CLARISSE
Ordine monastico che, traendo origine da s. Chiara (v.), rappresentò una delle componenti più vitali del vasto movimento religioso femminile sviluppatosi soprattutto nell'Italia centrale sullo scorcio del 12° secolo.Non appaiono tuttora a sufficienza chiari i tempi e i modi con cui la Chiesa giunse a regolamentare le pauperes dominae, sorores o moniales (la denominazione di C. è tarda, successiva a quella di Damianite, nata in rapporto al periodo anteriore alla morte della santa), ancora vivente s. Chiara e addirittura, con ogni probabilità, ancora vivo s. Francesco, inserendole all'interno di più tradizionali strutture monastiche. Alla prima forma vivendi risalente a Francesco stesso, come risulta da scritti di Chiara, e relativa alle Damianite - per le quali solo nel corso degli anni trenta del sec. 13° si affermò la denominazione di Ordo sancti Damiani e in seguito di Ordo sanctae Clarae -, si sostituì infatti già nel 1219 la Formula vitae dettata da Ugolino, cardinale di Ostia e Velletri, diffusa, dopo il 1227 largamente, tra le comunità sorte numerose soprattutto nell'Italia centrosettentrionale. L'ordinamento ascetico proposto, che aveva il proprio centro organizzatore nella clausura, determinò una vita di distacco dal mondo che, secondo alcuni studiosi, è del tutto estranea, in questi termini, al pensiero di Francesco e Chiara (Gennaro, 1980; Manselli, 1980; Mistretta, 1983; Sensi, 1984). Il cardinale Ugolino nel corso degli anni donò beni immobili alle pauperes dominae reclusae di s. Damiano; divenuto papa con il nome di Gregorio IX (1227-1241) stabilì l'obbligo di una dote patrimoniale sufficiente al mantenimento della comunità (Sensi, 1984). Successivamente, la legislazione delle C. si andò sviluppando attraverso altre quattro formulazioni: le Regole dette di Innocenzo IV (1247), di s. Chiara (1253), della beata Isabella (1263) e infine di Urbano IV (1269).Il ramo femminile dell'Ordine francescano fu protagonista sin dagli inizi di un'esperienza insediativa stabile e comunitaria, che prevedeva dunque un'organizzazione degli spazi adatta alle specifiche esigenze delle comunità. Non esistono regole comuni alla base della costruzione dei monasteri e delle chiese delle C., come in generale degli Ordini mendicanti, che utilizzarono contemporaneamente e in regioni diverse differenti tipi di edifici sacri (Cadei, 1983). Lo spontaneismo che caratterizzò la prima fase di vita del nuovo Ordine, la frequente riutilizzazione di strutture preesistenti, la lenta definizione della pratica spirituale e liturgica, insieme all'esigenza di una rigida clausura e all'espressione di una dimensione essenzialmente meditativa, contribuirono in modo determinante alla definizione dell'architettura delle Clarisse. La necessità di creare spazi differenziati rispetto a quelli fruibili da parte della comunità laica - successiva a quanto pare alla risistemazione data alla nuova comunità dalla Formula vitae di Ugolino, nel 1219 - fu all'origine di un diverso sviluppo degli insediamenti, che, a differenza di quelli maschili e salvo rare eccezioni, non raggiunsero mai, neanche nella chiesa, un notevole sviluppo dimensionale, né un'articolazione spaziale complessa. Il processo di riduzione degli spazi, che accomuna peraltro l'architettura delle C. a quella realizzata per i rami femminili di altri ordini (per es. i Cistercensi), determinò la realizzazione di strutture rispondenti ai criteri di povertà, di semplicità e di mimetismo con il contesto edilizio locale, ribaditi dallo statuto 17 delle Costituzioni Narbonensi del 1260. Allo stato attuale degli studi appare infatti ampiamente generalizzata la preferenza per chiese a navata unica, schema che, pur essendo particolarmente diffuso nell'architettura mendicante, fu adottato con criteri quasi esclusivi nell'edilizia religiosa delle C., in una versione semplificata nelle dimensioni e nell'articolazione spaziale, rinunciando al transetto e alle cappelle che affiancano il coro; la copertura era solitamente a volta, soluzione questa che non presentava particolari difficoltà di realizzazione su spazi di ampiezza limitata. All'interno di queste strutture notevole importanza rivestivano - sempre successivamente, peraltro, alla Formula vitae - le diverse tipologie di schermi - previsti dalla legislazione monastica per separare le comunità di clausura dal mondo esterno -, che subirono mutamenti a volte radicali nel corso del tempo, recentemente messi in rapporto con la crescente venerazione per l'eucaristia nel sec. 14° e con le conseguenti esigenze di visione diretta dell'altare e dell'ostia (Bruzelius, 1992).