero e «proprio stato», sia pure in forme a tutt'oggi da definire.
Oltre alla già affermata presenza di Cnosso come grande centro, si possono indicare tra i siti più popolati e importanti in ragione delle presenze archeologiche e delle dimensioni di eventuali necropoli, Festo, Archanes, Mallia, Mochlos (Whitelaw). Non siamo in grado di definire l'entità della conformazione sociale di centri destinati in futuro a essere sedi palaziali (Cnosso, Festo, Mallia), mentre siti di dimensioni che appaiono intermedie come Vasilikì, vanno rivisti alla luce delle nuove indagini, soprattutto attente a una più precisa distinzione di fasi edilizie. La necropoli di Archanes, con un notevole sviluppo tra AM II e MM IA e anche nei periodi successivi, indica, senza alcun dubbio, l'importanza di questo centro nell'entroterra di Cnosso, alle pendici del monte Iouktas. Il modello generale di popolamento di Creta nell'AM appare contrassegnato dalla presenza di una graduale differenziazione tra centri maggiori con un numero relativamente cospicuo di abitanti, borgate di pochi gruppi familiari e unità abitative di ancor minore estensione distribuite sul territorio. Non siamo tuttavia in grado di stabilire l'estensione di un eventuale territorio connesso ai centri maggiori e da questi sfruttato economicamente (cfr. Blackmann, Branigan, Watrous).
Periodo protopalaziale. - È presumibilmente questo il quadro generale su cui si innesta il fenomeno palaziale e non è casuale che esso si verifichi proprio in quei centri che risultano più estesi e popolati. È in questi centri che dobbiamo ipotizzare una maggiore concentrazione di potenzialità economiche, affluenti anche dal territorio, il conseguente emergere di élites capaci di assumere il controllo delle produzioni e l'accumulo dei beni, la formazione di maestranze sempre più specializzate in attività artigianali, la necessità, dettata dalla maggiore entità numerica della popolazione, di sistemi organizzativi capaci di regolare i rapporti sociali, che possono tradursi in criteri di distribuzione degli spazi, in una progettazione urbanistica. È sugli stessi centri che potevano convergere come punto di riferimento economico le entità minori (borgate, unità abitative sparse) presenti nel territorio. Questo processo potrebbe aver avuto la sua attuazione negli stadi finali del periodo prepalaziale (AM III - MM IA), stadi non molto ben riconoscibili proprio nei siti dove il fenomeno palaziale è giunto a realizzarsi, a causa dei radicali interventi nelle aree interessate dal rinnovamento urbanistico e dalla creazione del palazzo. Al contrario, lì dove il fenomeno palaziale non è giunto a compimento, certi indizî sono, per forza di cose, meno evidenti. Per questo motivo appare fondamentale orientare la ricerca verso il territorio dei centri palaziali allo scopo di verificare gli effetti del fenomeno sulle aree circostanti, come si è già iniziato a fare in diverse zone. Altrove i fatti sembrerebbero aver avuto un andamento diverso: si è p.es. ipotizzata nella Creta orientale una condizione di instabilità e di crisi di cui sarebbero indizio il bastione e le cisterne individuate a Myrtos-Pyrgos, le fortificazioni della casa di Haghia Photià e quelle individuate a Mallia.
Creta sarebbe in ogni caso partecipe della tendenza verso una concentrazione della popolazione in siti di maggiore importanza, che verrebbe in sostanza a definire una società protourbana, senza tuttavia che si verifichi un totale abbandono del sistema di abitato per villaggi: nelle vicinanze dei siti palaziali o nelle aree presumibilmente da questi controllate sussistono entità minori, funzionali al controllo del territorio e delle attività economiche. Ricognizioni di superficie realizzate su più vasta scala potrebbero indicarci con maggiore attendibilità l'entità del parziale inurbamento delle popolazioni nelle aree interessate dal fenomeno palaziale, con conseguente riduzione dell'abitato in forma sparsa e creazione o potenziamento di centri minori collegati con il sistema dell'economia palatina, una embrionale prefigurazione del più compiuto sistema di controllo realizzato nel periodo neopalaziale.
La formazione di una struttura palaziale richiede alcuni indispensabili elementi: innanzitutto la disponibilità totale di un'estensione non ridotta dell'abitato e per di più in una posizione centrale (anzi corripondente al nucleo più antico a Festo e a Cnosso), eliminando tutte le strutture preesistenti, ma provvedendo a reintegrarle in una riorganizzazione dell'abitato; poi, una capacità economica, un accumulo di risorse alimentari, in grado di muovere una forza-lavoro tale da realizzare l'insieme delle architetture palaziali assicurando un minimo di compenso o di «partecipazione agli utili», per la cui distribuzione è necessario, di riflesso, un embrione di burocrazia amministrativa che elabora l'uso della scrittura e un sistema ponderale; ancora, la presenza di una compagine di tecnici specializzati, capaci di progettare, organizzare e seguire i lavori, di individuare e procurarsi le materie prime e gli strumenti necessari. Alla tradizionale visione incentrata su una figura di sovrano, emersa da un processo di concentrazione del potere politico raggiunto attraverso stadi intermedi (capi di villaggio, élites con maggiori potenzialità economiche, possibili componenti di carattere religioso con presenza di caste sacerdotali, ecc.), si è contrapposta recentemente una teoria che considera l'eventualità di una formula «democratica», basata su assemblee popolari e organi di governo collegiali, la cui presenza è stata ipotizzata in base alla interpretazione di alcune strutture rinvenute a Mallia (c.d. agorà, ipogeo), ma ritenuta individuabile anche a Cnosso e a Festo (aree «teatrali», piazzali a O del palazzo, in entrambi i siti; presunta sala per riunioni a Festo: van Effenterre, Damiani Indelicato). Tale formula sarebbe rappresentativa di una fase intermedia, corrispondente all'epoca dei primi palazzi, che precederebbe l'affermazione di forme di potere maggiormente accentrato. La presenza delle ed. kouloure (probabili granai ipogeici di pianta circolare) in rapporto ai cortili lastricati posti all'esterno dei palazzi di Cnosso e Festo, è stata pure intesa (Branigan) come indizio di un'economia «mista», amministrata anche dalla città, non necessariamente in contrapposizione al palazzo. Un'altra entità, quella religiosa, sembrerebbe presente a Mallia nel «Quartier Mu», a sua volta in qualche maniera autonoma dal palazzo, ma in una situazione che archeologicamente si presta a interpretazioni diverse e che cristallizza un momento, quello della distruzione della Mallia protopalaziale, dove poi i resti sicurissimi di una struttura palaziale più antica non sono sempre evidenti. Ciò naturalmente non impedisce di pensare a una organizzazione urbana, a una presenza di élites, a una classe sacerdotale, a un insieme di fattori che stimolavano la produzione di oggetti di prestigio, ma con una amministrazione non definitivamente accentrata.
Senza dubbio non è metodologicamente corretto, come è stato più volte sottolineato, equiparare la situazione dei primi palazzi a quella meglio nota dei secondi, valutando così, senza le necessarie distinzioni, realtà storiche che hanno tutti gli elementi per essere diverse. Senza escludere dunque la concreta possibilità che il sistema palaziale sia giunto agli esiti più maturi attraverso una serie di passaggi e di trasformazioni, in un processo che avrà visto reciproche influenze tra i centri dell'isola interessati al fenomeno.
Il dibattito sulle origini del palazzo, come entità architettonica e amministrativa, e sulle sue funzioni è ben lontano dall'essere esaurito; pur non mancando frequenti riferimenti a modelli sia architettonici sia organizzativi di origine orientale (Anatolia, Mesopotamia) si è rivendicata (Pelon) una sostanziale capacità di elaborazione a livello locale di idee provenienti dall'esterno, dietro sollecitazione di spinte determinate da una convergenza di cause capaci di operare il radicale rivolgimento della compagine sociale che è costituito dalla introduzione di questo nuovo sistema (Warren, 1987). Va peraltro osservato che per quel che riguarda le strutture gli unici complessi che, pur non ricostruibili per intero, sono architettonicamente definibili palazzi (v. palazzo), sono per questo periodo quelli di Cnosso e Festo, la cui fondazione, almeno stando ai dati attualmente acquisiti, si pone entro il limite degli inizî del MM IB. A Mallia malgrado la presenza di depositi di fondazione e di reperti di varia natura, nonché di elementi strutturali avvicinabili a magazzini e ad ambienti di rappresentanza, la forma dell'edificio palaziale presenta contorni ancora non precisi, mentre alcune funzioni amministrative sono rappresentate nel sito da varí documenti dove non mancano attestazioni di testi geroglifici. Altri aspetti che si configurano come caratteristici di un edificio palaziale sono individuabili nel «Quartier Mu», che tuttavia non ne presenta gli elementi fondamentali. A puro titolo di soluzione alternativa, tutta da dimostrare, si potrebbe ipotizzare per Mallia una situazione di sviluppo non totalmente compiuto verso il sistema palaziale, sviluppo interrotto dalla catastrofe, solitamente considerata di natura sismica, che determina le distruzioni di Cnosso e Festo. Altri centri per i quali è con sicurezza attestata una vita nel periodo protopalaziale sono in attesa di una più precisa definizione. Al sistema palaziale certamente si connette il complesso di Monastiraki, nella valle di Amari che si dirama dalla Messarà in direzione NO, accompagnando le pendici del massiccio dell'Ida, il cui scavo, recentemente ripreso, ha confermato una stretta connessione culturale con Festo. Lungo la stessa direttrice, prima di Monastiraki, il piccolo centro di Apodoulou, anche questo da poco esplorato, si pone nella medesima prospettiva piuttosto come una dipendenza minore sempre di carattere agricolo. Il rinvenimento a Monastiraki di cretule assai simili a quelle di Festo è un'ulteriore conferma della possibilità che, a partire da un certo momento nel corso del MM, la valle di Amari sia entrata nell'area d'influenza del Palazzo di Festo. Così altri centri, maggiormente vicini a quelli palaziali, non possono non aver risentito della nuova situazione; Archanes e Amnisos nei confronti di Cnosso e Haghia Triada e, più tardi, Kommòs nei confronti di Festo possono rappresentare già in questa fase importanti punti di riferimento su un territorio che certamente il potere instauratosi nel palazzo avrà avuto modo e cura di controllare sia per quel che riguarda le risorse agricole, sia per lo sbocco al mare.
Il quadro che si profila per la Creta del periodo dei primi palazzi è dunque non sempre chiarissimo, ma apparentemente ben diverso da quanto con maggiore evidenza risulta nel periodo successivo. Si dovrebbe prospettare la possibilità dell'esistenza di almeno due entità amministrative (Cnosso, Festo) in eventuale espansione, di una terza in avanzata via di formazione (Mallia) e di entità minori (piccole città, villaggi) ancora, forse, svincolate da una dipendenza diretta dai palazzi e dotate di una propria autonomia: potrebbe essere il caso di centri, diversi nella Creta orientale (Gournià, Mochlos, Palekastro, Zakros, Pyrgos Myrtou, ecc.), più scarsi in quella occidentale, dove forse Kydonia già poteva da tempo rappresentare un punto di riferimenti del territorio, oltre a essere un importante scalo marittimo in qualche forma collegato a Cnosso. Anche per quel che riguarda il periodo dei primi palazzi si profila, nella Creta occidentale, qualche possibilità di chiarire la situazione, in passato assai più oscura, fatto imputato principalmente alla quasi totale assenza di ricognizioni e di scavi (Godart, Tzedakis, 1992).
Il controllo delle attività produttive esercitato dai primi palazzi non appare chiaro nei dettagli. Certamente la produzione agricola e l'allevamento costituivano, come per il passato, la base dell'economia, ma erano amministrati diversamente, con una concentrazione nel palazzo di beni destinati a essere utilizzati, almeno in parte, come base di scambio nei rapporti esterni (acquisizione di materie prime) e all'interno come compenso di prestazioni di mano d'opera (trasformazione di materie prime in beni di prestigio, utilizzabili in forme diverse), di fatto in un sistema redistributivo. Possiamo solo delineare il funzionamento del sistema, che certamente prevedeva, all'interno del palazzo, ma anche di entità minori, etichette e registrazioni, nonché chiusura, con apposizione di sigillo o sigilli, di porte o di recipienti. Per quanto riguarda le manifatture di ceramiche, la lavorazione dei metalli e delle pietre non abbiamo per questo periodo a Cnosso e a Festo dirette testimonianze di officine artigiane stanziate all'interno dell'area palaziale, mentre non mancano locali destinati allo stoccaggio anche di manufatti ceramici (tali appaiono alcuni ambienti dell'area sud-occidentale del palazzo di Festo: v. anche Branigan, 1981). Una bottega di vasaio e una di incisore di sigilli sono presenti invece nel «Quartier Mu» di Mallia, e sono state ritenute funzionali alle attività del gruppo di potere (religioso?) rappresentato dal complesso stesso. Un fatto non irrilevante è tuttavia, a Festo, la sostanziale equivalenza qualitativa dei materiali ceramici rinvenuti nell'abitato rispetto a quelli del palazzo: non esiste un'apparente diversità, che se mai è di natura quantitativa, neppure con centri minori, come Haghia Triada (dove recentissima è la scoperta di ricchi depositi di ceramica Kamares) e Kommòs. Altri centri correlati a Festo (Apodoulou; Monastiraki: notevole in questo sito il numero di cretule, non dissimili da quelle di Festo) presentano una produzione propria strettamente dipendente, però, nelle forme vascolari, anche quelle della ceramica di uso comune, e nel repertorio decorativo, da quella festia. Diversa la situazione di Cnosso, in cui sembrerebbero convivere tradizioni diverse, locali e della Creta orientale, assieme a possibili importazioni dalla Creta meridionale, soprattutto di ceramica fine di stile Kamares. È verosimile che determinate attività fossero svolte ancora in un regime di autonomia, pur essendo il palazzo il destinatario obbligato almeno di ima parte, e certo la più cospicua, della produzione, che aveva apparentemente luogo in aree non del tutto prossime a esso. Per quanto concerne gli aspetti religiosi, ancorché siano scarsi i dati della documentazione, si può presumere il costituirsi, a parte il fenomeno dei santuari delle vette, di complessi cultuali all'interno delle strutture palaziali, indicati dalla presenza di sacelli e di strumentazioni cultuali, ma anche di santuari cittadini e domestici, in forme che, al pari di altre componenti della vita economico-sociale, appaiono meno radicalmente condizionate dalle strutture del potere.
L'acquisizione di un maggior numero di dati conferma la natura particolare dell'architettura palaziale rispetto a quella domestica, privata, soprattutto per l'impiego di determinate tecniche, come quella degli ortostati nei muri perimetrali esterni, che anticipa in forma chiarissima sistemi poi universalmente affermati nel periodo dei secondi palazzi. L'architettura domestica si basa su una articolazione più semplice di ambienti irregolarmente quadrangolari, di solito realizzati con pietre non lavorate o in mattoni crudi.
