Civilta islamica: osservazioni, calcolo e modelli in astronomia. L'astronomia e la tradizione classica della scienza ottomana
L'astronomia e la tradizione classica della scienza ottomana
Le attività scientifiche all'interno dei confini dell'Impero ottomano attraverso i sei secoli della sua storia hanno conosciuto uno sviluppo unitario e costante. Pur condividendo con le altre società islamiche la medesima eredità e le stesse tradizioni storiche, esse mostrano alcune specificità dovute alla posizione geografica, all'amministrazione statale e al particolare dinamismo della società ottomana. Ai suoi esordi, la scienza nell'Impero ottomano ereditò la maggior parte delle creazioni scientifiche dei centri islamici precedenti; ma in seguito essa raggiunse un livello tale da influenzare a sua volta quegli stessi centri di cultura e di sapere scientifico. Agli inizi del XVII sec., lo sviluppo scientifico nel mondo ottomano recepì gradualmente l'influsso della scienza occidentale, producendo una sintesi fra Islam e Oc ci dente moderno che si sarebbe ripercossa sugli altri paesi islamici. Da allora, scienze antiche e nuove si svilupparono in parallelo, spesso convivendo le une accanto alle altre.
Questo capitolo tratterà dello sviluppo della scienza classica nell'Impero ottomano, una scienza profondamente radicata nella tradizione scientifica islamica fiorita prima dell'epoca ottomana e che si irradiò anche in quei paesi al di fuori dei confini dell'Impero. Le opere scientifiche prodotte in questo periodo furono scritte essenzialmente in arabo, in persiano e in turco. Non verranno qui trattate opere scritte in altre lingue (greco, armeno, bulgaro, serbo, ungherese, rume no o ebraico) ‒ anche se una loro inclusione arricchirebbe la valutazione complessiva delle attività scientifiche nell'Impero ottomano ‒ poiché finora non sono stati prodotti in questo ambito studi soddisfacenti.
Altri importanti contributi alla letteratura erudita e scientifica ottomana, venuti alla luce di recente, furono apportati da quegli studiosi musulmani ed ebrei emigrati in terra ottomana dall'Andalus dopo la caduta di Granada nel 1492.
La sovranità ottomana pose le sue basi tra la fine del XIII e la prima metà del XIV secolo. In Anatolia questo fu un periodo di disgregazione politica e sociale: nuovi principati turchi indipendenti si stabilirono in varie zone in seguito all'invasione mongola e a causa dell'indebolimento dello Stato selgiuchide d'Anatolia. Come altri potentati anatolici dell'epoca, l'emergente principato ottomano era caratterizzato da una concezione familiare della gestione politica. Esso venne fondato nei dintorni della città di Sögüt, nell'Anatolia occidentale, nel 1299, e ricevette il nome di Osmanlı beylıgı (principato ottomano) dal nome del suo fondatore ῾Uṯmān Bey.
La formazione della tradizione erudita
Nonostante l'instabilità politica che segnò i domini selgiuchidi fra il XIII e il XIV sec., l'Anatolia seppe mantenere vivi i fermenti culturali. I governanti dei potentati anatolici proteggevano gli studiosi; le città divennero centri di produzione culturale che attraevano studiosi da tutto il mondo islamico. Nel corso dei suoi viaggi in Anatolia, il famoso viaggiatore arabo Ibn Baṭṭūṭa spesso sottolinea il rispetto e la considerazione di cui godevano i dotti e gli studiosi. Studiosi e docenti, provenienti dai territori del mondo isla mico, contribuirono alla formazione dell'amministrazione statale ottomana. Al tempo stesso, gli intellettuali che avevano ricevuto la propria formazione nei più avanzati centri dell'epoca, come l'Iran, l'Egitto, la Siria, l'Iraq o il Turkestan, trasferendosi nei domini ottomani, contribuirono all'elaborazione di una tradizione scientifica che permetteva alla società ottomana di superare il carattere rurale della propria cultura originaria.
Dal XIV sec. in poi, gli Ottomani avanzarono verso la Rumelia e l'Europa sud-orientale. Il mosaico culturale si arricchì allora di nuove tessere, e le tradizioni culturali e scientifiche islamiche si diffusero all'interno della nuova geografia dell'Impero: nacquero così i poli intellettuali di Bursa, Edirne, Istanbul, Skopje.
Nell'Impero ottomano, l'istruzione superiore veniva impartita nella madrasa. Orḫān Ġāzī fondò la prima madrasa ottomana a Iznik (Nicea) nel 1331; subito dopo la conquista della città, egli destinò a questo scopo un ex monastero e ne affidò la direzione a un noto studioso del tempo, Maw lānā Dāwūd al-Qayṣarī (m. 1350). Come i suoi due successori alla direzione della madrasa di Iznik, Dāwūd al-Qay ṣarī fu principalmente autore di opere di giurisprudenza e di kalām; tuttavia, nella sua opera filosofica intitolata Nihāyat al-bayān fī dirāyat al-zamān (Lo scopo della dimostrazione nella riflessione critica sul tempo), egli confuta la concezione del tempo in Aristotele e in Abū 'l-Barakāt al-Baġdādī, tentando di delineare una nuova filosofia del tempo: secondo questo autore, il tempo è la relazione tra fatti legati all'esistenza, nonché l'ampiezza e la misura della relazione stessa; il tempo fisico (la notte e il giorno, gli anni, i mesi e i giorni) è un sistema di relazioni empiriche, che dipende dalla posizione del Sole e dal suo movimento in rapporto all'orizzonte terrestre.
Nel primo periodo ottomano, la produzione intellettuale riguardava per lo più la teologia, la filosofia, la mistica e la religione. Le prime opere di scienza razionale videro la luce a partire dal XV sec., quando dagli ambienti intellettuali iniziarono a emergere opere di matematica e scienze naturali in turco, in arabo e in persiano.