È poi necessario distinguere sia le prime fondazioni dagli edifici eretti nel corso della seconda metà del Duecento e nei secc. 14° e 15°, sia i casi di riutilizzo di strutture preesistenti da quelli di edificazione ex novo, sia le architetture memoriali o rappresentative - generalmente legate al patronato di regnanti e di membri dell'aristocrazia, che propongono, per ampiezza dimensionale e complicazione strutturale, significative variazioni in pianta e in alzato - da quelle d'uso, generalmente meno conservate, caratterizzate da una spiccata tendenza alla riduzione proporzionale e decorativa. Sono tutti aspetti comunque che andrebbero valutati con il supporto di più complete indagini.
I monasteri ancora esistenti di C. - sottoposti, ancor più delle chiese, a ristrutturazioni, ampliamenti, nuove destinazioni d'uso o distruzioni e abbandoni che rendono estremamente complessa l'analisi delle strutture e la ricostruzione dell'aspetto originario degli insediamenti - presentano in pianta caratteri di estrema eterogeneità, anche se è possibile cogliere alcune caratteristiche comuni. Escludendo i grandi complessi rappresentativi, i monasteri superstiti presentano uno sviluppo modesto, generalmente organizzato intorno allo spazio quadrangolare del chiostro con la chiesa, per lo più ubicata sul lato nord e inserita completamente in pianta e in alzato all'interno del blocco degli edifici. Nei monasteri di S. Chiara a Napoli e di Vallegloria a Spello si rileva una singolare posizione del chiostro e degli edifici monastici, a E rispetto alla chiesa. Gli ambienti principali si aprono sulle gallerie del chiostro, che presenta arcate solo al livello inferiore, mentre la parte superiore viene utilizzata per abitazione, senza però rispettare un piano definito: manca una vera e propria sala capitolare, meno importante rispetto alle comunità maschili, e lo spazio originariamente riservatole tende a trasformarsi in un ambiente a disposizione per il lavoro comune o per le istruzioni quotidiane; il refettorio può trovarsi sul lato sud o a E, in prossimità del coro (Filipiak, 1983).In Italia il processo di insediamento dell'Ordine si avviò nel secondo decennio del sec. 13° risolvendosi, nella maggior parte dei casi e fino agli anni cinquanta, nella risistemazione di cappelle o costruzioni rurali preesistenti e, in seguito, nell'innalzamento dei primi modestissimi edifici (Villetti, 1984). Di questi insediamenti rimangono scarsissime testimonianze: generalmente situati all'esterno delle mura urbane, essi furono successivamente abbandonati dalle comunità - che si trasferirono in sedi più confortevoli e più sicure all'interno dei centri abitati -, per essere a volte utilizzati come fortificazioni, per la vicinanza a porte urbiche e a importanti vie di comunicazione (per es. Gubbio, S. Maria di Parlascio; Orvieto, S. Pietro in vineis). Nell'ultimo quarto del sec. 13° e nel primo decennio del successivo si assiste a un notevole sviluppo dell'attività edilizia soprattutto in Umbria e Toscana, ma anche in altre regioni dell'Italia centrosettentrionale - dove peraltro le campagne costruttive si protrassero nel corso del Trecento -, nonché in Campania e in Abruzzo.Nello scarno panorama delle prime fondazioni dell'Ordine, ad Assisi S. Damiano e S. Chiara rappresentano i complessi che conservano in modo più soddisfacente l'aspetto originario e, anche dal punto di vista architettonico, esemplificano due diversi momenti della storia delle Clarisse.S. Damiano riflette chiaramente la complessità degli aspetti che caratterizzarono gli esordi delle C.: si tratta infatti di una chiesa preesistente, restaurata da Francesco in due momenti successivi. Il primo intervento sembra essersi limitato al rifacimento della volta a botte archiacuta sul corpo longitudinale della chiesa, mentre il secondo, reso necessario dall'insediamento di Chiara e delle sue compagne, si risolse nella costruzione del c.d. dormitorio, un semplice ambiente a pianta rettangolare con copertura lignea ricavato al di sopra della volta del corpo longitudinale della chiesa. Tale soluzione, rapida, oltre che semplice ed economica, nella configurazione spaziale mostra evidenti collegamenti con elementi strutturali e formali dell'edilizia laica di assistenza pubblica urbana (Romanini, 1986). Solo in un secondo momento si addossarono a questa semplice struttura su due piani il coro a terminazione semicircolare e la sovrastante cappellina, costruiti in un unico blocco. Il c.d. coro di s. Chiara, sito al piano terreno sul lato destro dell'abside, venne probabilmente aggiunto più tardi e si è ipotizzato che in origine potesse prolungarsi verso N e avvolgere completamente l'abside (Bruzelius, 1992): inizialmente le monache utilizzavano, probabilmente, come coro la più orientale delle piccole stanze che si articolano sul lato destro della navata, applicando un modello di tipo eremitico in cui le celle delle recluse si aprivano sulla chiesa attraverso una finestra munita di grata (Bruzelius, 1992). L'ampliamento della chiesa verso E avrebbe poi reso necessaria la costruzione di un coro più vicino all'altare, anche se non direttamente collegato a esso, dal momento che le C. potevano comunicarsi solamente sette volte l'anno. I risultati di una campagna di scavo in corso permettono sin d'ora di definire con maggiore chiarezza, almeno per alcune zone, il susseguirsi degli interventi, numerosi già in epoca precoce, che hanno contribuito a determinare l'aspetto attuale del complesso. L'oratorio sopra il coro, nel quale una nicchia doveva conservare un ostensorio, a testimonianza della centralità della devozione eucaristica nella vita della comunità, doveva essere utilizzato dalle C. per gli uffici notturni e per la devozione privata.Sono inoltre di rilevante interesse, in un complesso che concretizzava l'idea di Francesco sul modus vivendi di Chiara e delle sue compagne, da una parte l'assenza del chiostro, dall'altra la presenza di una piccola comunità di Francescani - che si trasferì in seguito insieme alle C. nel nuovo monastero urbano di S. Chiara - per assolvere le necessità liturgiche della comunità laica e di quella monastica. È stato recentemente proposto che Francesco avesse progettato originariamente a S. Damiano una comunità doppia, maschile e femminile, e che l'idea fosse stata abbandonata per non ostacolare il processo di legittimazione del movimento francescano (Bruzelius, in corso di stampa). Una rigida separazione tra i due rami del movimento si stabilì solo in seguito e si espresse nell'edificazione di sedi stabili e differenziate (Pellegrini, 1984); ciò nonostante per le C. il rapporto con il ramo maschile dell'Ordine rimase vitale, come dimostra la frequente fondazione di monasteri doppi, che garantivano alla popolazione femminile protezione, la necessaria direzione spirituale e l'assolvimento degli impegni legati al culto.Con la struttura di S. Damiano presenta significative analogie il complesso di S. Sebastiano presso Alatri, che nel 1233 divenne possesso di una comunità di C. provenienti dal monastero di Assisi. La chiesa attuale è probabilmente frutto del rimaneggiamento di un ambiente preesistente, al di sopra del quale fu ricavato un lungo vano con copertura lignea; una stanza al piano superiore degli edifici conventuali, che si apriva sulla chiesa attraverso una piccola apertura in spessore di muro, fu probabilmente utilizzata come coro delle monache. Gli elementi strutturali e formali che qualificano il complesso sono ricollegabili a una cultura architettonica locale, ampiamente diffusa nel Lazio meridionale tra la fine del 12° e il 13° secolo. L'evidente rapporto di questa fondazione con la casa madre è confermato anche dall'analisi degli affreschi, espressione pittorica delle Meditationes vitae Christi, realizzati da maestri di ambito umbro (Iazeolla, 1983).Sono ancora parzialmente leggibili i resti di altri due insediamenti femminili tra quelli documentati nel Lazio a partire dagli anni trenta del sec. 13° e dovuti in gran parte all'interessamento di rappresentanti della nobiltà locale: S. Michele Arcangelo presso Amaseno e S. Pietro in vineis ad Anagni, entrambi casi di riutilizzazione di strutture preesistenti. La chiesa di S. Michele, eretta tra la fine del sec. 12° e la prima metà del 13°, è costituita dalla giustapposizione di due vani comunicanti a pianta rettangolare. Sul primo, situato a O e leggermente più ampio, si sviluppava un ambiente con copertura lignea, cui si accedeva attraverso una scala; si ripropone in questo caso la problematicità dell'interpretazione della funzione di questo ambiente, l'accesso al quale, sia che fosse utilizzato come coro (Giannetta, 1987) sia come abitazione (Zaccheo, 1979), era