CLARINETTO
Strumento musicale la cui invenzione è attribuita a Cristoforo Denner di Norimberga (1655-1707). Non tutti gli storici si trovano d'accordo nello stabilire la data precisa di tale invenzione, da porsi secondo alcuni negli ultimi decennî del secolo XVII, secondo altri nel primo anno del secolo successivo. L'invenzione del clarinetto fu in sostanza un miglioramento e un perfezionamento dello chalumeau usato nelle orchestre francesi, che a sua volta derivava dall'antica cennamella usata nelle campagne e dai pastori. L'ancia battente applicata ad un tubo cilindrico (che costituisce il fondamento acustico del clarinetto) risale a tempi antichissimi. Non bisogna poi confondere il vero chalumeau con lo Schalmei tedesco, specie di oboe ad ancia doppia, impropriamente detto dai Francesi anch'esso chalumeau.
Lo chalumeau su cui il Denner applicò la sua invenzione, e che si trova usato anche nelle antiche partiture italiane sotto il termine di scialmò o salmò, era composto di un tubo cilindrico e di una sottile linguetta di canna collocata sopra un'imboccatura fatta a becco. Lo strumento non terminava a padiglione e la sua scala era limitata da fa1 e sol2 sino al sol3. Se ne aveva un'intera famiglia: chalumeau discanto, alto, tenore, basso. Da questi quattro membri ebbero origine rispettivamente il clarinetto soprano, il clarinetto d'amore (tagliato in sol, e talora in fa), di forma simile al corno inglese, il clarinetto alto e il corno di bassetto.
Sennonché il modo col quale nello chalumeau l'ancia era messa in vibrazione, non rendeva regolare la produzione dei suoni armonici e il precipuo intento che si prefisse il Denner fu appunto quello di poterli invece ottenere con sicurezza. Egli pertanto cambiò la posizione dei buchi, avvicinando all'imboccatura le chiavi e diminuendo il diametro del tubo. Grazie a tale modificazione si ottennero i suoni armonici di duodecima.
I più antichi clarinetti erano muniti di due chiavi (l'una azionata dal pollice della sinistra e l'altra dall'indice della destra) e di otto buchi; l'estensione era di due ottave e un quinto a partire dal fa. La lunghezza del tubo era di circa cinquanta centimetri. Il Denner svasò l'estremità dello strumento dandole forma di padiglione come nella tromba, e il primo strumento di tale specie apparì la prima volta nel 1701. Già fin da allora le note di registro più basso conservarono il nome di chalumeau per l'identità del timbro con quello dell'omonimo strumento che le precedette. La serie delle duodecime prese il nome di clarino perché i rispettivi suoni erano vigorosi e chiari e assomigliavano al timbro delle trombe acute che portavano lo stesso nome, e il diminutivo (clarinetto) finì col designare lo strumento. Nei primitivi clarinetti la differenza fra i due timbri era particolarmente sensibile e s'attenuò soltanto quando apparve il clarinetto a 13 chiavi.
Il clarinetto a 2 chiavi, sul quale l'inventore aveva già applicato l'imboccatura attuale, aveva un'estensione dal fa4 al fa5, ma mancava del si naturale e alcune altre note dovevano essere prodotte artificiosamente con la chiusura contemporanea di due buchi. Onde ne risultavano suoni poco omogenei e d'incerta intonazione.
Il figlio di Denner (o, secondo altri, Federico Barthold di Brunswick) allungò il tubo del clarinetto arricchendolo del mi grave e rendendo possibile cosi anche la produzione dell'armonico mancante. Per quanto ancora imperfetto nelle sue qualità foniche, il clarinetto poté trovare durante il Settecento abili fabbricanti (come Giuseppe Beer) che cercarono di aumentarne le risorse, e sagaci compositori che cominciarono a introdurlo nelle orchestre. Nel sec. XVIII il clarinetto trovò, del resto, largo uso nelle bande militari, sostituendosi aglì oboi. Verso la fine del secolo, Saverio Lefèvre, professore al conservatorio di Parigi, ampliò l'estensione dello strumento munendolo di 6 chiavi e rettificando taluni suoni tuttora imprecisi.
Un vero e reale progresso che permise al clarinetto di far valere tutte le sue belle qualità di suono e d'espressione fu realizzato da Ivan Müller che inventò e fece costruire da uno dei migliori fabbricanti di Parigi, il Gentelet, il clarinetto a 13 chiavi. Questo strumento, che eliminava una delle manchevolezze più notevoli degli antichi clarinetti: quella, cioè, di obbligare il suonatore ad usare strumenti di differente taglio, era poi dotato delle migliori qualità foniche, e rendeva possibili i passi d'agilità più difficili. Pur perfezionato e corretto in certi particolari del meccanismo, esso rimase come modello del clarinetto moderno.