Nell'introduzione al suo Šarḥ aškāl al-ta᾽sīs (Commento alle proposizioni fondamentali), Qāḍī Zāda Rūmī (m. dopo il 1440) scrive che "i filosofi che investigano sulla creazione e sui segreti dell'universo, i giurisperiti che emettono opinioni legali in materia di religione, i funzionari che conducono gli affari di Stato, i giudici che trattano di questioni legali, tutti costoro dovrebbero conoscere la geometria". La visione espressa da Qāḍī Zāda Rūmī rispecchia alla perfezione lo spirito che informava la concezione di base del pensiero erudito ottomano insieme al particolare carattere che la scienza classica ottomana mantenne fino all'Età moderna.
Le prime fonti della scienza ottomana
Inizialmente, la letteratura scientifica prodotta in terra ottomana e nei domini posti sotto il controllo dei Turchi di Anatolia era scritta essenzialmente in arabo, lingua di cultura per eccellenza della civiltà islamica. Le traduzioni di testi arabi e persiani in turco cominciarono durante il XIV secolo. Questa intensa attività di traduzione, che godeva del sostegno dei membri dell'amministrazione, di regola buoni conoscitori dell'arabo, riscuoteva l'interesse di una larga fascia di fruitori di letteratura scientifica, che traevano notevoli benefici dall'avere a disposizione testi tradotti. Le traduzioni in turco, eseguite in uno stile semplice e facilmente comprensibile, includevano un'ampia gamma di soggetti: testi di matematica, astronomia, medicina, farmacologia, geografia, così come opere a carattere enciclopedico, dizionari, interpretazioni dei sogni e trattati di musicologia. Venivano tuttavia prodotte anche opere originali dedicate all'astronomia, alla matematica, alla geografia e alla medicina: queste erano redatte nelle tre principali lingue note agli studiosi ottomani, cioè l'arabo, il persiano e il turco.
Il primo testo di astronomia è il Muḫtaṣar fī ῾ilm al-tanǧīm wa-ma῾rifat al-taqwīm (Compendio di scienza delle stelle e delle posizioni planetarie), conosciuto in persiano anche con il titolo di Risāla-yi sī faṣl (Epistola in trenta parti) di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, tradotto da Aḥmad-i Dā῾ī (vivente nel 1421). Nell'introduzione si legge: "Il maestro Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī scrisse il trattato intitolato Epistola in trenta parti dedicato alla preparazione del calendario. Data la difficoltà a comprenderlo da parte dei principianti, io l'ho tradotto, dando spiegazione di tutti quei passaggi relativi all'astronomia e alle tavole astronomiche, affinché chi lo legga possa capire, e farne buon uso con profitto" (p. 4).
Il testo tratta di astronomia teorica e di astrologia in relazione alla compilazione dei calendari; comincia con l'abǧad, cioè quel particolare alfabeto in cui a ogni lettera corrisponde un valore numerico, e prosegue coi seguenti argomenti: giorni della settimana, calendario lunare arabo, calendari solari bizantino e persiano, con i nomi e la durata dei relativi mesi, calendario del sultano selgiuchide Malikšāh, pianeti, stelle, latitudine e definizione astrologica del Sole e della Luna. Il primo capitolo è intitolato 'La sfera celeste', e tratta della configurazione delle orbite e della geometria astronomica; il secondo, intitolato 'Sulla sfera terrestre', è dedicato allo studio della longitudine, della latitudine, dei tropici e dell'equatore.
Quest'opera riveste una particolare importanza nella letteratura ottomana, essendo la prima traduzione scientifica in turco; da essa dipesero lo sviluppo della terminologia astronomica e la proliferazione degli studi di astronomia teorica in questa lingua.
Qāḍī Zāda Rūmī, originario della città di Bursa, fu uno dei più influenti studiosi della prima epoca ottomana, e contribuì notevolmente alla crescita della letteratura e della tradizione scientifica ottomane. Egli iniziò la sua carriera scientifica in Anatolia e successivamente si trasferì alla corte timuride di Samarcanda, dove fu nominato direttore della madrasa e dell'osservatorio di quella stessa città, entrambi fondati da Uluġ Beg (m. 1449). Collaborò alla redazione delle famose tavole astronomiche dedicate a questo sovrano, note come Zīǧ-i ǧurǧānī, scritte in persiano. Il suo commentario al Mulaḫḫaṣ fī 'l-hay᾽a (Compendio di astronomia) di Muḥammad ibn Mūsā ibn ῾Umar al-Čaġmīnī al-Ḫwārizmī (m. 1221 ca.), fu utilizzato come manuale di base per gli studenti di astronomia e geometria non solo nelle madāris ottomane, ma anche al di fuori dei confini dell'Impero, nelle madāris di Iran, Asia Centrale, India e Marocco (İhsanoğlu 1997, 1999). Qāḍī Zāda Rūmī fu anche autore di un altro testo di astronomia applicata, la Risāla fī istiḫrāǧ-i ḫaṭṭī-yi niṣf al-nahār wa-samt al-qibla (Epistola sul calcolo lineare del mezzogiorno e dello zenit della direzione di Mecca).
Il secondo trattato di astronomia teorica più diffusamente studiato è la Risāla al-fatḥiyya fī 'l-hay᾽a (Epistola vittoriosa sull'astronomia), scritta da ῾Alā᾽ al-Dīn al-Qušǧī (m. nel 1474). Quest'opera, che risente dell'influenza della Taḏkira fī ῾ilm al-hay᾽a (Memorandum di astronomia) di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, è la versione araba, contenente alcune varianti e integrazioni, del testo persiano intitolato Risāla dar ῾ilm-i hay᾽a (Epistola sulla scienza dell'astronomia). La Fatḥiyya si apre con cenni basilari di geometria, scienze naturali, fisica e metafisica. Il primo capitolo, intitolato 'I corpi celesti', tratta dei seguenti argomenti: numero e assetto delle orbite; nomi delle piccole e grandi sfere; configurazione e moto dell'ottava e della nona sfera; configurazione e moto dei sette pianeti; dati relativi ai pianeti (altezza, latitudine e posizione). Il secondo capitolo è dedicato al globo terrestre. Gli argomenti illustrati riguardano l'equatore, gli orizzonti obliqui e le loro caratteristiche, aspetti delle regioni la cui latitudine è 90°; la coascensione del grado ellittico di transito (all'alba e al tramonto); calendari, anni e mesi; ombre; infine, le meridiane e la distanza nonché la direzione della qibla. Il terzo capitolo, assente nella versione persiana, affronta il calcolo delle dimensioni della luna, la misura del raggio e dell'apogeo della sfera lunare, la misura del raggio della sfera solare, le altre dimensioni del sole, i 'due pianeti inferiori' e i 'pianeti superiori' e, infine, la misura delle dimensioni delle stelle fisse. Qui più che altrove affiora l'influenza della Taḏkira di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī.