previsto direttamente dal monastero; il vano orientale appariva più slanciato. Omogenea è la muratura dei due corpi e, piuttosto che pensare alla giustapposizione di due strutture in tempi diversi (Giannetta, 1987), si può individuare nella chiesa un edificio ristrutturato nel momento in cui le C. ne presero possesso.Nella vicina Anagni le C. si stabilirono nel 1255 ca. presso la chiesa di S. Biagio, situata a N della città, per trasferirsi nel 1256 a S. Pietro in vineis, un monastero che doveva essere appartenuto a una comunità benedettina. Unici elementi sopravvissuti sono la chiesa, divisa in tre navate e conclusa da un'abside semicircolare, e la parte inferiore del campanile. Alle C. potrebbe essere attribuita la realizzazione di un ambiente nel sottotetto della navatella destra, aperto sulla chiesa da una finestrina e decorato con affreschi duecenteschi del ciclo della Passione (Bianchi, 1983).Il monastero di S. Chiara ad Assisi (v.) rappresenta, in quanto edificio memoriale, un caso del tutto particolare all'interno dell'edilizia dell'Ordine, anche se vi si riflettono alcune problematiche comuni. L'attuale monastero sorge sul luogo dell'antico ospedale e cappella di S. Giorgio - eretto al di fuori ma subito a ridosso delle mura civiche (Bigaroni, 1990) - dove nel 1253 erano state trasportate da S. Damiano le spoglie di Chiara. Si è ipotizzato che ad alcune monache provenienti dalla comunità fosse stata concessa già in quell'occasione l'autorizzazione a costruirvi un'abitazione provvisoria, forse quei palatia dominarum che recentemente si è proposto di individuare nel vano (rifatto nel 1342) situato al di sotto del dormitorio delle converse, che risale al 1478 (Bigaroni, 1990).La costruzione ex novo di una chiesa risulta già iniziata nel 1257; le incertezze sulla collocazione del coro delle C. - per il quale fu forse inizialmente utilizzata l'antica cappella di S. Giorgio, che nel 1263 risultava essere ancora in piedi compresa all'interno dello spazio chiuso del monastero (Bigaroni, 1990) e che era venerata per essere stata temporaneamente il luogo di sepoltura di Francesco e Chiara - e sulla strutturazione degli spazi legati alle esigenze della clausura dipendono anche dal prevalere, rispetto a queste ultime, del culto pubblico di Chiara, rinsaldando ulteriormente il rapporto di mutuo sostegno tra le comunità femminili e la cittadinanza, che fin dagli esordi aveva caratterizzato il nuovo movimento religioso (Bartoli, 1986; Meier, 1990). Se infatti bisogna riconoscere nel pontefice Alessandro IV (1254-1261) il committente di questa fondazione, oltre che della basilica di S. Francesco, è necessario ricordare che l'impresa era stata fortemente appoggiata dalla cittadinanza. La chiesa assunse perciò fin dall'origine una fisionomia pubblica, come chiesa sepolcrale e casa madre dell'Ordine, proponendo dunque anche in questo senso, oltre che nella collocazione urbanistica speculare, il rapporto privilegiato con la basilica di S. Francesco. L'attuale cappella di S. Giorgio o del Sacramento e quella del Crocifisso, nate come cappelle private del monastero, per l'esigenza di una maggiore vicinanza alla tomba di Chiara oppure di maggiore spazio rispetto a quello consentito dall'originaria collocazione all'interno del monastero, vennero erette sul lato meridionale della chiesa probabilmente solo quando questa era terminata, benché una datazione sicura delle strutture si presenti problematica (Bigaroni, 1990).L'edificio riflette, anche nelle scelte strutturali e formali, da una parte la volontà di rifarsi al modello della basilica superiore di S. Francesco, evidente sia nella ripresa dell'impianto cruciforme a navata unica coperta a crociera con transetto e terminazione absidale semipoligonale, sia nella presenza di semipilastri a fascio e di una cornice che segna con forza le pareti perimetrali, sia nella preferenza accordata alle grandi superfici murarie; dall'altra l'influenza esercitata dal Comune sulle vicende costruttive, alla quale si è proposto di ricondurre le varianti introdotte rispetto al modello (Meier, 1990). In S. Chiara il rapporto tra pareti e volte risulta infatti ribaltato: la cornice, più sporgente e inserita all'altezza dell'imposta delle volte, guadagna un maggiore rilievo, mentre la riduzione delle colonnine dei pilastri polistili, delle modanature degli archi che incorniciano le finestre e dello sviluppo delle aperture, peraltro prive di tracery, determina