PETACCI, Clara
PETACCI, Clara (Claretta). – Secondogenita di tre figli (Marcello era nato nel 1910, Miriam la seguì nel 1923), nacque a Roma il 28 febbraio 1912 da Francesco Saverio, medico dei Sacri Palazzi apostolici, e da Giuseppina Persichetti.
Le notizie certe della sua biografia sono poco numerose, mentre i mass media (con quel prevalente sguardo maschile colmo di ammirazione per la donna che si fa uccidere con il suo uomo) si sono impadroniti di lei per il suo legame con Benito Mussolini e, principalmente, per averne condiviso la morte il 28 aprile 1945, nonché l’esposizione a piazzale Loreto a Milano il giorno successivo.
Clara Petacci non raggiunse un diploma di scuola superiore per avere interrotto molto prima gli studi, forse per problemi di salute (come ricorda in una lettera a Mussolini: B. Mussolini, A Clara, a cura di L. Montevecchi, 2011, p. 166 n.); benché non fosse stata educata per essere indipendente economicamente, sapeva disegnare e dipingere, suonare il violino e comporre poesie. Aveva desiderio di emergere. Voleva agire, diventare ‘qualcuno’, vivere nell’agiatezza e, per questo, pensava alla carriera cinematografica o a quella di pittrice. Nel 1936 tenne una mostra delle sue opere a Roma che, grazie al duce, venne ben recensita (C. Petacci, Mussolini segreto..., a cura di M. Suttora, 2009, pp. 32, 44; Diario dal 10 ottobre 1936 al 21 gennaio 1937, Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Clara Petacci [d’ora in poi: Arch. Petacci], b. 8, f. 118). Tuttavia abbandonò la pittura per dedicarsi alla relazione con Mussolini, in cui profuse ogni minuto del suo tempo e ogni energia fisica e intellettuale.
Grazie alla consultazione delle sue carte e ad alcuni libri che dal 2009 ne hanno cominciato a dar conto, è stato possibile chiarire – pur in presenza di questioni che restano ancora irrisolte – aspetti della sua personalità e della relazione con il duce che finora non erano emersi oppure risultavano incompresi.
Prima di tutto la sua intraprendenza, la determinazione e l’abilità a farsi notare da lui, a farsi ricevere e, infine, a farsi amare e a diventargli quasi indispensabile. Sicuramente Mussolini, alla soglia dei cinquant’anni, era rimasto impressionato dall’avvenente ventenne che il 24 aprile 1932 si era mostrata in estasi davanti a lui: in auto con parte della sua famiglia e il fidanzato, Riccardo Federici, Petacci aveva obbligato l’autista a ingaggiare una sorta di sfida con l’auto del duce lungo la strada di Ostia e lì si erano presentati. Certamente però Mussolini, pur lusingato da tanta adorazione, non aveva perso la testa per la ragazza. Fu lei, dopo il 24 aprile 1932, a insistere, a mandargli continui messaggi, a chiedergli insistentemente udienza, a ricordargli la lettera che adolescente gli aveva inviato dopo il fallito attentato di Violet Gibson del 7 aprile 1926 per attestargli il suo grande amore e la sua incondizionata devozione. Lo implorava di riceverla perché lo ammirava «come dittatore e come uomo», lo amava «come tutto» e aveva bisogno di vederlo e di essere consigliata da lui. Mussolini, in risposta, alcune volte le telefonò e la ricevette (si vedano le lettere di Petacci dal 22 febbraio 1933 al 17 aprile 1936, in C. Petacci, Mussolini segreto..., cit., pp. 481-494).
Non si sa con certezza quando ebbe inizio la loro relazione intima: forse già fra il 1932 e il 1933, come sembrerebbe provare una nota del diario di Petacci del 2 febbraio 1933 (Arch. Petacci, b. 8, f. 117), ma fu solo nella primavera del 1936 che il loro rapporto parve diventare meno occasionale finché, dalla seconda metà del 1937, divenne per il duce la relazione privilegiata. Il 28 luglio 1936 Petacci si separò da Federici, che aveva sposato il 28 giugno 1934 (agendina del 1936 con annotazioni diaristiche, ibid., f. 106), ma soltanto cinque anni più tardi, il 29 dicembre 1941, in Ungheria, ottenne l’annullamento del matrimonio.
