CLASSIARÎ (classari o classici, come sono sempre detti nelle epigrafi)
Sono i marinai delle armate romane, e il nome vien dato, almeno durante l'impero, tanto ai rematori quanto ai soldati di marina. I Romani, privi com'erano di pratica marinaresca, reclutarono le ciurme delle loro prime armate in tutto o in massima parte tra gli alleati delle coste italiane. Alcune città alleate erano obbligate dal patto d'alleanza ad armare ed equipaggiare navi, altre potevano essere invitate a fornir marinai invece di milizie di terra. Oltre ai contingenti alleati si usarono i marinai forniti dalle colonie marittime, cittadini dell'ultima classe serviana, ordinariamente dispensati dal servizio militare per terra, e libertini; in caso di bisogno anche schiavi. Ma la maggior parte degli equipaggi fu costituita da alleati, tant'è vero che soci navali furono chiamati i marinai delle navi da guerra, qualunque fosse la loro patria e la loro condizione. Comandanti supremi delle armate erano magistrati romani o loro sostituti, ma, come nell'esercito, i contingenti alleati erano sottoposti a proprî ufficiali e avevano dal proprio stato il soldo e il vitto. Efficacissima fu l'opera di questi antichi marinai nelle lotte contro Cartagine e per il domimo del Mediterraneo.
A questo periodo eroico succede un periodo di decadenza: dopo la vittoria su Antioco III di Siria (190 a. C.) l'incontrastato dominio dei mari fa trascurare ai Romani la marina da guerra. Le navi che talvolta si devono allestire sono fornite ed equipaggiate in gran parte da alleati. Pompeo libera i mari dai pirati più con la minaccia dei preparativi guerreschi e con l'autorità del suo nome che con vere operazioni. Solo durante le guerre civili degli ultimi tempi della repubblica la marina da guerra ridiventa fattore decisivo di successo. Gli equipaggi delle flotte formidabili armate da Pompeo contro Cesare e da Antonio contro Ottaviano sono reclutati generalmente tra i provinciali. Invece Sesto Pompeo e Ottaviano, evidentemente perché non si fidano delle forze alleate di cui possono disporre, preferiscono ricorrere a schiavi; Sesto Pompeo a schiavi in massima parte fuggiti ai loro padroni, Ottaviano a schiavi fornitigli da cittadini; a molti di essi egli poi dona la libertà. Gli ufficiali stessi e persino gli ammiragli sono oriundi di nazioni straniere, per lo più dell'Oriente greco, e in gran parte di origine servile; anzi alcuni comandanti di nave sono ancora schiavi.
L'impero segna un gran progresso anche per la marina da guerra. Nei primi anni del suo governo Augusto crea le armate stabili di Miseno e di Ravenna, alle quali nel corso del tempo si aggiunsero numerose armate provinciali. Le ciurme continuano ad essere costituite da schiavi e liberti, che sono ora forniti dalla casa imperiale. Ma a lungo andare tale sistema di reclutamento deve aver dato occasione a inconvenienti. Già Tiberio ammette nella marina anche peregrini; almeno dal tempo dì Claudio i marinai sono soldati regolari, levati in massima parte nelle provincie imperiali fra peregrini. E che anche dop0 la costituzione di Caracalla siano in gran parte peregrini è comprovato dai diplomi militari che concedono loro la cittadirnanza. I pochi Italiani che entrano nella marina sono per lo più nati da marinai ancora in servizio. Sono scelti a preferenza tra la gente di mare della penisola balcanica, dell'Egitto, della Sardegna e Corsica, della Siria, dell'Asia minore, ma si arruolano anche i robusti figli di popolazioni dell'interno. Sono tutti di condizione umilissima (cfr. Corp. Inscr. Lat., V, 938). Le singole armate non attingono le reclute a un proprio distretto di leva; tuttavia l'armata di Ravenna è formata, almeno nel primo secolo, in maggioranza da Dalmati e Pannoni, mentre quella di Miseno consta in gran parte di Egiziani e Traci. Anzi gli Egiziani, come si rileva dal γνώμων dell'idiologo (art. 55), che ebbe la sua ultima redazione sotto Marco Aurelio, potevano servire; in quel tempo, solo nell'amata di Miseno.