una chiara predominanza della parete liscia e delle linee orizzontali (Krönig, 1938). Uno stesso criterio presiede all'organizzazione della facciata, giocata sull'effetto cromatico delle fasce in pietra bianca e rosa e sull'inserimento di elementi provenienti dall'ambito culturale romano - come il rosone e il portale - in un contesto che mitiga gli accenti gotici del S. Francesco, accentuando invece i legami con Roma - modello prioritario nel processo di crescente presa di coscienza delle comunità urbane (Meier, 1990) - e con le forme e le tradizioni costruttive locali. È interessante notare che, nello stesso modo che a S. Damiano, il progetto originario al quale dovrebbero essere ricondotti i blocchi orientale e meridionale non prevedeva l'esistenza di un regolare chiostro porticato.La più comune struttura semplificata, dotata inoltre di copertura lignea, si trova invece nelle chiese di S. Chiara a San Miniato, oggi barocca, di S. Salvatore a Fucecchio (Firenze), acquistata dai Vallombrosani a metà del Duecento, e nella chiesa del monastero di Monteluce presso porta Sole a Perugia, dove le capriate sono sostenute da archi-diaframma a sezione acuta, attualmente nascosti dalle volte più tarde.La comunità di Monteluce è attestata già nel 1219, insieme a quelle di Monticelli a Firenze, Gattaiola presso Lucca e Porta Camollia presso Siena, sotto la protezione del cardinale Ugolino. Sull'area degli edifici del monastero perugino sorge oggi un ospedale, uno dei corpi del quale insiste sull'abside a terminazione rettilinea della chiesa a navata unica, scandita sul fianco sinistro con ritmo serrato da undici contrafforti che si alternano alle lunghe monofore ogivali. La tipologia adottata a Monteluce ebbe notevole diffusione nell'ambito dell'edilizia mendicante e si evidenziano significativi rapporti con le soluzioni adottate nell'architettura civile coeva, ma anche negli edifici abbaziali e di produzione cistercensi (Krönig, 1938).Anche a Spello le C. si insediarono nel 1320 nei pressi delle mura urbiche, fondando il monastero di Vallegloria, di lettura problematica per le radicali trasformazioni subite, insieme alla chiesa con ambiente mononave e coro a terminazione rettilinea sul retro della zona presbiteriale. La comunità, originariamente camaldolese, proveniva dal complesso di Vallegloria Vecchia - oggi profondamente ristrutturato e utilizzato come eremo - situato fuori della città, sulle pendici del monte Subasio.A Napoli, dove si insediarono nel Duecento con le fondazioni di S. Agata ad Piperonem (1243) e di S. Giovanni ad Nidum (1286), rimangono oggi a testimoniare la presenza delle C. nel Medioevo solamente gli edifici eretti nei primi decenni del sec. 14° per volontà di membri della dinastia angioina (v. Angioini). La chiesa e il monastero di S. Maria Donnaregina, un antico complesso la cui esistenza è testimoniata fin dal sec. 8° (Bertaux, 1899) e che passò nel 1264 sotto la Regola delle C., furono ricostruiti dopo il terremoto del 1293 su iniziativa della regina Maria d'Ungheria, ella stessa terziaria. Del monastero trecentesco sopravvivono solo poche tracce (Chierici, 1934; Venditti, 1969); la chiesa invece, probabilmente compiuta nel 1316, ripristinata nell'aspetto originario negli anni Trenta (Chierici, 1934), mostra una disposizione interna che sarebbe stata ripresa in modo semplificato a S. Chiara a Nola, eretta dopo la metà del Trecento (Venditti, 1969), e una simile disposizione degli spazi su due piani è riscontrabile a S. Maria delle Donne ad Ascoli Piceno. La chiesa presenta inoltre numerose analogie strutturali e formali con la produzione architettonica angioina tra Duecento e Trecento, ma deve l'originale articolazione dello spazio - con una tribuna collocata sul lato ovest - all'esigenza di inserire all'interno del vano liturgico il coro per le monache. Nel corso del sec. 13° la localizzazione di questo ambiente sembra dunque passare dalle stanze laterali del piano terreno - che ricalcano un modello di tipo eremitico - alla tribuna sopraelevata, sull'esempio dei modi più tradizionali di separazione tra popolazione monastica e laica all'interno dello spazio sacro (Bruzelius, 1992). Tale soluzione fu adottata dalle C. anche in Austria a Dürnstein e a Sankt Veit an der Glan e in Spagna a Palma di Maiorca nella Santa Clara.In tutti i casi esaminati, sia negli edifici riadattati sia in quelli costruiti appositamente per le C., le monache non avevano la