Nelle pagine del diario conservatesi campeggia Mussolini: vi si trovano annotati ogni incontro con lui, ogni sua telefonata. Petacci non descriveva i propri sentimenti o emozioni (che affidava piuttosto alle lettere) né come e con chi passava il tempo quando non era con lui, ma parlava di Mussolini, dei suoi comportamenti, della sua sessualità, perfino dei suoi orgasmi. Trascriveva le parole del duce, una a una, come se facesse uso di un registratore, mentre di sé rivelava quasi esclusivamente il suo agire rispetto a lui. Accorreva a ogni sua chiamata, era disponibile a qualsiasi ora, lo ricolmava di attenzioni, era tutta per lui: era la sua «piccola» e, con il tempo, anche la sua «mamma» o «mammina», come si definiva in diverse lettere (v. la lettera del 19 luglio 1939, in Arch. Petacci, b. 2, f. 10/26).
Con certezza, dalla seconda metà del 1937, gli incontri fra i due amanti – che, eccettuate piccole cerchie, riuscirono per diversi anni a tenere segreta la loro relazione – diventarono pressoché quotidiani o a palazzo Venezia (dove Mussolini fece adibire un appartamentino apposito) o a casa di lei, specie se malata, ma anche al mare a Castelporziano d’estate o con la buona stagione, e al Terminillo d’inverno. Lui le telefonava più volte al giorno, talvolta ogni venti-trenta minuti, sia da palazzo Venezia sia la sera da casa, ma anche dalle località in cui si trovava per i suoi impegni istituzionali. Era un modo per controllarla, ma anche per dimostrarle quanto fosse importante.
Negli incontri le parlava della sua vita, della sua famiglia, di politica, di alcuni uomini e donne con cui era entrato in contatto, scendendo anche in dettagli personali. Soprattutto le parlava di sé, di quanto fosse solo e incompreso nella sua grande impresa di ‘rifare gli Italiani’. Lei lo ascoltava, lo assecondava, lo ingigantiva, lo divinizzava. Per una lunga fase l’unica contestazione di Petacci nei confronti del duce fu rivolta ai rapporti di lui con le altre donne, di cui era gelosissima, quasi ossessionata, pretendendo assoluta fedeltà, perché «io non sono la tua amante, sono il tuo amore, il che è una cosa ben diversa. E […] tu sei per me come mio marito e […] se non fossi stato tu non avrei avuto amanti» (diario, in data 20 marzo 1938, ibid., b. 9, f. 132). Mussolini, se voleva che quell’amore così grande e totale si preservasse, doveva essere solo suo (a parte la moglie). Per di più, quando apprendeva di una sua infedeltà, Clara piangeva, si disperava, talvolta veniva meno e perfino cadeva malata e la sua sofferenza contagiava il duce che – in quelli che possono essere considerati gli anni d’oro della loro relazione, dal 1937 al 1940 – sembrò ridurre gli incontri con altre donne e soprattutto accorse al suo capezzale con molta tenerezza.
Tra loro si instaurò una profonda complicità e Petacci divenne depositaria di confidenze relative a uomini e cose del regime rispetto ai quali cominciò a dare i suoi pareri e consigli (C. Petacci, Mussolini segreto..., cit., passim; B. Mussolini, A Clara, cit., passim).