Per quanto riguarda la matematica, è ancora Qāḍī Zāda l'autore del primo lavoro teorico in materia. La sua Tuḥfat al-ra᾽īs fī šarḥ aškāl al-ta᾽sīs (Dono supremo nel commento delle proposizioni fondamentali), opera di commento alle Proposizioni fondamentali di Šams al-Dīn al-Samarqandī, fu il testo di geometria più studiato in epoca ottomana. Esperto anche di algebra, egli redasse anche una Risāla fī istiḫrāǧ-i ǧayb-i daraǧa wāḥida bi-a῾māl mu᾽assasa ῾alā qawā῾id ḥisābiyya wa-handasiyya ῾alā ṭarīqat Ġiyāṯ al-Dīn al-Kāšī, ovvero un'illustrazione del metodo algebrico per il calcolo dell'arco di seno di primo grado elaborato dal matematico al-Kāšī.
In genere, nei corsi di aritmetica delle madāris erano adottati anche manuali di livello medio, noti come muḫtaṣar mufīd (compendi utili). Autori minori di questo tipo di letteratura scientifica furono Ibn al-Hā᾽im, Niẓām al-Dīn al-Nīsābūrī e Kamāl al-Dīn al-Fārisī, i cui manuali di aritmetica cir colavano diffusamente nelle madāris ottomane. Questa manualistica minore fu però superata dalla Muḥammadiyya di ῾Alā᾽ al-Dīn al-Qušǧī e dalla Ḫulāṣat al-ḥisāb (La quintessenza del calcolo) di Bahā᾽ al-Dīn al-῾Āmilī.
L'Egitto era il principale centro della tradizione medica e della produzione scientifica in materia. Ḥāǧǧī Pāšā (Ǧalāl al-Dīn Ḫiḍr, m. 1417), un famoso medico ottomano che ricevette la propria formazione in Egitto, scrisse in turco il Kitāb al-tashīl fī 'l-ṭibb (Libro della facilitazione dell'apprendimento della medicina) e due opere in arabo, lo Šifā᾽ al-asqām wa-dawā᾽ al-ālām (Guarigione delle malattie e cura dei dolori) e il Kitāb al-ta῾līm fī 'l-ṭibb (L'insegnamento della medicina). A questi titoli vanno aggiunti numerosi altri trattati che fanno di Ḥaǧǧī Pāšā uno dei maggiori artefici dello sviluppo della scienza medica nell'Impero ottomano.
Un altro importantissimo contributo alla letteratura medica ottomana è costituito dalle opere di şerefettin Sabuncuoğlu (m. 1468 ca.). Il suo primo trattato di chirurgia, in turco, intitolato Ǧarāḥiyyāt al-ḫāniyya (Trattato di chirurgia), consta di tre sezioni originali e di una traduzione del capitolo sulla chirurgia tratto dal Taṣrīf li-man ῾agiza ῾an al-ta᾽līf (La disposizione [della scienza medica] per coloro che la ignorano) del famoso medico andaluso Abū ᾽l-Qāsim al-Zahrāwī (m. 1013). L'influenza della figura di Sabuncuoğlu varcò i confini ottomani ed ebbe un notevole impatto soprattutto nell'Iran safavide grazie al suo allievo Ġiyāṯ ibn Muḥammad al-Iṣfahānī. Le edizioni di quest'opera divennero famose nella storia della medicina per le miniature dei codici, che ritraevano scene di operazioni chirurgiche.
Nel campo della geografia, lo sviluppo delle attività di traduzione e di stesura di testi originali prese un andamento diverso rispetto alle discipline finora ricordate. Sebbene la geografia non fosse inclusa nel curriculum tipico della madrasa, una parte sostanziale della letteratura geografica ottomana emanava proprio dall'ambiente culturale legato a tale istituzione. Va peraltro ricordato che i navigatori cominciarono a ricorrere a mappe e fonti europee non prima del XV-XVI secolo. Le prime opere geografiche ottomane, il cui carattere erudito affiancava alla geografia vera e propria la cosmografia e la mitografia, la botanica e la zoologia, erano scritte in uno stile legato più alla letteratura di alto intrattenimento che non alla produzione scientifica. Non a caso si trattava per lo più di libere versioni in turco delle classiche ῾Aǧā᾽ib al-maḫlūqāt (Le meraviglie della creazione) di al-Qazwīnī, e della Ḫarīdat al-῾aǧā᾽ib (La perla mai forata delle meraviglie) di Ibn al-Wardī, arricchite da estratti di letteratura geografica islamica e da supplementi di autori contemporanei. Appaiono in questa veste due testi esemplificativi del genere, entrambi noti come Tarǧama (Versione) delle ῾Aǧā᾽ib al-maḫlūqāt, redatti da ῾Alī ibn ῾Abd al-Raḥmān (m. 1398) e Aḥmad Bīǧān (vivente nel 1453).
In seguito alla conquista di Costantinopoli da parte di Mehmed II nel 1453, Istanbul divenne la capitale di un impero in espansione e il nuovo centro culturale del mondo islamico. Mehmed II (1451-1481) nutriva un profondo interesse per le attività intellettuali e scientifiche provenienti sia dal mondo cristiano sia da quello musulmano. Il suo patronato culturale si estendeva anche agli studi relativi alla cultura greca classica e alle istanze intellettuali provenienti dall'Occidente.
Durante il periodo di Solimano I il Magnifico, così come in quelli successivi, si intensificarono gli studi e le ricerche nei campi dell'astronomia, della medicina, della geografia e della matematica. Le attività scientifiche dell'impero erano portate avanti per la maggior parte all'interno di istituzioni affiliate al Palazzo imperiale; proprio da questo, infatti, dipendevano, per esempio, le funzioni del medico di corte (ḥakīmbaşılık) o dell'astronomo di corte (muneccimbaşılık); anche le madāris, giuridiche e mediche, fondate sull'istituto giuridico del waqf (fondazione pia), analogamente agli ospedali e agli osservatori, erano legate al patronato imperiale. Molti studiosi appartenevano a istituzioni accademiche di questo tipo.