Meno documentata rispetto al periodo successivo è la circolazione di beni di prestigio (ma non si esclude una riutilizzazione ampia di metalli preziosi): non mancano esempi di oreficerie, faïence, alabastri databili a questo periodo, così come larga diffusione ha, a vario livello, la lavorazione dei sigilli. Meno affermata pare anche la realizzazione di decorazioni pittoriche parietali figurate, mentre la coroplastica trova in questo periodo interessanti sviluppi verso esiti di maggior naturalismo (vasta produzione di figurine in relazione a contesti cultuali, come i c.d. santuari delle vette). Assai meglio note sono oggi le produzioni ceramiche, di livello diverso a seconda dei siti e delle regioni, tutte, comunque, improntate a un marcato decorativismo, che ha le sue manifestazioni più notevoli nelle ceramiche di stile Kamares dai centri palaziali di Festo e di Cnosso. Sulla scia della tradizione prepalaziale si elabora in varie fasi un vasto repertorio di forme vascolari, volte a soddisfare le più svariate esigenze funzionali, sulle quali sono assai di frequente applicate decorazioni di raffinatissima composizione, che nel momento più maturo e creativo sono impostate sull'elaborazione della spirale insieme a elementi fitomorfi stilizzati, con rare presenze di elementi figurati, meglio documentati nella glittica e probabilmente di derivazione orientale. Un tono più modesto e peculiarità locali presentano i prodotti di Mallia, di Palekastro, di Zakros e di altri centri della Creta orientale.
Di un certo interesse è anche l'estensione della diffusione di manufatti minoici nell'area del bacino dell'Egeo, ma anche levantina e vicino-orientale. Si tratta di testimonianze che attestano, comunque, presenze o contatti indiretti, non sappiamo in quale misura controllate dai palazzi: necessarie premesse per la più consistente espansione del periodo neopalaziale.
Un orizzonte di distruzioni, attribuite comunemente a un disastro sismico, segna la fine del periodo protopalaziale: tale distruzione è ben evidente a Festo e a Mallia, mentre è riscontrabile in diversi punti a Cnosso, dove tuttavia la situazione è meno chiara. Se solo di un sisma si tratta, ovvero di fattori concomitanti, non si può escludere che gli eventi catastrofici abbiano avuto conseguenze diverse nei varí centri: Festo e l'area circonvicina sembrano essere maggiormente colpiti. Centri come Monastiraki non verranno mai più ricostruiti, a Festo si manifestano non poche difficoltà. È un momento critico soprattutto per la Creta meridionale dal quale emergeranno, certo non casualmente, in posizione di maggior forza, Kommòs e Haghia Triada. In questa situazione Cnosso si avvia, nella più immediata ricostruzione, a essere definitivamente il centro più importante dell'isola.
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(F. Carinci)
Periodo neopalaziale. - Pur in una spiccata continuità culturale, l'età dei secondi palazzi segna una svolta all'interno del mondo minoico, sia nel contesto isolano sia in quello più genericamente egeo.
Già all'inizio fu probabilmente diversa, nei differenti centri di potere, la capacità di reazione all'evento sismico della fine del MM IIB, che distrusse, secondo l'opinione tuttora più accreditata, i primi palazzi (una recente ipotesi di Branigan - con la quale si accorderebbe la classificazione ceramica di McGillivray - tenderebbe a spostare agli inizî del MM III la distruzione del primo palazzo cnossio). Un secondo terremoto, verso la fine del MM IIIA, è in ogni caso ben documentato dalla rovina delle strutture nel santuario di Anemospilià, presso Archanes. Il periodo tra i due sismi corrisponderebbe alla III fase protopalaziale del Levi a Festo, dove si cercò, probabilmente senza successo (come ha dimostrato F. Carinci), di completare la ricostruzione del complesso palaziale, portata a termine solo quando era già in uso la ceramica TM I: quasi che cause naturali, debolezze interne del gruppo che gestiva la ricostruzione, o ingerenze esterne, avessero impedito il completamento del programma edilizio. La situazione di Haghia Triada, dopo i nuòvi saggi, sembra accordarsi con i dati di Festo; cospicui depositi MM III sono stati recuperati a Kommòs; l'inizio del periodo neopalaziale rappresenta anzi ima fase di netta ripresa nella vita di questo insediamento, forse in rapporto con un nuovo sistema di equilibri all'interno e all'esterno della chòra festia. La grande tomba di Kamilari registra, proprio nel MM III, il momento di maggior uso. Nella fase MM IIIA sono comunemente collocati gli archivi geroglifici dei palazzi di Cnosso e di Mallia, i cui centri avevano già mostrato consistenti elementi di apertura extra-insulare nel MM II. Anche per questo è lecito chiedersi se, nel complesso, l'inizio dell'età neopalaziale evidenzi, nella provincia di Messarà, una situazione di ripiegamento rispetto alla fascia costiera settentrionale, magari in rapporto con un momentaneo inaridimento delle risorse agricolo-pastorali: la diversa tendenza dell'insediamento di Kommòs anticiperebbe, invece, il peso di quella proiezione sul mare che assumerà nel TM I, nello stesso centro e nell'intera isola, aspetti macroscopici.
Per il momento immediatamente successivo al MM IIIA, Warren ha ribadito la legittimità della distinzione di una fase più antica, attribuendo al periodo nel suo insieme una vita piuttosto breve; e ha considerato la III fase protopalaziale di Festo vicina piuttosto al secondo che al primo momento del MM III; ha pertanto proposto una «Middle Minoan IlI-Late Minoan IA Transition» H, che dovrebbe assorbire anche le evidenze sismiche collocate da Evans alla fine del MM IIIB. Sarebbe, in ogni caso, il vero inizio della New Era, con una serie di elementi innovatori anche nell'architettura.
Nella pianura della Messarà, dopo la distruzione del MM IIIA, i dati più significativi provengono da Kommòs e da Haghia Triada. Qui, fra lo scorcio del MM III e gli inizî del TM I, si registra il primo impianto della c.d. Villa Reale. A Kommòs, dopo la distruzione del MM IIIA e una frequentazione del MM IIIB, prende corpo, nel TM IA, l'impianto monumentale costituito dagli edifici J e Τ (forse magazzini di stoccaggio in funzione dei commerci), con stoà e grande spiazzo sul davanti e con l'imponente strada lastricata sul retro, quest'ultima adoperata fino al TM IB: il complesso va forse considerato appena posteriore alla Villa Reale di Haghia Triada e probabilmente già in parte abbandonato prima della grande distruzione della fine del TM IB. Sarà la c.d. Villa di Haghia Triada e non il Palazzo di Festo a gestire, almeno nella seconda fase dell'età neopalaziale, l'attività burocratica e amministrativa dell'intero circondario. Tale palese anomalia funzionale, aggiunta alle difficoltà di ricostruzione evidenziate per il Palazzo di Festo e alle stupefacenti realizzazioni architettoniche di Kommòs, consentono di escludere un semplice cambiamento dei rapporti di forza all'interno del territorio festio e di ipotizzare invece un intervento o una volontà politica esterna, che una serie di precisi indizî collega a Cnosso. Al ruolo egemone di tale centro, almeno nella fascia centrale dell'isola, J. Driessen ha aggiunto argomentazioni derivate dall'esame del Palatial Architectural Style. A favore di una leadership cnossia deporrebbero, p.es., le affinità di circulatory patterns fra il «Piccolo Palazzo» e la Unexplored Mansion da un lato, e le ville di Tylissos dall'altro (Poblome e Dumont).
I margini di manovra del verisimile decentramento amministrativo sono destinati a rimanere oscuri: il modello da proporre dovrà render conto anche del vicino palazzetto alla Turkoghitonià di Archanes o dei documenti amministrativi provenienti da questa località (per la quale E. Sapounà Sakellaraki ha avanzato di recente l'ipotesi di un'esistenza di fabbriche locali di ceramica in stile marino). Gli archivi di Zakros e di ku-do-ni-ja, alle due estremità dell'isola, dimostrano che l'organizzazione di tipo palaziale è ora diffusa in tutta Creta; ma vaga rimane l'ipotesi di N. Platon circa la filiazione cnossia del Palazzo di Zakros, basata su consonanze paleografiche coi documenti della lineare B, su qualche impronta di sigillo o su confronti tipologici per singoli manufatti. Nello stesso comprensorio, l'abitato di Palekastro, sprovvisto al momento di caratteristiche specificamente palaziali, presenta un impianto urbano assai più organizzato e tecnicamente più curato di quello di Zakros; alcuni suoi rinvenimenti, come il già famoso kouros eburneo, proveniente dall'Edificio 5, con noduli e impronte di sigilli, depongono in favore dell'esistenza di élites che hanno poco da invidiare a quelle palaziali. Proprio di recente J. Driessen e J. A. MacGillivray hanno sottolineato, piuttosto, l'assenza di un controllo cnossio nella zona orientale, ipotizzando una specifica indipendenza per gli insediamenti costieri, sul tipo delle città-stato di età storica; e M. Tzipopoulou, riprendendo il problema a proposito dei nuovi dati di Petras Sitias, ha riproposto il dilemma fra completa indipendenza o generale sottomissione a un centro lontano quale Cnosso. G. Rethimiotakis ha evidenziato, d'altro canto, l'omogeneità geografica e culturale dell'area dei Lasithi, gravitante sul centro di Mallia, la cui eredità (e il toponimo?) sarebbe stata raccolta da Littos. Ma qualcosa di nuovo può essere avvenuto anche in questo comprensorio, nel passaggio dall'età dei primi ai secondi palazzi, se è vero che il sistema di controllo e di difesa individuato di recente nel circondario di Mallia, sarebbe stato disattivato in epoca neopalaziale.
Del tutto labili risultano i riferimenti della tradizione letteraria di età greca circa la fondazione di ku-do-ni-ja (sul cui carattere palaziale non ê più lecito avere dubbi) da parte di Minosse; solo uno studio dettagliato dei prodotti di cultura materiale o nuove scoperte (quale il bacino lustrale con dipinture marmorizzate, appena reso noto da M. Vlasakis), potranno chiarire la portata degli interessi cnossii nell'estremo occidente dell'isola e render conto della tarda memoria storica, che sanciva il netto predominio di Cnosso e di Minosse e la sua condizione di talassocratore. La supremazia, affermata senz'altro da Hood, e in qualche modo anche da N. Platon (con la formula del primus inter pares), trova ancora non poche resistenze: i dati qui richiamati a proposito dell'area centro-meridionale assumono quindi uno specifico rilievo.
La nuova situazione nella Messarà della prima fase neopalaziale sembra non subire variazioni di rilievo nella seconda. Il circondario non si sottrae agli eventi naturali del corso del TM IA, per i quali continua a rimanere seducente il richiamo alle vicende di Akrotiri. Il livello di cenere vulcanica individuato in una casa di Mochlos, fra due pavimenti del TM IA e del TM IB, è di evidenza assai maggiore che a Pseira, per tacere delle vecchie osservazioni di S. Marinatos a proposito di Amnisos, o di N. Platon per Nirouchani e Zakros. La situazione di Mochlos trova inoltre impressionante corrispondenza negli insediamenti di Trianda a Rodi e del Serraglio a Coo; sull'evidenza di una distruzione per terremoto alla fine del TM IA nella stessa Cnosso, è tornato da ultimo C. Macdonald. Questa serie di dati recenti, nel confermare in maniera definitiva che la fine del primo abitato di Akrotiri non corrisponde cronologicamente a quella dei palazzi minoici, lascia ancora teoricamente aperto il problema della dipendenza della fine di quelle strutture dall'affondamento della caldera. Apertissimi rimangono, in ogni caso i termini di cronologia assoluta: un'eruzione databile, secondo le ultime proposte, nella seconda metà del XVII sec. (1648-47: sulla base dei picchi di acidità contenuti nei ghiacci della Groenlandia; 1628-27 a.C. sulla base degli effetti delle gelate sui pini delle Montagne a E della California) proporrebbe gravi problemi di raccordo col sistema tradizionale, basato in primo luogo sul cross-dating egiziano. In questo torno di tempo, corrispondente al periodo degli Hyksos, andrebbero fra l'altro ipotizzati, secondo W.D. Niemeier, stretti rapporti con il Levante. Un pavimento affrescato, nel centro cananita di Tel Kabri (Galilea occidentale), costituirebbe un esempio eclatante di tali relazioni.
In assenza di specifiche tracce vulcaniche, l'evento sismico appare la più probabile causa della distruzione TM IA nell'area centro-meridionale. I segni della ricostruzione sono ben evidenti a Haghia Triada, dove un nuovo impianto urbano, finalmente orientato sulla Villa, si sovrappone al precedente, con un tessuto continuo non documentato invece a Festo. Villa e palazzo consolidano quell'anomala complementarietà dei ruoli già denunciata, che induce a riconsiderare non soltanto la tipologia dei Sub-palatial settlements, proposta qualche anno fa dalla Nixon, ma la pluralità stessa delle funzioni comunemente riconosciute a un palazzo minoico, ora autorevolmente ribadita da Hood: nel caso del secondo edificio festio dovremo forse privilegiare l'aspetto religioso o di rappresentanza, rispetto a quello burocratico-amministrativo; dovremo altresì postulare, fra la Villa di Haghia Triada e il vicino palazzo, un legame assai più diretto e organico di quanto comunemente si faccia. Sarà anzi opportuno chiedersi come possa conciliarsi con l'uniformità delle tipologie architettoniche la grande disparità di dimensioni fra i varî palazzi (dai 17.180 m2 di Cnosso ai 4.571 m2 di Zakros, fino all'edificio di Gournià - ora illustrato da J. Soles - esteso circa 1/10 rispetto a quello di Cnosso). E dovremo anche ammettere che sotto la comune etichetta di «ville» si nasconda una varietà di strutture, di funzioni e di gerarchie, tutte probabilmente tese al controllo sistematico del territorio da parte di un'autorità più o meno fortemente centralizzata.
In quest'ottica territoriale vanno letti, nella parte occidentale dell'isola, i recenti dati di Nerokourou e di Petra (questi ultimi riferibili probabilmente soltanto al primo momento dell'età neopalaziale, con un terremoto alla fine del TM IA). Entrambe le fasi neopalaziali sono invece documentate, a oriente, nel centro di Petràs, su una collinetta che si apre sul mare ad appena 1,5 km di distanza dal centro di Sitia, in un abitato sistemato a terrazze: un grosso edificio con cortile, un settore di magazzini e una tavoletta in lineare A, ripropongono il problema della raccolta e ridistribuzione di beni; un muro di cinta o di fortificazione induce invece a reinterrogarsi sulla natura della c.d. pax minoica, contro il cui mito ha preso netta posizione S. Alexiou, ravvisando condizioni di instabilità e insicurezza già in età prepalaziale; nella stessa prospettiva, Ch. Starr ironizza sui Minoans, flower lovers.
La villa di Makrygialos, sulla costa sud-orientale, del TM IB, era situata subito a O dell'insediamento costiero di Diaskari, di recente violentemente asportato dai bulldozer, e aveva un cortile centrale con colonnati e altare; un'ancora trovata nei pressi era forse di tipo votivo. Il complesso neopalaziale di Pyrgos Myrtou viene distrutto alla fine del TM IB e il sito abbandonato fino alla costruzione di un tempio ellenistico. Entrambe le fasi di Petràs si ritrovano a Kastelli Pediados, con due livelli di una strada che G. Rethimiotakis definisce «processionale». Il complesso di Zominthos, il cui scavo sistematico a partire dal 1988 a opera di J. Sakellarakis, è ancora agli inizi, era situato a 1200 m di altezza, sul massiccio dell'Ida; due corpi di fabbrica, accostati ai lati di un corridoio, avevano locali adibiti a magazzini e a botteghe artigiane (un'officina da vasaio); la distruzione per sisma, senza successiva ripresa, daterebbe al TM IA. La peculiare posizione geografica, certamente, collegata all'allevamento del bestiame e allo sfruttamento di specifiche risorse, costituiva anche tappa obbligata, sulla strada per l'Antro Ideo, dei flussi della pietà popolare. Siti di altura vengono ora segnalati (a 1.800 m di altezza) sul massiccio dei Lefkà Ori (nella survey di Sphakià diretta da L. Nixon e J. Moody).