possibilità di vedere l'altare dai loro stalli, né dunque di partecipare visualmente all'elevazione dell'ostia: invece di vedere ascoltavano, in accordo con una vocazione intesa soprattutto come meditativa; i cicli di affreschi che decorano questi cori, a partire da quello di S. Maria Donnaregina, andrebbero dunque interpretati come sussidio per la preghiera e le pratiche ascetiche (Bruzelius, 1992).Una soluzione del tutto nuova trovò la collocazione del coro delle monache nella chiesa del monastero di S. Chiara, fondato a Napoli nel 1310 e consacrato nel 1340 per volontà di Roberto d'Angiò e della consorte Sancia di Maiorca, in un progetto nel quale confluirono esigenze molteplici: dal desiderio di Sancia di ritirarsi in convento alla volontà di celebrare la grandezza della dinastia e di costruire una degna sede per le tombe reali. La fondazione fu concepita come monastero doppio: erano infatti previsti fin dall'inizio gli edifici per i Frati Minori sul lato destro della chiesa e per le C. alle spalle della stessa (Dell'Aja, 1980). Il corpo longitudinale, che presenta un'ampia navata unica coperta a capriate - fiancheggiata da dieci cappelle rettangolari per lato, tra i contrafforti, aperte sulla navata da archi leggermente ribassati -, richiama modelli provenzali e catalani. In relazione alla crescente venerazione dell'eucaristia, ben documentata per la stessa Sancia e alla quale era legata del resto l'intitolazione originaria della chiesa al Corpus Christi, il coro a tre navate - di cui la centrale con copertura a capriate e le laterali con crociere costolonate - si sviluppa, secondo una tipologia in seguito adottata nella maggior parte delle chiese delle C., dietro la parete rettilinea del presbiterio; quest'ultima è munita di tre aperture chiuse da grate, attraverso le quali le monache potevano godere di una visione diretta dell'altare, posto come elemento di mediazione tra lo spazio destinato ai laici e quello della clausura. Questo spazio rettangolare, strutturalmente semplice, in cui la geometria dei volumi è rischiarata da ampie aperture che non interrompono la continuità delle masse murarie e creano una luminosità diffusa, rivela la volontà di realizzare con la maggiore fedeltà possibile un impianto 'a capannone', caratteristico di numerose fondazioni francescane; noti sono in proposito i rapporti di Sancia e Roberto con i Francescani spirituali (Bruzelius, in corso di stampa). Il monastero ha subìto numerose e radicali trasformazioni (Venditti, 1969). Roberto e Sancia avevano fondato a Napoli presso Castel dell'Ovo un altro monastero per le C., intitolato alla Santa Croce, ma l'edificio risultava distrutto già nel 1778 mentre la chiesa, utilizzata come cappella reale, fu demolita nel 1810 (Galante, 1872).Il francescanesimo femminile ebbe la sua espansione al di là delle Alpi a partire dagli anni trenta del Duecento con tempi e modalità molto diversi in relazione a ogni specifica realtà nazionale. I risultati sul piano architettonico sono molto vari e in generale appaiono strettamente legati al panorama edilizio locale e al più ampio quadro dell'architettura mendicante, distinguendosi comunque solitamente per la ricerca di unificazione e semplificazione dello spazio e per la realizzazione di ambienti ridotti rispetto a quelli destinati alle comunità maschili.Nei territori di lingua tedesca un significativo sviluppo delle fondazioni si determinò a partire dagli ultimi due decenni del 13° secolo. In queste regioni l'architettura mendicante produsse alcuni edifici fortemente caratterizzati e, nella quasi totalità dei casi, accomunati dalla contrapposizione del vano per i fedeli e del coro, che, rinunciando al transetto, si sviluppava nell'originale forma del Langchor, accentuatamente articolato in senso longitudinale e aperto da ampie finestre, derivato dai modelli delle cattedrali del pieno Gotico (Krautheimer, 1925) e da quelli rayonnants dell'Ile-de-France (Branner, 1965). Si trattava di un elemento architettonico che se da una parte, in assenza di transetto, consentiva di intensificare l'effetto drammatico ricercato negli spazi sacri francescani (Romanini, 1978), dall'altra determinava una più rigida separazione tra il celebrante e la comunità laica (Grzibkowski, 1983). In Austria, dove si diffusero notevolmente le chiese-fienile, sembra maggiormente avvertibile l'influsso degli esempi dell'Italia centrosettentrionale (Donin, 1935), ma gli edifici di culto