Uno scienziato esemplare del mondo ottomano: Taqī al-Dīn al-Rāṣid
Uno dei primi astronomi e matematici precedenti a Taqī al-Dīn al-Rāṣid è Mīrīm Çelebi (m. 1525), nipote di Qāḍī Zāda e ῾Alā᾽ al-Dīn al-Qušǧī. Egli apportò contributi fondamentali in campo astro no mico e matematico con i suoi commenti ai trattati di astronomia Zīǧ-i Uluġ Beg e al-Fatḥiyya. Un altro grande studioso di quel periodo è Muṣṭafā ibn ῾Alī al-Muwaqqit, noto anche come Muneccimbaşı (astronomo capo) Muṣṭafā Çelebi (m. 1571). Nato agli inizi del secolo, prestò servizio come misuratore del tempo alla corte di Selim I. La sua bibliografia, redatta soprattutto in turco e in arabo, è dedicata all'astronomia; le opere sul calcolo del tempo contano ventiquattro titoli. Il suo primo lavoro in turco, intitolato Faraḥ Faza (La grande gioia), era dedicato a Ibrāhīm Pāšā, gran visir di Solimano I, e illustrava l'uso di un quadrante (rub῾-i āfāqī) di sua invenzione. Il secondo lavoro, Ḥall-i dā᾽ira-yi mu᾽addil al-nahār (Soluzione [del problema] del cerchio dell'equatore), tratta invece del calcolo dell'equinozio per l'esatta latitudine di Istanbul. Il suo trattato sul quadrante-astrolabio (rub῾-i muqanṭarāt), Kifāyat al-waqt bi-ma῾rifat al-dā᾽ir wa-faḍli-hi wa-'l-samt, fu terminato nel 1529; di quest'opera sono giunte fino a noi 117 copie, che ne attestano la diffusione. Egli fu anche autore di due testi in arabo, la Risāla fī 'l-῾amal bi 'l-rub῾ al-muǧayyab (Epistola sull'uso del quadrante dei seni) e la Risāla fī ma῾rifat al-sā῾āt (Epistola sulla conoscenza delle ore), oltre che di numerosi lavori su strumenti astronomici, quali il quadrante dei seni, l'astrolabio, la sfera armillare, e su argomenti relativi alla misura del tempo. Queste opere non sono ancora state studiate come meritebbero; di fatto, gli studi di Mīrīm Çelebi prepararono il terreno per l'opera di Taqī al-Dīn al-Rāṣid, suo successore alla carica di astronomo di corte.
Taqī al-Dīn al-Rāṣid è il più famoso astronomo e matematico ottomano. Nato a Damasco il 14 giugno 1526, morì a Istanbul nel 1585. Formatosi alle scienze razionali e tradizionali, prima studiando con suo padre, poi nei circoli accademici di Damasco e del Cairo, nel 1570 arrivò a Istanbul; solo un anno dopo, alla morte di Muṣṭafā Çelebi, veniva nominato astronomo di corte. Contribuì alla creazione dell'Osservatorio di Istanbul (1577, demolito nel 1580), dove condusse numerose osservazioni di eclissi; una cometa, visibile nei cieli della capitale per l'intero settembre 1578, fu osservata giorno e notte.
Taqī al-Dīn scrisse in arabo cinque testi di matematica, ventidue di astronomia, tre di fisica e di meccanica, uno di medicina e uno di zoologia, insieme a un trattato sui pesi e sulle misure; a lui si devono inoltre altri sei libri di astronomia, cinque dei quali in turco e uno in persiano. Fra questi, merita particolare attenzione al-Ālāt al-raṣadiyya li-'l-zīǧ al-šāhinšāhiyya (Gli strumenti di osservazione per le tavole reali), redatto in turco. Il suo primo importante lavoro d'astronomia, intitolato Ṣadrat muntahā 'l-afkār fī malakūt al-falak al-dawwār (Il loto del limite dei pensieri nell'empireo dell'orbe sferico), era destinato a rettificare e integrare le tavole astro nomiche di Uluġ Beg secondo i dati raccolti dalle sue personali osservazioni condotte a Istanbul e in Egitto. Le prime quaranta pagine del testo sono dedicate al calcolo trigonometrico. Nella sezione successiva, l'autore illustra la strumentazione impiegata in astronomia e le modalità di conduzione delle osservazioni; tratta poi in particolare dell'osservazione del moto del Sole e della Luna, e delle funzioni trigonometriche ‒ seno, coseno, tangente e cotangente ‒ calcolate con frazioni sessagesimali. Ricorrendo a una nuova tecnica di calcolo, Taqī al-Dīn definisce il valore del seno di primo grado con maggiore accuratezza del matematico al-Kāšī.
Nel suo secondo importante testo astronomico, la Ǧarīdat al-durar wa-ḫarīdat al-fikar (Registro delle perle e dei pensieri), l'autore ricorre ai numeri razionali decimali per i calcoli trigonometrici. Fra i temi trattati, troviamo la posizione nello spazio di stelle e pianeti, la descrizione di strumenti astronomici quali l'astrolabio e il quadrante, orologi solari, calendari, eclissi lunari e solari, risultati di osservazioni e tavole astronomiche redatte secondo la longitudine di Istanbul. Taqī al-Dīn scrisse inoltre un libro in parte connesso alla geometria, il Dustūr al-raǧīḥ li-qawā ῾id al-taṣṭīḥ (Regola della probabilità nelle leggi della planimetria), dedicato alla proiezione planimetrica delle sfere.