Tipi di costruzioni come quelli appena citati, sono messi da Hood in rapporto con il sorgere di potentati locali, il cui proliferare potrebbe avere indirettamente favorito, attraverso un indebolimento del potere centrale, l'intervento dei Micenei; per alcuni di questi edifici non viene inoltre esclusa una diretta dipendenza dal centro di Cnosso. A strutture di potere ben organizzate e in relazione fra di loro dovrebbe essere lecito attribuire anche il sistema di strade, di rifugi e di posti di guardia (già documentati in età protopalaziale), che un gruppo di lavoro coordinato da Y. Tzedakis indaga ormai da qualche anno.
Un aspetto specifico (anche se in apparenza modesto) dell'organizzazione del territorio e delle strutture socioeconomiche e politiche nell'età neopalaziale è quello dell'articolazione delle botteghe e dei laboratori artigianali sistemati all'interno o nelle vicinanze dei palazzi. Facendo riferimento soprattutto al caso di Zakros, L. Platon ha identificato polivalenti «artigiani palaziali» piuttosto che ateliers palaziali. Insieme con K. Kopaka, lo stesso studioso ha esaminato le tipologie e la distribuzione dei pigiatoi minoici (per vino e per olio), sempre in rapporto alle strutture del potere (evidenziando i contesti «rurali», «cultuali» e «profani» di questi umili ma preziosi indicatori).
Alla organizzazione del territorio rimanda anche il problema della gestione dei luoghi di culto, santuari delle vette in primis. La loro diretta dipendenza dal palazzo, sottolineata fra gli altri da A. Pietfield, è significativamente dimostrata dallo scavo che A. Karetzou conduce sul Monte Iouktas. Il santuario, attivo forse già dal MM IA, è strutturato in forme monumentali proprio in concomitanza con l'inizio dell'epoca neopalaziale, perdendo il suo carattere di «public open-air sanctuary». Un nuovo edificio, identificato di recente subito a Ν del períbolo, nella terrazza III 7 presenta due distinti livelli caratterizzati entrambi da un incendio, assegnabili rispettivamente al MM IIIA e al MM IIIB (di grande interesse, dunque, per la definizione cronologica di questi tormentati periodi). Ineludibile è il problema del rapporto tra il santuario dello Iouktas e quello di Anemospilià che, abbastanza distante dal centro di Archanes, è invece direttamente collegato al primo: il legame con le strutture palaziali non appare così evidente, a giudicare anche dalla relativa autarchia suggerita dalla grande quantità di pìthoi; l'ipotesi di R. Hägg e N. Marinatos, che non si trattasse, per Anemospilià, di un impianto isolato ma relativo a un insediamento agricolo, avrebbe bisogno di una verifica sul campo.
Topograficamente e strutturalmente diverso appare il caso del santuario di Kato Simi, che A. Lebessi scava dal 1976, ben lontano da qualsiasi centro palaziale. Situato a 1130 m di altezza, sulle propaggini meridionali del Monte Dikte, in uno scenario di incomparabile fascino, mostra tracce di frequentazione già nel momento proto-palaziale; ma, significativamente, solo con l'età dei secondi palazzi (attraverso tre distinte fasi architettoniche), prende corpo sullo hieròn òros quell'impressionante continuità di culto (almeno fino al III sec. d.C.), che trova confronto soltanto in grotte come l'Antro Ideo, e adesso anche in quella di Melidoni (già abitate, del resto, in età neolitica). Nonostante la notevole distanza, specifici rapporti coi centri palaziali della Messarà, in relazione anche al commercio dei metalli, sono stati ora proposti per il santuario sul Monte Kophina da G. Rethimiotakis, che ne ha ripreso insieme con A. Karetzou lo scavo. Il periodo di maggiore frequentazione corrisponde alla prima fase neopalaziale; ma è anche documentata una ripresa nel TM IIIC, oltre che in età ellenistica.
La varietà delle soluzioni di controllo del territorio, esemplificata soltanto sulla base degli ultimi scavi, conferma la peculiarità del circondario festio, coi suoi tre poli complementari, a leadership cnossia. Il sistema e l'equilibrio dei c.d. regni protopalaziali (Cnosso, Festo, Mallia) è ora certamente diversificato, in accordo con la maggiore dinamicità delle strutture socio-economiche e con un consolidato esercizio del potere da parte delle classi dominanti. È questo il momento di massimo splendore demografico ed economico per il paese dei Keftiu, della più intensa proiezione esterna (Haghia Irini VI, Filakopì III, Akrotiri, Kastrì di Citera, ma anche le Sporadi meridionali e le coste dell'Asia Minore), del generalizzato controllo (per larga parte probabilmente palaziale) delle rotte commerciali, attraverso un western ma anche un eastern string network (in accordo con le formule di J. L. Davis e W. D. Niemeier), o la più generale espressione della c.d. talassocrazia minoica (indagata nel convegno ateniese del 1982, Minoan Thalassocracy: Myth and Reality). L'esistenza di vere e proprie colonie minoiche, secondo l'ormai classica definizione di Branigan, viene adesso guardata con minore diffidenza: ancora all'AM II-III daterebbe l'arrivo dei primi gruppi cretesi a Kastrì di Citera, al MM quello sul Monte Filerimos, acropoli di Ialysos. N. Marinatos sottolinea, a sua volta, il contenuto religioso dell'espansione minoica, e N. Platon ne ha riconosciuto la molla nell'aspetto marino della Grande Dea minoica, evidenziato ora da Chr. Boulotis.
La rilevanza della proiezione sul mare è stata di recente riproposta per siti come Mallia, mentre l'esame delle tipologie portuali ha consentito utili confronti con l'ambiente cananeo (Raban). D'altro canto, l'enfatizzazione dei giacimenti del Laurion (piombo e rame), conseguenza delle analisi di laboratorio dei coniugi Gale, pone in un contesto più specificamente egeo anche il problema del commercio del metallo. Potrebbe dunque apparire sorprendente l'ipotesi di C. Macdonald che, sulla base soprattutto dei dati di Cnosso, considera già di flessione il momento immediatamente precedente alla distruzione TM IB. In questa prospettiva dell'irradiamento minoico in Egeo, all'interno del quale N. Melas ha cercato di identificare i processi di acculturazione (connessi anche con la mobilità sociale), si colloca lo scavo di Mikrò Vouni a Samotracia, dove D. Matzas continua a trovare (dal 1983) documenti di un archivio di tipo minoico, che assegna a un maturo MM II-MM III; li collega strettamente con l'ambiente cnossio, in funzione anche del commercio palaziale dei metalli, coinvolgendovi ipoteticamente strutture di tipo religioso, il cui culto sarebbe stato ereditato dal Santuario dei Cabiri.
Una violenta, generalizzata distruzione coinvolge, alla fine del TM IB, i secondi palazzi, dei quali solo quello di Cnosso continuerà a essere riusato come tale. L'evento prelude a un periodo piuttosto convulso nell'intero scacchiere egeo. Le diffuse evidenze di un incendio, e la nuova realtà politica costituita dalla dinastia achea della sala del trono a Cnosso (anche se W. D. Niemeier nega uno sbarco così precoce del potere miceneo a Creta), hanno indotto a supporre episodi bellici, dei quali S. Hood ha cercato puntigliosamente le tracce. Sorprende, in questa prospettiva, la mancata spoliazione di edifici quali il palazzo di Zakros o la Villa Reale di Haghia Triada. L'ipotesi di Niemeier, generalmente guardata con sospetto, prende in considerazione una distruzione per conflitti interni cretesi, favorita da terremoti: la proposta prevede inoltre la sola sopravvivenza della dinastia minoica di Cnosso, una prima occupazione da parte di Micenei dei siti minoicizzati della rotta occidentale, la conquista continentale di Cnosso nel TM IIIA1/A2 (contemporaneamente al controllo della rotta orientale), la distruzione definitiva del Palazzo di Cnosso alla fine del TM IIIB.
I nuovi signori micenei, sulla cui consistenza numerica si continua a discutere, ma sulla cui influenza politica, almeno in tutta la Creta centrale, non dovrebbero esistere dubbi, si accingono a gestire una continuità culturale che rimarrà tale fino alla fine del TM IIIB, senza che questo impedisca il riconoscimento di apporti continentali nelle architetture, negli usi funerari, nelle forme ceramiche. I termini del problema miceneo («Les noces d'Ariane et de Thesée», secondo la proposta di Farnoux e Driessen alla tavola rotonda ateniese su La Crète mycénienne), hanno salutarmente sofferto, negli ultimi tempi, delle rivoluzionarie scoperte di Chanià/ku-do-ni-ja, ma anche delle nuove acquisizioni di Mallia, Armenoi, Kommòs, Archanes, Haghia Triada.
L'edizione della Unexplored Mansion (Popham, 1984) e le ricerche sullo «stile di Palazzo» (Niemeier, 1985), che si aggiungono ai ricchi corredi di alcune tombe della regione di Cnosso, hanno approfondito il solco di conoscenze fra la capitale «micenea» e il resto dell'isola nel TM II, nonostante il noto articolo dello stesso Popham, che oltre un decennio addietro (1980) forniva l'elenco dei siti cretesi occupati nella seconda metà del XV secolo. Al deposito della casa E di Mallia, a quelli di Chanià recentemente segnalati da B. Pålsson Hallager (ma vi si registra solo una risistemazione di vecchi edifici!), alle rioccupazioni documentate a Palekastro, corrispondono, nel territorio festio, soltanto i depositi ceramici di Kommòs; ma a riprova del verosimile ridimensionamento si è preferito richiamare una «squatters occupation» anche per il sito costiero. I dati disponibili, in altri termini, continuano a far sospettare che, al di fuori di Cnosso (ma gli scavatori di Chanià vorrebbero forse includere ku-do-ni-ja), possa essersi verificata una sorta di diffuso ripiegamento, con tracce di frequentazione relativamente irrisorie rispetto al momento della grande distruzione della fine del TM IB.
Che la scarsa influenza continentale sulla ceramica dello «stile di Palazzo» e la rada documentazione ancora in lineare A dalla Unexplored Mansion possano esser sufficienti per affermare, come vorrebbero Niemeier e Hiller, la continuità di una dinastia minoica nel Palazzo di Cnosso, è quanto meno discutibile; parimenti debole è l'argomento della stretta continuità stilistica fra ceramica TM II e TM III Ai; e controversa rimane, per la determinazione di un'affinità etnica, l'interpretazione delle warrior graves del TM II-TM IIIA trovate attorno a Cnosso, con corredi non di principi ma di una classe di nobili, culturalmente assai vicini a quelli del continente, secondo Matthäus. Il problema è, in primo luogo, quello della datazione delle tavolette in lineare Β di Cnosso, che continua a far discutere. In una recente monografia, J. Driessen ha proposto di superare il vecchio dilemma cronologia alta-cronologia bassa («the tug of war») respingendo, attraverso un ennesimo riesame dei dati di scavo, il principio della omogeneità cronologica del complesso delle tavolette: almeno tre sarebbero i livelli di distruzione con quel tipo di materiale, senza che se ne possa sempre specificare l'esatta cronologia; le tavolette del Room of Chariot Tablets si riferirebbero, comunque, a una distruzione del TM II-TM IIIA1; la definitiva sarebbe degli inizî del TM IIIA2. Alla vigilia della distruzione del Palazzo di Cnosso, in ogni caso, sia pa-i-to (cioè, probabilmente, l'intero circondario Festo-Haghia Triada) sia ku-do-ni-ja, risulterebbero in qualche modo subalterne a Cnosso: la situazione reitererebbe dunque, almeno in Messarà, la leadership proposta per il momento neopalaziale.
Il fenomeno successivo al violento vanificarsi di quel potere centrale sarebbe costituito da una sorta di parcellizzazione del territorio, attraverso la rivitalizzazione di una serie di centri, propiziata magari da nuovi signori di Cnosso. In questa direzione spingono forse i dati di Haghia Triada, dove già operavano élites capaci di esprimere il noto sarcofago dipinto (di continuo oggetto di nuovi tentativi di esegesi), e dove si pone mano, nella prima parte del TM IIIA2, al nuovo piano urbanistico che, attraverso una doppia fase architettonica, porterà alla realizzazione di un complesso di edifici pubblici finora senza confronti nell'isola: per alcuni di essi è stato giustamente sottolineato da N. Cucuzza, accanto a una componente di tradizione locale, un forte influsso di tipo continentale. A Kommòs la novità di rilievo, più che dalla sistemazione dell'edificio Ν sulle rovine del settore occidentale di T, è rappresentata dall'imponente struttura P, con le sue cinque navate: la provvisoria interpretazione come arsenali confermerebbe, dopo il momento di stasi, il ritrovato coinvolgimento nelle rotte commerciali. E J. Shaw, lasciando intrawedere per la struttura Ρ un uso diverso dagli arsenali, non esclude che la stessa Kommòs o Haghia Triada o una «combination» dei due centri possano identificarsi, sulla base della potenzialità architettonica di immagazzinamento, con la pa-i-to dell'archivio di Cnosso, ivi citata in rapporto a grandi quantità di grano. È questo un momento nel quale i detentori del potere a Cnosso impressero di fatto una svolta policentrica alle strutture socio-politiche isolane, meno pericolosa per gli interessi del continente. La vocazione commerciale di Kommòs, rispetto a una più squisitamente politico-amministrativa di Haghia Triada, sarebbe dimostrata dalle importazioni cipriote (il primo esempio addirittura del MM III), cananee ed egiziane, alle quali ne corrisponde soltanto una decina dal continente greco.
Il problema della cronologia della distruzione micenea di Cnosso è stato clamorosamente riaperto, nel 1989-90, dal rinvenimento di tavolette in lineare Β a Chanià, anche con indicazioni di carri da guerra, in strati assegnati ora al TM IIIB1 inoltrato (1250 a.C. circa): con esse potrebbe prender corpo, ma solo in teoria, quel «regno» di ku-do-ni-ja già proposto da L. Godart sulla base delle anfore a staffa con iscrizioni dipinte sempre in lineare B. Le convincenti argomentazioni di J. P. Olivier sulla identificazione di uno degli scribi di Chanià con quello 115 del palazzo cnossio costringono tuttavia ad ammettere che una delle distruzioni di quel complesso va collocata intorno alla metà del XIII sec. a.C. e che in un momento immediatamente precedente esistevano dei precisi rapporti burocratico-amministrativi (e quindi politici) fra i due centri (data anche la menzione di ku-do-ni-ja nell'archivio di Cnosso!). Nell'ambito di tale articolazione, accanto alle tavolette, un cenno specifico meritano le anfore a staffa con iscrizioni dipinte recuperate negli strati TM IIIB di Chanià. E. Hallager, sulla scorta anche delle analisi delle argille, è stato indotto a identificare forme di commercio (soprattutto d'olio) di tipo palaziale, fra l'insediamento di Chanià e alcuni centri micenei del continente. Un'ulteriore prova delle aperture transmarine di ku-do-ni-ja dovrebbe essere rappresentata dalla c.d. ceramica grigia di tipo italiano o sardo (che è altra cosa dalla barbarian ware) qui, come a Kommòs: ma tali richiami, grazie anche alle puntualizzazioni di L. Vagnetti, non appaiono finora del tutto convincenti. Allo stesso orizzonte cronologico dei nuovi rinvenimenti di Chanià va assegnato il nuovo «Quartier Mu» a Mallia, notevole anche da un punto di vista architettonico, una sorta di mosaico pavimentale, decorato con rettangoli, linee diagonali e spirali, appare finora un unicum (ma v. il mosaico a ciottoli di Tirinto). La costruzione orientale risulta distrutta da un incendio intorno alla metà del TM IIIB; quella occidentale, senza tracce di fuoco, va assegnata ancora all'inizio dello stesso periodo. Quest'ultimo deposito ha restituito due frammenti di anfore a staffa con resti di iscrizione dipinta in lineare Β e una cretula; la loro cronologia consente quindi di considerare contemporanee, nel caso di Chanià, sia le tavolette sia le anfore con iscrizione dipinta.