Mussolini fu generoso con lei e la sua famiglia: aiutò il padre a diventare noto come medico, il fratello nella sua carriera, lo zio pittore facendogli commissionare dipinti, più tardi la sorella come attrice; passò a lei un mensile, le fece regali e, soprattutto, contribuì all’edificazione della villa alla Camilluccia dove i Petacci si trasferirono nel 1939 (C. Petacci, Mussolini segreto..., cit., pp. 122, 158, 163, 193, 287 s., 320 s., 350, 379-381, 397, 436 s., 481 s.; v. anche la lettera di Clara del 1940, in Arch. Petacci, b. 2, f. 11/25). Tuttavia, il ruolo dei familiari di Petacci nell’assecondare o incoraggiare il legame della ragazza, prima, della donna, poi, con il duce, così come nel trarre vantaggi dalla relazione deve essere ancora nell’indagato.
La relazione fra Petacci e Mussolini fu contraddistinta da più fasi. Oltre a quella iniziale e a quella in cui Clara diventò per lui la ‘prima’ e il duce fu molto preso da lei e tenne conto dei suoi pareri anche in materia politica, si individua un periodo che si apre con i rovesci bellici italiani e la crisi del regime, in particolare nella primavera 1943, in cui Mussolini cercò di diradare gli incontri e troncare il rapporto. Il 1° maggio 1943 Petacci si vide perfino chiuso l’accesso a palazzo Venezia e interdetta ogni comunicazione telefonica. Poi la relazione riprese (B. Mussolini, A Clara, cit., p. 181).
Il 25 luglio 1943, alla caduta del regime (e all’imprigionamento di Mussolini), lei riparò con la famiglia al Nord per non incorrere in una qualche offesa da parte della folla. Il 12 agosto fu arrestata dai carabinieri e incarcerata a Novara. Ne uscì il 17 settembre grazie all’intervento tedesco (Diario dal carcere di Novara, in Arch. Petacci, b. 10, f. 158).
Una data significativa per lei e la sua successiva storia con Mussolini è la fine di agosto 1943, quando i quotidiani nazionali rivelarono la sua relazione con il duce e specialmente i vantaggi ottenuti dalla sua famiglia (il ‘clan dei Petacci’), nonché la sua influenza politica su di lui («Nell’ultimo Ministero si indicarono chiaramente dall’opinione pubblica ‘i ministri della Petacci’», così scriveva in prima pagina Il Corriere della sera il 29 agosto).
La campagna di stampa del periodo badogliano, se aveva lo scopo di sminuire l’ex duce agli occhi degli italiani, riuscì a divulgare e a rendere nota presso fasce più ampie di pubblico la loro relazione, conosciuta fino allora forse solo nell’ambiente romano dal mondo dei gerarchi e dall’alta società. La stessa moglie di Mussolini, Rachele Guidi, ammesso che prima non sapesse, da fine agosto 1943 non poté più ignorare o fingere di ignorare. E così altri componenti della famiglia Mussolini, a cominciare dal figlio Vittorio, che si impegnò, al ritorno sulla scena del padre, a stringergli attorno una sorta di cordone protettivo per impedirgli di vedere Clara.
Mussolini sapeva che anche la base e i militanti ai vari livelli erano contrariati, meglio dire disgustati, dalla sua storia con Claretta. Da parte dei moralizzatori della Repubblica sociale italiana (RSI), come Galeazzo Ciano e gli altri ‘traditori’, Petacci era ritenuta responsabile della degenerazione del fascismo e del decadimento politico del duce. In quel contesto incandescente erano possibili attentati alla sua persona e ricatti nei confronti di Mussolini (v. la trascrizione di Petacci della telefonata di Mussolini del 12 dicembre 1943, in B. Mussolini, A Clara, cit., p. 85).
Quando da metà ottobre 1943 Petacci e Mussolini si riavvicinarono sulle sponde del lago di Garda, dove era stata fissata la residenza di lui e del suo governo, egli la esortò costantemente alla cautela, a non dare nell’occhio e a rimanere nascosta. Strettamente sorvegliato, a differenza dalla situazione romana degli anni 1936-43, Mussolini non poteva più liberamente raggiungerla, né lei recarsi quotidianamente da lui. Per vedersi pur soltanto una volta a settimana dovevano inventare stratagemmi complicati e contare su persone fidate, sapendo entrambi che le loro telefonate, ridotte a non più di due al giorno, erano intercettate.