Dopo aver a lungo studiato i problemi della fisica ottica nelle opere di Euclide, di Ibn al-Hayṯam e di Kamāl al-Dīn al-Fārisī, Taqī al-Dīn scrisse un libro, Nūr ḥadīqat al-abṣār wa-nūr ḥaqīqat al-anẓār (La luce del giardino delle percezioni e la luce della realtà delle osservazioni), in cui tratta della natura, della riflessione, della rifrazione e della propagazione della luce, esaminando la relazione fra luce e colore. In questo testo si leggono alcune osservazioni sulle distanze:
Siamo riusciti a fabbricare una lente (ballūra) grazie alla quale possiamo vedere le cose che la distanza ci tiene nascoste, come le vele dei battelli che navigano a una distanza estrema, e che nemmeno l'occhio più acuto potrebbe percepire. Così [doveva essere] la lente costruita dai filosofi greci, posta sulla sommità del faro di Alessandria. Se Dio Altissimo mi farà la grazia di concedermi altro tempo, comporrò un trattato sulla fabbricazione di questa lente, e sul modo di avvalersene. (Rashed 1993, p. 234)
Taqī al-Dīn scrisse anche due opere di meccanica. Il più importante dei due testi, al-Kawākib al-durriyya fī waḍ῾ al-binkāmāt al-dawriyya (Le stelle perlacee sull'installazione delle clessidre cicliche), redatto a Nablus nel 1558, è dedicato agli orologi meccanici. Nell'introduzione, l'autore scrive di aver beneficiato della biblioteca personale di Semiz ῾Alī Pāšā e della sua collezione di orologi meccanici di fabbricazione europea. L'altro testo, al-Ṭuruq al-saniyya fī 'l-ālāt al-rūḥāniyya (I metodi sublimi delle macchine spirituali), contiene alcuni dispositivi meccanici che erano stati in precedenza esaminati dai membri della famiglia dei Banū Mūsā (IX sec.) e da al-Ǧazarī (XIII sec.).
Taqī al-Dīn scrisse un trattato di medicina, il Tarǧumān al-aṭibbā᾽ (Il traduttore dei medici), uno di zoologia, Maṣābīḥ al-musaḫḫara fī ῾ilm al-bazdara (Le lampade utili sulla scienza della falconeria) e uno sui pesi e sulle misure, Risāla fī ῾amal al-mīzān al-ṭabī῾ī (Epistola sull'uso della bilancia naturale). Nessuno di questi trattati finora è stato studiato.
Anche se è comunemente accettata l'idea che l'opera di Taqī al-Dīn risenta di un profondo debito nei confronti dei suoi predecessori, è innegabile, tuttavia, l'originalità delle annotazioni e dei risultati delle ricerche condotte da questo scienziato. Egli inventò nuovi strumenti astronomici (per esempio, uno strumento a corde per determinare gli equinozi), grazie ai quali riuscì ad approssimare a 28° 28′ 40″ il valore del grado eclittico (poco distante dal valore corrente di 28° 27′). Ricorse a un nuovo metodo per calcolare i parametri solari e per approssimare a 63″ la magnitudine del moto annuale dell'apogeo del Sole: un valore più preciso rispetto a quello a cui giunse l'astronomo danese, suo contemporaneo, Tycho Brahe (1546-1601), molto probabilmente perché gli strumenti a disposizione di Taqī al-Dīn erano più sensibili.
L'astronomia applicata
Il primo studio sulla preparazione dei calendari, come si è già visto, è la traduzione dei Sī faṣl di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, compiuta da Aḥmad-i Dā῾ī. La seconda opera del genere, in turco, è il Rūz-nāma (Calendario) di Šayḫ Wafā᾽. Due commentari a quest'opera furono redatti da Mu᾽aḏḏin ῾Ayn ῾Alī Efendī (vivente nel 1609) e da al-Wanī, mentre un terzo commentario, in versi, fu scritto da al-Ankarawī. Un altro testo sui calendari che esercitò grande influenza fu il Durr al-yatīm (La perla solitaria) di Ibn al-Maǧdī. Va ricordato che la maggior parte dei trattati di astronomia teorica includeva anche una sezione dedicata ai calendari. Questi ultimi erano basati generalmente sulle tavole astronomiche composte per Uluġ Beg; a commento di queste tavole vi è un numero altissimo di testi e di traduzioni turche. Altre tavole astronomiche utilizzate in età ottomana furono quelle di Ibn al-Šāṭir (m. 1375), anch'esse commentate, tradotte e rielaborate da molti studiosi. Tali tavole erano ancora in uso alla fine del XIX secolo. Meno utilizzati, invece, rispetto a quelli finora citati, erano gli Zīǧ-i īlḫānī (Tavole astronomiche ilkhanidi) di Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, gli Zīǧ al-wāḍiḥ (Tavole astronomiche chiarissime) e gli Zīǧ al-šāmil (Tavole astronomiche complete), entrambi composti da Abū 'l-Wafā᾽ al-Būzǧānī (m. 998). Tavole astronomiche originali, compilate sulla base di nuove osservazioni, venivano ugualmente impiegate, come per esempio gli zīǧ messi a punto da Taqī al-Dīn al-Rāṣid in seguito alle osservazioni condotte presso l'Osservatorio di Istanbul. Pur non avendo esercitato una grande influenza nel mondo ottomano, queste tavole sono ancora degne di nota per la tecnica e l'accuratezza con cui furono stabilite.
Le Ephemerides Celestium Richelianae ex Lansbergii Tabulis, dell'astronomo francese Noël Duret (1590-1650), stampate a Parigi nel 1641, furono la prima opera astronomica tradotta in turco da una lingua europea. La traduzione fu compiuta nel 1660 da Tezkereci Köse Ibrāhīm Efendī, nativo di Szigetvar, e comparve col titolo di Saǧanǧal al-aflāk fī ġāyat al-idrāk (Lo specchio delle sfere celesti sul rag- giungimento dello scopo). Si tratta del primo testo di letteratura ottomana in cui si menziona Copernico e il suo sistema eliocentrico. La reazione immediata dell'astronomo di corte di quel periodo, Mehmed Efendī, fu: "Quanta presunzione, in questi Europei!". Tuttavia, in seguito questi ebbe modo di apprezzare il valore dell'opera e ricompensò generosamente il traduttore. Tale reazione riflette la tipica cautela nell'approccio ottomano all'Occidente, e la riluttanza a considerare scontata la sua superiorità scientifica. Successivamente, molte altre opere astronomiche europee furono tradotte in turco; fra queste, si possono ricordare quelle di Alexis-Claude Clairaut, Giacomo Cassini e, più tardi, Joseph-Jérôme Lalande.