Un'ulteriore elemento relativo alle distruzioni del TM III e alla loro cronologia è rappresentato dall'interpretazione dei dati di Archanes e dalla loro correlazione con quelli di Cnosso: nel primo centro E. Sapounà Sakellaraki riconosce, dopo quella del TM IB (per lei anche TM IIIA), un'unica distruzione assegnata al TM IIIB1, corrispondente quindi alla datazione delle tavolette di Chanià e probabilmente alla distruzione degli edifici monumentali di Haghia Triada o all'abbandono di Kommòs. La generalizzazione di un tale stato di fatto rimette in discussione non solo la cronologia «alta» della distruzione cnossia, ma l'articolazione stessa del potere nella Creta micenea.
Il nocciolo di tale problema diventa dunque, allo stato attuale, il tipo di rapporto intercorso fra Cnosso e Chanià alla vigilia della distruzione TM IIIB1. Enfatizzando la menzione di ku-do-ni-ja nell'archivio di Cnosso (anche al tempo dello scriba 115), si potrebbe difendere il primato di quest'ultimo centro, magari ammettendo tipi di decentramento (almeno nel TM IIIB1) compatibili con forme multiple di registrazioni, o con spostamenti (anche temporanei) di scribi e funzionari. I rapporti fra i due centri nel corso dell'intero TM III meriterebbero, comunque, di essere approfonditi anche dal punto di vista della produzione artigianale: un primo esame delle ceramiche proposto da B. Pålsson Hallager, documenterebbe la presenza a Cnosso di prodotti delle officine chaniote già nel TM IIIA1.
Centro di potere, fra il XIV e il XIII sec. a.C., appare, accanto a ku-do-ni-ja, anche Haghia Triada che, pur priva finora di documentazione di tipo burocratico-amministrativo, ha restituito l'idea più completa, dal punto di vista monumentale e urbanistico, dell'organizzazione delle nuove «capitali», tanto che non è apparso eccessivo, a qualcuno, il richiamo alle cittadelle micenee: palazzo del nuovo signore è il c.d. mègaron, costruito sopra le rovine della «Villa Reale», rispettandone lo strato di distruzione; magazzini e luoghi di culto non sono più sistemati in quell'unico complesso, ma hanno proprie costruzioni, in alcune delle quali sono chiaramente coglibili le influenze architettoniche continentali. A un gruppo dominante potrebbe essere ricondotto non solo il mègaron che si sistema, secondo l'analisi delle strutture fatta da N. Platon, sopra una delle ville di Tylissos, ma anche il grande edificio Ρ a Kommòs.
La lacunosità dei dati consiglia, in via provvisoria, di richiamare la proposta di J. Driessen sulla molteplicità di distruzioni nel Palazzo di Cnosso, probabilmente a opera di altri potentati micenei, con successive costituzioni o riorganizzazioni di centri di potere locale (Chanià e Haghia Triada in primis). La datazione delle ultime anfore a staffa di ku-do-ni-ja (ivi comprese quelle di fabbrica chaniota rinvenute sul continente) potrà dirci se il tipo di commercio wa-na-ko-te-ro (del «re», e dunque «palaziale») possa scendere fino al momento della distruzione dei palazzi micenei del continente. Appare in ogni caso verisimile, data la posizione geografica di ku-do-ni-ja, che proprio in questo centro possano aver agito gli ultimi gruppi di potere di tradizione palatina a Creta.
Il problema della localizzazione dei diversi centri di potere non può prescindere dai dati delle necropoli. Le oltre duecento tombe a camera del cimitero di Armenoi, con il loro tipo di organizzazione, con la qualità e quantità dei rinvenimenti (riferibili in genere al TM IIIA2-TM IIIB), costituiscono l'espressione di gruppi elitari. Per il relativo, cospicuo abitato (ancora da localizzare), Y. Tzedakis aveva in un primo tempo pensato a un insediamento industriale o artigianale, in rapporto con la lavorazione in loco del metallo; basandosi anche sull'esistenza di un vicino giacimento di rame, preferisce adesso enfatizzare l'aspetto dell'estrazione e del commercio del minerale. Attribuisce inoltre a una bottega del circondario di Rethimno, piuttosto che a fabbrica cnossia, il noto vaso con l'iscrizione dipinta wi-na-jo, con precisi confronti nella Unexplored Mansion. Una delle tombe di Armenoi, del tipo a thòlos, la più antica della necropoli (TM II-TM IIIA), ripropone, dopo gli impressionanti esempi delle due thòloi di Archanes Phournì (che contrastano con gli scarsi resti di ripresa TM III alla Tourkoghitonià), la presenza a Creta di questa particolare struttura funeraria, adesso ben rappresentata nella regione di Amari (Apodoulou, Satas, ecc.) il problema della continuità con le tipologie tombali pre- e protopalaziali, o degli apporti continentali (segnatamente dalla Messenia), è ancor oggi oggetto di discussione; per un'origine locale si è di recente pronunziata A. Kanta; ma la diversità delle soluzioni adottate rende verisimili entrambe le ipotesi. Sempre in ambito funerario, un recinto di forma rettangolare del TM IIIA2 ad Archanes, finora senza confronti nell'isola, è stato senz'altro attribuito da H. Kallitzaki a membri di una famiglia aristocratica micenea.
La seconda parte del TM IIIB, che coinciderebbe col primo episodio dei «Popoli del Mare» e preluderebbe alla caduta dei regni micenei, propone, nell'ambito della produzione ceramica, una serie di nuovi spunti di derivazione continentale, che qualche studioso tenderebbe a mettere in rapporto con l'arrivo di profughi da diverse aree della Grecia. La profonda svolta nell'insediamento di Haghia Triada, oltre che dal disuso delle strutture monumentali, è dimostrata dalle nuove forme di culto, testimoniate dagli ex voto con la tipologia del bovide nell'area del Piazzale dei Sacelli; la presenza di animali di tipo fantastico (sfingi, centauri) sottolinea inoltre specifici rapporti con Cipro. Nello stesso clima di incertezza conseguente allo sfaldamento di consolidate strutture di potere (fra la fine del TM IIIB e il TM IIIC), va riportato il fenomeno degli arroccamenti degli abitati tipo Karphì, collegati da qualcuno con gli Eteocretesi di età storica. La complessità del fenomeno, per restare in ambito puramente religioso, è riproposta dalle fossette di Thronos-Sybrita, per le quali andrebbe verificata l'ipotesi di un vero e proprio santuario all'aperto (magari equivalente ai Tesmophòria di età greca). Di più facile inquadramento sono i dati di Vrondà-Kavousi, dove gli scavatori hanno potuto documentare il persistere nel TM IIIC (e un'occupazione stabile in questo stesso momento è attestata per la più alta cima di Kastro!) di tipologie architettoniche e di arredi di culto ormai desueti nel centro di Haghia Triada. Un sacello con banchina (Building G) ha restituito vasi a tubo e dee con le braccia alzate (almeno 17); tale associazione si ritrova, per esempio, sulla Patela di Priniàs, che potrebbe rappresentare proprio uno di quei casi di arroccamento, con esemplari di dea, considerati a suo tempo da Alexiou sub-minoici e accostati a quelli di Karphì. Caratteri diversi presenterebbe la rioccupazione di Kastelli Pediados, dove G. Rethimiotakis è in grado di distinguere anche fra una fase iniziale e una media del TM IIIC.
Spostamenti e nuovi arrivi (ma diventa sempre più difficile coinvolgervi i Dori della tradizione letteraria!), sono stati collegati al crollo dei regni micenei, per il quale si è tirata in ballo persino la cometa di Halley. L'archivio di Pilo ben documenterebbe, anche senza escludere l'evento sismico proposto da K. Kilian, le paure che precedettero la fine; e la nostra isola non dovette essere certo risparmiata da quel clima di instabilità e di incertezze. Il secondo degli episodi dei Popoli del Mare si colloca nel quinto anno di Ramesse III (all'incirca il 1190); i Ρeleset delle fonti egiziane vengono di solito accostati ai Keretim cretesi; influenze di tipo egeo sono state riconosciute nella ceramica filistea. Ma nel contesto TM IIIB-TM IIIC una collocazione dei Peleset risulta tutt'altro che agevole: a meno di non voler pensare a gruppi di mercenari al servizio delle ultime forme di potere organizzato, divenuti inutili al vanificarsi di quelle strutture. I termini del problema non risultano spostati, ovviamente, dal riconoscimento come cananeo del bronzetto dell'Ashmolean Museum proveniente dalla grotta di Patsòs (Negbi), né dalla presenza di conical cups e pomice nello scalo di Tel Nami, in contesti corrispondenti al TM IIIB (Artzy).
La precaria sintesi proposta sulla base delle acquisizioni più recenti, palesa, indipendentemente dalle strutture politiche, il carattere policentrico della storia cretese. Di questi poli, la pianura della Messarà risulta uno dei più nitidi, geograficamente destinato a un continuo confronto con quello centro-settentrionale attorno a Cnosso. Anche se le abitazioni della moderna Chanià non permettessero di portare alla luce strutture palaziali, non c'é dubbio che il polo di ku-do-ni-ja ha costituito una precisa realtà politico-territoriale, fin forse a esprimere, nell'ultimo periodo, il gruppo di potere più organizzato dell'intera isola. Gli strati di distruzione AM II e MM IA, i cocci Kamares egg-shell, individuati di recente, autorizzano addirittura a chiedersi se non si debba riconoscere uno specifico ruolo a ku-do-ni-ja anche in età protopalaziale, magari in linea con l'ipotesi di N. Platon che tenacemente sosteneva l'esistenza di un primo palazzo pure a Zakros.
Il triangolo Festo-Haghia Triada-Kommòs permette invece di affermare una sorta di complementarietà di funzioni all'interno di un unico territorio; e non ci sentiamo di escludere, sulla base di indizî già palesi, che ricerche future permettano di estendere ad altri circondari un tal tipo di formula. La leadership cnossia, che abbiamo creduto di dover proporre alméno per l'intera fascia centrale, corrisponderebbe cronologicamente alla c.d. talassocrazia. Le accresciute ambizioni dei Micenei, il disastro di Thera, il crollo del «Minoan Commonwealth», sono autentici strappi nella storia dell'Egeo, che si decantano nella nuova realtà della Sala del trono micenea a Cnosso. Il progressivo ridimensionamento internazionale dell'isola di Minosse viene scandito dalla documentazione egiziana, anche se la provincia micenea di Creta, nel XIV sec., si trova ancora inserita nelle grandi rotte del commercio. Sarà l'èpos omerico a sancire un ruolo ormai secondario: se Idomeneo guida nell'Iliade ottanta navi dell'isola έκατόμττολις (Horn., IL, II, 649), nell'Odissea il re di Itaca può impunemente narrare a Penelope, per non farsi riconoscere, di essere Etone fratello di Idomeneo e di avere ospitato Odisseo, naufrago, in Amnisos (Horn., Od., XIX, 172 ss.). Creta è ormai una terra remota e inaccessibile.
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Fine della civiltà micenea e Dori, in rapporto anche a Creta: D. Musti (ed.), Le origini dei Greci, cit., passim. - Ipotesi sulla cometa di Halley: A. Galanopoulos, I. Xantaki, in PraktAkAth, LX, 1988, pp. 411-425. - Peleset e Popoli del Mare: G. Bunnens, I Filistei e le invasioni dei popoli del mare, in D. Musti (ed.), Le origini dei Greci, cit., pp. 227-256; G. Garbini, "Popoli del mare», Tarsis e Filistei, in Momenti precoloniali..., cit., pp. 235-242; T. Dothan, M. Dothan, People of the Sea. The Search for the Philistines, New York 1992. - Bronzetto canaaneo nella grotta di Patsòs: O. Negbi, A Canaanite Figurine in Late Minoan Crete, in Πεπραγμενα του Δ ' Διεθνούς Κρητολογικου Συνεδρίου, Ηρακλειον 1976, Atene 1981, I, I, pp. 363-366. - Materiali di tipo cretese da Tel Nami: M. Artzy, Conical Cups and Pumice. Aegean Cult at Tel Nami, Israel, in Thalassa..., cit., pp. 203-205.
Transizione alla Dark Age: L. Godart, I. Tzedakis, La Crète du Minoen Récent IIIB à l'époque géométrique, in La transizione dal Miceneo all'Alto Arcaismo..., cit., pp. 187-195; H. van Effenterre, Développements territoriaux dans la Crète post minoenne, ibid., pp. 197-206.
(V. La Rosa)
Civiltà micenea. - Pur non intendendo dare un resoconto completo delle scoperte avvenute nell'ultimo ventennio, delle quali si troveranno informazioni sotto le singole voci, si cercherà di offrire un sintetico panorama della civiltà micenea stessa, mettendo in evidenza soprattutto quanto sia dovuto a nuove scoperte e non tralasciando un'informazione più specifica sulle diverse manifestazioni artistiche. L'immensa quantità di nuovi dati, spesso ancora necessitanti di un approfondito vaglio critico, nell'insieme costituiscono un potenziale eccellente per una sempre miglior comprensione degli aspetti fondamentali della tarda Età del Bronzo nella penisola greca e dei molteplici e complessi legami intrattenuti con aree esterne.
Le origini. - Appare ormai chiaro che i processi formativi della civiltà micenea sono stati piuttosto lenti e assai più complessi di quanto non si credesse in passato e che inoltre i modelli di strutture socio-economiche, di insediamento e di cultura materiale che caratterizzano l'Argolide e la Messenia protomicenee all'inizio del Bronzo Recente non vengono immediatamente adottati in altre regioni della Grecia peninsulare.
Lo scavo e l'edizione del Circolo funerario Β di Micene, nonché lo scavo e lo studio di altri complessi del periodo di passaggio fra Bronzo Medio e Bronzo Recente, quali alcuni contesti di Asine, Argo, Lerna, Atene (pozzi dell'Acropoli) e varie località della Messenia, hanno permesso a più di uno studioso di proporre analisi cronologiche e culturali del periodo formativo della civiltà micenea. I recenti scavi di Tzoungiza (presso Nemea) e di Kiapha Thiti in Attica permettono di integrare con dati di insediamento le osservazioni condotte in passato principalmente su contesti funerari.