Petacci non sopportava una tale situazione che la marginalizzava e la segregava, e quindi faceva pressione affinché lui lasciasse la moglie. Ormai, del resto, non aveva più vent’anni; era da tutti considerata l’amante e la profittatrice: pertanto l’unica soluzione per ricostruire la sua immagine era che fosse riconosciuta come la sua ‘vera’ donna (v. Diario in data 12 dicembre 1943, ibid., pp. 85 s. e note). Mussolini sembrò accondiscendere a questa proposta, ma poi non ne fece nulla e Petacci, specie dal febbraio all’aprile 1945, gli inviò lettere di fuoco in cui lo diminuiva come uomo, definendolo un egoista, un debole, un vile.
Minacciava anche di lasciarlo: «so che per me non farai mai nulla altro che tutto ciò che non turbi la tua cosiddetta quiete famigliare e il tuo meraviglioso ineffabile egoismo» (lettera del 17 febbraio 1945, ibid., p. 364); «Non ti vergogni? Non ti vergogni? Un uomo come te ridotto come un miserabile Arcibaldo? A questo punto di miseria morale, di debolezza, di avvilimento e di viltà sei ridotto? E io dovrei ancora seguirti? E io dovrei ancora morire per te? […] Ti disprezzo, ti disprezzo e da questo momento è chiusa nella maniera più definitiva» (lettera del 21 febbraio 1945, ibid., p. 367 n.); «[…] sei un povero uomo. Se mi rispettassi, se mi amassi, se avessi della dignità personale […]. Da questa sera, io sono morta per te» (lettera del 12 aprile 1945, ibid., p. 392).
Restò tuttavia legata a Mussolini fino alla fine: lo seguì a Milano il 18 aprile 1945 e il 27 lo raggiunse lungo la strada che muove da Como verso nord. Catturati separatamente dai partigiani, furono riuniti e passarono insieme la notte a Giulino di Mezzegra prima dell’uccisione, che avvenne il 28 (non si sa se per mano partigiana o per mano inglese, poiché le versioni sulle ultime ore di Mussolini sono discordanti).
I loro corpi furono trasportati a Milano, a piazzale Loreto, dove subirono oltraggi e scempi da parte della folla prima di essere appesi a testa in giù a un traliccio metallico. Un sacerdote fermò con una spilla la gonna di Clara che pare fosse con il pube scoperto, un particolare che ha fatto pensare a violenze sessuali da lei subite nelle ore finali. Ma di questo non c’è certezza, così come non si è certi sulle modalità precise della sua uccisione poiché, a differenza di Mussolini, non ci si diede cura di fare un’immediata autopsia sul suo cadavere (Milza, 2011).
Si è detto come progressivamente Petacci avesse cercato di influenzare alcune scelte politiche di Mussolini. Nel periodo romano, già a partire dal 1938, il duce chiedeva il suo parere sui discorsi in preparazione («mi chiama, legge il discorso […] c’è un punto che non mi va […] glielo dico – allora lo segna con la matita bleu, riflette un poco e dice forse non hai torto sai – bisognerà che lo riveda meglio – sì hai ragione […] però il resto va bene vero?»: appunto del 10 aprile 1938, in Arch. Petacci, b. 9, f. 133). Petacci giunse anche a far inserire persone di sua fiducia, o a trattenerle, nei gangli centrali del regime. Fu il caso di Nicolò De Cesare, segretario particolare del duce dal 1941 al 1943, e di Guido Buffarini Guidi, sottosegretario agli Interni fino al febbraio 1943 e ministro degli Interni a Salò. Ma su questa attività di Petacci, sui suoi risvolti ed esiti, si deve ancora indagare.
