RUSCA, Claudia Francesca.
– Nacque intorno al 1593, come lascerebbe intendere una Biografia delle monache umiliate risalente al 1684 circa.
Si ignorano i nomi dei genitori e il luogo di nascita: all’epoca il cognome Rusca era attestato non solo nel Milanese e a Como, dove nella seconda metà del Seicento fu poi attivo il musicista Francesco Spagnoli, detto Rusca (dal nome della famiglia che l’ebbe alle dipendenze), ma anche nelle terre che oggi costituiscono il Canton Ticino, tra Lugano e Locarno. Incerto pure l’anno di monacazione: il primo documento in cui appare espressamente suor Claudia Francesca (sconosciuto il nome di battesimo originario) è un contratto datato 11 gennaio 1620, ma gli atti della Cancelleria arcivescovile non registrano la sua dote spirituale (Kendrick, 2004, p. 432). È possibile, come suggerisce l’anonimo biografo secentesco, che Rusca sia stata accolta in convento per ‘cortesia’ – dunque senza dote e in età più avanzata del consueto, benché non in condizione vedovile – tenendo conto delle sue notevoli abilità in campo musicale.
Appartenente all’Ordine delle umiliate, la giovane entrò nel monastero di S. Caterina in Brera a Milano. Aveva una sorella, Antonia Lucia, anch’essa claustrale nello stesso convento, e almeno due fratelli, di cui il più noto fu Antonio Rusca «mediolanensis», qualificato come «vicario delle monache», autore di un trattato di demonologia pubblicato nel 1621 (Kendrick, 2004, p. 434). L’origine milanese dichiarata da Antonio si deve probabilmente estendere agli altri componenti della famiglia. Claudia Francesca aveva ricevuto un’accurata educazione in casa: «fu allevata da’ suoi et le fecero imparar di Musica con buon fondamento perché sapeva componere, cantava il soprano et in sua gioventù era molto lodata» (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. Trotti 453: Biografia delle monache umiliate [1684], c. 13v). Non si conoscono i suoi precettori musicali: uno di essi potrebbe essere stato l’organista Giovanni Paolo Cima, attivo a Milano a inizio secolo.
Nel lungo periodo trascorso in convento Rusca si distinse per intelligenza e operosità: «sapeva far li conti da homo et era sempre impiegata in far servitio et a insegnare, era donna di gran giudicio, haveva una buona memoria, facceva li suoi officij con gran diligenza» (cc. 13v-14r). Malgrado tali virtù e una condotta irreprensibile, non venne mai elevata al rango di badessa, forse a causa della fragile costituzione che le impediva, per esempio, di levarsi «a matutino» (c. 14r). Nel monastero si dedicò per molti anni alla pratica musicale insegnando «a cantare e sonare», come attesta la consorella Angela Flaminia Confaloniera in una lettera del 1629 al cardinal Federico Borromeo (Bizzarini, 2012, p. 132).
Nel 1630 lo stampatore milanese Giorgio Rolla pubblicò la sua unica opera pervenuta: i Sacri concerti a una, due, tre, quattro e cinque voci, con salmi e canzoni francesi a 4, varii motetti, Magnificat, falsabordoni e Gloria Patri a 8.
Questa imponente raccolta di musiche vocali e strumentali venne dedicata al cardinal Borromeo in segno di riconoscenza per le «frequentissime visite» che l’alto prelato aveva dedicato al monastero di S. Caterina in Brera: infatti, dopo la soppressione dell’Ordine maschile degli umiliati nel 1571, la figura dell’arcivescovo di Milano era divenuta un punto di riferimento fondamentale nella direzione ecclesiastica delle monache (Kendrick, 2004, p. 428).
L’unico esemplare dei Sacri concerti censito nella prima metà del Novecento andò perduto nell’incendio divampato in alcuni locali della Biblioteca Ambrosiana durante i bombardamenti del 1943. Solo nel 2001 è stata segnalata la presenza, nel fondo Ricerche musicali nella Svizzera italiana dell’Archivio cantonale di Bellinzona (con segnatura UNA.218/1, ora disponibile anche in rete, http://www.ricercamusica.ch/musiche/Rusca_Sacri_concerti.pdf; 4 maggio 2017), delle riproduzioni fotografiche della stampa secentesca effettuate negli anni Trenta dal musicista ticinese Walter Jesinghaus; fino ad allora si conoscevano soltanto le rielaborazioni parziali, per solisti, coro e orchestra da camera, redatte da Giorgio Federico Ghedini intorno alla metà del secolo scorso.