I contesti funerari peraltro sono quelli che continuano a fornire il maggior numero di dati per lo studio della civiltà micenea ai suoi inizi, del processo di differenziazione sociale e di formazione di élites dominanti che la caratterizza, nonché delle varie e diverse influenze provenienti da altre aree, soprattutto Creta e le Cicladi, chiaramente identificabili nella cultura materiale e soprattutto nell'artigianato artistico.
Gli sviluppi in questione cominciano a verificarsi nelle tarde fasi del ME e oggi si tende a non dare particolare rilievo all'introduzione dello stile ceramico detto TE I che, influenzato dal patrimonio artigianale cretese del TM IA, ha luogo soprattutto in Messenia e in Argolide, senza peraltro soppiantare del tutto la produzione di ceramica «matt-painted» che continua almeno sino all'inizio della fase ceramica denominata TE IIIA.
È invece assai significativa la trasformazione dell'architettura funeraria: accanto alla continuazione dell'uso della tomba a cista di tipo mesoelladico, si affermano tombe a fossa allungata, racchiuse in un peribolo (circoli funerari di Micene), tombe ipogeiche scavate nel banco di roccia (a camera) o a volte costruite, di pianta circolare, e coperte da una volta a falsa cupola (thòlos). Quest'ultima tipologia tombale si afferma soprattutto in Messenia, forse sintetizzando in sé elementi delle tombe a camera, delle tombe circolari cretesi e dei tumuli mesoelladici.
Queste caratteristiche, inizialmente identificabili solo in alcune aree della penisola greca, si diffondono e si radicano a partire dalla fase ceramica TE HA, come possiamo constatare dalla esistenza di thòloi in Laconia (Vaphiò), in Attica (Thorikòs) e di tombe a camera (area di Volos).
L'influenza minoica è avvertibile, almeno fino alla fase ceramica TE HA, in varî aspetti dell'artigianato artistico (vasellame metallico, glittica, oreficeria) e in una speciale classe ceramica - i vasi nello «stile di palazzo», di grandi dimensioni, caratteristici dei ricchi corredi delle thòloi. La serie di distruzioni che hanno luogo a Creta alla fine del TM IB, in certo senso pongono fine al magistero cretese nella sfera artistica e artigianale e permettono lo sviluppo di un gusto più specificamente miceneo. In prosieguo di tempo (fase ceramica TE IIB), anche in seguito agli eventi politico-militari che probabilmente portarono i Micenei a inserirsi a Creta, si verifica una corrente inversa di influenza artistico-artigianale dalla penisola greca verso l'isola di Minosse.
In questa fase si hanno indizî dell'esistenza di edifici complessi e di grandi dimensioni (Menelàion presso Sparta, Nichoria in Messenia) che possono forse essere considerati l'immediato precedente dei palazzi. Continua e si espande la popolarità delle tombe a camera, ma vengono ancora costruite tombe a thòlos come quella di Kokla, recentemente scoperta in Argolide. Ai margini del mondo miceneo continuano in uso forme di architettura funeraria di tipo mesoelladico, come è dimostrato dalla necropoli di tombe a cista con sepoltura singola venuta in luce presso Iolkos in Tessaglia.
Espansione e consolidamento. - Il momento di consolidamento economico e politico miceneo coincide con la fase ceramica detta TE IIIA1, quando sembra che vengano fondati alcuni dei palazzi che divennero successivamente i centri politici della penisola greca. Un secondo edificio viene costruito al Menelàion e alcuni degli edifici palaziali di Tirinto, Nichoria, Pylos, Iolkos e, forse, di Tebe, probabilmente risalgono a questa fase, anche se è in generale molto difficile stabilire la data di costruzioni di edifici che vengono poi rimaneggiati in epoche successive o obliterati da nuove costruzioni. La realizzazione della fortezza di Già in Beozia sembra risalire alla fine di questa fase.
Nel corso del TE IIIA1 si coglie lo sviluppo e il consolidamento di un processo di espansione micenea al di fuori dei confini della Grecia peninsulare. Analogamente a quanto visto per Creta, i rinvenimenti archeologici testimoniano di un deciso inserimento miceneo in altri ambienti insulari, quali Milo e Ceo nelle Cicladi occidentali e il Dodecaneso nell'Egeo orientale.
Le cittadelle micenee nel loro aspetto di acropoli fortificate con un palazzo e con altri eleganti edifici pubblici e privati, non divengono realtà fino alla fase ceramica TE IIIA2. A tale periodo e non prima sembra risalire anche la vera e propria organizzazione palaziale con archivi di tavolette, un sistema di registrazione mutuato da Creta, dove, come abbiamo ricordato, i Micenei esercitarono influenza, e forse potere, dopo le distruzioni del TM IB.
Nel periodo di massimo splendore palaziale si verifica anche un forte aumento demografico, come si può dedurre dal numero e dall'ampiezza degli insediamenti, nonché dall'estensione delle necropoli nelle quali i defunti, anche se di condizione sociale non particolarmente elevata, sono frequentemente accompagnati da opulenti corredi funebri. Il tipo di tomba più comune è a camera e numerose sono quelle il cui uso inizia in questa fase. Nella maggior parte delle tombe a thòlos non si seppellisce più, ma alcune fra le più monumentali, quali quelle di Atreo e Clitennestra a Micene, vengono costruite in questo periodo. Più raro l'uso di sepolture sotto tumulo, conosciute comunque soprattutto nel Peloponneso occidentale.
L'elevato grado di raffinatezza dell'artigianato artistico è visibile nella lavorazione della pietra, del metallo, dell'avorio, della faïence, della pasta vitrea e nella formazione di stili ceramici particolari, come il ben noto stile «pittorico» che ha un riconosciuto centro di produzione in Argolide (Berbati). Sono molto frequenti le figurine fittili, prevalentemente femminili, ma anche raffiguranti animali o gruppi umani multipli in atteggiamenti complessi. Si conoscono anche alcune figure fittili di grandi dimensioni, con corpo cavo.
Nel corso della fase ceramica TE IIIB, attualmente divisa almeno in Argolide in due sottofasi con caratteristiche tipologiche distinte e verificate, vengono erette le grandi fortificazioni con relative sofisticate opere di ingegneria idraulica (fontana Perseia di Micene) per garantire l'approvvigionamento d'acqua in caso di assedio. Questo elemento dà la tangibile dimostrazione dell'esistenza di minacce militari, anche se non è facile definirne l'origine. Inoltre il fatto che non tutti i centri palaziali vengano fortificati (non lo sono Pylos, Orchomenòs e Iolkos) aggiunge un elemento oscuro a ogni possibile ricostruzione storica delle vicende che portarono alla fine dei palazzi micenei.
Nella prima parte del IIIB continua comunque una situazione di prosperità economica e sono noti molti depositi di insediamento a causa delle numerose distruzioni che segnano la fine del TE IIIB1. Gli edifici palaziali, così come li conosciamo oggi, sono prevalentemente attribuibili al IIIB che è la loro ultima fase di vita e di uso. A Pylos, esempio particolarmente ben conservato, è possibile cogliere la complessità architettonica e la grande diversificazione di uso dei varî ambienti del palazzo che accanto a spazi di tipo pubblico, di rappresentanza e di culto, allinea quartieri di abitazione, magazzini, laboratori artigianali e ambienti di servizio.
Il tipo di tomba più usato è ancora quello a camera, mentre tumuli, ciste e pozzetti sono rari.
Il periodo postpalaziale. - Dopo l'ondata di distruzioni alla fine del TE IIIB i palazzi non vengono ricostruiti e cambia il sistema economico, che non presenta più la forte centralizzazione delle fasi precedenti, ma si volge a sistemi organizzati piuttosto per «unità domestiche».
Il periodo piuttosto lungo, che corrisponde alla fase ceramica TE IIIC è stato oggetto di numerosi studi ed è
stato suddiviso in tre sottofasi (antica, media e tarda) che oltre a corrispondere a mutamenti negli stili ceramici, presentano anche indizî di differenziazioni specifiche.
In primo luogo bisogna sottolineare che, pur essendo caratterizzato da instabilità, spesso culminante in episodi di distruzione violenta in varie aree della Grecia, non può essere definito esclusivamente come fase di decadenza, quanto di aggiustamento a situazioni nuove con una notevole ripresa nella fase media. La vita continua nelle cittadelle di Micene e Tirinto, si interrompe a Pylos, Zygouriès, Berbati, Prosymna. Prosperano siti importanti quali p.es. Korakou in Corinzia, Lefkandì in Eubea e Teichos Dymaion in Acaia. Gli abitati, come nella città bassa di Tirinto, vengono organizzati in insulae, in modo non dissimile da abitati levantini e ciprioti.
Nella fase media del TE IIIC esiste una grande varietà di stili ceramici regionali che è indizio di un nuovo impulso artigianale.
La grande e ricca necropoli di Peratì in Attica, i cui corredi denotano forti legami transmarini, è un esempio di zona in espansione. Continua qui e in altre necropoli la preferenza per le tombe a camera, ma ai margini del mondo miceneo vengono costruite e usate piccole tombe a thòlos, di tipo non monumentale, forse evocative di un tipo ancestrale di sepoltura di rango, un tempo in uso nei «centri del potere».
In alcune tombe a camera fa la sua comparsa la pratica della cremazione, prima in aree periferiche come il Dodecaneso, in stretto contatto con le culture anatoliche presso le quali l'uso della cremazione ha storia assai lunga, e successivamente in Grecia peninsulare.
Un sito di particolare importanza per la fase postpalaziale in ambiente insulare, messo in luce da scavi recenti, è la rocca di Koukounariès a Paro. Fondata su un roccione molto scosceso e prospiciente il mare, racchiude edifici di notevole complessità, impropriamente definiti come «palazzo», all'interno dei quali sono state trovate abbondanti e ricche suppellettili giacenti nello strato di distruzione violenta, da porre in un momento non avanzato del TE IIIC.
Le fasi più avanzate del TE IIIC rappresentano un momento di impoverimento. Fra i pochi abitati con continuità di vita è la città bassa di Tirinto.
Vengono ancora usate tombe a camera di antica fondazione, ma ritorna in uso la sepoltura in cista, di vecchia tradizione mesoelladica, a volte sotto tumulo, ma più spesso nella forma di nuove necropoli di tombe individuali, con frequente utilizzo della cremazione, forse anche per il decadere del concetto di tomba di famiglia.
Questo tipo di organizzazione prosegue anche nella fase detta Submicenea, conosciuta quasi esclusivamente da necropoli, la cui definizione come fase a sé stante è stata messa a più riprese in discussione, anche se l'individuazione di strati di abitato attribuibili a tale fase a Tirinto e a Kalapodi sembrerebbe adesso rendere più fondato l'uso di tale termine.
Arte e Artigianato. - Architettura. La nascita del palazzo nella penisola greca sia per gli aspetti architettonici che per gli aspetti socio-economici è uno dei problemi di maggiore interesse. È attualmente opinione corrente che dal punto di vista architettonico non si possa parlare di edifici palaziali in epoca anteriore al TE IIIA. Alcuni importanti scavi, specialmente quelli del Menelàion presso Sparta, hanno però messo in luce resti architettonici abbastanza imponenti e complessi da far ritenere plausibile che si sia in presenza dell'immediato precedente delle vere e proprie strutture palaziali. Al Menelàion sono stati messi in luce i resti di due edifici sovrapposti, il più antico dei quali risale probabilmente al TE IIB e ha una planimetria tripartita al centro della quale è una struttura del tipo comunemente detto «a mègaron» che, come è ben noto, rappresenta il cuore delle strutture palaziali più recenti.
Numerose ricerche hanno anche raccolto nuovi dati per il sito palaziale di Tebe, anche se la localizzazione dei resti antichi sotto la città moderna rende assai difficile una lettura organica della topografia e dell'architettura del sito.
Tre mègara, forse parte di un unico complesso e probabilmente databili nel TE IIIA2, sono stati messi in luce a Orchomenòs, ma sono completamente inediti.
Le fortificazioni, altro elemento caratteristico delle cittadelle micenee, sono state studiate in qualche caso in modo approfondito. Le cinte fortificate costruite con pietre non lavorate di Kakovato e di Pylos in Messenia, alle quali si aggiunge ora quella di Kiapha Thiti in Attica, risalgono all'inizio della tarda Età del Bronzo.
Micene, Tirinto e Midea in Argolide, Atene in Attica e Già in Beozia hanno gli esempi più imponenti e ben conservati di mura ciclopiche. Insieme a queste grandiose realizzazioni di tecnica edilizia, di architettura monumentale e di difesa militare, destinate allo stesso tempo a celebrare il potere e a difendere le cittadelle e le loro ricchezze, vengono realizzate importanti opere idrauliche che assicuravano l'approvvigionamento d'acqua in caso di un lungo assedio militare.
Non è facile identificare le origini dell'urbanistica micenea e stabilire una chiara relazione fra abitato e palazzo specialmente all'inizio della tarda Età del Bronzo. Intorno alle cittadelle sono riconoscibili edifici di varia destinazione, case aristocratiche, unità abitative più modeste, edifici di culto, botteghe artigianali.
Alcuni edifici di architettura particolarmente accurata, provvisti di colonne e adorni di pitture parietali e di pavimenti decorati, sono stati identificati con residenze di famiglie aristocratiche legate al palazzo. A Micene e a Tirinto abbiamo parecchi esempi di tali residenze erette nel periodo palaziale immediatamente al di fuori della cinta di mura, mentre nel periodo di crisi della fine del TE IIIB edifici abitativi di questo tipo vengono costruiti all'interno delle mura.
Non abbiamo ancora una chiara visione dello sviluppo dell'architettura urbana micenea. Nel periodo più antico conosciamo abitati formati da case composte da una o due stanze costruite una accanto all'altra. In seguito si sviluppano piante più complesse con cortili e corridoi che collegano le varie stanze. Dal TE IIIA in poi si sviluppano in tutto il mondo miceneo edifici che presentano stanze in serie collegate anche da scale a un ambiente che ricorda il mègaron. Si distinguono ambienti-magazzino e altri dedicati alla vita quotidiana o a funzioni speciali. In queste residenze aristocratiche si riproduce in piccola scala la complessità e pluralità di funzioni dei palazzi.
Alcune case sotto la cittadella di Micene quali la «Casa del Mercante d'Olio», la «Casa delle Sfingi», la «Casa degli Scudi», dove sono state rinvenute tracce cospicue di materiali agricoli immagazzinati, di materie prime semipreziose, di oggetti di artigianato artistico finiti o in corso di lavorazione, ci danno un vivace esempio delle attività che si dovevano svolgere al loro interno.
Con la fine del periodo palaziale riemergono schemi più antichi, forse viene meno l'uso del secondo piano che era quello più esposto ai danni da terremoto. Quanto avviene dopo questo periodo di crisi può essere studiato in particolare a Tirinto dove gli abitanti del TE IIIC ritornano a costruire con fondazioni poco profonde e poco robuste e abitano in case con poche stanze, di limitate dimensioni.
Per quanto concerne i luoghi di culto, nei palazzi essi sono riconoscibili per particolari attrezzature quali altari, tavole sacrificali, piedistalli e arredi di carattere sacro. Infatti non è possibile identificare con precisione un modulo architettonico che sia collegabile alla destinazione cultuale.