L'attenzione degli ulteriori costruttori di questo strumento si rivolse soprattutto alla possibilità di applicarvi il sistema Boehm (già adottato per tutti gli altri strumenti in legno), sistema che nella sua applicazione veniva ostacolato dalla diteggiatura del clarinetto a 13 chiavi. Mirabili per ingegnosità e costanti furono pertanto gli sforzi fatti dal Beer, da F. Lefèvre, dal Romero, dal Blancou, dal Gyssens, ecc.
Oggidì, oltre il normale modello Müller, sono usati: il clarinetto a 14 chiavi (con l'ultima chiave situata da una parte); quello a 13 chiavi e a due anelli; e quello a 15 chiavi e due anelli noto anche sotto il nome di modello Semi-Boehm. Oltre questo c'è il clarinetto sistema Boehm (Buffet) a 16 chiavi e 4 anelli.
Il clarinetto di gran lunga più usato oggi, è quello tagliato in si bemolle. Degli altri tipi tagliati in diverse tonalità, e prima ricordati, rimane in uso soltanto il clarone (o clarinetto basso) i cui primi esemplari (di Enrico Grenser di Dresda) risalgono al 1793. Fu poi perfezionato dal famoso fabbricante Adolfo Sax. Il clarinetto contrabbasso (ingl. pedal clarinet) è ancora un'ottava sotto del clarone, e si usa prevalentemente nelle bande militari.
Uso orchestrale. - Le prime sporadiche apparizioni del clarinetto in orchestra (Rameau) sono un po' anteriori alla metà del sec. XVIII ma soltanto Haydn e Mozart conferirono in orchestra a tale strumento l'importanza del flauto e dell'oboe. Come questi ultimi, i clarinetti furono sin d'allora usati a coppia; interessa però di rilevare come nella leggiera compagine orchestrale delle opere, p. es. di Cimarosa e di Paisiello, i due clarinetti escludano i due oboi o i due flauti: cosicché in un pezzo comparivano i primi, in un altro pezzo i secondi. In un certo senso il clarinetto ereditò allora la funzione che aveva avuta per tutta la prima metà del 1700 (Bach) la tromba: funzione duplice di base armonica e di voce cantante. Rossini trovò nel timbro chiaro e fluido del clarinetto il colore più adatto per l'esposizione della seconda idea rielle sue sinfonie, per l'introduzione alle arie, ecc. E anche alcuni fra gli autori romantici tedeschi usarono largamente il clarinetto, ma appannando la risonanza sinfonica dello strumento con un largo uso simultaneo di archi e di corni (p. es. Mendelssohn nella Grotta di Fingal). L'orchestrazione operistica e anche sinfonica instaurata da Wagner ha avuto in generale la tendenza a lasciare al clarinetto funzioni secondarie di armonia o di raddoppio, quantunque anche per tale strumento abbia dovuto adottare la formazione a tre, per ragione di simmetria con gli altri. Lo strumentale della cosiddetta giovane scuola russa riconobbe la personalità del clarinetto (si veda per es. la prima delle danze del Principe Igor di Borodin).
Quanto alla funzione di sostegno armonico, la loro grande capacità di rinforzare e indebolire agevolmente l'intensità del suono, fa del clarinetto uno strumento prezioso per accompagnare e seguire le sfumature più delicate crescendo-diminuendo o viceversa. La capacità suddetta suggerì anzi a Wagner anche quel mirabile "giro di sonorità" per cui la stessa frase melodica può, per il tramite del clarinetto, passare da una classe all'altra degli strumenti d'orchestra, incominciare dagli archi e finire con i legni e anche con gli ottoni o viceversa.
Spinto alle estreme note del registro sovracuto, il clarinetto produce una sonorità lacerante e disperata, dalla quale ha tratto partito R. Strauss in uno dei momenti più impressionanti (l'impiccagione) del suo T. Eulenspiegel.
Il clarinetto basso, introdotto in orchestra dal Meyerbeer, ebbe una superba applicazione nell'orchestra wagneriana: il suo canto è meno forte ma anche meno duro di quello del fagotto, e il passaggio legato da una nota all'altra k fluido senza riuscire confuso. Di esso si ha una stupenda applicazione orchestrale nell'inizio del IV atto del Falstaff di Verdi, in concerto col soprano.