Strumenti astronomici
La strumentazione astronomica costituì un altro fertile campo di interesse per gli astronomi e i matematici ottomani. Vi fu una intensa produzione di opere dedicate alla costruzione e ai modi d'impiego di questi strumenti: fra di essi, ricordiamo i quadranti dei seni, i quadranti-astrolabio e gli astrolabi. Uno strumento frequentemente usato dagli astronomi e dai matematici era il cerchio indiano, o cerchio turco: una delle sue superfici veniva impiegata come quadrante dei seni, e quella opposta come astrolabio. I quadranti dei seni erano adoperati nelle moltiplicazioni, nelle divisioni, nell'estrazione di radici quadrate e cubiche, così come per i calcoli delle funzioni trigonometriche. Il quadrante-astrolabio era invece usato per le osservazioni astronomiche (altezza del sole, distanza delle stelle, determinazione del mezzogiorno, delle ore della preghiera e della direzione della qibla). Il testo più largamente consultato, per questo tipo di strumentazione, era la Risāla al-fatḥiyya fī ῾amal al-ǧaybiyya (Epistola vittoriosa sull'uso del quadrante dei seni) di Ṣibṭ al-Mārdīnī (m. 1543), almeno a giudicare dalla quantità di commenti a esso dedicati, di traduzioni e di copie diffuse. Per l'uso del quadrante-astrolabio, il manuale esplicativo più consultato era al-Nuǧūm al-ẓāhirāt (Le stelle visibili) di Ǧamāl al-Dīn ῾Abd Allāh al-Mārdīnī. Anche la già citata Kifāyat al-waqt bi-ma῾rifat al-dā᾽ir wa-faḍli-hi wa-'l-samt, scritta nel 1529 da Muṣṭafā ibn ῾Alī al-Muwaqqit era consultata frequentemente.
Un altro autore di trattati sul quadrante-astrolabio era Muḥammad ibn Kātib Sinān al-Muwaqqit al-Qūnuwī (m. 1523): i suoi testi intitolati Hadiyat al-mulūk (Il dono dei sovrani), Mūḍiḥ al-awqāt fī ma῾rifat al-muqanṭarāt (Il chiarimento dei tempi sulla conoscenza degli astrolabi), Risāla fī ma῾rifat al-muqanṭarāt (Epistola sulla conoscenza degli astrolabi) e Risāla fī ma῾rifat waḍ῾ rub῾ al-dā᾽ir al-mawḍū῾ ῾alay-hi al-muqanṭarāt (Epistola sulla conoscenza dell'installazione del quadrante circolare su cui è applicato l'astrolabio) suscitarono un notevole interesse. Altra opera dedicata agli astrolabi è quella scritta da Naṣīr al-Dīn al-Ṭūsī, Bīst bāb dar ma῾rifat al-asṭurlāb (Venti capitoli sulla conoscenza degli astrolabi); di questo testo restano un primo commento, a opera di Efezāda Muḥammad ibn Ḥaǧǧ Sulaymān al-Burṣawī, del 1495, un secondo commento in persiano, dovuto a Muḥammad al-Birǧandī (m. dopo il 1528), e una prima traduzione anonima in turco della prima metà del XVI secolo.***
Cartografia
Fra il XVI e il XVII sec., la geografia ebbe un periodo di grande sviluppo, pur restando nel solco della geografia classica islamica legata al genere delle ῾Aǧā᾽ib al-maḫlūqāt. Padroni del Mediterraneo, del Mar Nero, del Mar Rosso, del Golfo Persico e dell'Oceano Indiano, gli Ottomani apportarono contributi originali alla cartografia, basandosi sia sulle osservazioni effettuate nel corso di viaggi, sia sulle mappe europee. La cartografia divenne, nell'Impero ottomano, una professione specialistica. Durante il XVII sec., solo a Istanbul e nei suoi dintorni, quindici persone erano impegnate in quest'arte, in otto differenti laboratori. Evliyā Çelebi riferisce che questi cartografi conoscevano diverse lingue, in particolare il latino, e vendevano le mappe ai navigatori.
Dal XVI sec. in poi, i cartografi ottomani cominciarono a disegnare mappe. Famosa è quella dell'ammiraglio Pīrī Ra᾽īs (1513), che si basava su fonti europee ‒ inclusa la mappa dell'America di Cristoforo Colombo. La sua è la più antica mappa esistente che contenga informazioni sul nuovo mondo e che mostri l'Europa sud-occidentale, il Nord Africa, il lembo sud-est del continente nordamericano, l'America Centrale e parte del continente sudamericano. Pīrī Ra᾽īs compilò un libro intitolato Kitāb-i baḥriyya (Libro della marineria, 1527), frutto delle osservazioni di viaggio, dei testi geografici studiati e delle mappe disegnate dallo stesso ammiraglio. In quest'opera l'autore include numerose mappe e immagini di città delle coste mediterranee ed egee, fornisce informazioni dettagliate sugli approdi marittimi e mostra di disporre di buone conoscenze di astronomia marittima. Pīrī Ra᾽īs realizzò una seconda carta del mondo, che presentò a Solimano I nel 1528. Di questa, soltanto la parte relativa alle coste settentrionali dell'Atlantico e il profilo dell'America Settentrionale e dell'America Centrale sono conservate.
Informazioni relative alle scoperte geografiche del XVI sec. si trovano nel Ta᾽rīḫ al-Hind-i ġarbī (Cronaca dell'India occidentale), di autore anonimo. Il libro fu presentato a Murād III nel 1583. Basato su fonti geografiche spagnole e italiane, esso dimostra l'interesse con cui gli Ottomani seguivano le scoperte avvenute nel nuovo mondo. Delle tre sezioni di cui consta il testo, la più importante è la terza, dove si riferiscono sessant'anni di esplorazioni marittime (dal 1492 al 1552), da Colombo con la scoperta dell'America a Magellano, Cortés e Pizarro. Le prime due sezioni, invece, trattano del vecchio mondo e dell'Oceano Indiano. Le fonti di quest'opera sono di provenienza islamica; fra i geografi classici menzionati dall'autore, compaiono al-Mas῾ūdī, Ibn al-Wardī, al-Qazwīnī e al-Suyūṭī (tutti compresi fra il X e il XVI sec.). Nella sezione relativa al nuovo mondo, purtroppo, l'autore non fornisce titoli o nomi relativi alle fonti geografiche europee consultate. Il fatto che questo testo fosse aggiornato al 1552 ci fornisce un'idea di come gli Ottomani seguissero da vicino scoperte ed espansioni dell'Occidente.