Dai suoi consigli e dalle sue osservazioni, Petacci si rivela, oltre che ardentemente fascista e mussoliniana, partecipe dell’ala dura e radicale del fascismo anche per quanto concerne l’alleanza con la Germania nazista. Individuò trame antimussoliniane e antinaziste prima del 25 luglio 1943 e si dimostrò addirittura sanguinaria: «vorrei uccidere io stessa Ambrosio Badoglio Roatta Cavallero – tutto lo stato maggiore e tutti i ministri che ti tradiscono […] salvati… reagisci prendi delle decisioni supreme – uccidi – se necessario» (lettera del 20 luglio 1943, in B. Mussolini, A Clara, cit., p. 126).
Petacci non comprese la situazione tragica nella quale versava l’Italia tra la fine del 1942 e la primavera-estate del 1943, né la crisi inarrestabile del regime: come altri fascisti, sempre meno del resto, ma comunque presenti, ritenne che si dovesse continuare la guerra a fianco della Germania e che chi vi si opponeva meritasse la morte.
Filonazista si mostrò anche nei mesi della RSI nelle sue lettere a Mussolini. Tutte le sue esortazioni mirarono a tener conto dell’alleato, chiedendo tuttavia ad Adolf Hitler ciò che, secondo lei, il führer avrebbe dovuto dare, e le sue indicazioni coincidevano straordinariamente con quelle suggerite dall’ambasciatore tedesco Rudolf Rahn (Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 16, f. 91: Rapporti italo-tedeschi).
Nulla, quindi, accrediterebbe l’ipotesi che sia stata una spia degli inglesi e, dunque, un’antifascista, come il nipote ha cercato di sostenere, pur cogliendo un tratto affatto particolare della sua scrittura diaristica, come l’acribia filologica nel trascrivere «per filo e per segno le parole di Mussolini. Non è un atteggiamento da amante; un’attenzione così puntigliosa fa piuttosto pensare a un interesse ‘professionale’ per le parole e gli atti del duce: i diari di Clara potrebbero essere i diari di una spia» (F. Petacci, Clara Petacci spia o tramite fra Churchill e Mussolini?, in C. Petacci, Mussolini segreto..., cit., p. 20).
Quali erano le finalità di quella scrittura fluviale (a volte dieci, quindici, venti e più pagine al giorno fra gli appunti del diario e le minute delle lettere a Mussolini)? E quali le finalità della conservazione delle lettere di lui, anche in copia fotografica? È noto che Mussolini le chiedeva di distruggere tutte le sue lettere a lei indirizzate e non gradiva «che tu tenga copia delle lettere che mi mandi. Ciò ha sapore burocratico, quasi di pezze d’appoggio per il futuro» (lettera del 10 ottobre 1944, in B. Mussolini, A Clara, cit., p. 298). È inoltre noto che una fra le principali preoccupazioni di Petacci fu la preservazione di quel materiale, se solo per amore o per quale possibile successivo utilizzo non è dato conoscere.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Archivio Clara Petacci; Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 16, f. 91: Rapporti italo-tedeschi; C. Petacci, Mussolini segreto. Diari 1932-1938, a cura di M. Suttora, Milano 2009; B. Mussolini, A Clara. Tutte le lettere a C. P. (1943-1945), a cura di L. Montevec-chi, Milano 2011; C. Petacci, Verso il disastro. Mussolini in guerra. Diari 1939-1940, a cura di M. Franzinelli, postfazione di F. Petacci, Milano 2011.
R. De Felice, Mussolini il duce, II, Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino 1981, ad ind.; R. Gervaso, Claretta. La donna che morì per Mussolini, Milano 1982 (pur di taglio giornalistico è ricco di testimonianze); R. De Felice, Mussolini l’alleato, I, L’Italia in guerra 1940-1943, 2, Crisi e agonia del regime, Torino 1990, ad ind.; P. Chessa - B. Raggi, L’ultima lettera di Benito Mussolini e P.: amore e politica a Salò, Milano 2010; P. Milza, Gli ultimi giorni di Mussolini, Milano 2011; sul carteggio Petacci - Mussolini v. il film documentario di F. Sasso, Mussolini, il cadavere vivente (2012, Rai Tre - Rai Educational).