Il centro di culto di Micene scavato in anni recenti si presenta invece come un complesso architettonico autonomo, collegato da un lato al circolo funerario A, luogo di culto degli antenati, e dall'altro, attraverso un sentiero, al palazzo. Gli edifici principali di questo complesso sono il c.d. Tempio Γ, un edificio rettangolare diviso in due ambienti uno dei quali aveva un focolare a ferro di cavallo, una tavola sacrificale e una fossa per libagioni. A O di esso, separato da una corte di forma irregolare, era la c.d. Casa degli Idoli nel cui seminterrato sono state rinvenute un gruppo di figure umane fittili di notevole dimensione e di tipologia eccezionale.
Un altro centro di culto di età micenea di particolare importanza, messo in luce in anni recenti, è quello di Filakopì, nell'isola di Milo, collocato nella zona meridionale dell'abitato, presso le fortificazioni. Si tratta di due sacelli rettangolari, tangenti per un angolo, costruiti in due momenti diversi, rispettivamente TE IIIA2 il sacello a O e TE IIIB1 il sacello a E. Ambedue furono in uso fino alla fine della fase antica del TE IIIC; dopo una prima distruzione e un breve riutilizzo esso fu abbandonato nelle fasi avanzate del IIIC. La suppellettile trovata all'interno dei sacelli comprende un numero notevole di figure fittili, umane e animali, molte delle quali di tipologia micenea.
Scultura. - È ben nota la limitatezza della documentazione relativa alla scultura micenea. A parte l'esempio, che permane unico, della Porta dei Leoni di Micene, conosciamo le stele a rilievo dei Circoli A e Β sempre di Micene, che sono decorate con scene di caccia o di battaglia. Non abbiamo praticamente altri esempi significativi di sculture in pietra e il piccolo corpus conosciuto non è significativamente aumentato in tempi recenti.
Diversa è invece la situazione della statuaria in terracotta a proposito della quale non possiamo omettere di citare le grandi figure femminili di Ceo che, pur non essendo ascrivibili alla cerchia artistica micenea, danno un significativo contributo alla conoscenza della plastica egea.
La situazione delle nostre conoscenze è infine radicalmente mutata per quanto concerne le figurine in terracotta dei ben conosciuti tipi a Phi, Psi e Tau, cui si debbono ora aggiungere figure di maggiori dimensioni con corpo cavo e con decorazione dipinta complessa, quali quelle dai centri di culto di Micene, Tirinto e Filakopì. Accanto alle figure umane conosciamo un certo numero di figure animali eseguite con la stessa tecnica.
Le figurine di piccole dimensioni, rinvenute sia in tombe sia in abitati (talvolta, ma non sempre, in contesti con connotazioni cultuali) sono state oggetto di studi sistematici che ne hanno stabilito la sequenza tipologica e cronologica. A un primo gruppo «naturalistico», databile nel TE II/IIIA1, nel quale sono ben presenti i particolari anatomici e i lineamenti del volto, che si suppone derivare da influenza cretese, seguono il tipo a Phi, caratteristico soprattutto del TE IIIA2 e il tipo a Psi, che si sviluppa con un'articolazione interna nel TE IIIB e nella prima parte del IIIC. Il tipo a Tau, che ha una distribuzione assai più limitata degli altri, sembra essere assegnabile soprattutto al IIIB avanzato, anche se potrebbe essere iniziato nel IIIA2. Non mancano, anche se non sono frequenti, immagini più complesse, quali figure a cavallo o su cocchio, o sedute in trono.
Le figure di grandi dimensioni, con corpo cavo plasmato alla ruota, sono state distinte dalla French in due categorie principali. La prima, di non grandi dimensioni, con decorazione dipinta con motivi che richiamano la ceramica; la seconda di grandi dimensioni con particolari plastici aggiunti. Quest'ultima categoria è per ora nota solamente a Micene.
Una categoria di figure che è invece nota solo a Filakopì è quella delle figure maschili, di dimensioni mediograndi e con attributi sessuali ben evidenziati.
Pittura. - I nuovi scavi hanno considerevolmente aumentato il non abbondante corpus della pittura micenea, anche se alcuni fra gli esempi più interessanti sono ancora del tutto inediti o sono stati resi noti solamente in forma preliminare. Le nuove pitture più significative sono i diversi cicli rinvenuti nel centro cultuale sulla cittadella di Micene. Altri affreschi sono venuti in luce a Orchomenòs a Tirinto e ad Argo (Aspis).
D'altra parte le straordinarie scoperte di Akrotiri a Thera hanno stimolato un nuovo e accresciuto interesse per le manifestazioni pittoriche nel bacino dell'Egeo, sia dal punto di vista iconografico e stilistico, sia dal punto di vista dei contenuti ideologici e religiosi.
I numerosi e recenti studi specifici contribuiscono a mettere ben in evidenza gli aspetti peculiari della pittura micenea, integrando nel panorama generale i nuovi dati e confermando nella sostanza le linee di sviluppo già note.
Anche se recenti ritrovamenti di Tirinto indicano che l'uso di decorare le pareti con pitture non figurate risale alla fine del periodo mesoelladico, in generale per quanto riguarda la penisola greca non abbiamo ancora testimonianze sicure dell'esistenza di pittura figurata parietale risalente alle primissime fasi micenee. A parte qualche testimonianza di pittura parietale e pavimentale risalente forse al XV sec., la maggioranza delle pitture che ci sono pervenute si datano al XIV e XIII sec. e nessuna di esse può essere ricondotta cronologicamente con certezza a una fase postpalaziale.
È confermato che la prima fase di sviluppo è strettamente dipendente dai modelli cretesi, sia nello stile sia nel repertorio iconografico, con netta preferenza per le scene processionali. Non si conoscono per il momento (con la sola possibile eccezione di Tirinto) pitture di soggetto naturalistico, con elementi tratti dal mondo vegetale e animale caratteristiche di Creta e di centri minoicizzati come Ceo e Thera. Segue poi una fase nella quale si affermano temi iconografici legati all'ideologia guerriera che pervade la società micenea, con scene di veri e propri combattimenti. Alla stessa ideologia gentilizia si possono collegare le scene di caccia al cinghiale e al cervo.
La pittura pavimentale, che nella Grecia micenea sembra rigorosamente limitata ad ambienti palaziali, utilizza generalmente riquadri e scacchiere nelle quali solo raramente si inseriscono motivi figurati, prevalentemente derivati dal repertorio marino. Un caso, per ora del tutto isolato, è la decorazione del pavimento della casa 49 della città bassa di Tirinto eseguita in piccoli ciottoli che formano motivi decorativi con una tecnica che anticipa quella dei mosaici a ciottoli del V sec. a.C.
È documentata, ma in modo assai limitato, la decorazione pittorica su pareti di tombe, prevalentemente all'esterno o sulle pareti dello stòmion, a sottolineare l'ingresso monumentale. Un caso di recente identificazione è quello delle tracce di pittura al di sopra dell'ingresso della thòlos di Kokla, in Argolide, che fra l'altro, essendo stata costruita probabilmente nel TE IIB, fa di queste pitture una delle testimonianze più antiche conosciute di pittura parietale. Del tutto inedite restano le pitture di una tomba di Tebe, probabilmente del TE IIIA, nel cui stòmion sarebbero state identificate figure femminili.
Un aspetto del tutto nuovo della pittura micenea è quello delle làrnakes dipinte, rinvenute a decine nella necropoli di Tanagra (v.) in Beozia. Purtroppo lo stato assai preliminare dell'illustrazione di questi monumenti e delle tombe nelle quali sono stati rinvenuti rende molto difficile fissarne la cronologia e inserirle in un panorama generale della pittura micenea. È comunque ben chiaro che in esse prevalgono soggetti di contenuto funebre, come processioni di piangenti e addirittura la scena della deposizione del defunto nella làrnax, che anticipano temi che saranno sviluppati soprattutto nella Grecia geometrica. Altre scene comprendono temi di caccia, sfilate di carri e figure volteggianti sul toro, secondo la tipica iconografia minoica. Non è escluso che alcune làrnakes possano essere datate al TE IIIC, periodo nel quale la grande pittura parietale non viene più eseguita e i pittori trasferiscono su altre categorie di monumenti la loro opera.
Fra i monumenti più significativi che sembrano ereditare temi e composizioni della pittura parietale è il famoso «vaso dei guerrieri» al quale è stata spesso avvicinata una stele riutilizzata e rinvenuta in una delle tombe a camera di Micene. Sulla stele, originariamente decorata a incisione, è stato steso uno strato di intonaco sul quale sono state tracciate, con la tecnica dell'affresco, figure di guerrieri incedenti, molto simili a quelle presenti sul ben noto vaso.
Ceramica. - Fra le produzioni artigianali quella della ceramica, oltre a esserci pervenuta in modo particolarmente abbondante rispetto ad altre categorie, è quella che è stata meglio studiata e che, grazie alla differenzazione tipologica e stilistica molto netta nelle diverse fasi, ha permesso di costruire una cronologia relativa della sequenza micenea. In buona misura dalla ceramica e dalla sua diffusione in aree non micenee, per le quali sia nota una cronologia assoluta «storica» quale soprattutto l'Egitto, dipende anche la cronologia assoluta della civiltà micenea oggi in uso corrente.
La sequenza tipologica e stilistica stabilita dal Furumark e pubblicata nel 1941 è tuttora in uso nelle sue linee essenziali, ma i dati derivanti da scavi recenti, soprattutto in abitati stratificati, integrati da studi specifici stilistico-tipologici e distributivi, hanno consentito un notevole approfondimento delle conoscenze e prodotto qualche sostanziale modifica. Gli studi dovuti soprattutto a E. B. French e P. A. Mountjoy hanno reso disponibili nuovi importanti strumenti di lavoro.
Le caratteristiche principali delle varie fasi ceramiche possono essere così sintetizzate:
TE I. La ceramica micenea ai suoi inizî mutua una serie di elementi, soprattutto tecnici e decorativi, dal mondo minoico. In particolare è caratterizzata dall'uso della ruota, dalla pittura scura, brillante su fondo chiaro, dall'adozione su larga scala di motivi vegetali e figurati e dall'accresciuto uso di motivi curvilinei. Queste caratteristiche tecnico-decorative sono quasi sempre confinate a piccoli contenitori o tazzine, nei quali spesso la decorazione di gusto minoico è applicata su forme continentali. Il vasellame di grandi dimensioni, di uso domestico e non, continua a essere prodotto in tecnica matt-painted, di origine mesoelladica; restano in uso anche altre classi ceramiche della stessa origine come la ceramica minia.
TE IIA. Continua la forte influenza minoica e le analogie con la ceramica del TM IB sono strettissime, dando luogo a uno specifico repertorio di forme dette «palaziali», spesso influenzate da forme metalliche. A esse si contrappongono forme di origine greco-continentale, le cui radici sono ancora da ricercare nel periodo mesoelladico e che sono dette in generale «domestiche». La decorazione occupa spesso una larga parte della superficie disponibile; hanno particolare favore motivi vegetali complessi e il c.d. stile marino, che deriva in modo molto stretto dal repertorio cretese.
TE IIB. È una fase meno ben conosciuta per il limitato numero di depositi stratificati. La caratteristica principale è l'abbandono delle forme del c.d. repertorio palaziale e lo sviluppo di forme originali, quali il c.d. calice efireo, assolutamente rappresentativo del periodo.
TE IIIA 1. È una fase breve, per alcuni aspetti non sempre facilmente distinguibile dalla precedente, caratterizzata però dall'inizio di una produzione standardizzata ad ampia diffusione, nella quale i motivi fitomorfi e zoomorfi assumono una forma assai schematizzata. Una speciale tecnica decorativa, che inizia in questa fase e continua nella successiva, è l'incrostazione della superficie dei vasi con una sfoglia di stagno, allo scopo di imitare il vasellame d'argento che, qualche volta, era deposto nei corredi delle tombe più ricche.
TE IIIA 2. È la fase ceramica che caratterizza il momento di massima espansione e splendore della civiltà micenea. Il materiale noto attribuibile a questa fase è numerosissimo e proviene in maggioranza da tombe, dal momento che la continuità di abitazione nei centri principali non ha permesso di individuare, altro che raramente, strati indisturbati del periodo. Continua il processo di standardizzazione delle forme e del repertorio decorativo. La decorazione è in generale distribuita in zone ben definite, limitate da gruppi di bande, con ampi spazi risparmiati. Parallelamente comincia la produzione di vasi decorati con scene complesse, spesso di tipo militare, generalmente sulla speciale forma del cratere anforoide. Il vasellame di questo tipo, detto di stile «pittorico», ha una particolare popolarità a Cipro, anche se, grazie alla scoperta di un'officina di produzione a Berbati in Argolide, e ad analisi archeometriche condotte su esemplari trovati a Cipro, appare assai probabile che esso sia originario della penisola greca.
TE IIIB. Nell'ambito della fase è stato possibile recentemente operare una distinzione in due sottofasi - TE IIIB1 e TE IIIB2 - valida però esclusivamente per l'Argolide. L'elemento distintivo è dato dalla diversa tipologia formale e decorativa delle ciotole biansate profonde che, nella fase B2, hanno un'ampia banda all'orlo e l'interno dipinto completamente in nero. Dal punto di vista della decorazione continuai l'uso di motivi ben definiti nel corso del TE IIIA2, in generale con una diversa sistemazione sintattica. Diviene popolare la decorazione a pannelli, ma alcune classi ceramiche sono talvolta decorate da un unico motivo centrale che invade anche il gambo (kỳlikes del c.d. stile di Zygouriès e ciotole con decorazione a rosetta).
Continua la produzione di vasellame di stile pittorico, con un repertorio decorativo meno ricco e con predilezione per serie di animali.
TE IIIC. Questa lunga fase presenta nel corso del suo sviluppo una progressiva semplificazione della decorazione. Un'altra tendenza evidente è quella della regionalizzazione, ovvia conseguenza della scomparsa dell'organizzazione palaziale che era stata la condizione necessaria per la formazione di una certa koinè artigianale. La monotonia decorativa della maggior parte del periodo è interrotta nella sua fase media dalla comparsa di «stili» elaborati quali il c.d. close style, caratterizzato da figure animali altamente stilizzate, spesso arricchite di elementi accessori. Il motivo più caratteristico è quello del polpo, rappresentato frontalmente soprattutto su anfore a staffa, con i tentacoli che avvolgono l'intera superficie del vaso, in mezzo ai quali a volte si notano pesci o uccelli, o riempitivi geometrici. Continua anche lo stile «pittorico» prodotto ora in numerose officine. Nei momenti più avanzati del IIIC la ceramica presenta caratteristiche di minor accuratezza tecnica e di crescente «geometrizzazione» decorativa. Il gusto per una decorazione estremamente rarefatta che lascia molti spazi liberi coesiste con la tendenza a coprire ampie superfici del vaso con pittura nera. Sono le ultime manifestazioni di uno stile ceramico che, attraverso la fase submicenea, giungerà alla essenzialità e al rigore della decorazione geometrica.
Glittica. - I numerosissimi sigilli in pietre semipreziose e di forme assai varie sono fonte importante di conoscenza per l'arte e l'iconografia micenea. A essi si aggiungono gli anelli-sigillo, generalmente in oro, decorati con scene incise di mirabile fattura.