Dall'inizio del XVIII sec., l'amministrazione ottomana prese a studiare più da vicino le innovazioni introdotte in Occidente; nel frattempo, continuavano le traduzioni in turco di opere classiche che favorivano contatti fra i mondi occidentale e orientale all'interno della struttura ottomana. Nel corso di un periodo di rinascimento culturale, noto come 'periodo dei tulipani' (1703-1730), sotto l'influenza occidentale, si diedero nuovi sviluppi non solo in campo tecnico, ma anche nell'arte e nell'architettura. In parallelo, un nuovo movimento di riscoperta dei classici promuoveva la traduzione, filologicamente controllata, di opere dall'arabo e dal persiano. L'interesse per le scienze classiche era sostenuto da quei circoli accademici legati alle istituzioni tradizionali del sapere, sopravvissute fino alle prime decadi del XX sec., che convivevano fianco a fianco con le istituzioni sorte sullo stile europeo fra il XVIII e il XIX secolo. In questi due secoli, le lingue della letteratura scientifica ottomana erano principalmente l'arabo e il turco, mentre in persiano si produceva sempre meno. Tranne rare eccezioni, in turco furono stampate a Istanbul le prime opere di scienza moderna e di tecnologia. Durante il XIX sec., il ricorso sempre più sistematico alla stampa accelerò i processi di transizione dalla tradizione manoscritta orientale alle moderne edizioni. Fra i matematici ancora legati alla tradizione classica, possiamo citare Gelenbewī Ismā῾īl Efendī (m. 1791); la Ḫulāṣat al-ḥisāb di Bahā᾽ al-Dīn al-῾Āmilī (m. 1622), tradotta in turco nel XVII sec., rimase un testo di base per lo studio dell'aritmetica, della geometria e dell'algebra nelle madāris per tutto il XIX secolo. Mīr Sayyid ῾Alī Bey Pāšā (m. 1846), istruttore capo della Scuola Imperiale di Ingegneria Militare, tradusse dall'arabo in turco la Fatḥiyya di ῾Alā᾽ al-Dīn al-Qūšǧī, intitolandola Mir᾽at-i ῾ālam (Lo specchio del mondo): sebbene lavorasse in una istituzione scolastica moderna, egli si prodigò per la tutela del patrimonio classico. La sua traduzione venne pubblicata nel 1843 a Istanbul. Pur menzionando le varie concezioni dell'Universo, Sayyid ῾Alī Bey sembra preferire il modello geocentrico tolemaico a quello eliocentrico di Copernico. Altri scienziati ancora legati alla tradizione classica, ma con una formazione scientifica moderna, sono Ġāzī Aḥmad Muḫtār Pāšā (1838-1919) e Mehmed Fatin Gökmen (m. 1955).
Ġāzī Aḥmad Muḫtār Pāšā scrisse sette libri sull'astronomia classica e sugli strumenti astronomici: cinque di questi in turco, e due in arabo. Il suo lavoro principale, Iṣlāḥ al-taqwīm (1890), fu tradotto in francese sotto il titolo di Réforme du calendrier (1898). Sono trattati i maggiori problemi riscontrati nei calendari in uso in Oriente, nonché i difetti del calendario fiscale ottomano, e viene proposto un sistema innovativo. La voluminosa opera in turco Riyāḍ al-muḫtār wa-mir᾽at al-mīqāt wa-'l-adwār (I giardini del prediletto e lo specchio dei tempi e dei cicli) è dedicata allo studio della redazione dei calendari secondo concezioni moderne; fu tradotta in arabo e pubblicata al Cairo nel 1886. L'ultimo grande nome nel panorama dell'astronomia classica è quello di Mehmed Fatin Gökmen, fondatore dell'Osservatorio di Kandilli a Istanbul, e promotore di una rinascita degli studi astronomici in turco, 326 anni dopo Taqī al-Dīn al-Rāṣid. Egli giunse a Istanbul dopo aver completato gli studi presso la madrasa di Akseki, un piccolo centro nell'Anatolia meridionale. Apprese l'astronomia secondo lo stile classico dall'ultimo astronomo di corte, Ḥusayn Ḥilmī Efendī. In seguito lavorò presso la moschea di Selim I e, su incoraggiamento di Ṣāliḥ Zakī Bey, studiò matematica moderna e astronomia alla Facoltà di scienze da poco inaugurata. Divenuto docente presso l'Università (Dār al-funūn), Gökmen fu nominato nel 1910 direttore dell'osservatorio imperiale, che dal 1867 era anche un centro di previsioni meteorologiche. Gökmen ristrutturò l'osservatorio, e rimase alla sua direzione per trentatré anni, fino al 1943. Studioso di calendari, mise a punto un nuovo sistema calendariale in Turchia. Ultimo rappresentante di una schiera di scienziati legati alla tradizione classica ottomana, Gökmen contribuì tuttavia a porre le basi per una moderna scienza astronomica in Turchia.
Conclusioni
L'Impero ottomano, nato come un semplice principato di frontiera, elaborò una struttura politica e culturale di particolare dinamismo, dovuto alla presenza, al suo interno, della duplice cultura cristiana e islamica. Basata sull'eredità culturale delle entità politiche islamiche precedenti, la tradizione scientifica ottomana ‒ partita nel XIV sec. da un livello decisamente modesto ‒ in breve tempo seppe accelerare, segnandoli in maniera originale, i processi di sviluppo intellettuale. La corte, la madrasa e le altre istituzioni del sapere richiamarono eminenti studiosi, i quali, con le loro traduzioni e le loro opere originali, diedero vita alle prime fonti della scienza ottomana. All'aumentare dei docenti formati presso le madāris, corrispondeva un incremento nelle attività di commento, di traduzione e di produzione originale di letteratura scientifica. Durante il XV e il XVI sec., l'età d'oro dell'Impero ottomano, alla conquista di Istanbul da parte di Mehmed II corrispose una crescente curiosità per le fonti europee. Fu un'epoca caratterizzata da una splendida fioritura delle arti, dell'architettura e delle scienze, riflesso del potere politico ed economico. Al culmine di questo periodo è la figura di Taqī al-Dīn al-Rāṣid, punto di snodo di una tradizione intellettuale che continuò fino alla fine dell'Impero attraverso le sue istituzioni, anche dopo l'avvento delle scienze occidentali.
