CLASSICISMO
La parola classis, oltre alle classi del censo (v. classe) venne assai presto a indicare in Roma i varî gradi o "classi" della scuola, poiché Quintiliano nelle Institutiones oratoriae usa l'espressione: classem ducere, per indicare il primo della classe; ed Aulo Gellio già nel sec. II d. C., chiama classicus auctor uno scrittore "di prima classe o di prim'ordine"; il quale ultimo significato, riferito, via via, a libri e ad opere d'arte in genere, o a dottrine e teorie relative all'arte, finì col prevalere nell'età moderna, rimanendo sempre strettamente legato alla doppia accezione del vocabolo latino. Era naturale infatti che solo gli scrittori di primo ordine fossero ammessi come modelli nelle classi scolastiche e che reciprocamente la tradizione scolastica venisse poi a consacrare l'eccellenza di uno scrittore, argomento di studi costanti. Onde all'astratto "classicismo", designante un complesso di concetti teorici, di norme pratiche e di criterî di giudizio intorno alle opere d'arte, rimase tradizionalmente congiunta l'idea di eccellenza e di perfezione, di cui l'antichità soltanto, e innanzi tutto la romanità, offriva esempî degni di imitazione. Dalla scuola e dal clero vennero nel Medioevo esempî e suggerimenti letterarî, i quali, per opera dei giullari e dei cantastorie influirono anche sulla poesia popolare o popolareggiante. Le canzoni di gesta, i romanzi cortesi o cavallereschi, molte leggende mitico-eroiche dei paesi germanici sono apparse all'analisi critica moderna assai più legate alle forme e agli esempî della poesia antica di quel che i primi scopritori ed esegeti di quelle opere avessero immaginato.
Il Rinascimento poi nel fervore della sua ammirazione per Roma e la sua civiltà, volle ignorare di proposito ogni forma di poesia e d'arte che non si uniformasse severamente agli esempî antichi; ma all'autorità dei modelli latini aggiunse quella dei greci, allora scoperti e studiati nella lingua originale. Anche si avvertì meglio, per il contrasto con l'ingenuità e con l'esuberanza indisciplinata del Medioevo, il carattere proprio della poesia antica nelle sue espressioni più belle; quell'accordo tra la spontaneità e la riflessione, quell'energico affermarsi della ragione e dell'esperienza sociale di contro al giudizio e alla fantasia individuali, quel perfetto e spontaneo adattarsi del sentimento alla realtà e del soggetto all'oggetto, da cui viene allo spirito di chi legge un' impressione di serenità e di equilibrio. Allora appunto si pensò che le qualità per cui quell'arte riusciva così efficace e nelle quali la riflessione consapevole sembrava aver tanta parte, potessero essere ridotte sotto alcuni principî teorici, sorretto dai quali lo scrittore o l'artista potesse procedere più sicuramente per la via segnata dai classici, con più ferma speranza di avvicinarsi alla loro eccellenza. Ciò avvenne dapprima nel sec. XVI per opera di una serie di eruditi e di critici italiani, dal Bembo, dal Vida, dal Trissino sino al Robertello e al Patrizi, i quali incominciarono chiosando minutamente il testo della Poetica di Aristotele e finirono col dedurne una complessa arte poetica, in gran parte di loro conio e meglio rispondente alle inclinazioni intellettuali allora dominanti. È questa la poetica del classicismo nel significato più circoscritto ed angusto che tale parola assunse nelle controversie letterarie dell'età moderna: quel complesso cioè di regole e di precetti riferentisi al gusto artistico in generale e particolarmente alla letteratura, tratti, spesso cavillosamente, da teorie e da esempî antichi con la persuasione d'insegnare non solo come si fuggano certi difetti, ma con quali metodi e con quali accorgimenti si possa comporre razionalmente un'opera poetica. L'autorità dei nostri eruditi e le opere dei nostri artisti diffusero e imposero, all'Europa colta, tali principî di critica. In Francia essi ebbero il primo codice con la Poetica di G. C. Scaligero (Lione 1571); in Inghilterra con la Defence of Poesie di F. Sidney pubblicata nel 1595, ma composta fin dal 1581; in Germania col Buchlein von der deutschen Poeterey di M. Opitz (1624). Più tardi il cartesianismo francese, tanto amico della ragion critica quanto ostile alla fantasia, sistemò anche più rigorosameute i precetti e i divieti derivanti da Aristotele, da Orazio e dagli esemplari canonici delle letterature greca e latina. Ciò avvenne principalmente per opera del Boileau, la cui Arte poetica, in quattro libri di alessandrini, è del 1674; e poi di altri critici e teorici della scuola, come il Bouhours, il Rapin col Le Bossu, ecc., e in questa nuova forma - essendo ormai universale in Europa l'ammirazione per la letteratura francese dell'età di Luigi XIV - la "poetica" del classicismo fu accolta e osservata anche in altre letterature. In Inghilterra essa fu lodata e applicata, nella seconda metà del Seicento (Dryden, An essay on dramaiic poetry, 1668) e durante i primi decennî del Settecento; in Germania ebbe ad introduttore autorevole Cristoforo Gottsched col Versuch einer kritischen Dichtkunst für die Deutschen (1730) e vi prevalse sino a che il Bodmer, il Klopstock (Pope, An Essay on criticism, 1711) il Lessing e, soprattutto, il Herder non l'ebbero cacciata di seggio; in Spagna essa penetrò vittoriosamente con la Poetica di Ignazio de Luzán (1737). Anche in Italia essa si diffuse ed ebbe seguaci, sebbene vi fosse contrastata dall'opera teorica di critici come il Gravina, il Muratori, il Conti (a tacere del Vico, allora ignorato o frainteso), i quali, sforzandosi di superare il pregiudizio intellettualistico dei cartesiani, cercavano di lasciar più libero campo alla fantasia. Anche la letteratura russa, che nel Settecento è tuttavia una letteratura di eruditi e di retori, seguendo l'impulso dato da Pietro il Grande a tutte le forme della vita nazionale accetta allora le regole e imita gli esempî del classicismo francese.