Lo studio della glittica egea (v. glittica) è progredito enormemente in anni recenti grazie soprattutto alla pubblicazione di numerosi volumi del Corpus der minoischen und mykenischen Siegeln, curata dall'Accademia di Scienze e Letteratura di Magonza. L'amplissimo repertorio ormai disponibile consente una miglior valutazione comparativa, utile per operare una possibile distinzione fra prodotti minoici e micenei, pur rimanendo assai ampio il margine di incertezza, dal momento che la produzione di questi oggetti è dovuta a una scuola artistica comune, certo di origine minoica, ma arricchita anche di elementi micenei.
Il più antico sigillo attribuibile a fattura micenea è la ben nota ametista lenticolare dal Circolo Funerario Β di Micene con una rappresentazione di testa maschile barbata che iconograficamente si discosta dai modelli minoici e che è stata considerata un vero e proprio «ritratto» di un principe acheo.
All'inizio dell'età micenea il maggior numero di sigilli è concentrato in Argolide e in Messenia, le due regioni egemoni dell'epoca, dalle quali l'uso di questi oggetti si diffonde rapidamente fino a regioni periferiche come la Tessaglia.
Il repertorio figurativo trae ispirazione dal mondo animale del quale è spesso data una interpretazione fantastica nella forma di sfingi, grifoni, demoni con testa leonina. Anche le raffigurazioni antropomorfe compaiono spesso, specialmente in scene complesse, interpretabili come scene di culto, con sfondi di paesaggio che possono contenere alberi, elementi architettonici, arredi sacri, altari e talvolta il sole o la luna.
Le rappresentazioni di armi e di armati confermano l'importanza dell'elemento militare e la predilezione per le scene di caccia riecheggia temi della grande pittura.
Gli esempî successivi al XIV sec. mostrano una qualità artistica meno raffinata e impiegano in generale pietre tenere locali con risultati che non possono certo competere con quelli precedenti. Verso la fine del XIII sec. la produzione di sigilli verosimilmente cessa per riprendere solo nell'VIII sec. con la produzione geometrica.
Avorio. - La lavorazione dell'avorio (v.) ha ricevuto rinnovata attenzione, sia dal punto di vista tecnico (con il sempre più preciso riconoscimento dell'importanza dell'avorio di ippopotamo accanto a quello di elefante) che dal punto di vista artistico, artigianale, tipologico, iconografico.
Alcuni ritrovamenti hanno significativamente arricchito le nostre conoscenze, come un gruppo di avori di Tebe, alcuni dei quali in corso di lavorazione e i due pezzi eccezionali, lavorati a tutto tondo, dal centro cultuale di Micene: una elegantissima testa maschile che pone importanti problemi stilistici per i suoi addentellati vicino-orientali, e un leoncino accosciato.
Studi monografici hanno meglio definito la sequenza cronologico-stilistica degli avori micenei. La prima comparsa di manufatti di avorio, nel periodo delle tombe a fossa, è confinata a elementi che arricchiscono oggetti di uso, anche se forse usati con valore di oggetti di parata, come impugnature di armi. La lavorazione di rilievi di avorio come oggetti di artigianato artistico di pregio, spesso destinati a impreziosire elementi di arredo o eleganti cassette, non inizia prima del TE II/TE IIIA1 e si protrae per tutto il periodo palaziale, fino alla fine del TE IIIB. I pochi oggetti di avorio databili nel TE IIIC sono quasi tutti provenienti dalla necropoli di Peratì, in Attica, si presentano in generale non decorati e sembrano riferibili a oggetti con funzione utilitaria. Nello stesso periodo invece appaiono molto attive le botteghe cipriote, rendendo legittimo il dubbio che gli artigiani micenei, non trovando più la committenza in Grecia, si siano insediati in aree più proficue per lo smercio dei loro prodotti.
Metallurgia. - La lavorazione dei metalli comprende sia la sfera dell'artigianato artistico (vasellame in metallo prezioso spesso decorato a sbalzo o a niello, oreficerie, armi da parata), sia la sfera utilitaria (armi, strumenti e vasellame di bronzo).
All'inizio del periodo miceneo abbondano le armi offensive e mancano quelle difensive probabilmente perché erano di materiali deperibili che non ci sono pervenuti. Le spade, inizialmente derivanti da tipi minoici, sviluppano poi tipi nettamente micenei. Oltre alle lame destinate all'uso conosciamo anche pugnali di destinazione funeraria con la lama finemente decorata con scene di caccia o di battaglia, che qualificano lo stato sociale del defunto.
Le armi difensive ci sono testimoniate, oltre che dalle rappresentazioni, anche al vero da alcuni ritrovamenti eccezionali come la corazza di Dendra. Gli elmi sono in generale formati da caschetti di cuoio sui quali erano applicate zanne di cinghiale e solo in un momento abbastanza avanzato conosciamo anche elmi in metallo.
Il vasellame metallico è testimoniato in abbondanza sia nella versione in bronzo di uso quotidiano (anche se destinata sempre alle classi signorili), sia nella versione in metallo prezioso (oro e argento). Questi ultimi in alcuni casi assumono il ruolo di vere e proprie opere d'arte grazie all'elegante decorazione in rilievo. Anche nel vasellame è talvolta adottata la tecnica del niello.
L'impiego principale del bronzo è comunque per la produzione di strumenti di varietà amplissima relativi a tutti gli aspetti della vita quotidiana. Strumenti agricoli o di impiego artigianale, articoli destinati alla cura o all'ornamento della persona, elementi da inserire nell'architettura dei palazzi mostrano la varietà di impieghi, l'ampia tipologia di derivazione esterna o di invenzione locale nonché il livello tecnico raggiunto e alcuni aspetti non secondari della vita economica.
Il solo aspetto nel quale la metallurgia micenea è decisamente carente rispetto a quella minoica è la piccola scultura che è praticamente sconosciuta, mentre la scultura monumentale ê ignota in ambedue gli ambienti.
Per quanto concerne l'arte dell'oreficeria abbiamo già accennato agli anelli aurei con castone-sigillo. Ma i metalli preziosi, soprattutto l'oro, hanno un larghissimo impiego nella produzione di ornamenti quali collane, orecchini, spille, anelli, bracciali, sfoglie sbalzate da applicare alle vesti, diademi. Oltre alla decorazione a sbalzo vengono usate la granulazione, la filigrana, la tecnica «cloisonné» che utilizza pietre semipreziose e pasta vitrea incastonandole in un reticolo metallico.
La «pittura su metallo». - Con questa definizione si intende un particolare trattamento della superficie di oggetti metallici, generalmente in bronzo, sui quali sono applicate decorazioni in altri metalli (oro, argento, elettro) per mezzo delle tecniche dell'incrostazione, della damaschinatura o del niello. Il contrasto cromatico dei diversi metalli ha per risultato una vivace decorazione di effetto pittorico.
I non molti oggetti decorati con questa tecnica sono, con poche eccezioni, di provenienza peloponnesiaca e sono concentrati nel periodo delle tombe a fossa di Micene, con un'estensione fino al TE IIIA. Anche se questa tecnica decorativa è conosciuta già qualche secolo prima in area siro-palestinese e in Egitto, l'elaborazione stilistica degli artigiani micenei è una forma di artigianato del tutto originale che mostra l'alta specializzazione delle botteghe metallurgiche e la creazione di una classe di oggetti che probabilmente riassumono in sé, oltre ai caratteri specifici del gusto delle corti micenee, l'elaborazione di oggetti di alto livello che possono aver assunto le funzioni di insigna dignitatis.
Relazioni esterne. - Fin dalle fasi formative della civiltà micenea è possibile individuare tracce archeologiche varie e abbondanti di relazioni con aree limitrofe o anche poste a considerevole distanza.
Nei corredi dei circoli funerari di Micene, accanto ai documenti di intense relazioni con Creta neopalaziale e con l'ambiente egeo insulare, si individuano anche indizî significativi di qualche rapporto con ambienti più remoti, quali l'Anatolia, il Levante e le aree dell'Europa continentale.
Il periodo di formazione e consolidamento vede comunque la nascita di relazioni di tipo assai complesso e articolato, con una precoce proiezione dei Micenei verso l'esterno, all'inizio in modo piuttosto selettivo e poi in modo sempre più sistematico, fino a investire una vastissima area geografica.
In questo processo di lunga durata, pur nei gravi limiti della documentazione disponibile, che è quasi esclusivamente archeologica e prevalentemente funeraria, possiamo comunque individuare livelli di contatto differenziati con aree e ambienti culturali diversi, che variano dal contatto occasionale, alle relazioni sistematiche con modalità prevalentemente di scambio di materie prime e di oggetti finiti o semilavorati, al più radicato e approfondito scambio culturale con conseguente influenza sulle culture locali, alla vera e propria fondazione di abitati con presumibile, anche se limitato, insediamento di popolazioni. Tali contatti, almeno per quel che riguarda lo scambio di oggetti, sono documentati nei due sensi e cioè sia con importazioni e influenze culturali dall'esterno verso la penisola greca, sia con testimonianze archeologiche tipiche delle prime fasi micenee in varî ambienti, all'interno e all'esterno del bacino dell'Egeo.
Elementi archeologici riportabili alle prime fasi micenee (fase ceramica TE I) fanno la loro timida e sporadica comparsa in ambiente egeo insulare, come Ceo, Citera, Thera, Milo e Rodi, dove si mescolano alla ben più consistente presenza di materiali minoici. Nella fase immediatamente seguente (TE II), attestazioni ben più significative sono riconoscibili, oltre che nell'ambiente egeo-insulare, in numerosi siti sulla costa egea dell'Anatolia, a Cipro, sulla costa Levantina e in Egitto.
Alla fine di questo periodo, nella fase ceramica TE IIIA1, si collocano i due eventi già ricordati, particolarmente importanti per il consolidamento del potere economico e politico miceneo, necessaria premessa alla ben più consistente documentazione dei traffici micenei delle fasi successive. Si tratta dell'inserimento in due aree chiave: il Palazzo di Cnosso (e con esso probabilmente una forma di controllo sulle molte risorse dell'isola di Minosse) e l'abitato di Trianda a Rodi.
Testimonianze archeologiche micenee di tale periodo sono presenti, in numero sempre più consistente, a Cipro, in area levantina e in Egitto, aree tutte dove l'elemento miceneo si sostituisce a quello minoico preesistente. Sulla costa egea dell'Anatolia i reperti più antichi (TE I-II), sono attestati nell'area nord-occidentale, dai Dardanelli alla Caria, prevalentemente in zone dove (a eccezione di lasos e Mileto) la presenza minoica precedente non è di grande rilievo o è addirittura inesistente.
Per quanto concerne le relazioni con i territori del Mediterraneo centro-occidentale, esse non sembrano precedute da relazioni con la civiltà palaziale minoica. È quindi molto significativo constatare che la più antica documentazione archeologica micenea rinvenuta in Italia appartiene alla fase formativa di tale civiltà (cultura delle tombe a fossa) ed è quantitativamente più rilevante di quella contemporanea rinvenuta in Oriente.
Dal punto di vista distributivo i reperti del TE I e II, quasi esclusivamente rappresentati da ceramiche, sono prevalentemente concentrati negli arcipelaghi del basso Tirreno. Alla già ben conosciuta documentazione delle isole Eolie, si affianca ora quella dell'isola di Vivara (v.), nel golfo di Napoli. La documentazione eoliana, anche se già conosciuta, è stata resa nota attraverso l'edizione definitiva dei principali scavi (acropoli di Lipari, Salina, Panarea e Filicudi) ed è stata recentemente arricchita dalla pulizia di un monumento fuori del comune. Si tratta di una piccola camera circolare, con copertura a thòlos, inglobata nel moderno stabilimento termale di S. Calogero a Lipari, usata come «stufa» grazie al convogliamento in essa di un flusso di acqua calda medicamentosa che sgorga nelle vicinanze. Saggi archeologici condotti al suo interno hanno messo in luce materiali di varia epoca e anche alcuni frammenti ceramici dell'Età del Bronzo, che, secondo gli scavatori, datano il livello di fondazione del monumento a un momento corrispondente alla fine della locale età di Capo Graziano che, in altri scavi dell'arcipelago, presenta in associazione materiali micenei del TE I e II.
Le fasi ceramiche TE IIIA e IIIB corrispondenti per l'Egeo al momento di massima espansione politica ed economica micenea, rappresentano anche il momento culminante dei traffici oltremarini, sia dal punto di vista quantitativo, sia dal punto di vista dell'ampiezza geografica.
Nel Mediterraneo orientale, a parte le più antiche documentazioni di materiali archeologici micenei, localizzati soprattutto a Troia e solo molto sporadicamente in altri siti, si constata che nei centri costieri più importanti, quali lasos e Mileto, alla presenza minoica si è ormai sostituita la presenza micenea. Contemporaneamente ha inizio l'uso di necropoli, quali Panaztepe (Menemen), Efeso e Müsgebi (Alicarnasso), nelle quali abbondano suppellettili micenee, vengono adottate tombe di tipo miceneo (thòloi a Panaztepe e tombe a camera a Müsgebi) e si mescolano riti funebri proprî delle due aree quali l'inumazione e la cremazione. Molto limitata appare la documentazione di reperti micenei in area propriamente ittita: qualche reperto ceramico a Maşat Hüyük, una spada di tipo egeo di recente scoperta presso la capitale Boğazköy ai quali fanno riscontro pochi oggetti ittiti in area egea.
Ben diversa la situazione nell'angolo sud-orientale del Mediterraneo, in particolare a Cipro e in area siro-palestinese, dove le testimonianze archeologiche dei traffici micenei con queste aree sono numerose e assai varie per qualità, funzione e contesti. Cipro presenta una documentazione micenea ricchissima, sia in abitati sia in necropoli, e ciò ha fatto pensare nel passato a una «colonizzazione» dell'isola a opera dei palazzi achei. Studi più approfonditi, però, hanno messo chiaramente in luce che la cultura materiale di questo periodo è tipicamente cipriota e prosegue una linea di sviluppo già ben consolidata nella fasi precedenti; pertanto l’abbondanza di materiali micenei nell'isola va attribuita prevalentemente ad attività di scambio, potenziata sia dalla posizione geografica dell'isola, che può facilmente aver avuto una funzione di tappa intermedia nei contatti fra l'area micenea a l'ambiente siro-palestinese, come d'altra parte fa pensare la quasi costante associazione di materiali micenei e ciprioti nei contesti levantini, sia dalle sue risorse minerarie, certamente oggetto di grande interesse da parte delle potenze circostanti, sempre alla ricerca di fonti di approvvigionamento di materie prime strategiche.
I siti che hanno restituito la documentazione più abbondante e significativa a Cipro sono i grandi abitati di Enkomi, Kition, Kalavassos-Aghios Dimitrios e le loro necropoli, dove esplorazioni recenti hanno ampliato e precisato la documentazione conosciuta. Sulla antistante costa siro-palestinese il sito di Ugarit, con l'area portuale (e funeraria) di Minet el-Bayda hanno una delle sequenze più complete e significative. Le aree di ritrovamento principali si distribuiscono lungo la costa, in siti di importanza portuale come Biblo, Tell Abu Hawam, Ascalon e Tell el-'Ağğūl/Gaza, e all'interno, specialmente lungo le valli dell'Oronte a Ν e del Giordano a S.