dell'Ordine non si uniformarono a un modello univoco. La chiesa delle C. a Dürnstein, che fu fondata nel 1289, era divisa in due navate secondo uno schema diffuso in tutta l'area culturale tedesca. Tale schema è legato tanto ai modelli degli edifici profani di grandi dimensioni quanto alla navata della chiesa dei Giacobini a Tolosa; i modelli del coro lungo (5/8) devono invece essere ricercati nell'ambito architettonico locale (Donin, 1935).Nella chiesa delle C. a Sankt Veit an der Glan, fondata nel 1323, il coro poligonale si integra invece perfettamente alla navata con struttura 'a sala'; anche in questo caso il coro delle monache è posizionato su una tribuna collocata sulla prima campata a O. La chiesa delle C. di Basilea, documentata dal 1356 e della cui struttura originaria sono rimaste solamente le cinque campate occidentali, è divisa in tre navate da alti ed esili pilastri cilindrici senza capitelli, che sorreggono una parete leggera traforata molto in alto da piccole finestre circolari, con un ottimo risultato di integrazione visiva (Konow, 1954).Il Langchor è particolarmente diffuso nel sec. 13° in Polonia e Ungheria, ma anche in Slovacchia, regioni in cui gli edifici per gli Ordini mendicanti assunsero un ruolo decisivo nella definizione e diffusione del linguaggio gotico, con soluzioni analoghe a quelle dell'Austria. I monasteri delle C. si devono soprattutto alla committenza delle case regnanti: uno dei più importanti e più antichi è infatti quello fondato a Praga nel 1234 da Agnese, figlia del re Přemysl Ottocaro I (1197-1230), prima badessa del monastero doppio che segnò gli esordi dello stile gotico nella Boemia (Grzibkowski, 1983). La chiesa più antica del complesso è quella di S. Francesco, eretta tra il 1231-1234 e il 1240 per Francescani e C., a due navate voltate a crociera, la meridionale più stretta e la maggiore conclusa da un presbiterio allungato coperto a crociera e chiuso da un'abside a cinque lati, già previsto nel progetto originario anche se realizzato solamente tra il 1238 e il 1245 (Soukupová-Benáková, 1976). Per le esigenze di clausura delle C. fu utilizzata la galleria, terminata solo nel 14° secolo. Un possibile modello per lo schema a due navate, applicato anche nella chiesa delle C. a Gniezno (Polonia) - interessante edificio sorto a partire dagli anni ottanta del sec. 13°, in cui la navata settentrionale era utilizzata come coro delle monache e quella centrale rimaneva a disposizione dei frati -, è stato indicato nelle chiese scomparse dei Francescani e delle C. della Champagne (Joachimová, 1966). Il coro delle monache, vasto ambiente mononave articolato in tre campate che affianca sul lato settentrionale la chiesa di S. Francesco, poté servire da modello alla chiesa delle C. a Breslavia in Polonia, a navata unica voltata divisa in tre campate - schema che nell'architettura mendicante locale non fu popolare -, fondata tra il 1257 e il 1260 (Grzibkowski, 1983). Al complesso di edifici del monastero di Praga appartiene anche la chiesa dedicata al Salvatore, eretta tra il 1270 e il 1280 nello stile gotico della Francia settentrionale con funzione di cappella funeraria e mausoleo dei Přem'yslidi (Soukupová-Benáková, 1976); l'abitudine di seppellire i fondatori della chiesa nel presbiterio era comunque ampiamente diffusa in ambito europeo. Durante il regno di Přemysl Ottocaro II (1253-1278) il modello del doppio monastero fu ripreso in centri importanti come Znojmo, Opava, Olomouc, Cheb, dove le nuove fondazioni divennero strumento della politica imperiale della corona boema (Grzibkowski, 1983).Nel quadro dei rapporti tra case regnanti europee e Ordini mendicanti rientra la vasta opera edilizia patrocinata da Elisabetta d'Ungheria, che fondò a Óbuda (Budapest) nel 1334 il monastero delle C., demolito nel 1541, che aveva accolto anche una comunità di Francescani. Una campagna di scavi ha messo in luce i muri di fondazione del complesso: la chiesa, in accordo con la committenza reale, presentava una pianta a tre navate con coro lungo e absidi minori inserite diagonalmente sulle navatelle; un ampio vano quadrangolare, forse il coro per le religiose, chiudeva la struttura a O (Śnieżýnska-Stolot, 1974; Magyarországi müvészet, 1987). Alla fine del Duecento le C. si stabilirono anche a Bratislava, dove la loro chiesa, dedicata a Maria Maddalena, con navata unica terminante con una parete rettilinea nel 1296, ricevette un coro lungo con