La ferma dei classiarî è di 26 anni; probabilmente da Settimio Severo, certo tra il 152 e il 214-217, è portata a 28; ma, come tutte le altre categorie di soldati, sono spesso trattenuti in servizio oltre il termine legale. Col congedo onorevole, e fino al 105 anche prima del congedo, ottengono, come altre formazioni militari di peregrini, se già non la possiedono, la cittadinanza romana per sé, figli e discendenti e il diritto di contrarre legittimo matrimonio con donne anche peregrine; e la concessione della cittadinanza anche ai figli nati prima del congedo del padre dura, almeno per i classiarî delle flotte italiane, anche quando le milizie ausiliarie hanno perduto tale beneficio. Risulta strana questa preferenza di fronte agli ausiliarî, perché le milizie di marina presso i Romani furono in tutti i tempi posposte a quelle di terra. Equivaleva invero ad una punizione il trasfermento, non congiunto a promozione, nella marina da un corpo di truppe di terra (i soldati di legioni o di milizie ausiliarie che passano in alcune armate provinciali quali ἐπιβαται continuano ad appartenere al loro corpo di truppe originario). D'altra parte non è ignoto il caso che marinai siano trasferiti per premio in una legione (Papiri della Società italiana,n. 1026); durante le guerre civili del 68-69 d. C. sono chiamati a formare addirittura due nuove legioni. Non conosciamo la misura del loro soldo, che non era certamente elevato; lo dimostra a evidenza la povertà delle loro tombe. Dai tre nomi latini che da Adriano in poi, e forse anche prima, assumono entrando in servizio i classiarî, almeno quelli delle armate d'Italia, non è necessario arguire che ottenessero insieme il diritto di latinità.
Il comando di un'armata è affidato dall'imperatore a un prefetto che ha a lato, almeno nelle due armate d'Italia e nell'alessandrina, un sottoprefetto. I prefetti delle armate di Miseno e di Ravenna hanno insieme - ne siamo certi per il basso impero - l'amministrazione delle due piazze forti.
Il titolo di stolarco, che del resto ci è noto solo da due iscrizioni latine e da un'iscrizione metrica greca, sembra abbia denotato il comandante d'una divisione navale (cfr. Gabrici, in Notizie degli scavi, 1909, p. 209 segg.). Navarchi - il primo di ogni armata ha il titolo di navarchus princeps, o navarchus archigybernes, archigubernus o semplicemente princeps - comandano le navi maggiori, trierarchi le minori, ma talora sia navarchi sia trierarchi possono avere il comando di più navi. Dopo Diocleziano navarco diventa il titolo del comandante di qualsiasi nave. Piepositi si chiamano i comandanti straordinari sia di un'intera armata sia di distaccamenti formati per qualche missione speciale da navi della stessa armata o di armate diverse. Si ritiene che il praepositus reliquationi fosse il comandante di deposito. Ma da un'iscrizione (cfr. Gabrici, loc. cit.) risulta impossibile una tale supposizione; forse la reliquatio era poco diversa dalla vexillatio. È incerto l'ufficio dei centurioni; si sa solo che l'equipaggio di una nave corrispondeva a una centuria, qualunque fosse la grandezza della nave. Così pure è difficile stabilire le funzioni e il grado dei sottufficiali.
Prefetti e sottoprefetti furono presi da qualcuno dei primi imperatori anche tra i liberti imperiali, ma da Vitellio in poi appartenevano regolarmente all'ordine equestre. Sino al tempo di Claudio i prefetti, di origine libera, delle armate italiane sono promossi a tale grado da uffici militari dell'esercito (praefecti castrorum, praefecti equitum, tribuni; cfr. Domaszgwski, in Bonner Jahrbücher, CXVII, 1908); più tardi, quasi sempre, sono sperimentati prima anche in uffici civili quali procuratori. Almeno dal terzo secolo hanno il rango e lo stipendio di ducenario e il titolo di vir perfectissimus. Invece i prefetti delle flotte provinciali, che hanno il rango di centenario o sessagenario, e i sottoprefetti che sono soltanto sessagenarî esercitano prima, di regola, solo uffici militari di terra. Navarchi, trierarchi, praepositi reliquationi e centurioni provenivano dai ranghi della milizia navale, più tardi anche dall'esercito.