Sennonché già sulla fine del Settecento il desiderio del nuovo e più il fastidio delle opere senz'anima che il classicismo costruiva freddamente secondo le regole, attraeva gli spiriti verso altre espressioni poetiche. La falsificazione ossianica del Macpherson apriva alle fantasie il mondo favoloso delle tradizioni celtiche e galliche: si scoprivano i miti e le divinità scandinave e germaniche; si parlava con ammirazione dei "bardi" e degli "scaldi" e lo sguardo degli studiosi incominciava ad esplorare con desiderio le misteriose latebre del Medioevo ricco di sogni e di fole. Poi Federico Schlegel col suo libro Sprache und Weisheit der Inder (1808) fermava l'atmnzione dell'Europa colta sulle leggende, i miti, le cosmogonie orientali; e alla scoperta filosofica e poetica dell'India antica, doveva seguire ed accompagnarsi nel giro di pochi decennî quella dell'Egitto, dell'Assiria e Babilonia, della Fenicia, della Persia ecc. Queste scoperte e resurrezioni storiche, dovevano far sorgere il dubbio che il predominio riconosciuto sino allora ai criterî artistici di Grecia e di Roma e ai loro scrittori, giudicati classici per eccellenza, fosse proprio legittimo e se non fossero da ammettere e da ammirare altre forme di poesia, altri ideali di bellezza. L'amor proprio dei popoli moderni, lieti di rompere l'antico giogo, stimolava la critica a tale revisione di valori e la freddezza artificiosa di tante opere classicheggianti la giustificava. Questa di abbattere il classicismo nelle forme dottrinali e artistiche che esso aveva preso in Europa dalla Controriforma in poi, e in particolar modo in Francia, fu lo scopo teorico che si propose il romanticismo (v.). E la lotta fu combattuta essenzialmente in due modi: in quanto si affermò che accanto al tipo ideale estetico elaborato dalla Grecia e da Roma antiche altri ce n'erano, diversi e pur degni di altrettanta, se non di maggiore ammirazione; e in quanto si contrappose al frigido intellettualismo dei "classicisti", i quali mostravano di credere che un'opera di poesia si possa elaborare meccanicamente applicando regole determinate, la potenza sovrana dell'"ispirazione", dell'estro divino, del "furor poetico".
Ma la scuola e la tradizione, come si è detto, avevano conferito alla parola "classico" anche un altro significato: quello di eccellente e perfetto, o almeno prossimo alla perfezione, cosicché le opere giudicate "classiche" assurgevano alla dignità di archetipi ed erano presentate come espressioni artistiche di valore universale. Tale dignità non poteva essere ormai lasciata soltanto ai capolavori delle letterature greca e latina o a quelle opere moderne che ad essi soltanto e fedelmente erano ispirate. All'eccellenza, e perciò alla "classicità" potevano ormai legittimamcnte aspirare anche quelle altre forme poetiche, che erano nate e si erano svolte fuori del girone ortodosso del classicismo greco-romano. Cosicché occorreva trovare un concetto più largo e comprensivo della "classicità". che potesse essere esteso a tutte le opere eccellenti della poesia e dell'arte antica, medievale e moderna. A questo intesero le ricerche e le discussioni estetiche, principalmente in Germania, ove la ribellione contro le angustie del classicismo tradizionale era stata così forte. Più giusto e persuasivo di ogni altro parve il concetto del Hegel, nella cui estetica, maturata dopo il romanticismo e dopo che le intuizioni di Winckelmann e la poesia di Goethe e le meditazioni di Humbold, avevano condotto a una visione nuova della classicità, la perfezione artistica è definita come "la rispondenza esatta del contenuto e della forma, del pensiero e dell'espressione". Eccellente, e perciò classica, deve quindi chiamarsi ogni opera d'arte in cui tale rispondenza o armonia sia realizzata, fuor d'ogni vincolo di scuola, di tradizioni, di esempî.