terminazione a cinque lati ricollegabile all'ambito stilistico centroeuropeo (Magyarországi müvészet, 1987).In Gran Bretagna le C., insediatesi in modo permanente solo dal 1293-1294, ebbero una diffusione limitata e patrocinata esclusivamente da nobili famiglie. In Inghilterra si contano quattro fondazioni: Waterbeach (1293), Londra (1294), Bruisyard (1364-1367 ca.) e Denny (1342) e non esiste alcuna testimonianza dell'esistenza di insediamenti in Scozia e in Irlanda. Le fondazioni della fine del sec. 13° e del 14°, tutte soppresse nel 1539, sono oggi nel complesso molto alterate e in gran parte del tutto perdute (Bozzoni, 1984). Solo del monastero di Denny, unico caso in Inghilterra di riutilizzazione da parte dei Francescani di strutture in precedenza appartenute ad altri ordini, rimangono tracce di un certo interesse: le C. trasformarono la chiesa in strutture residenziali e ne costruirono una nuova, oggi scomparsa; degli edifici monastici medievali si conserva solo il refettorio (Poster, Sherlock, 1987).Nelle Fiandre il più antico monastero fu fondato nel 1243 a Bruxelles, mentre in Olanda i primi insediamenti di C. risalgono al sec. 14° inoltrato; le testimonianze architettoniche risultano distrutte nel sec. 17° (Rusconi, 1980).In Francia, dove le C. si diffusero rapidamente e in un'ampia area geografica soprattutto con il pontificato di Urbano IV (1261-1264), la situazione degli studi appare fortemente condizionata dalla perdita o radicale trasformazione delle strutture più rappresentative e dalla penuria di notizie. Delle numerose fondazioni di C. documentate nelle regioni meridionali di Guascogna, Provenza, Linguadoca e soprattutto, oltre i Pirenei, in Catalogna e nella contea di Barcellona - regioni strettamente collegate nell'adozione delle tipologie architettoniche - non restano che scarse testimonianze monumentali.Le chiese della Catalogna, dove gli Ordini mendicanti penetrarono in modo rapido e capillare fin dal secondo decennio del Duecento grazie alla vicinanza con la Francia meridionale e con l'Italia, sono le uniche studiate del territorio spagnolo, dove pochissimi complessi riferibili ai secc. 13° e 14° sono conservati. Qui fu elaborato e ampiamente diffuso nei paesi mediterranei il tipo a navata unica, con copertura a crociere ogivali e cappelle tra i contrafforti, conclusa da un'abside poligonale. Il monastero di Santa Maria de Pedralbes a Barcellona, dove la chiesa e il chiostro hanno conservato in modo soddisfacente l'aspetto trecentesco, rappresenta un esempio significativo di questa tipologia e a un tempo dell'intimo rapporto che si andò allacciando tra le donne delle casate reali e l'Ordine delle Clarisse. Il complesso fu eretto alle porte della città a partire dal 1326, per volere del re Giacomo II il Giusto (1291-1327) e della regina Elisenda de Montcada. La chiesa, forse consacrata già nel 1327, presenta uno schema a navata unica, con sette campate senza transetto, coperta da crociere costolonate e affiancata da cappelle laterali molto alte e poco profonde; ben presto fu trasformata in un importante pantheon (Chueca Goitia, 1965). La chiesa del monastero di Santa Clara a Palma di Maiorca, fondata nella seconda metà del Duecento, rappresenta bene nella struttura originaria conservata solo in parte - con navata unica coperta con capriate sorrette da archi-diaframma - la tipologia adottata generalmente nell'edilizia ecclesiastica degli Ordini mendicanti a Maiorca fino al termine del sec. 13° (Durliat, 1961; 1962). Di fondazione reale è anche il monastero di Santa Clara a Palencia, eretto a partire dal 1378 (Chueca Goitia, 1965).La prima edilizia degli Ordini mendicanti si diffuse in Portogallo intorno alla metà del Duecento, realizzando una serie di costruzioni caratterizzate da notevole omogeneità, che mediarono l'ingresso nella regione del linguaggio gotico (Bozzoni, 1984). La Santa Clara a Santarém, costruita intorno al 1272, è l'unica della prima fase che conserva l'aspetto originario; il patrocinio reale ne spiega le notevoli dimensioni e la complessità strutturale e formale (per es. la presenza del transetto). Santa Clara-a-Velha a Coimbra, terminata nel 1330, rappresenta l'unico caso di chiesa 'a sala' con volte di due tipi diversi e il primo tentativo di voltare completamente un edificio prima dell'esempio della chiesa del convento domenicano di Batalha, iniziata nel 1387 (Bozzoni, 1984).
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