Vegezio (IV, 44) riferisce che i marinai erano vestiti in turchino e protetti da elmo, corazza, gambiere e da uno scudo grande e robusto. Le parole di Vegezio sono solo in parte confermate dai monumenti figurati. Nella bireme di Preneste i soldati indossano tutti la tunica e sono armati di elmo, scudo e lancia, ma soltanto i comandanti e i due sottufficiali fuori di bordo sono difesi da corazza e gambiere (Amelung, Skulpturen des Vaticanischen Museums, II, p. 65 segg.). I rematori non avevano naturalmente armi, né di difesa né di offesa; nei rilievi della colonna Traiana ci appaiono vestiti di tunica e sago (v. fig.). Nei monumenti funebri a noi noti di classiarî, tutti dello stesso tipo convenzionale, i marinai indossano una tunica corta, stretta alla vita dalla cintura, e un mantello di varia foggia (v. fig.). Brache si vedono soltanto in un monumento; due tengono in mano un cofanetto, che dovrebbe accennare a funzioni amministrative (Cagnat-Chapot, Manuel d'archéologie romaine, II, Parigi 1920, p. 343). I centurioni avevano la vitis come nell'esercito di terra (Corp. Inscr. Lat., XI, 340).
Durante l'impero l'attività dei classiarî fu rivolta precipuamente a reprimere la pirateria, assicurando il trasporto di granaglie in Italia e le relazioni marittime tra i paesi del vasto impero. E tanto efficace fu la loro guardia, che sino alla metà del sec. III, finché cioè Roma ebbe una marina potente, la pirateria si può dire scomparsa dai mari; anche il brigantaggio per terra fu talvolta represso da classiarî. Nell'età imperiale non si combattono battaglie navali. Tuttavia è notevole il concorso dei marinai nelle guerre terrestri; trasportano soldati e materiali di guerra, aprono strade dinnanzi agli eserciti avanzanti e partecipano a combattimenti. In tempo di pace, oltre che per il trasporto di persone e di viveri, sono adoperati insieme con i soldati da terra per ogni sorta d'opere di carattere militare e civile. Marinai delle armate di Miseno e di Ravenna si trovano distaccati a Roma per tendere le vele nell'anfiteatro e per le naumachie; altri, forse al servizio dell'ufficio di approvvigionamento (Hirschfeld, Die kaiserlichen Verwaltungsbeamten, 2ª ed., Berlino 1905, p. 228, n. 3), vengono per turno da Ostia e Pozzuoli a Roma. Nelle lotte civili, e soprattutto in quelle del 68-69, le armate italiane ebbero importanza anche politica. Si tentò di trarre anche ufficiali dell'armata di Miseno - l'armata più importante e che aveva maggiori contatti con la corte imperiale - nella congiura di Pisone. Nerone stesso era ricorso a marinai di questa armata per sbarazzarsi della madre.
Bibl.: Le nostre cognizioni sui classiarî sono scarse e malsicure. In mancanza di un'opera esauriente informano meglio di tutto gli studî di E. Ferrero che ha raccolto il materiale epigrafico fino allora noto: L'ordinamento delle armate romane, Torino 1878; Iscrizioni e ricerche nuove intorno all'ord. delle armate, Torino 1884; Nuove iscrizioni ed osservazioni intorno all'ord. delle armate, in Mem. dell'Acc. di Torino, s. 2ª, LXLIX (1900), pp. 165-333; e quelli del Fiebiger, in Leipziger Studien, XV, ii, 1894, pp. 275-461 e in Pauly-Wissowa, Real-Enc., VI, coll. 22-28; e cfr. III, coll. 2632, 2649. V. inoltre V. Chapot, La flotte de Misène, Parigi 1896; J. Kromayer, Flotte, in Philologus, LVI (1897), p. 426 segg.; J. Lesquier, L'armée romaine d'Égypte, Cairo 1918.