Lefort, Claude
Filosofo francese, nato a Parigi nel 1924 e ivi morto nel 2010. Pur avendo avuto (forse anche per la mole: 782 pagine) scarsa eco fra gli studiosi di M., il libro di L., Le travail de l’oeuvre Machiavel (1972), rappresenta un momento importante nella riflessione sull’opera machiavelliana e sull’interpretazione che ne è stata data. La «question de l’oeuvre» (pp. 7-71), e della sua lettura, è in effetti l’oggetto stesso di questo libro, particolarmente attento alla sua collocazione all’interno del «champ de la littérature critique» (pp. 93-153), e che verte sui rapporti tra «l’oeuvre, l’idéologie et l’interprétation» (pp. 691-777). Nelle pagine centrali del libro, L. prende in esame un insieme di «interprétations exemplaires» (pp. 153-311) dell’Ottocento e Novecento (Jean-Félix Nourrisson, Francesco De Sanctis, Augustin Renaudet, Ernst Cassirer, Gerhard Ritter, Leopold von Muralt, Antonio Gramsci e Leo Strauss), prima di giungere alla lettura del Principe (pp. 311541) e a quella dei Discorsi (pp. 451-691).
Le letture evocate da L. sono «esemplari» nel senso che intendono enunciare una «verità» sull’opera, assoggettarla a una rappresentazione positiva e fissa, assumendo una posizione «de surplomb», ossia di confronto diretto, rispetto all’opera, che suggelli la padronanza dell’interprete. L’«oeuvre Machiavel» si presenta invece al discepolo di Maurice Merleau-Ponty – il quale considerava il Fiorentino un pensatore difficile e libero da qualsiasi idolo – come un’opera ibrida, che rimette in questione i confini tra filosofia e letteratura. Essa oppone soprattutto una resistenza alla «royauté imaginaire» (Merleau-Ponty) del lettore, una resistenza al movimento di appropriazione da parte di quegli interpreti che vogliono bandire ogni «indeterminazione» dall’opera, assegnandole uno statuto e una funzione nella realtà, privi di ambiguità. Ora, secondo L., l’effetto della critica scientifica è proprio quello di accrescere l’indeterminazione dell’opera, il cui senso si offre sempre come «differito», nell’ambito di una concezione dell’opera come creazione, luogo vuoto, assenza, oggetto di un vero e proprio «impensato» la cui ricchezza è proporzionata alla grandezza dell’opera.
Questa pratica dell’interpretazione, pensata come «passione dell’incompiutezza», deve essere messa in rapporto con il pensiero politico elaborato da L., che concepisce i campi della lettura e della politica in stretta connessione. Legata intimamente con quella della divisione fondamentale e invalicabile tra opera e interpretazione – ossia con quella dell’alterità irreconciliabile tra la scrittura dell’autore e la lettura dell’opera –, la questione della ineliminabile divisione sociale costituisce un altro degli elementi centrali della riflessione lefortiana. Fondato su un approccio che si accorda con la fenomenologia della descrizione, Le travail de l’oeuvre Machiavel, con gli altri scritti machiavelliani di L., occupa infatti una posizione centrale nella sua elaborazione filosofica: in quel momento, colui che fu tra i fondatori, nel 1948, della rivista «Socialisme ou barbarie» – uno dei pochi luoghi in cui è esistito nell’immediato dopoguerra francese un pensiero antitotalitario di sinistra – prende definitivamente le distanze dal marxismo, e riscopre il ‘politico’, non più concepito come istanza derivata dalla sfera dell’economico.
Nemmeno L. sfugge, in una certa misura, a un tipo di interpretazione ‘forte’: usa il Segretario fiorentino per superare Karl Marx, poiché in M. la «division originaire du social» va considerata non superabile e annullabile, ma costitutiva della società politica. Viene insomma elaborata a partire da M., pensatore del potere e della libertà, una concezione non addomesticata, libertaria, della democrazia, che non si riduce a un insieme di regole e di procedure, o a un regime politico: la democrazia è il luogo in cui il potere non appartiene a nessuno, un luogo vuoto, «infigurable», «inoccupable», secondo la terminologia di Lefort. Un «luogo incerto», nel quale si configura uno spazio sociale di pluralismo e di espressione dei conflitti.
Passata la stagione novecentesca degli usi totalitari di M., il «discours sans maître» di L. corrisponde alla fase dell’elaborazione – attraverso il Fiorentino, considerato come un autore inclassificabile – di una concezione decisamente antitotalitaria e democratica della politica.
Bibliografia: Machiavel jugé par la tradition classique, «Archives européennes de sociologie», 1960, 1, pp. 159-69; Le travail de l’oeuvre Machiavel, Paris 1972; Les formes de l’histoire, Paris 1978; Écrire. À l’épreuve du politique, Paris 1992.
Per gli studi critici si vedano: P. Manent, Le discours sans maître de Claude Lefort, «Archives européennes de sociologie», 1973, 14, pp. 324-35; H. Poltier, Passion du politique. La pensée de Claude Lefort, Paris 1998; B. Flynn, La philosophie politique de Claude Lefort, Paris 2012.