In Egitto le testimonianze archeologiche, distribuite abbastanza uniformemente lungo il corso del Nilo, dal Delta fino alla Nubia, provengono in buona parte da necropoli e solo raramente da abitati. Peraltro il nucleo più importante e numeroso è stato rinvenuto nell'abitato di Tell el-'Amārna, nel medio Egitto, la città-capitale fondata dal faraone «eretico» Amenophis IV, e presto abbandonata dopo la sua morte. La ben definita cronologia di questo sito e l'abbondanza di ceramiche micenee nei suoi strati hanno permesso di stabilire un saldo riferimento cronologico, anche assoluto, per la fase ceramica TE IIIA2 alla quale sono riferibili i reperti.
Un altro abitato importante è quello di Deir el-Medīna, dove i numerosi rinvenimenti di ceramiche micenee del TE IIIA2 e IIIB provengono soprattutto dalle abitazioni di operai impegnati nella costruzione delle tombe reali. In generale i reperti egei di questa fase non sono stati trovati in contesti principeschi, ma sembrano particolarmente favoriti dalla «classe media» della società egiziana.
Un caso diverso è quello rappresentato dai rinvenimenti di Marsa Maṭruḥ, località portuale a O del Delta, gravitante su un'area culturalmente legata all'ambiente delle tribù nomadi della Libia, anche se in qualche modo politicamente sottomessa ai Faraoni. Gli scavi condotti su un'isoletta all'interno dell'ampia laguna costiera hanno messo in luce resti di ceramiche minoiche, micenee, cipriote e levantine alle quali si accompagnano tracce di attività metallurgica e numerosi resti di uova di struzzo. Queste ultime potrebbero rappresentare uno degli oggetti di scambio forniti dalle tribù locali.
Più ambigua la documentazione di sporadici materiali egei rinvenuta più a O, a Cirene e Tocra, sia perché soggetta in qualche caso a interpretazioni non univoche, sia perché comunque rinvenuta in strati molto più tardi, quindi in giacitura secondaria.
L'interesse mostrato precocemente dai Micenei per il Mediterraneo centrale continua ampliando assai i suoi orizzonti. Sembra tramontare l'interesse per l'arcipelago flegreo, dove la documentazione archeologica non è posteriore al TE IIIA, mentre continua con alcune modifiche quella per l'arcipelago eoliano, che varia anche in ragione delle vicende interne degli insediamenti insulari. Infatti continua a fiorire il grande abitato sull'acropoli di Lipari, ma cessa di esistere quello sulla Montagnola di Capo Graziano nell'isola di Filicudi, forse soppiantato da quello del Milazzese di Panarea, più aperto ai collegamenti con la cultura appenninica che in questo periodo caratterizza buona parte della penisola italiana.
Al TE IIIA e alla prima parte del IIIB appartengono in maggioranza i reperti archeologici micenei rinvenuti in Sicilia, soprattutto nelle necropoli del Siracusano. La più importante è la necropoli di Thapsos, situata nella penisoletta di Magnisi, già nota per i fortunati scavi dell'Orsi; nuove ricerche hanno messo in luce altre tombe nelle quali ai reperti micenei si aggiungono talvolta ceramiche cipriote e maltesi che danno una concreta immagine della varietà dei traffici del sito. I recenti scavi hanno anche messo in luce l'importante abitato, caratterizzato da diverse fasi edilizie che lo hanno trasformato da abitato di tipo indigeno, composto di capanne circolari, presumibilmente contemporaneo! alla necropoli, in abitato pianificato con edifici rettangolari a più ambienti, aprentesi su una piazza pavimentata, la cui cronologia particolareggiata rimane ancora da definire.
I recenti scavi dell'abitato di Cannatello, nell'immediato entroterra della costa a E di Agrigento, hanno messo in luce abbondante ceramica del TE e TM IIIA2 e IIIB, mista a ceramica cipriota, che integra in modo assai significativo gli elementi egei e ciprioti già individuati lungo la valle del Platani, soprattutto a Milena e a Caldare.
Per quanto riguarda l'Italia peninsulare, al già ben noto sito dello Scoglio del Tonno presso Taranto, si sono aggiunti nuovi dati importanti da scavi nella stessa Puglia, in Basilicata e in Calabria.
In Puglia ricorderemo soprattutto gli scavi di Punta Le Terrare, di Porto Perone-Satyrion, di Scalo di Fumo, di Santa Maria di Leuca. In Basilicata il sito di Termitito, lungo il corso del Cavone, ha restituito abbondantissime ceramiche di tipo miceneo. In Calabria, un progetto di ricerca sistematica nella Sibaritide ha fatto conoscere la protostoria della regione sia con ricerche di superficie che con scavi sistematici a Broglio di Trebisacce e a Torre Mordillo, situati rispettivamente a Ν e a S del Crati.
L'abbondante ceramica di tipo egeo rinvenuta nei due siti, nella quale sono riconoscibili sia apporti continentali sia apporti cretesi, ritenuta inizialmente tutta di importazione, ha poi mostrato peculiarità tecnologiche e tipologiche che ne hanno fatto sospettare l'imitazione, ricevendo anche conferme in questo senso da una ampia campagna di ricerche archeometriche. Altri casi di produzioni locali di ceramiche di tipo egeo sono stati individuati nel corso della stessa ricerca archeometrica in varî siti dell'Italia meridionale, quali Termitito e Scoglio del Tonno, inaugurando un filone di ricerca, tuttora in corso.
Alle scoperte peninsulari e siciliane si sono aggiunte negli anni Ottanta, importanti scoperte di testimonianze micenee in Sardegna. Le possibili relazioni egee della Sardegna, fino a pochissimi anni fa, erano più ipotizzate che documentate. La copertura a thòlos delle camere interne di alcune torri nuragiche, suggestivamente simile a esempî di architettura funeraria micenea, aveva per alcuni studiosi dato sostanza alle leggende che collegano all'isola il mitico artefice Dedalo. Ampie e approfondite discussioni recenti sull'argomento hanno visto prese di posizione a favore o contro questa ipotesi.
Poco più di dieci anni fa, la scoperta di alcuni frammenti di ceramica micenea nel territorio di Orosei e, soprattutto, lo scavo del Nuraghe Antigori presso Cagliari, portarono in luce una grande quantità di ceramica micenea, contribuendo anche a dare un ancoraggio cronologico relativo e assoluto ai materiali indigeni di contesto, fino ad allora non ben inquadrati. All'Antigori, accanto a una varietà notevole di ceramiche del TE/TM IIIB importate dal Peloponneso, da Creta e da Cipro, si possono anche definire ceramiche di imitazione che presentano caratteristiche artigianali e produttive assai meno accurate di quelle delle ceramiche «italo-micenee» della Sibaritide o di altri siti dell'Italia meridionale. Recenti ricerche nel Nuraghe Arrubiu di Orroli hanno portato in luce un alàbastron miceneo, di provenienza peloponnesiaca, databile nel TE IIIA, che sembra essere attualmente il pezzo ceramico più antico rinvenuto nell'isola. Alla stessa fase sarebbe attribuibile un frammento di testina di avorio con elmo a denti di cinghiale, appartenente a un ben noto tipo di guerriero miceneo, rinvenuto a Decimoputzu, in Sardegna meridionale.
La Sardegna potrebbe aver avuto anche un'importante funzione mediatrice con la penisola iberica. La scoperta molto recente di due frammenti di ceramica micenea, riferibili al TE IIIA-B, nel sito protostorico del Llanete de los Moros (Montoro), nell'alta valle del Guadalquivir, rappresenta un importante indizio per una possibile inclusione della penisola iberica nel novero delle mete delle navigazioni micenee, anche se non si può escludere che tali materiali siano giunti colà in via mediata. Una candidatura verosimile per tale mediazione sarebbe quella della Sardegna, i cui rapporti con la penisola iberica sono ampiamente documentati per larga parte dell'Età del Bronzo.
Una fonte di conoscenza di straordinaria importanza per la ricostruzione dei traffici mediterranei del II millennio e del possibile ruolo avuto in essi dall'elemento miceneo è rappresentato dai carichi di relitti di navi da trasporto scoperti e scavati in anni recenti. Al ben noto relitto di Capo Gelidonya, localizzato presso le coste sud-occidentali della Turchia, il cui carico era formato in larga maggioranza da lingotti di rame a pelle di bue e da materiali metallici più o meno frammentari, prevalentemente destinati alla rifusione, si affianca ora il ben più cospicuo relitto di Ulu Burun presso Kaş, poche miglia a O del primo.
Lo scavo di quest'ultimo non è ancora del tutto ultimato, ma la pubblicazione di ampie relazioni preliminari ci dà un'idea abbastanza particolareggiata del contesto. In primo luogo va sottolineato che esso ê databile non più tardi dell'inizio del TE IIIB ed è quindi abbastanza precedente quello di Capo Gelidonya. Oltre a una grandissima quantità di lingotti di rame (6 tonnellate) e a un cospicuo numero di lingotti di stagno, sulla nave venivano trasportati materiali delle provenienze più disparate, mesopotamiche, siro-palestinesi, cipriote, africane, micenee; essi ci testimoniano la complessità delle vie commerciali del periodo e il loro livello di organizzazione è anche attestato dallo straordinario rinvenimento fra il carico di un dittico scrittorio.
Fra i reperti di bronzo di tipo soprattutto egeo e levantino è stata riconosciuta anche una spada di provenienza occidentale, appartenente al c.d. tipo Thapsos-Pertosa la quale, unita ai grani di ambra baltica che fanno ugualmente parte del carico, estende ulteriormente le aree di provenienza delle merci di bordo. Le sofisticate analisi archeometriche hanno anche permesso di identificare il contenuto deperibile di alcuni vasi e si è così scoperto che buona parte di essi erano pieni di una resina di terebinto, così come è stata determinata la presenza di varie spezie (coriandolo, zafferano) e derrate (mandorle, melograni, uva, fichi). Grandi pìthoi invece non contenevano derrate, ma merci varie quali ceramica cipriota e perle in pasta vitrea.
Un terzo relitto della tarda Età del Bronzo, è stato recentemente identificato a Capo Iria, lungo le coste dell'Argolide meridionale e non è stato ancora propriamente scavato. I primi reperti identificati sono in maggioranza rappresentati da vasi da trasporto minoici, micenei e ciprioti forse del TE IIIB. Si tratta del primo relitto della tarda Età del Bronzo a essere identificato e indagato in ambito propriamente egeo che certo darà informazioni preziose sulle relazioni fra la Grecia micenea e il Mediterraneo orientale alla fine dell'età palaziale.
La distruzione delle cittadelle micenee alla fine del TE IIIB e il conseguente cambiamento radicale dell'assetto economico della penisola greca hanno un riflesso sostanziale nei traffici esterni.
L'orizzonte di distruzioni ha anche una serie di paralleli a Cipro e nel Vicino Oriente, che però non possono dirsi sempre strettamente contemporanei. I siti ciprioti e levantini che vengono ricostruiti dopo tale ondata di distruzioni presentano novità sostanziali nella cultura materiale che denotano forti influenze egeo-micenee, come l'adozione di un repertorio ceramico derivante da quello TE IIIC, con diverse facies locali; da questo orizzonte discende poi l'elaborazione della c.d. ceramica filistea, caratteristica di parecchi centri palestinesi dello scorcio del II millennio.
La c.d. «colonizzazione achea» di Cipro sembra aver inizio in questo periodo ed è certo un processo di lunga durata che ha i suoi esiti definiti nell'XI sec. a.C., quando abbiamo una serie di dati che sembrano dimostrare che l'isola raggiunge un certo grado di «ellenizzazione», anche nella lingua. Fra i siti più significativi e di scavo recente che hanno restituito testimonianze utili alla ricostruzione delle fasi avanzate del secondo millennio nell'isola e alla comprensione del cambiamento di rapporti fra Cipro e l'Egeo ricordiamo l'abitato di Palekastro-Maa a Ν di Paphos.
In Anatolia le testimonianze di tipo egeo, raramente importate, attribuibili al TE IIIC, si addensano soprattutto a Troia, a Mileto e in Cilicia, con pochi altri rinvenimenti sparsi lungo la costa e nell'immediato entroterra. È particolarmente interessante l'abbondante documentazione di Tarso, attribuibile a produzione locale, in stretto contatto con la ceramica micenea di Cipro. È verosimile che attraverso la Cilicia sia giunta a Fraktin, centro interno dell'Anatolia orientale, l'anforetta a staffa del TE IIIC, rinvenuta in un livello ittita del XII sec., unica e sporadica testimonianza di relazioni indirette fra Ittiti e ambiente egeo dopo la distruzione di Boğazköy.
Le distruzioni delle cittadelle micenee ebbero certo un'influenza anche nelle relazioni con l'Occidente, anche se nella documentazione archeologica non si percepiscono immediate fratture. D'altra parte, come si è già rilevato, la comparsa e l'affermazione di produzioni ceramiche locali su ispirazione tecnologica e formale egea in varî siti dell'Italia meridionale e in Sardegna risale già al TE IIIB e si afferma e si diffonde ulteriormente nella fase successiva, quando le importazioni di ceramica egea si fanno sempre più esigue. Si può supporre che ceramiche di tipo egeo prodotte in Italia meridionale siano state anche distribuite lungo le vie di comunicazione interne alla penisola italiana in aree periferiche, quali l'ambiente laziale o la pianura Padana orientale.
La situazione sarda riceve una luce particolare dalla ricca documentazione metallurgica che mostra strettissime connessioni con la metallurgia cipriota, sia per la grandissima abbondanza di lingotti in forma di pelle di bue sparsi in tutta l'isola, sia nell'adozione di particolari strumenti atti alla pratica metallurgica di tipo chiaramente cipriota, sia per l'ampia diffusione di rari oggetti di prestigio, quali i tripodi ciprioti, noti nell'isola sia con importazioni che con imitazioni.
Sembra plausibile supporre che il tipo di relazione che si stabilì fra Cipro e la Sardegna sia stato strettamente dipendente dalle risorse minerarie disponibili localmente e dal suo possibile ruolo mediatore sulla via dello stagno occidentale, che assume un'importanza sempre maggiore dopo il 1200 a.C., data della distruzione di Ugarit, principale porto di arrivo e smistamento dello stagno orientale. Questo fatto potrebbe spiegare la presenza di una componente cipriota così forte nella metallurgia sarda del Bronzo Finale, con riflessi nell'antistante ambiente medio-tirrenico della penisola italiana dove probabilmente, insieme a bronzi di origine sarda, giungono anche i noti bronzi ciprioti di Piediluco-Contigliano.
Concludendo questo panorama, in particolare per quanto riguarda l'Occidente, possiamo ribadire che le scoperte e gli studi di questi ultimi anni hanno fortemente ridimensionato il problema delle eventuali colonie micenee, mettendo in evidenza che non esiste un abitato di fondazione e di cultura micenea, né esistono tombe esclusivamente micenee, nia solo inserimenti più o meno significativi in contesti locali sempre preesistenti. In sostanza, la documentazione oggi nota ci indica una situazione di movimenti sistematici con presenza di piccoli nuclei di residenti piuttosto che di stanziamenti, con mobilità più marcata ma non esclusiva da E verso O, con un notevole scambio di esperienze artigianali attuato molto probabilmente con la mobilità di ceramisti e bronzieri, specialmente nelle fasi mature del Bronzo Recente e nel Bronzo Finale.
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(L. Vagnetti*)