FAURIEL, Claude
Letterato e storico francese, nato a Saint-Étienne il 21 ottobre 1772, morto a Parigi il 15 luglio 1844. Repubblicano militante nel '93 e nel '94, poi, per due anni, segretario di Fouché al Ministero di polizia, nel 1802 contrasse una relazione, durata vent'anni, con la vedova di Condorcet, stabilendosi alla Maisonnette, e lì, in quel tradizionale dotto soggiorno di Meulan e Auteuil, ebbe consuetudine con Madame de Staël, Benjamin Constant, Charles de Villers, Cabanis, Du Tracy, Federico e Guglielmo Schlegel, Guglielmo di Humboldt, Baggesen, Manzoni, Cousin, Botta; e più tardi anche con Augustin Thierry, Berchet, Mérimée, Ampère, Ozanam, Stendhal, Guizot. Tra il '23 e il '25, ospite del Manzoni a Brusuglio. conobbe inoltre Mustoxidi, Monti, E. Visconti, Pellico. Nel 1830, dopo la Rivoluzione di luglio, fu creata per lui la cattedra di letterature straniere nella facoltà di lettere. Esercitò vasto influsso anche attraverso l'opera degli amici, coi quali fu sempre prodigo del suo sapere. Fu il confidente del Manzoni durante la composizione delle tragedie e del romanzo; fu uno degl'ispiratori delle idee di Madame de Staël sul romanticismo; fu il consulente del Thierry per gli studî sulla conquista normanna in Inghilterra; fu il collaboratore di Schlegel nell'impianto della prima tipografia europea per il sanscrito, in caratteri devaganarici.
I suoi lavori hanno questo di particolare che sono fatti più per l'autore, dominato dal bisogno di conoscere a fondo, che non per il pubblico, al quale venivano comunicati lentamente e come a frammenti, cioè in articoli di riviste quali la Décade philosophique, la Revue des deux mondes, gli Annales encyclopédiques, ecc., a cui si devono aggiungere le monografie per l'Histoire littéraire de la France (v. nel vol. XX un suo studio su Brunetto Latini e il Trésor). Spesso i suoi scritti non erano firmati, sicché si dubita della paternità di alcuni. Quando nel 1830 salì la cattedra, gli valsero per l'insegnamento gli scritti che teneva composti da più di venti anni (v. Histoire de la poésie provençale, ed. J. Mohl, 3 voll., 1846; e Dante et les origines de la langue et de la littérature italienne, ed. J. Mohl, 2 voll., 1854). Opere pubblicate lui vivente furono: la libera traduzione in prosa del poema tedesco del danese Baggesen, La Parthéneide; la traduzione delle due tragedie del Manzoni; quella assai libera dei Profughi di Parga del Berchet, nel 1823; la raccolta dei Chants populaires de la Grèce moderne, nel 1824; l'edizione della Chanson de la Croisade contre les Albigeois, nel 1837; e maggiore di tutte, la Histoire de la Gaule méridionale sous la domination des conquerants germains, nel 1836, in 4 volumi, che ne formano soltanto una parte. Notevole, fra gli articoli isolati, uno su Lope de Vega nella Revue del 1831, che suscitò vivi contrasti. Ci sono anche rimasti frammenti di una perduta Histoire du Stoïcisme.
Fu detto che nessuno sparse più di lui idee nuove, che egli è il primo critico francese prodotto da sé stesso, dall'intimo suo pensiero e sentimento. Considerava come principale ricerca quella della libera naturale espressione dell'umanità nella poesia e nella genesi del suo incivilimento: e mentre si ricollegava con le idee di Gian Giacomo Rousseau quanto alla bontà della natura, egli raccoglieva in sé le idee del Wolf, del Vico, dei Grimm, degli Schlegel, di Herder e di Uhland quanto alle origini della poesia, alla libera creazione dei miti, alla produzione spontanea e collettiva del popolo, all'unità assoluta di realtà di vita, storicità di condizioni ed espressione estetica. Chiaro apparisce il suo rapporto spirituale col Manzoni; e così pure la ragione del suo intenso studio del Medioevo e delle epoche primitive. Per lui l'arte primitiva era preferibile ai capolavori moderni. I canti greci moderni per lui costituivano un'epopea in formazione, allo stesso modo dei romances spagnoli; a loro volta l'Iliade e l'Odissea, la Chanson de Roland, i due grandi poemi indiani e quello di Firdusi provenivano da aggregazioni di rapsodie. Nei suoi profondi studî sulla civiltà dell'Aquitania, egli arrivò alla conclusione che non solo la poesia dei trovatori sia un fiore spontaneo di quell'epoca affannosa, in cui le razze degl'invasori urtarono a mano a mano con i saldi strati della romanità, ma che dovette esistere e fiorire anche l'epica, a rispecchiare appunto queste gesta guerresche; onde così la poesia delle chansons de geste del nord come quella dei trouvères stanno alla provenzale allo stesso modo che la lingua d'oil alla lingua che Raynouard chiarnava romana (d'oc): cioè ne derivano. Nei due volumi su Dante, la Divina Commedia è quasi portata anch'essa a origini di rapsodia. Queste ipotesi si sono dimostrate erronee, come insostenibili i dati della origine frammentaria e del processo evolutivo delle epopee suddette, pur riconoscendosi l'importanza e la giustezza dell'indagine sulla civiltà della Gallia meridionale e qualche merito nel suo prospetto della poesia provenzale, la cui conoscenza era allora soltanto agl'inizî.
Bibl.: C. A. Sainte-Beuve, Portraits contemporains, II, 2ª ed., Parigi 1855, p. 474 (vol. IV nell'ediz. del 1889); E. Renan, in Revue des deux mondes, XXV (1855), pp. 1389-90; E. Rod, Lettres d'amour de 1822 à 1844, ibidem, dic. 1908, genn. 1909; A. De Gubernatis, Il Manzoni ed il F. nel loro carteggio inedito, Roma 1880; J. B. Gallej, C. F., Saint-Étienne 1909; G. Sforza e G. Gallavresi, Carteggio di A. Manzoni, Milano 1912; J. Bédier, Les légendes épiques, 2ª ed., III, Parigi 1921, p. 200; M. Scherillo, Le tragedie di A. Manzoni, 3ª ed., Milano 1922, pp. XXXI segg.; A. Jeanroy, Les études prov. du XVIe siècle au milieu du XIXe, in Ann. du Midi, XLIII (1931).