Nel 1629 Angela Flaminia Confaloniera aveva scritto al cardinal Borromeo che i fratelli della Rusca intendevano dedicargli l’edizione dei Sacri concerti, probabilmente da loro stessi finanziata. La pubblicazione si apre con un breve componimento poetico dell’autrice rivolto «a santa Caterina vergine e martire», cui segue l’epistola dedicatoria, quasi ad anticipare il modulo iconografico con cui il pittore Francesco del Cairo avrebbe in seguito rappresentato il Matrimonio mistico della santa titolare del convento accanto all’arcivescovo di Milano (Kendrick, 2004, p. 428).
A quanto pare i Sacri concerti riflettono la vita musicale delle umiliate con esecuzioni affidate a organici interamente femminili, in cui le parti di basso e tenore venivano trasposte all’ottava superiore. Singoli componimenti della raccolta sono espressamente intitolati ad alcune consorelle del medesimo monastero, tra loro la stessa Confaloniera «soprano dolcissimo», suor Anna Maria Fogliani «contralto suavissimo», suor Tecla Francesca Roma, anch’ella «soprano dolcissimo», e la madre priora Maria Pelizzona. Ma il sistema delle dediche includeva pure religiose di altri conventi milanesi, tra cui madre Giulia Arese del monastero benedettino di S. Vincenzo. Inoltre la presenza, a suggello della raccolta, di un Magnificat con varianti testuali tipiche della tradizione ambrosiana (laddove il breviario delle umiliate seguiva una differente, peculiare liturgia; Kendrick, 2004, p. 440) induce a credere che la raccolta di Rusca potesse essere anche, almeno in parte, destinata alla cappella del duomo di Milano, in probabile omaggio all’arcivescovo.
La disposizione dei mottetti nella pubblicazione prevede un graduale incremento degli organici vocali, dalla monodia accompagnata fino alla policoralità. Per i componimenti concertati a otto voci l’autrice richiede una singolare prassi esecutiva a tre cori con soprano o tenore (coro primo), soprano, alto e basso (coro secondo), soprano, alto, tenore e basso (coro terzo). Poiché il cardinal Borromeo, a differenza di altri ecclesiastici dell’epoca, non era contrario all’impiego di strumenti musicali in contesti religiosi, non sorprende la presenza di violino e violone (in alternativa «fiffara» e trombone) in tre mottetti gaudiosi (nn. 13, 14, 15): Jubilate Deo, Gaudete gaudio magno, Cantate Domino. S’intitola La Borromea la prima delle due canzoni francesi a quattro voci incluse nella raccolta.
Suor Claudia Francesca Rusca sopravvisse alla terribile pestilenza del 1630 che decimò la popolazione delle principali città dell’Italia settentrionale. Morì a Milano il 6 ottobre 1676 all’età di 83 anni dopo essere stata colta da malore alcuni giorni prima; solo con «molte difficoltà» ebbe sepoltura nel «passo sotterraneo» del monastero braidense (Biografia, cit., c. 14r).
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ms. G.8 inf.: Lettera di Angela Flaminia Confaloniera a Federico Borromeo [1629], c. 469; ms. Trotti 453: Biografia delle monache umiliate [1684], cc. 13v-14r.
U. Saba, Federico Borromeo ed i mistici del suo tempo, Firenze 1933, p. 91; R. Kendrick, Celestial sirens: nuns and their music in early modern Milan, Oxford 1996, pp. 258-267, 323, 453; Id., The sounds of Milan, 1585-1650, New York 2002, ad ind.; Id., I mottetti di Claudia Rusca, in Barocco padano 3, a cura di A. Colzani - A. Luppi - M. Padoan, Como 2004, pp. 425-453; M. Serafini, I Sacri concerti di suor C. F. R. e il monastero di S. Caterina in Brera, diss., Conservatorio di Lecce, 2009; M. Bizzarini, Federico Borromeo e la musica: scritti e carteggi, Roma 2012, ad indicem.