Arte. - Il termine classico, che fin dal sec. XVI aveva assunto il significato odierno, limitatamente alle lettere, dal Settecento si estende alle arti figurative. Il concetto di classico si venne poi chiarendo per antitesi con quello di romantico (v. romanticismo). Difficile è darne una definizione assoluta. Il classico secondo Winckelmann non è il medesimo dei giorni nostri. Caratteri costantemente riconosciuti sono: norma; proporzione; idealità; osservazione del vero; esaltazione dell'uomo; azione.
Tipiche sono le ricerche formali greche, culminanti nel canone di Policleto, in cui gli elementi naturali vengono disciplinati e rielaborati dall'intelletto, secondo simmetria, cioè su norme armoniche, fine a sé stesse. E poiché di tali rapporti è giudice solo lo spirito, al concetto di classico è inerente quello di proporzione fra l'oggetto eseguito o contemplato e lo spirito creatore o contemplante. L'età greca, la quale prima attuò a pieno l'esperienza classica, mancò della parola propria per significarla. I suoi artisti ebbero tanto viva la coscienza della norma o legge che caratterizza le opere da noi definite classiche, da farne il fondamento stesso dell'arte. Ciò che non rispondeva a ragione era per essi empirismo, "non arte".
Non meno degli antichi, la Rinascita in sé non conobbe termine d'opposizione all'ideale classico, ma nell'arte gotica sentì la propria antitesi come poi il romanticismo trovò in quell'arte una propria fonte. E appunto nei paesi settentrionali l'opposizione si destò dalle forme nazionali, ispirate a principî diversi dai classici. Le prime avvisaglie sono nelle lunghe discussioni sul disegno e sul colore, condotte dagli accademici francesi nel sec. XVII. In quel contrasto si delinea per la prima volta in Europa il concetto di classicismo come programma d'arte universale, in opposizione alle forme locali, ornamentali e folkloristiche, in cui si appaga il nascente romanticismo. L'erudizione archeologica, ravvivata dall'idealismo platonico del Winckelmann e dalla poetica esaltazione del Goethe, viene nella seconda metà del sec. XVIII a confortare un movimento, che ha già per sé il favore delle scuole e l'ambiziosa protezione dei principi. Così, traverso le correnti barocche e rococò, pervase d'un romanticismo che non ha ancora trovato la propria definizione, il neoclassico si afferma come formula supernazionale, appresa sui testi e sui monumenti degli antichi. I caratteri del nuovo stile, e quindi del concetto di classico da esso attuato, sono: severità nuda nell'architettura, a cui però manca il senso della proporzione; ricerca di perfezione formale sugli esempî delle opere antiche nelle arti figurative; predominio del disegno sul colore.
Ma la lotta tra classici e romantici in letteratura trova ben presto la sua eco nell'arte e la Francia muove per prima alla riscossa: il termine di classico diviene sinonimo di freddo, programmatico, falso. Il favore goduto dal classicismo presso le dinastie assolute d'Europa lo rende inviso ai rivoluzionarî. Per Stendhal romantica è l'arte viva e attuale; classica quella "che dava piacere ai nostri antenati". Medievalismo, realismo, impressionismo, espressionismo sono altrettante proteste della sensibilità artistica moderna e dell'individualismo contro l'ideale classico, identificato con l'imitazione dell'antico e l'astratta ricerca formale. Nella formula classica si scorge un residuo delle superate filosofie concettualistiche.
Frattanto il campo della civiltà antica si estende oltre i limiti di spazio e di tempo, conosciuti all'età del Winckelmann. La sensibilità acquistata nella contemplazione di esotiche forme d'arte, come l'egizia, la cinese, la giapponese, permette di sentire il classico con altre note da quello dell'arte europea. Queste scoperte finiscono col distruggere anche gli ultimi residui culturali della concezione classica, quale s'era venuta formando nel sec. XVIII.
L'idealismo annullò il concetto di classico (come quello di romantico) in una concezione superiore dell'arte, dove il vero intellettivo e astratto si concilia col vero positivo e storico.
Ma non è possibile negare che accanto ad opere esprimenti, come le greche, l'armonia dello spirito con la natura, altre ve ne sono le quali, come la plastica del selvaggio, significano piuttosto lo smarrimento dell'anima umana dinnanzi alle forze misteriore dell'universo. Fra il Doriforo di Policleto e una scultura del Congo vi ha un divario che la critica esprime legittimamente, riconoscendo all'uno il carattere classico, all'altro il valore espressionistico, folkloristico, ironico, romantico o che altro dir si voglia.
Critici recenti riaffermano il concetto di classico quale principio di forma assoluta. In questo senso il termine è attribuito dai moderni all'arte di Cézanne, Picasso, Modigliani, Carrà, le cui opere apparirebbero assai singolari ai neoclassici di cent'anni or sono.
Bibl.: v. romanticismo. Per il concetto di classico nell'antichità, v. [varî], Das Problem des Klassischen und die Antike, Lipsia 1931.