Adivar 1982: Adıvar, Abdülhak A., Osmanlı Türklerinde Ilim, Istanbul, Remzi, 1982, pp. 77-78.
Bayrakdar 1988: Bayrakdar, Mehmet, Kayserili Davud (Davudu'l-Kayseri), Ankara, 1988, pp. 10-12.
Bilge 1984: Bilge, Mustafa, Ilk Osmanlı Medreseleri, Istanbul, Edebiyat Fakültesi Basimevi, 1984, pp. 297-298.
Çiçek 2000: The great Ottoman-Turkish civilisation, edited by Kemal Çiçek, Ankara, Yeni Türkiye, 2000, 4 v.; v. I, p. 13.
Haiderzadeh 1997: Haiderzadeh, Tofigh, 'Alî Qushji'nun Astronomi Eserleri (Master thesis, Istanbul University, Department of History of Science, 1997).
İhsanoğlu 1992: İhsanoğlu, Ekmeleddin, Introduction of western science to the Ottoman world. A case study of modern astronomy (1660-1860), in: Transfer of modern science and technology to the muslim world, edited by Ekmeleddin İhsanoğlu, Istanbul, IRCICA, 1992, pp. 67-120.
‒ 1997: Osmanlı astronomi Literatürü tarihi (History of astronomy literature during the Ottoman period), [a cura di] Ekmeleddin İhsanoğlu, Ramazan Şeşen [et al.], Istanbul, IRCICA, 1997, 2 v.
‒ 1999: Osmanlı matematik Literatürü tarihi (History of mathematical literature during the Ottoman period), [a cura di] Ekmeleddin İhsanoğlu, Ramazan Şeşen [et al.], Istanbul, IRCICA, 1999, 2 v.
‒ 2000: History of geographical literature during the Ottoman period, [a cura di] Ekmeleddin İhsanoğlu, Ramazan Şeşen [et al.], Istanbul, IRCICA, 2000, 2 v.
‒ 2002: İhsanoğlu, Ekmeleddin, Ottoman scholarly-scientific literature, in: History of Ottoman state, society and civilization, edited by Ekmeleddin İhsanoğlu, Istanbul, IRCICA, 2001-2002, 2 v.; v. II, 2002, pp. 357-515.
Inalcik 1940-88: Inalcik, Halil, Mehmed II, in: Islam ansiklopedisi. Islâm âlemi cografya, etografya ve biyografya lûgati, beynelmilel Akademiler Birliğinin yardımı ve tanınmış müşteriklerin iştiraki ile neşredenler M. Th. Houtsma [et al.], Istanbul, Maarif Matbaası, 1940-1988, 13 v.; v. VII, p. 535 (ed. rivista e ampliata della Encyclopedia of Islam, Leiden, 1913-1938).
Kaya 1992: Kaya, Mahmut, Some findings on translations made in 18th century from Greek and Es'ad Efendi's translation of the Physica, in: Transfer of modern science and technology to the muslim world, edited by Ekmeleddin İhsanoğlu, Istanbul, IRCICA,1992, pp. 385-391.
Rashed 1993: Rashed, Roshdi, Géométrie et dioptrique au Xe siècle. Ibn Sahl, al-Qūhī et Ibn al-Haytham, Paris, Les Belles Lettres, 1993.
Sayili 1960: Sayılı, Aydın, The observatory in Islam and its place in the general history of the observatory, in: The observatory in Islam, edited by Aydın Sayılı, Ankara, Türk Tarih Kurumu Basımevi, 1960, pp. 289-305.
Şeşen 1988: Şeşen, Ramazan, On the ancestors of the famous Ottoman astronomer Takiyeddin Rasid, "Erdem", 4, 1988, 10, pp. 165-171.
Tekeli 1997: Tekeli, Sevim, Taqī al-Dīn, in: Encyclopedia of the history of science, technology, and medicine in non-western cultures, edited by Helaine Selin, Dordrecht-Boston, Kluwer, 1997, pp. 934-935.
Uçar 1981: Uçar, D., Mürsiyeli Ibrahim'in 1461 Tarihli Haritasi Hakkinda bir Arastirma, in: I. Uluslararasi Türk-Islam Bilim ve Teknoloji Tarihi Kongresi, 14-18 Eylül 1981. Bildiriler. I. International congress on the history of Turkish-Islamic science and technology. Proceedings, Istanbul, I.T.Ü. Mimarlik Fakültesi Baski Atölyes, 1981, 5 v.; v. III, pp. 185-198.
Uludag 1925: Uludag, Osman S., Bes Buçuk Asirlik Türk Tebabet Tarihi, Istanbul, Matbaa-i Amire, 1925.
Ünver 1971: Ünver, Ahmet Süheyl, Osmanlı Türkleri Ilim Tarihinde Muvakkithaneler, "Atatürk Konferanslari", 5, 1971, p. 34.
Uzel 1992: Serefeddin Sabuncuoglu, Cerrahiyyetü'l Haniyye, [a cura di ] Ilter Uzel, Ankara, Türk Tarih Kurumu Basımevi, 1992, 2 v.
Uzunçarsili 1942: Uzunçarsili, Ismail H., Nigde Karamanoglu 'Ali Bey Vakfiyesi, "Vakiflar Dergisi", 2, 1942, pp. 59-60.
‒ 1984: Uzunçarsili, Ismail H., Osmanlı Devleti'nin Ilmiye Teskilati, 2. ed., Ankara, Türk Tarih Kurumu Basımevi, 1984 (1. ed.: 1965).